Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27226 - pubb. 04/05/2022

Revoca del concordato per atti in frode: la modifica della domanda è irrilevante

Cassazione civile, sez. I, 11 Agosto 2021, n. 22663. Pres. Cristiano. Est. Amatore.


Concordato preventivo – Modifica della domanda – Atti in frode



Non rileva il momento in cui la proposta modificativa della domanda di concordato preventivo sia intervenuta rispetto a quello di incardinamento del subprocedimento di revoca L.Fall., ex art. 173, dovendosi ritenere che anche qualora la proposta modificativa intervenga successivamente il tribunale potrà esaminarla anche ai fini del giudizio sulla richiesta di revoca ex art. 173 c.p.c.

Ciò che rileva è l'oggetto della denuncia del commissario giudiziale per sollecitare il giudizio di revoca dell'ammissione del concordato, atteso che se la denunzia si fonda sulla commissione da parte del debitore ammesso alla procedura di una delle condotte previste dalla L.Fall., art. 173, comma 1, e cioè gli atti di occultamento ovvero di dissimulazione dell'attivo ovvero del passivo ovvero di altri atti fraudolentemente diretti a rendere non intellegibile la proposta concordataria ai creditori, allora la successiva modifica della proposta - anche se volta al rispristino dell'esattezza descrittiva dell'attivo e del passivo oggetto della proposta concordataria - non rileva per escludere comunque la commissione di atti in frode, consapevolmente adottati dal debitore per dissimulare la sua situazione patrimoniale e finanziaria e scoperti dal commissario giudiziale dopo il provvedimento di ammissione alla procedura, atti di per sé idonei a legittimare la richiesta di revoca del concordato. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



 


RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha rigettato il reclamo proposto ai sensi della L.Fall., art. 18 dalla società (*) s.r.l. nei confronti del fallimento della medesima società, avverso la sentenza resa in data 15.1.2015 dal Tribunale di Catania, con la quale era stato dichiarato il fallimento della (*) s.r.l.

La corte del merito ha in primo luogo ricordato la vicenda processuale in esame, evidenziando che: i) la (*) s.r.l. aveva proposto un concordato preventivo con cessione integrale dei beni ai creditori e con previsione di innesto di finanza esterna da parte del socio liquidatore V.G. e che - ammessa la detta società al concordato con decreto del 25.9.2014 (anche in seguito al recepimento delle modifiche richieste in limine dal Tribunale) - era stato evidenziato, dagli organi della procedura la mancata indicazione nella proposta e nella contabilità della società di alcune poste passive relative ai crediti di fine rapporto di alcuni lavoratori e conseguentemente del relativo debito nei confronti degli istituti previdenziali; ii) che in data 28.11.2014 la predetta società debitrice aveva depositato una nuova proposta di concordato, con l'esposizione anche delle menzionate passività correttamente calcolate; iii) nella riformulazione della nuova proposta concordataria era stato inserito un "fondo crediti in contenzioso", già esposto in contabilità ma non indicato nell'originaria proposta di concordato, con la conseguente formulazione di un nuovo piano di soddisfacimento dei creditori comprensivo di un maggior apporto di finanza esterna da parte del socio; iv) ciò nonostante il commissario giudiziale, pur dando atto del deposito della nuova proposta di concordato, aveva presentato, in data 1 dicembre 2014, relazione L.Fall., ex art. 173, contenente l'accertamento delle manchevolezze della prima proposta concordataria nel senso sopra chiarito; v) il Tribunale aveva dunque aperto il subprocedimento L.Fall., ex art. 173 per la revoca dell'ammissione alla procedura di concordato; vi) nelle more della convocazione della debitrice, l'Agenzia delle Entrate aveva inviato, in data 12.12.2014, una comunicazione nella quale si accertavano, nel relativo processo verbale di constatazione dell'11.3.2013, maggiori tasse (relativamente all'anno di imposta 2011) pari ad Euro 207.343 (al netto delle relative sanzioni); vii) all'esito della convocazione della società debitrice avvenuta in data 15.12.2014, il Tribunale ne aveva dichiarato il fallimento, ritenendo tra l'altro irrilevante la modifica della proposta effettuata prima dell'apertura del subprocedimento di revoca di cui alla L.Fall., art. 173.

La corte di appello ha dunque ritenuto che: A) in relazione ai primi due motivi di reclamo (relativi alla valutazione della prima proposta concordataria oramai da ritenersi superata dalla seconda proposta modificativa del 28.11.2014 e all'erronea valutazione della carenza informativa relativa al p.v.c.), le doglianze erano infondate in quanto: aa) il Tribunale aveva correttamente esaminato l'originaria proposta di concordato perché era in relazione a questa che il commissario giudiziale aveva sollevato i propri rilievi ai sensi della L.Fall., art. 173, rilievi in ordine ai quali tenuta in considerazione anche la funzione sanzionatoria del subprocedimento L.Fall., ex art. 173 - ha affermato che l'arresto della procedura può intervenire in qualsiasi momento ed anche nella fase di omologazione del concordato, senza che il potere di revoca del tribunale possa essere superato dal voto favorevole dei creditori; ab) risultava invece rilevante l'eventuale commissione di atti in frode da parte del debitore, atti che assumevano rilievo se commessi con dolo, consistente quest'ultimo anche nella mera consapevolezza di aver taciuto nella proposta circostanze rilevanti ai fini dell'informazione dei creditori i quali ne siano venuti a conoscenza solo a seguito dell'attività del commissario giudiziale; ac) la modifica della proposta originaria (depositata in data 28.11.2014, ossia il giorno lavorativo immediatamente precedente quello in cui il commissario giudiziale aveva depositato la relazione L.Fall., ex art. 173) non poteva precludere l'esame della prima proposta, essendo il tribunale chiamato ad accertare, ai fini delle revoca dell'ammissione, se nella condotta della debitrice fosse ravvisabile il dolo richiesto ai sensi dell'art. 173 c.p.c. ed essendo desumibile, in modo inequivoco, che l'odierna reclamante aveva depositato la suddetta modifica dell'originaria proposta avendo acquisito consapevolezza dell'esito degli accertamenti svolti dagli organi della procedura; ad) erano fondati i rilievi sollevati dal commissario giudiziale legittimanti la richiesta di revoca L.Fall., ex art. 173, essendo emerso dalla relazione del commissario che nella prima proposta non era stati evidenziati debiti per complessivi Euro 117.594 (per crediti di fine rapporto, TFR e contributi Inps e Inail, oltre sanzioni ed interessi su cartelle esattoriali); ae) tale omessa indicazione integrava un'ipotesi di revoca L.Fall., ex art. 173, concretizzandosi il dolo nella consapevolezza in capo alla società odierna ricorrente di aver taciuto circostanze rilevanti ai fini dell'informazione dei creditori, consapevolezza da accertarsi anche in via presuntiva, ai sensi dell'art. 2729 c.c. e che, nel caso in esame, la stessa era evincibile dalla sicura conoscenza dei diritti dei lavoratori alla corresponsione dei predetti emolumenti sulla base della contrattazione collettiva e dall'ulteriore circostanza della mancata indicazione di tali crediti anche nelle buste paga dei dipendenti e nelle scritture contabili della società; af) era pertanto da escludersi la possibilità che la mancata indicazione di tali debiti da lavoro dipendente nella proposta concordataria fosse riconducibile ad un mero errore in cui la debitrice sarebbe incorsa in buona fede, essendo invero emerso che era rimasta inevasa anche la richiesta di chiarimenti avanzata in data 18.11.2014 dal consulente del lavoro della procedura alla società debitrice; ag) non era stata neanche fornita compiuta informazione ai creditori del rischio del maggior debito erariale accertato nel p.v.c. del 11.7.2013; B) in relazione al terzo e quarto motivo di reclamo (relativi al vizio di nullità della sentenza impugnata per violazione delle regole sul contraddittorio in ordine alla contestata valutazione complessiva dei comportamenti della società proponente, anche in riferimento alla seconda proposta per la quale avrebbe dovuto proporsi un autonomo procedimento di revoca L.Fall., ex art. 173), le censure non potevano essere accolte, posto che: ba) era stata la prima proposta di concordato quella oggetto degli accertamenti da parte degli organi della procedura e perché comunque nessun vulnus al diritto di difesa era evidenziabile anche in ragione della circostanza secondo cui la proposta modificativa del concordato originario doveva considerarsi atto proveniente dalla debitrice e dunque a quest'ultima conosciuta; bb) neanche poteva considerarsi la seconda proposta di modifica del concordato ammissibile perché successiva alla proposta di revoca, dovendosi invece evidenziare che il deposito della modifica non era stato la conseguenza di un miglioramento della proposta originaria scaturente dalla fisiologica dialettica tra imprenditore in crisi ed organi della procedura, ma il risultato degli accertamenti svolti da quest'ultimi e diretti ad accertare la commissione di atti in frode.

2. La sentenza, pubblicata il 29.6.2015, è stata impugnata da (*) s.r.l. in liquidazione con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui il FALLIMENTO (*) s.r.l. in liquidazione ha resistito con controricorso.

 

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 173 e art. 172, comma 2. Si evidenzia che la (*) s.r.l. era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo sulla base di una proposta depositata in data 17 luglio 2014 ed emendata in data 25 settembre 2014 e che la stessa era stata nuovamente modificata in data 28 novembre 2014, allorquando, cioè, non era stata ancora celebrata l'adunanza dei creditori ed il commissario non aveva ancora depositato la relazione L.Fall., ex art. 173 e che solo in data 1 dicembre 2014 il commissario aveva depositato la relazione da ultimo ricordata, in riferimento alla prima proposta concordataria, avendo a quel punto il Tribunale innestato il procedimento L.Fall., ex art. 173 e avendo così ignorato il contenuto della seconda proposta modificativa. Osserva dunque la ricorrente che il deposito della proposta di concordato avrebbe dovuto indurre il tribunale ad arrestare il corso del subprocedimento L.Fall., ex art. 173 ovvero a non aprirlo, invitando il commissario a procedere all'esame della nuova proposta concordataria. Si evidenzia ancora che il proponente avrebbe diritto a modificare la proposta in qualsiasi momento sino all'apertura delle votazioni e che tale modifica imporrebbe l'esame della nuova proposta allorquando il procedimento di revoca L.Fall., ex art. 173 non sia ancora aperto, dovendosi ritenere che, se la nuova proposta è depositata prima dell'apertura del procedimento L.Fall., ex art. 173, l'indagine sulla ricorrenza dei presupposti per la revoca deve necessariamente investire la nuova proposta perché, diversamente opinando, significherebbe imporre un limite alla possibilità di emendare l'originaria proposta concordataria non previsto in realtà da alcuna norma positiva. Conclude pertanto la ricorrente nel senso che la corte di merito avrebbe errato nella decisione impugnata perché la nuova proposta avrebbe imposto di chiudere il procedimento L.Fall., ex art. 173 in quanto le omissioni denunciate dal commissario e oggetto di esame dal tribunale erano state superate dal deposito della proposta modificativa, avendo in realtà sia i creditori che l'Ufficio a disposizione tutti gli elementi valutativi per assumere determinazioni consapevoli sulla reale situazione dell'impresa e sull'offerta formulata dalla società e dovendosi altresì ritenere che sulla nuova proposta avrebbe dovuto formarsi il giudizio dei creditori e semmai quello del tribunale ai fini della valutazione dell'istanza di revoca. Si sottolinea ancora che, nel caso in esame, la modifica della proposta di concordato era intervenuta addirittura prima che il commissario formulasse le sue conclusioni, con ciò determinandosi l'obbligo del tribunale di arrestare il procedimento di revoca basato su una proposta non più attuale perché modificata nell'ottica della fisiologica dialettica tra l'imprenditore in crisi e gli organi della procedura.

1.2 Il motivo è infondato.

1.2.1 Occorre subito chiarire - anche a parziale modifica della motivazione impugnata, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 4, - che, come già afferente dalla giurisprudenza di questa Corte, nel concordato preventivo le modifiche alla proposta presentata possono intervenire anche in pendenza del procedimento teso alla revoca dell'ammissione al concordato L.Fall., ex art. 173, poiché la L.Fall., art. 175, comma 2, - nel testo applicabile "ratione temporis" prima della sua soppressione disposta dal D.L. n. 83 del 2015, conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2015 - (ed ora la L.Fall., art. 172, comma 2) riconosce espressamente tale facoltà fino all'inizio delle operazioni di voto ovvero, dopo la predetta modifica legislativa, sino a quindici giorni prima dell'adunanza dei creditori, al fine di evitare che il calcolo delle maggioranze si fondi su voti espressi in riferimento ad una proposta diversa da quella oggetto di omologa (Cass. 1, Sentenza n. 29741 del 19/11/2018).

Ne consegue che - diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente - non rileva il momento in cui la proposta modificativa sia intervenuta rispetto a quello di incardinamento del subprocedimento di revoca L.Fall., ex art. 173, dovendosi ritenere che anche qualora la proposta modificativa di concordato intervenga successivamente il tribunale potrà esaminarla anche ai fini del giudizio sulla richiesta di revoca ex art. 173 c.p.c.

1.2.2 Ciò che invece rileva è l'oggetto della denuncia del commissario giudiziale per sollecitare il giudizio di revoca dell'ammissione del concordato, atteso che se la denunzia si fonda sulla commissione da parte del debitore ammesso alla procedura di una delle condotte previste dalla L.Fall., art. 173, comma 1, e cioè gli atti di occultamento ovvero di dissimulazione dell'attivo ovvero del passivo ovvero di altri atti fraudolentemente diretti a rendere non intellegibile la proposta concordataria ai creditori, allora la successiva modifica della proposta - anche se volta, come avvenuto nel caso in esame, al rispristino dell'esattezza descrittiva dell'attivo e del passivo oggetto della proposta concordataria - non rileva per escludere comunque la commissione di atti in frode, consapevolmente adottati dal debitore per dissimulare la sua situazione patrimoniale e finanziaria e scoperti dal commissario giudiziale dopo il provvedimento di ammissione alla procedura, atti di per sé idonei a legittimare la richiesta di revoca del concordato. Diversamente, qualora la richiesta di revoca si fondi sul rilievo della carenza, anche sopravvenuta, di uno dei presupposti di ammissione della proposta alla procedura concordataria, come peraltro previsto dalla L.Fall., art. 173, comma 3, allora la modifica della proposta concordataria, nei limiti temporali ora previsti dalla L.Fall., art. 172, comma 2, potrà aver rilievo per la valutazione di fondatezza della domanda di revoca del concordato, posto che in tal caso tale domanda non si basa sull'accertamento della fraudolenza del comportamento adottato dal debitore ammesso alla procedura ma sul diverso profilo dell'accertamento di un requisito ammissivo della proposta.

1.2.3 Tale soluzione è stata peraltro accolta già dalla giurisprudenza di questa Corte in altro precedente (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25164 del 07/12/2016), secondo il quale "la L.Fall., art. 173, nel prevedere la revoca dell'ammissione al concordato preventivo e la conseguente dichiarazione di fallimento nel corso della procedura ove il debitore abbia commesso atti di frode, e mirando, per tale via, anche a paralizzare la portata decettiva del silenzio del debitore medesimo, non attribuisce alcun rilievo a più o meno sinceri ravvedimenti postumi di quest'ultimo, nel qual caso la norma rimarrebbe evidentemente menomata nella sua efficacia" (nella specie, questa Corte ha confermato la sentenza di merito, avendo il proponente fatto generico riferimento, nella proposta, ad un credito per la vendita di partecipazioni azionarie ed esplicitando, solo a seguito della relazione del commissario giudiziale L.Fall., ex art. 173, i dettagli specifici dell'operazione di vendita del pacchetto azionario, erroneamente ritenuta non pregiudizievole per i creditori).

1.2.4 Ciò che rileva, ai fini della revoca ai sensi della L.Fall., art. 173, è che si tratti di fatti "accertati" dal commissario giudiziale e che gli stessi abbiano una valenza potenzialmente decettiva, e cioè abbiano l'idoneità a pregiudicare il consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento dei creditori per come prospettate nella proposta concordataria, dovendo il giudice verificare, quale garante della regolarità della procedura, che siano forniti ai creditori tutti gli elementi necessari per una corretta valutazione della convenienza della proposta.

Ne consegue che, ai fini qui in discussione, non rileva il profilo formale della priorità temporale tra modifica della proposta e deposito della segnalazione L.Fall., ex art. 173, ma quello sostanziale, e cioè che atti in frode siano stati accertati dagli organi della procedura, dovendosi ritenere rilevante, per la revoca dell'ammissione al concordato, il tentativo di frode posto in essere dall'imprenditore al momento del deposito della domanda o della proposta, indipendentemente dalla circostanza che quest'ultima, a seguito degli accertamenti degli organi della procedura, sia stata successivamente emendata da una integrazione con disvelamento degli atti sottaciuti al momento della presentazione del piano e della proposta concordataria. Deve infatti ritenersi - come già sopra precisato - che nessuna modifica della proposta concordataria possa essere valorizzata, al fine di considerare irrilevante l'atto di frode per avvenuta tardiva comunicazione al ceto creditorio delle notizie sottaciute.

1.2.5 Orbene nel caso di specie, come motivatamente esposto dalla Corte d'appello, è "inequivocabilmente desumibile dagli atti di causa che l'odierna reclamante ha depositato la suddetta modifica dell'originaria proposta avendo acquisito consapevolezza dell'esito degli accertamenti compiuti dagli organi della procedura" (cfr. pag. 8 della sentenza). Con la conseguenza che a nulla rileva il fatto che la formale denuncia di quei fatti sia successiva al deposito della modifica della proposta concordataria.

1.2.6 Del resto, qualora sia stata acquisita la prova - come avvenuto nel caso in esame - che l'omissione di informazione iniziale sia stata rimossa solo per effetto di induzione nell'imprenditore alla disclosure determinata degli accertamenti dell'organo commissariale, si favorirebbero, all'evidenza, condotte opportunistiche se si accogliesse l'interpretazione secondo cui sarebbe possibile sanare la condotta fraudolenta iniziale purché si depositi la modifica della proposta concordataria prima della formale denuncia del commissario giudiziale. Ed invero, si correrebbe il rischio di favorire condotte poco limpide dell'imprenditore ammesso alla procedura concordataria che subordinasse la rilevanza di queste condotte al puro caso in cui l'organo commissariale, pur avendo accertato le condotte fraudolente, le formalizzi prima o dopo la proposta dell'imprenditore di rimozione delle stesse.

Nella diversa opzione esegetica proposta dalla ricorrente, si attribuirebbe, cioè, ad un mero evento occasionale - la priorità temporale tra il deposito della modifica della proposta e l'apertura del procedimento di revoca L.Fall., ex art. 173 - la rilevanza o meno di atti in frode ai fini della revoca dell'ammissione alla procedura, con ciò incentivando - come anche evidenziato dall'Ufficio della Procura Generale nella requisitoria scritta condotte "non virtuose" incentrate sulla possibilità di una doppia via d'uscita per l'imprenditore: che il commissario non si accorga degli atti in frode, che pur "scoperto" sia più veloce nella loro rimozione di quanto lo sia il Commissario nella loro denuncia. Ne consegue, secondo l'opzione qui non accolta, che il debitore fraudolento, pur se venisse scoperto, non rischierebbe nulla, perché potrebbe comunque evitare la revoca offrendo ai creditori (tardivamente) quelle informazioni che avrebbe dovuto evidenziare sin dall'origine, al momento iniziale della presentazione del piano e della proposta.

Il primo motivo di censura deve essere così rigettato.

2. Il secondo mezzo - con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, della L.Fall., art. 173 e degli artt. 24 e 111 Cost. - rimane dunque assorbito dal rigetto del primo motivo.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 173 e dell'art. 2729 c.c. e art. 116 c.p.c., in ordine alla ritenuta sussistenza del dolo.

4. Il quarto mezzo censura la sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della stessa per violazione dell'art. 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in ordine all'erronea valutazione del comportamento della società proponente e dei presupposti per procedere alla revoca del concordato.

5. La ricorrente propone inoltre un quinto motivo con il quale propone il vizio di violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 173 e dell'art. 2729 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

6. Il sesto ed ultimo mezzo denuncia infine violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 173, ai sensi sempre dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

7. Il terzo e quarto motivo, per come sopra elencati, sono inammissibili perché volti entrambi a sollecitare questa Corte ad un nuovo giudizio di merito in relazione allo scrutinio della sussistenza del dolo e della natura fraudolenta delle condotte, in riferimento alle condotte denunciate dal commissario per legittimare la richiesta di revoca ex art. 173 c.p.c., giudizio che invece è inibito al giudice di legittimità perché implicante la rilettura degli atti istruttori e invece rimesso, come è noto, alla cognizione esclusiva dei giudici del merito.

7.1 Deve essere premesso in relazione alla formulazione dei motivi di censura qui da ultimo in esame che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (cfr. anche Cass., Sez. 2, sentenza n. 24434 del 30/11/2016).

7.1.1 Occorre pertanto evidenziare che i motivi di ricorso in esame, nel denunciare la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., inciampano in un preliminare profilo di inammissibilità rilevabile sia nella sopra evidenziata richiesta di rilettura diretta degli atti di causa irricevibile in questo giudizio di legittimità sia nell'erronea proposizione della censura che avrebbe dovuto essere comunque formulata sotto il diverso parametro normativo di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cosi come declinato dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte (Cass. ss.uu. n. 8053/2014).

7.1.2 Venendo, ora, all'esame puntuale delle singole doglianze, si ricorda che, con il terzo motivo, la ricorrente contesta la valutazione giudiziale in riferimento all'accertamento del dolo della proponente nella mancata esposizione delle sopra ricordate passività retributive ed erariali. Si osserva che erronea sarebbe stata la valutazione indiziaria in tal senso svolta dalla corte di merito in riferimento al "difetto di risposta" della società in concordato alle richieste del commissario giudiziale e dei suoi ausiliari, posto che il dolo avrebbe dovuto sussistere al momento del deposito della domanda di concordato e non già accertato in un momento successivo attraverso condotte poste in essere solo nel corso dello svolgimento della procedura. Si evidenzia che comunque la società in concordato aveva fornito risposta a tutte le richieste di chiarimenti avanzate dagli organi della procedura. Denuncia inoltre la società ricorrente l'erroneità della valutazione giudiziale in ordine all'affermata sua conoscenza dei debiti lavoristici per come ricavata dalla natura dei crediti, osservando ancora che si era trattato invece di un errore incolpevole subito emendato nel momento in cui era emersa tale erronea descrizione documentale della realtà patrimoniale della società. Osserva inoltre la ricorrente che era da escludersi la mala fede proprio perché aveva fornito finanza esterna, tramite l'apporto del socio, al fine di far fronte ad eventuali divergenze nella valutazione della consistenza patrimoniale della società.

7.1.2 Il terzo motivo, per come formulato, è dunque inammissibile.

Oltre a richiamare le preliminari (ed assorbenti) osservazioni sulle modalità di proposizione del motivo che già da sole depongono per la valutazione di inammissibilità delle doglianze, va ulteriormente osservato che la ricorrente, sotto l'egida formale della violazione dell'art. 2729 c.c., propone in verità censure di merito che pretenderebbero un nuovo scrutinio degli elementi di valutazione indiziari posti alla base del giudizio sulla sussistenza del dolo nelle condotte omissive della società in concordato.

7.1.3 Sul punto, giova ricordare che, in tema di giudizio di cassazione, la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (così, Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020). Detto altrimenti, in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l'apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 1234 del 17/01/2019). In realtà, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l'attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione. Spetta pertanto solo al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che sfugge al sindacato di legittimità (così, anche Sez. L, Sentenza n. 15737 del 21/10/2003).

Ciò posto, emerge dalla lettura del provvedimento impugnato che i giudici del merito hanno apprezzato, con motivazione adeguata e scevra da criticità argomentative, la sussistenza del dolo nella mancata rappresentazione corretta della situazione patrimoniale della società in sede di redazione della proposta e del piano concordatario, attraverso un ragionamento indiziario fondato sulla natura dei crediti di cui era stata omessa la fedele rappresentazione e delle condotte della società debitrice, successive all'ammissione al concordato, società che non aveva, peraltro, risposto alle richieste di chiarimenti avanzate dagli ausiliari del commissario e che aveva proposto una repentina modifica della proposta solo dopo gli accertamenti svolti dagli organi della procedura. Si tratta di una valutazione in fatto cui la ricorrente contrappone solo un diverso ed alternativo ragionamento probatorio, senza neanche allegare un possibile vizio motivazionale declinato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7.2 Anche il quarto motivo è inammissibile.

7.2.1 Si deduce come erronea la valutazione giudiziale in ordine alla condotta tenuta dalla società in concordato rispetto alle richieste di chiarimenti avanzate dagli organi della procedura posto che, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, la condotta della (*) s.r.l. sarebbe stato collaborativa nel corso della procedura.

7.2.2 Anche in questo caso vi è un accertamento in fatto non censurato adeguatamente con il motivo di doglianza in esame che punta solo a fornire una diversa ricostruzione fattuale delle condotte della società debitrice, senza neanche censurare la ratio decidendi che evidenzia l'insuperabile circostanza secondo cui la proposta modificativa del concordato era intervenuta non spontaneamente, ma solo dopo che gli organi della procedura avevano accertato il rilevante profilo omissivo sopra più volte descritto.

7.3 Il quinto motivo e sesto motivo che, unitamente al secondo, attingono l'altra ratio decidendi (superflua, per quanto detto in relazione al primo motivo, e relativa alla questione della mancata informazione sul p.v.c.), rimangono assorbiti.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021.