Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 3614 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 01 Dicembre 2010, n. 24396. Est. Cultrera.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sui rapporti preesistenti - Vendita - Non eseguita - Contratto preliminare di vendita di cosa futura - Natura giuridica - Azione ex art. 2932 cod. civ. del promissario acquirente - Sopravvenuta dichiarazione di fallimento del promittente venditore - Trasferimento della proprietà al promissario acquirente - Insussistenza - Facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto - Conseguenze - Insinuazione al passivo del doppio della caparra versata - Esclusione - Fondamento.

Vendita - Cose future - In genere - Contratto preliminare di vendita di cosa futura - Natura giuridica - Azione ex art. 2932 cod. civ. del promissario acquirente - Sopravvenuta dichiarazione di fallimento del promittente venditore - Trasferimento della proprietà al promissario acquirente - Insussistenza - Facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto - Conseguenze - Insinuazione al passivo del doppio della caparra versata - Esclusione - Fondamento.



Il contratto preliminare di vendita di cosa futura ha come contenuto la stipulazione di un successivo contratto definitivo e costituisce, pertanto, un contratto in formazione, produttivo dal momento in cui si perfeziona, di semplici effetti obbligatori preliminari, distinguendosi dal contratto di vendita di cosa futura che si perfeziona "ab initio" ed attribuisce lo "ius ad habendam rem" nel momento in cui la cosa venga ad esistenza; ne consegue che, accertata la sussistenza di un contratto preliminare di vendita di cosa futura, nel caso di fallimento del promittente venditore, anche quando il promissario acquirente abbia già proposto domanda giudiziale per l'adempimento in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 cod. civ. ed abbia, inoltre, trascritto la domanda stessa, resta impregiudicata per il curatore - ai sensi dell'art. 72 legge fall. - la facoltà di dare esecuzione al contratto, oppure (come nel caso di specie) di chiederne lo scioglimento, con l'effetto, in tal caso, che la parte non inadempiente non può insinuare al passivo il credito risarcitorio costituito dal doppio della caparra confirmatoria versata, dal momento che la "res futura" non è ancora venuta ad esistenza e, conseguentemente, anteriormente all'apertura della procedura concorsuale, non era ancora sorto, in capo al promissario acquirente il diritto al recesso derivante dall'inadempimento dell'altro contraente. (massima ufficiale)


Massimario, art. 72 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 29995/2008 proposto da:
GOBBI ITALO (C.F. *GBBTLI46E27I027O*), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA BORGHESE 3, presso l'avvocato CALANDRELLI Valentino, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CHIUSSI FLAVIO, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO DELLA CEREDI COSTRUZIONI S.N.C. DI CEREDI MAURO & C. (C.F. *02684990407*), NONCHÉ DEI SOCI CEREDI MAURO E BASSI CARLA IN PROPRIO, in persona del Curatore avv. DE LERMA ROMITA GIORGIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RUGGERO FAURO 43, presso l'avvocato PETRONIO Ugo, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PINZA ROBERTO, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso il decreto del TRIBUNALE di FORLÌ, depositato il 07/11/2008;
n. 1360/08 R.G.;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 09/11/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato VALENTINO CALANDRELLI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l'Avvocato UGO PETRONIO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l'accoglimento dei motivi primo e secondo, con l'assorbimento dei restanti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Italo @Gobbi, con scrittura privata del *18.10.2004*, si è reso promissario acquirente di una porzione d'immobile di un erigendo fabbricato promesso in vendita dalla società Ceredi Costruzioni s.n.c. di Ceredi Mauro e Bassi Carla, e ha versato a titolo di caparra confirmatoria la somma di 140.000,00 nonché ulteriori 10.000,00.
Assumendo che il preliminare era rimasto inadempiuto entro il termine pattuito di dicembre 2006 benché l'immobile, ancorché non ultimato, fosse stato realizzato, il Gozzi, con domanda giudiziale trascritta il 20.4.2007, ha chiesto l'esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c., nei confronti della promittente alienante, nonché condanna dei convenuti alle restituzioni ed al risarcimento dei danni. Intervenuto con sentenza 6.11.2007 il fallimento della società Ceredi, il curatore fallimentare ha esercitato la facoltà di scioglimento dal preliminare ai sensi della L. Fall., art. 72, dando rituale comunicazione al Gozzi della sua intenzione di sciogliersi dal preliminare con raccomandata del 26.11.2007. Il Gozzi quindi, prima con tempestiva domanda di ammissione, respinta dal giudice delegato, quindi con atto d'opposizione allo stato passivo proposta innanzi al Tribunale di Forlì, ha chiesto, in via condizionata e subordinata alla denegata ipotesi di inammissibilità, improcedibilità o rigetto della domanda proposta in sede ordinaria, la rivendica dell'immobile, ormai realizzato, ovvero l'ammissione allo stato passivo del credito per la restituzione della parte di prezzo versata in eccesso o per il doppio della caparra confirmatoria.
Il Tribunale adito ha respinto l'opposizione con decreto depositato il 7 novembre 2008.
Avverso questa statuizione Italo @Gobbi ha proposto il presente ricorso per cassazione sulla base di 5 motivi resistiti dal curatore fallimentare con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Col primo motivo il ricorrente denuncia vizio di extrapetizione e violazione della L. Fall., art. 72. Ascrive al Tribunale errore consistito nell'aver pronunciato oltre i limiti della domanda formulata in sede d'opposizione avente ad oggetto la restituzione del prezzo pagato in Euro 290.000,00 comprensivo del doppio della caparra confirmatoria, in via espressamente condizionata e subordinata ad eventuale rigetto della domanda. Il decisum assunto in questa sede risolve invece questioni strettamente inerenti alla domanda d'esecuzione in forma specifica ed alla risoluzione della promessa di vendita, la cui indagine era devoluta alla cognizione del giudice ordinario innanzi al quale, prima dell'apertura della procedura, era stato incardinato il relativo giudizio, riassunto nei confronti del curatore dopo la sua interruzione. Atteso il tenore dell'istanza formulata in sede fallimentare, il suo credito meritava di essere ammesso con riserva condizionata alla definizione della causa di merito.
Conclude con quesito di diritto con cui chiede se violi il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato il giudice dell'opposizione a stato passivo che, richiesto di pronunciare sull'ammissione di un credito in via condizionata all'esito di controversia pendente, pronunci egli stesso su quest'ultima controversia.
Il controricorrente replica che la pronuncia del tribunale in parte qua rappresenta mero accertamento incidentale, antecedente logico giuridico della decisione, privo di contenuto ed effetto decisorio. Il motivo è infondato.
L'odierno ricorrente, con domanda di ammissione allo stato passivo, il cui testo è riprodotto fedelmente nella premessa espositiva del ricorso, formulò in via principale richiesta di rivendica dell'immobile, in astratto ammessa dal disposto della L. Fall., art. 93, nel testo riformato dal D.Lgs. n. 6 del 2005. Provvedendo su di essa, esaminata in via principale, il Tribunale ne ha disposto il rigetto sull'assunto che la L. Fall., art. 72, subordina l'esercizio della facoltà di scioglimento del curatore dal contratto preliminare di vendita al fatto che il contratto sì a ancora ineseguito e tale può ritenersi quello in discussione, sia perché il Gobbi non aveva pagato per l'intero il prezzo pattuito, sia perché l'immobile, concepito in termini di cosa futura, trattandosi di porzione di immobile erigendo, non era stato ancora costruito, come risultava dai rilievi fotografici allegata agli atti dal curatore fallimentare. Attesa la legittimità dell'esercizio della facoltà di scioglimento da parte del curatore, l'azione introdotta in via ordinaria ai sensi dell'art. 2932 c.c., non aveva ragion d'essere, e non si poteva ammettere la rivendica.
La corrispondenza esistente tra decisum e domanda sottoposta al giudice dell'opposizione fallimentare è conclamata. La riferita motivazione illustra le ragioni della ritenuta infondatezza della richiesta di rivendica dell'immobile, ripetesi, oggetto principale della domanda proposta in sede concorsuale. Non è dato riscontrarne diversa correlazione alla domanda introdotta in sede ordinaria. Il vizio denunciato è perciò insussistente.
2.- Coi secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2652 c.c. e della L. Fall., artt. 45 e 72, nonché dell'art. 47 Cost., e correlato vizio di omessa e/o insufficiente motivazione. Ascrive al Tribunale duplice errore: 1.- per aver escluso l'applicazione del principio enunciato nella decisione delle S.U. n. 12505/2004, dunque dell'effetto prenotativo della domanda d'esecuzione in forma specifica trascritta, affermato con riferimento a tutti i contratti di scambio, preclusivo dell'esercizio della facoltà rimessa al curatore dalla L. Fall., art. 72; 2.- per aver ritenuto quell'enunciato non più operante alla luce del testo riformato della L. Fall., art. 72.
Formula quesito di diritto con cui chiede se il disposto della L. Fall., art. 72, nel testo ora in vigore debba interpretarsi nel senso che la trascrizione della domanda giudiziale di cui all'art. 2932 c.c., eseguita prima del fallimento del promittente alienate, renda opponibile alla massa la successiva eventuale sentenza di accoglimento.
Il resistente osserva in replica che il principio invocato, enunciato con riferimento al contratto di permuta nel vigore del precedente dettato normativo, non è applicabile al preliminare di vendita peraltro, come nella specie, di cosa futura.
Il motivo è inammissibile in quanto introduce questione estranea alla ratio decidendi.
Postulato della ritenuta irrilevanza dell'enunciato richiamato dal ricorrente è la qualificazione del negozio in discussione in termini di contratto preliminare di cosa futura, rispetto al quale evidentemente quel principio è inappropriato ed inefficace. Nei tessuto motivazionale del decreto impugnato non sono esplicitati ulteriori argomenti che abbiano negato o quanto meno confutato l'effetto prenotativo della trascrizione della domanda giudiziale proposta a mente dell'art. 2932 c.c., nei confronti del promittente alienante poi fallito, e la conseguente opponibilità della sentenza di accoglimento alla massa. Ciò perché ogni relativa riflessione non sarebbe stata pertinente, in quanto incoerente rispetto al percorso argomentativo che ha portato alla decisione conclusiva. 3.- Col terzo motivo il ricorrente denuncia omessa e/o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia rappresentato dall'asserita inesistenza dell'immobile promesso in vendita. Deduce errore del giudicante per aver affermato che il preliminare aveva ad oggetto cosa futura che al momento del fallimento non era ancora venuta ad esistenza, con ciò impedendo l'effetto traslativo. Assume erroneo apprezzamento delle risultanze probatorie, da cui, a suo avviso, emergeva che il fabbricato era in avanzata fase di realizzazione e/o ultimazione.
Formula quesito di diritto con cui chiede se sussiste vizio di motivazione della pronuncia di merito che agli effetti dell'esperibilità dell'azione costituiva prevista dall'art. 2932 c.c., dichiari inesistente un fabbricato risultato in atti in stato d'avanzata realizzazione o ultimazione.
Il resistente deduce infondatezza anche di questo mezzo. Il motivo è inammissibile per le ragioni illustrate in riferimento alla precedente censura.
Il decreto impugnato, come si è già detto, provvedendo sulla domanda di rivendica, ha attribuito al negozio in discussione un nomen juris diverso da quello dedotto dal ricorrente, ritenendo che si versasse in un caso di contratto preliminare avente ad oggetto vendita di cosa futura. Tale qualificazione, basata su indagine di fatto non è scrutinabile in questa sede. La verifica degli elementi qualificanti l'assetto giuridico del rapporto negoziale è riservata al giudice del merito e pertanto è censurabile in sede di legittimità per i soli casi di insufficienza della motivazione e di inosservanza delle regole ermeneutiche. L'inquadramento giuridico della fattispecie esaminata non è stata censurata con riferimento ad ipotizzabile violazione dei canoni ermeneutici ed è quindi ormai affermata con forza di giudicano. Quanto al merito, la valutazione degli elementi probatori apprezzati in ordine alla caratteristiche dell'immobile che ne rappresentò l'oggetto, non è sindacabile ne' tale indagine assume rilevanza. La denuncia del ricorrente, secondo cui tale passaggio argomentativo inciderebbe sull'esperibilità dell'azione costitutiva incardinata presso il giudice ordinario prima dell'apertura del fallimento, prospetta questione giuridica estranea e non pertinente alla ratio decidendi.
4.-. Col quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1256, 1258, 1351, 1464, 1472 e 2932 c.c., e censura l'impugnata decisione laddove ha escluso l'azione prevista dall'art. 2932 c.c., in caso di preliminare avente ad oggetto cosa futura, mai posta in dubbio se riguarda un fabbricato non ultimato. Cita a conforto i precedenti di legittimità secondo i quali il creditore è arbitro di scegliere se se la prestazione parziale risponde al suo interesse non potendo il debitore addurla per liberarsi dalla sua prestazione. E conclude affermando che il disposto dell'art. 1472 c.c., non si applica ai manufatti. Il conclusivo quesito di diritto chiede se in caso di contratto preliminare di fabbricato in fase di avanzato stato d'ultimazione alla data pattuita per la stipula del definitivo, essendo la cosa venuta ad esistenza parziale spetti unicamente al creditore stabilire la rispondenza del proprio interesse alla prestazione parziale. Come si è già rilevato con riguardo ai precedenti motivi 1 e 2, la questione posta col mezzo in esame è estranea al thema decidendum ed alla conclusione assunta a tal riguardo che inerisce alla domanda di rivendica. Potrebbe assumere rilevanza, se sollevata, nel giudizio incardinato e pendente innanzi al giudice della causa ordinaria. Il motivo è perciò inammissibile.
5.- Col quinto motivo il ricorrente deduce infine violazione e falsa applicazione degli artt. 1385, 1453 e 2652 c.c., e correlato vizio di motivazione, e rilevando d'aver chiesto in via subordinata l'ammissione al passivo fallimentare del doppio della caparra versata, censura l'impugnato decreto per aver ritenuto, in linea con consolidato orientamento di legittimità, la non cumulabilità dei rimedi previsti all'art. 1385 c.c., rimessi alla scelta del creditore, il cui esercizio era precluso nella specie per aver il creditore agito nel merito.
Formula quesito di diritto con cui chiede se in ipotesi di caparra confirmatoria, anche dopo aver proposto domanda di
risoluzione/risarcimento, e fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, la parte non inadempiente possa decidere di esercitare il recesso rinunciando implicitamente al risarcimento integrale secondo la disciplina dell'art. 1453 c.c., e tornare ad accontentarsi della somma convenzionalmente stabilita. Il resistente deduce infondatezza della censura rilevando che il recesso non potrebbe essere esercitato siccome non esiste il contratto in relazione al quale potrebbe ipotizzarsi, avendo il curatore optato per il suo scioglimento.
Il motivo è infondato.
Si è già detto che il Tribunale ha ritenuto che il negozio controverso rappresentasse un contratto preliminare di cosa futura, e l'accertamento, adeguatamente motivato ed immune da vizi logici ed altri errori manifesti, è ormai inoppugnabile. L'atto costituiva una semplice promessa di compravendita di cosa futura e non già una vendita con effetti traslativi, in relazione alla quale è previsto lo scioglimento del contratto stesso ad opera del curatore ai sensi della L. Fall., art. 72. Aveva come contenuto solo la stipulazione di un successivo contratto definitivo, e perciò "costituiva un contratto in formazione produttivo di semplici effetti preliminari, distinguendosi pertanto dal contratto di vendita di cosa futura che si perfeziona "ab initio" ed attribuisce lo "ius ad habendam rem" nel momento in cui la cosa venga a esistenza (Cass. n. 6383/92, n. 4888/2007).
Non essendo la prevista "res" venuta ad esistenza, il promissario acquirente non poteva reclamare il suo diritto ad ottenere il doppio della caparra versata, in quanto ne difettava il postulato necessario rappresentato dall'inesistenza del diritto di recesso. "Il contratto preliminare di vendita futura, ove presenti tutti i requisiti di cui all'art. 1325 c.c., produce fin dal momento in cui si perfeziona, l'effetto obbligatorio che gli è proprio, vincolando le parti alla stipulazione del contratto definitivo" (Cass. citata n. 4888/2007). Alla data in cui il curatore comunicò al Gozzi la sua intenzione di sciogliersi dal contratto, l'immobile non era entrato in proprietà del predetto compratore in quanto il contratto, per la ragione anzidetta, non aveva avuto esecuzione. Pendeva invece tra i contraenti il giudizio d'esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c., introdotto dall'acquirente, nel cui ambito questi avrebbe potuto optare per il recesso previsto dall'art. 1373 c.c. (cfr. Cass. n. 10300/1994), ma non certo per quello previsto in caso d'inadempimento dall'art. 1385 c.c., che è condizione necessaria per trattenere la caparra o pretendere la restituzione del doppio.
La parte adempiente che agisce per ottenere l'esecuzione del contratto e per la condanna dell'altro contraente al risarcimento del danno, che in questo caso resta disciplinato secondo regola generale e deve essere provato, non può, in sostituzione di tale pretesa, far valer i diritti previsti dall'art. 1385 c.c., poiché tale facoltà si consuma con la scelta del rimedio consentito dalla legge e rappresenta, se esercitata nell'alveo di quel giudizio, domanda nuova, e perciò inammissibile (cfr. Cass. 553/2009). Il corollario di questa costruzione esegetica applicato al caso in esame esclude la reclamabilità del doppio della caparra. siccome, optando per l'esecuzione in forma specifica il Gobbi, promissario acquirente, manifestò la sua intenzione di ottenere per via giudiziale l'adempimento e dunque, formulata domanda per ottenere sentenza costitutiva che tenesse luogo del contratto definitivo, esaurì il suo potere di scelta tra le opzioni disponibili, il che gli precluse l'esercizio del recesso.
Di qui la sicura infondatezza della domanda subordinata tesa ad ottenere la soddisfazione in sede concorsuale del diritto al risarcimento del danno predeterminato attraverso la caparra, atteso che quel diritto non era in concreto maturato prima dell'apertura del concorso formale, perché non era stato esercitato attraverso il recesso, ne' poteva essere più esercitato. Ed infatti, tantomeno poteva ipotizzarsene la sussistenza in seno alla procedura per effetto dell'esercizio della facoltà di scioglimento dal contratto esercitata dal curatore, che assolutamente non è omologabile ne' al recesso ne' alla risoluzione (cfr. Cass. n. 6018/2003). L'anticipata interruzione del rapporto che ne è conseguita non comporta la possibilità di riconoscere pretese risarcitorie non riconducibili a situazioni precedenti il fallimento, dato, per derivazione sistematica, il nesso imprescindibile esistente tra l'art. 72 e l'art. 55 della L. Fall., che dispone la cristallizzazione dei crediti, il cui conteggio, agli effetti del concorso, va eseguito per l'importo esistente alla data di apertura della procedura (Cass. n. 2754/2002). La consacrazione dell'enunciato era già contenuta nel testo dell'art. 72, comma 4, in relazione al fallimento del venditore, ed ha ora assunto portata generale essendo stato aggiunto al testo della norma citata dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 4, comma 6, lett. b), applicabile "ratione temporis" l'inciso che, in caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno. Per la sua funzione, tipicamente risarcitoria, la caparra confirmatoria di cui si discute rientra in questa disposizione.
Tutto ciò premesso, il ricorso devesi rigettare con compensazione delle spese del presente giudizio attesa la complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 9 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2010