Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27023 - pubb. 25/03/2022

Ammissione con riserva anche nello stato passivo della liquidazione coatta bancaria, come nel fallimento

Cassazione civile, sez. I, 15 Marzo 2022, n. 8463. Pres. Genovese. Est. Terrusi.


Crisi bancarie – Ammissione al passivo – Con riserva – Applicazione dell'art. 96 legge fall.



In tema di liquidazione coatta amministrativa (l.c.a.) delle banche venete di cui al D.L. n. 99 del 2017, conv. con modif. in L. n. 212 del 2017, costituisce effetto del rinvio operato dall'art. 2 del medesimo D.L. alle norme del TUB, le quali a loro volta rinviano (art. 80 nel testo pro tempore) alle disposizioni della legge fallimentare per quanto non diversamente disposto, la configurabilità dell'ammissione dei crediti con riserva anche nello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa delle banche suddette, entro i medesimi limiti operanti nella formazione dello stato passivo del fallimento. Ne consegue che il giudizio di condanna instaurato dai risparmiatori contro una delle banche venete indicate dal D.L. n. 99/2017prima dell'apertura della l.c.a. non diventa improcedibile in esito alla detta apertura ove sia stata già pronunciata la sentenza di merito, in quanto, a norma dell'art. 96 L. fall., il creditore, sulla base della sentenza impugnata, deve essere ammesso al passivo con riserva, mentre il commissario, dal canto suo, può proseguire il giudizio nella fase di impugnazione. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


FATTI DI CAUSA

F.V. ed B.E. convennero davanti al tribunale di Belluno la Banca popolare di Vicenza s.c.p.a. (di seguito solo banca) per sentir dichiarare la nullità del contratto quadro dei servizi d'investimento con essa stipulato e del conseguente ordine di acquisto di titoli obbligazionari Cirio, impartito in data 12-7-2002, per il valore nominale di 21.000,00 EURO. Dedussero la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e ss. (cd. T.u.f.) e degli artt. 26 e ss. del regolamento Consob n. 11522 del 1998, e chiesero la condanna della banca alle restituzioni o, in subordine, al risarcimento dei danni.

Nella resistenza della convenuta il tribunale accolse la domanda subordinata, assumendo l'insufficienza delle informazioni fornite dalla banca; qualificò gli attori come piccoli risparmiatori senza pregresse esperienze in materia d'investimenti finanziari e reputò che l'istituto di credito non li avesse informati in merito all'elevata rischiosità dell'investimento in titoli della Cirio, con riguardo all'eventualità del mancato rimborso del capitale, anche in considerazione del fatto che si era trattato di obbligazioni emesse da società estere.

Aggiunse che l'ingente indebitamento e la profonda crisi finanziaria del gruppo Cirio erano emersi dalle risultanze dei bilanci del gruppo e dalle notizie di stampa, e che la banca aveva altresì mancato di adoperarsi anche in riferimento all'attività d'informazione successiva all'acquisto, che avrebbe consentito agli investitori di contenere le perdite a fronte della progressiva svalutazione del titolo.

La banca propose gravame, che la corte d'appello di Venezia ha accolto con sentenza resa pubblica il 2-3-2017, in base alla considerazione che non vi era stato un inadempimento degli obblighi informativi. E questo per quattro sostanziali ragioni: (a) perché i primi indici del dissesto del gruppo Cirio si erano manifestati solo a novembre 2002, mentre l'acquisto dei titoli era avvenuto a luglio; (b) perché i revisori contabili mai prima avevano espresso rilievi in merito ai bilanci del gruppo Cirio, né sollevato dubbi circa la recuperabilità di crediti con parti correlate; (c) perché i risparmiatori erano stati resi edotti che i titoli non erano quotati e che l'operazione d'investimento era inadeguata rispetto alle linee concordate prima della sottoscrizione dell'ordine, per la natura speculativa del prodotto finanziario acquistato; (d) perché non si era trattato di un caso di sollecitazione all'investimento, cosicché, oltre al documento sui rischi generali, non era dovuta la consegna della offering circular.

I risparmiatori hanno impugnato la sentenza con ricorso per cassazione notificato il 2-10-2017, deducendo un unico articolato motivo.

Hanno resistito, con distinti controricorsi, la Banca popolare di Vicenza s.c.p.a. in liquidazione coatta amministrativa e Intesa Sanpaolo s.p.a., quest'ultima quale cessionaria di attività e passività aziendali e, quindi, successore a titolo particolare nel rapporto controverso.

Intesa Sanpaolo ha proposto anche un motivo di ricorso incidentale.

Avviata la causa alla trattazione camerale, le parti hanno depositato memorie.

Con ordinanza interlocutoria n. 35020 del 2021 la sezione ha ritenuto di dover rimettere la causa in pubblica udienza, considerando dedotte "questioni inedite, con particolare riguardo alle ricadute sul processo di cassazione della sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa di istituto di credito seguita da cessione delle attività e passività aziendali ad altro istituto di credito, ai sensi del D.L. n. 99 del 2017, art. 3, conv. con modif. in L. n. 212 del 2017".

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Il ricorso principale è affidato al seguente unico motivo:

- violazione o falsa applicazione dell'art. 21, comma 1, lett. a) e b) del T.U.F. e art. 28 e art. 29, comma 1, dell'annesso regolamento n. 11522 del 1998, nella parte in cui è stata affermata "l'adeguatezza" (rectius, l'inadeguatezza, essendo evidente l'errore materiale riscontrabile nella parte iniziale del mezzo) dell'operazione finanziaria al profilo dei ricorrenti, e in quella, correlata, in cui è stata ritenuta sufficiente l'informazione resa nonostante la mancanza di specificità della stessa.

2. - Il ricorso incidentale di Intesa Sanpaolo è affidato al seguente unico motivo:

- violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 10, comma 2-bis, nella parte in cui l'impugnata sentenza ha mancato di accogliere l'eccezione relativa alla non contestazione, da parte della difesa degli investitori, dei fatti allegati a fondamento del primo motivo d'appello, in ordine alla avvenuta sottoscrizione e all'avvenuta consegna in copia "di tutta la contrattualistica" rilevante in causa; motivo in effetti per tale ragione erroneamente respinto.

3. - La rimessione in pubblica udienza è stata sollecitata in base al peculiare intreccio delle situazioni soggettive dal lato dei controricorrenti, tenuto conto della disciplina dettata dal D.L. 25 giugno 2017, n. 99, convertito con modificazioni in L. 31 luglio 2017, n. 121, recante disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a.

4. - Giova dire che il ricorso è stato proposto contro la Banca popolare di Vicenza s.p.a. (in bonis), con notifica ai difensori a ministero dei quali essa si era costituita in appello.

Il ricorso è stato altresì notificato ai commissari liquidatori.

Secondo la giurisprudenza delle Sezioni unite, la costituzione di una parte a mezzo di procuratore ha l'effetto di stabilizzarla per tutte le successive fasi del giudizio, tanto che la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di detto procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c., da parte del notificante (Cass. Sez. U n. 15295-14).

Proprio in dipendenza della stabilizzazione della parte nel senso indicato al superiore punto c) non è rilevante, in prospettiva della corretta costituzione del rapporto processuale in questa sede, che la banca vicentina sia stata posta, dopo la conclusione del giudizio d'appello ma prima della notifica del ricorso medesimo, in l.c.a.

La sottoposizione a procedura concorsuale non vale d'altronde quale evento interruttivo del giudizio di cassazione, che è caratterizzato dall'impulso d'ufficio e al quale non sono perciò applicabili le norme di cui agli artt. 299 e 300 c.p.c. (v., quanto al fallimento ma con ratio chiaramente estendibile alla l.c.a., Cass. Sez. U n. 17295-03, cui adde Cass. n. 21153-10, Cass. n. 14786-11, Cass. n. 7477-17, Cass. n. 27143-17).

5. - Oltre alla procedura, che costituendosi con controricorso ha reclamato l'inammissibilità o l'improcedibilità del ricorso per cassazione a norma dell'art. 83, comma 3, del T.u.b., poiché contro la banca in liquidazione non può essere promossa né proseguita alcuna azione, si è costituita anche Intesa Sanpaolo, quale cessionaria delle attività e delle passività aziendali.

Il ricorso incidentale è stato giustappunto avanzato dalla presunta cessionaria, sul presupposto che il rapporto controverso sarebbe a lei transitato in esito al D.L. n. 99 del 2017.

Sennonché, come eccepito dalla difesa dei ricorrenti, possiede effetto invalidante della costituzione di entrambe codeste parti la circostanza che esse si siano costituite a mezzo degli stessi difensori, poiché è dato ravvisare un evidente conflitto di interessi tra le posizioni rispettivamente assunte nel giudizio di cassazione.

Secondo una recente e condivisa giurisprudenza (v. Cass. 1143-20 e Cass. n. 24516-18), nel caso in cui tra due o più parti sussista un conflitto di interessi è inammissibile la costituzione in giudizio a mezzo dello stesso difensore, e la violazione di tale limite, investendo i valori costituzionali del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, è finanche rilevabile d'ufficio.

La condizione di conflitto d'interessi è ravvisabile nel caso concreto per il fatto che le posizioni assunte dalla l.c.a. e da Intesa Sanpaolo divergono nel presupposto, giacché la prima, affermando l'improcedibilità della domanda, assume che il credito dei risparmiatori debba essere accertato nei propri confronti, sebbene a mezzo dello speciale procedimento di formazione dello stato passivo; donde, in base a questa prospettazione, essa impresa in l.c.a. sarebbe ancora oggi la parte passivamente legittimata; mentre la seconda, assumendo di essere divenuta titolare esclusiva del sottostante rapporto per effetto della cessione delle attività e delle passività, postula (addirittura con ricorso incidentale) che ogni accertamento debba avvenire in relazione alla posizione da essa definitivamente acquisita.

Ciò sta a significare che le due posizioni si contrappongono nell'essenziale profilo dell'assunzione della lite dal lato passivo.

Finanche sul piano deontologico ciò costituirebbe elemento di negativa valutazione, quanto alla costituzione in giudizio a mezzo di identico difensore. La regola di deontologia (oggi l'art. 24 del codice deontologico forense) impone al professionista di non assumere l'assistenza di parti con posizioni in contrasto tra loro.

E' vero che a ogni riguardo il conflitto deve essere effettivo e non potenziale (come affermato da Cass. Sez. U n. 645-93 a proposito del rispetto dei principi deontologici forensi nel caso di assunzione, da parte dello stesso difensore, del patrocinio, in procedimenti connessi, di due soggetti in potenziale conflitto di interessi), ma dinanzi alla contestazione proveniente dal terzo (il ceduto) in ordine all'effettività della cessione la controversia sul lato passivo del rapporto è in re ipsa, e implica necessariamente una situazione di effettivo conflitto di interessi tra cedente e cessionario, a meno che il cessionario non scelga di sostituirsi al cedente allo scopo di difendere (lui solo) il diritto di entrambi (v. utili riferimenti Cass. Sez. U n. 14619-02).

Ciò non è accaduto nella specie, e le due linee di difesa, della procedura cedente e della banca cessionaria, non implicano neppure la mera negazione del diritto azionato dai risparmiatori, quanto piuttosto la differente soluzione in ordine alla possibilità di proseguire o meno il giudizio, secondo il D.L. n. 99 del 2017, nei confronti dell'una o dell'altra.

6. - Va quindi dichiarata la nullità della costituzione di entrambe le dette parti.

Ciò determina l'inammissibilità del ricorso incidentale e rende incontestabile dato di fatto la circostanza che unico soggetto legittimato passivamente, rispetto alla pretesa giudiziale, è la Banca popolare di Vicenza in l.c.a..

I ricorrenti hanno in vero esplicitamente dedotto, finanche in apposita e motivata contraddizione con quanto altrimenti sostenuto da Intesa Sanpaolo nel suo (pur nullo) controricorso, che il credito da essi vantato risulta espressamente classificato come "contenzioso escluso" dall'oggetto della cessione di cui al contratto in data 26-6-2017; e ciò per la precisazione asseritamente contenuta in un atto ricognitivo del 17-1-2018.

A tale deduzione deve attribuirsi valore di premessa incontestata della decisione.

7. - L'esame del ricorso principale impone di stabilire se ci sia un effetto del D.L. n. 99 del 2017 sulla lite in esame.

Alla rilevanza nomofilattica della questione, sulla quale non sussistono precedenti, si correla il profilo generale relativo all'incidenza della sottoposizione a l.c.a. dell'impresa bancaria sulle pretese creditorie al momento già sub iudice, per le conseguenze relative al procedimento di formazione dello stato passivo.

Il D.L. n. 99 del 2017, convertito con modificazioni in L. n. 212 del 2017, contiene la disciplina per l'avvio e lo svolgimento della l.c.a. di Banca popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a., nonché le modalità e le condizioni delle misure a sostegno di queste ultime in conformità con la disciplina Europea in materia di aiuti di Stato.

L'art. 2 in particolare prevede che dopo l'adozione dei decreti dispositivi - (a) della liquidazione coatta amministrativa delle citate banche, (b) della continuazione, ove necessario, dell'esercizio dell'impresa o di determinati rami di attività per il tempo tecnico necessario ad attuare le cessioni, (c) della possibilità da parte dei commissari liquidatori di procedere alla cessione di cui al successivo art. 3 in conformità all'offerta vincolante formulata dall'eventuale cessionario, (d) degli interventi indicati all'art. 4 a sostegno della cessione - "l'accertamento del passivo dei soggetti in liquidazione ai sensi dell'art. 86 del Testo unico bancario è condotto con riferimento ai soli creditori non ceduti ai sensi dell'art. 3, retrocessi ai sensi dell'art. 4 o sorti dopo l'avvio della procedura".

Sempre l'art. 2, all'ultimo comma, racchiude peraltro anche una norma di rinvio al T.u.b. e alle disposizioni da esso richiamate per tutto quanto non espressamente previsto e disciplinato: "Per ogni aspetto non disciplinato dal presente decreto, alle liquidazioni coatte amministrative di cui al comma 1 si applica la disciplina contenuta nel Testo unico bancario e nelle disposizioni da esso richiamate".

In sostanza per i crediti non ceduti si segue il procedimento di formazione dello stato passivo secondo le norme del T.u.b. e di quelle in esso richiamate.

8. - Il quadro normativo, per quanto di tenore volutamente ampio, non supporta la tesi dell'automatica improcedibilità di ogni pretesa afferente a crediti non ceduti che sia stata già azionata in un giudizio definito con sentenza non passata in giudicato.

Quale effetto della norma speciale è certamente indefettibile il procedimento dettato per l'accertamento dei crediti non ceduti, ove codesti siano vantati nei confronti di una delle dette banche, ma - per l'appunto - secondo le modalità e le regole altrimenti definite dal T.u.b. e dalle disposizioni da questo richiamate.

Non può convenirsi con l'indirizzo giurisprudenziale per cui la domanda formulata da chi si afferma creditore in sede di cognizione ordinaria, proposta prima dell'inizio della liquidazione coatta amministrativa e seguita da sentenza, diviene comunque improcedibile come effetto del principio che tutti i crediti vantati nei confronti dell'imprenditore insolvente devono essere accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso. Ciò si è detto anche ove la procedura concorsuale risulti aperta dopo una pronuncia di condanna nei confronti dell'impresa insolvente, nel corso del giudizio in cassazione (Cass. n. 9461-20, cui adde Cass. n. 5662-10).

Ma l'assunto si basa su sottolineature non decisive, e cioè che: (1) in materia bancaria, vige l'art. 83 del T.u.b., che esclude che contro la banca in liquidazione coatta possa essere promossa - o, come nella fattispecie, proseguita alcuna azione (oltre che, per qualsiasi titolo, promosso o proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare), salvo quanto disposto dagli artt. 87, 88, 89 e 92 in tema di opposizioni allo stato passivo; e che (2) il comma 2 dello stesso art. 83, se da un lato richiama, quale conseguenza della messa in liquidazione coatta dell'istituto bancario, gli effetti previsti dagli artt. 42, 44, 45 e 66, e dalle disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV della legge fallimentare (fra cui l'essenziale L.Fall., art. 52), dall'altro non reca riferimenti alla L.Fall., art. 96, comma 2, n. 3.

Donde non consente - questo l'argomento - di reputare che sia derogabile il principio della improcedibilità tout court delle domande di condanna a mezzo dell'altro che vuole necessario, nel fallimento (e, per le conseguenze che ne derivano, con estensione alla l.c.a.), ammettere al passivo con riserva il credito risultante da sentenza anteriore all'apertura del concorso non passata in giudicato.

9. - Sennonché la conclusione licenziata dal ripetuto indirizzo è in contrasto con la lettura combinata delle norme che in effetti rilevano.

Invero è nel concatenarsi dei rimandi evinti dalle dette norme la chiave di soluzione del problema in esame, anche (e soprattutto) in rapporto al D.L. n. 99 del 2017.

10. - E' il caso di ricordare che, secondo consolidata giurisprudenza, la L.Fall., art. 96, comma 2, n. 3, si applica estensivamente, nel fallimento, pur dinanzi a pronunce (non passate in giudicato) di rigetto (o di accertamento negativo) di pretese creditorie incardinate prima della sentenza dichiarativa (v. Cass. n. 11361-18, Cass. n. 11741-21).

Ciò consente di estendere alla fattispecie concernente le pronunce negative il principio, ancora di recente ribadito, per cui ove il soccombente in un giudizio di condanna sia dichiarato fallito durante la fase di impugnazione, l'azione non diviene improcedibile, in quanto, a norma della L.Fall., art. 96, il creditore, sulla base della sentenza impugnata, può insinuarsi al passivo con riserva, mentre il curatore dal suo canto, può proseguire il giudizio di impugnazione (così Cass. n. 14768-19).

In termini generali, non ci sono ragioni per ritenere che non sia così anche nella l.c.a..

Condivisibilmente una meno recente giurisprudenza ha sottolineato che l'ammissione dei crediti con riserva (in base all'allora L.Fall., art. 95) è giustappunto configurabile in via di principio anche nello stato passivo della l.c.a. (Cass. n. 17526-03), ed è consentita entro i medesimi limiti operanti nella formazione dello stato passivo del fallimento.

Ora tale conclusione, lungi dall'esserne derogata, trova conferma nelle attuali norme sulla l.c.a. delle banche: e segnatamente nelle norme declinate dal T.u.b., alle quali rinvia il D.L. n. 99 del 2017, art. 2.

La disciplina della l.c.a. delle banche si incentra difatti sull'essenziale art. 80 del T.u.b., il cui comma 6 prevede:

- quanto al testo applicabile alle liquidazioni coatte amministrative disposte, come nel caso concreto, per effetto di domande depositate o iniziative comunque esercitate prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14;

- che (1) "le banche non sono soggette a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta prevista dalle norme della presente sezione" e che (2) "per quanto non espressamente previsto si applicano, se compatibili, le disposizioni della legge fallimentare".

Il rinvio è ovviamente da intendere come riferito non alla legge fallimentare tout court ma alla disciplina dettata dalla legge fallimentare per la l.c.a.; il che però niente toglie al fatto che le norme della legge fallimentare relative al fallimento sono a loro volta estensibili alla l.c.a. delle banche nei limiti e nei termini in cui a esse rinviano quelle stesse della l.c.a. ordinaria.

In codesta sequela di rinvii è decisiva, in base all'art. 80 del T.u.b., la regola che attiene alla L.Fall., art. 212, la quale rende applicabile alle ripartizioni parziali della l.c.a. la L.Fall., art. 113.

Ciò significa che anche nella l.c.a. delle banche, ai fini delle ripartizioni parziali, devono essere trattenute e depositate le quote assegnate ai "creditori ammessi con riserva".

Ne deriva che la disposizione della L.Fall., art. 96, in tema di ammissione di crediti con riserva al passivo del fallimento, seppure non richiamata in modo diretto, è considerata operante dallo stesso legislatore nella procedura di l.c.a. di diritto comune, e per effetto dell'art. 80 del T.u.b. lo è pure in quella relative alle banche.

Ne deriva ancora che, in esito al rinvio al T.u.b., operato dal D.L. n. 99 del 2017, art. 2, la stessa applicabilità va ritenuta quanto alla speciale l.c.a. stabilita ex lege per le banche venete.

11. - Deve quindi essere affermato il seguente principio di diritto:

- in tema di l.c.a. delle banche venete di cui al D.L. n. 99 del 2017, convertito con modificazioni in L. n. 212 del 2017, costituisce effetto del rinvio operato dall'art. 2 del medesimo D.L. alle norme del T.u.b., le quali a loro volta rinviano (art. 80 nel testo pro tempore) alle disposizioni della legge fallimentare per quanto non diversamente disposto, la configurabilità dell'ammissione dei crediti con riserva anche nello stato passivo della liquidazione coatta amministrative delle banche suddette, entro i medesimi limiti operanti nella formazione dello stato passivo del fallimento; ne consegue che il giudizio di condanna instaurato dai risparmiatori contro una delle banche venete indicate dal D.L. n. 99 del 2017 prima dell'apertura della l.c.a. non diventa improcedibile in esito alla detta apertura ove sia stata già pronunciata la sentenza di merito, in quanto, a norma della L.Fall., art. 96, il creditore, sulla base della sentenza impugnata, deve essere ammesso al passivo con riserva, mentre il commissario, dal suo canto, può proseguire il giudizio nella fase di impugnazione.

Si noti che codesta è d'altronde l'unica esegesi concretamente praticabile, l'altra (quella validata dai contrari precedenti di questa Corte) essendo da negare anche perché in contrasto col principio di ragionevole durata del processo, visto che altrimenti opinando si imporrebbe al creditore di iniziare sempre daccapo il procedimento di accertamento mediante l'insinuazione nella sede concorsuale, pur ove abbia già ottenuto un titolo, benché non irrevocabile.

Il principio della ragionevole durata del processo è un punto costante di riferimento nell'esegesi delle norme processuali, e anche in questa materia non può che condurre a privilegiare, sempre nel doveroso rispetto del dato letterale, l'opzione contraria a ogni inutile appesantimento del giudizio.

12. - Il ricorso principale è fondato.

Si discute dell'acquisto di obbligazioni del gruppo Cirio avvenuto a luglio del 2002, a fronte del default dichiarato a novembre dello stesso anno.

Dalla sentenza risulta che i ricorrenti, in relazione all'operazione di cui si tratta, "rifiutarono di fornire informazioni in merito alla loro pregressa esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari e alla propria situazione economica (...) e impartirono l'ordine di acquisto di titoli obbligazionari Cirio (...)". Essi sottoscrissero inoltre prosegue la sentenza - "separatamente la cd. clausola di salvaguardia contenuta nel documento stesso", nella quale dichiararono "di prendere atto che si trattava di un titolo non quotato e di un'operazione non allineata alla linea di investimento concordata, autorizzando comunque la banca ad eseguire l'operazione".

13. - In tema di intermediazione mobiliare, ove il cliente affidi il solo incarico di eseguire degli ordini, ma non anche quello di consulenza in relazione alla scelta dei prodotti finanziari da acquistare e di gestione del portafoglio, l'intermediario è comunque tenuto - ai sensi degli artt. 1 e 21 del T.u.f. e degli artt. 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998 - a fornire al primo adeguate informazioni sia sulle operazioni in sé, sia in ordine alla loro adeguatezza rispetto al suo profilo di rischio.

Per la valutazione di adeguatezza e per le omissioni ravvisabili nelle informazioni fornite, non rileva né che il cliente abbia dichiarato, in sede di stipula del contratto quadro di investimento, di possedere un'esperienza "alta" con riferimento ai prodotti finanziari da acquistare, o un'elevata propensione al rischio, né, men che meno, che egli si sia eventualmente rifiutato di dare indicazioni sulla propria situazione patrimoniale (v. Cass. n. 18702-16).

In particolare, da questo punto di vista, l'intermediario finanziario che (come nella specie) sia convenuto nel giudizio di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi non è esonerato dall'obbligo di valutare l'adeguatezza dell'operazione di investimento nel caso in cui l'investitore, nel contratto-quadro, si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio.

In tale evenienza l'intermediario deve comunque compiere quella valutazione in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui sia in possesso, come, per esempio, l'età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato e via seguitando (cfr. tra le altre Cass. n. 5250-16).

14. - Ora secondo i più recenti approdi di questa Corte, in tema di operazioni dalla stessa banca qualificate come inadeguate deve ritenersi assolto l'obbligo informativo gravante sull'intermediario, ai sensi dell'art. 29 del citato reg. Consob, allorché quest'ultimo, valutati gli elementi di giudizio in suo possesso, abbia offerto all'investitore un'effettiva spiegazione delle ragioni dell'inadeguatezza, e l'investitore ne abbia autorizzato l'esecuzione esternando la sua volontà mediante ordine scritto (o su altro supporto equivalente) in cui sia esplicitato il riferimento alle avvertenze ricevute; e tuttavia, in caso di contestazione del cliente, che alleghi l'omissione di specifiche informazioni, grava sempre sull'intermediario l'onere di provare, con ogni mezzo, che, invece, quelle informazioni siano state effettivamente fornite, ovvero che non fossero dovute (v. Cass. n. 23570-20).

Va in particolare confermato che la qualificazione in un investimento finanziario, da parte dell'intermediario, come operazione inadeguata, implica l'assolvimento degli obblighi informativi e implica pure che l'osservanza delle cogenti prescrizioni contenute negli artt. 28 e 29 del reg. Consob citato, attuative dell'art. 21 del T.u.f., non possa essere desunta in via esclusiva dal profilo soggettivo del cliente, dal suo rifiuto di fornire indicazioni su di esso o soltanto dalla sottoscrizione dell'avvenuto avvertimento dell'inadeguatezza dell'operazione in forma scritta, essendo invece necessario che l'intermediario, ove la regolarità della condotta sia contestata dall'investitore, fornisca la prova positiva, con ogni mezzo, del comportamento diligente e specifico (v. Cass. n. 19417-17), integrato dalla tipologia di informazioni concretamente rese.

15. - Le coordinate di tale insegnamento risultano condivise anche e proprio dalla decisione citata dalla corte d'appello di Venezia (Cass. n. 11578-16), alla quale pure si deve il principio che, appositamente distinguendo, associa la possibilità di ritenere sufficiente - a scopo di prova - la circostanza dell'avvenuta sottoscrizione della clausola di salvaguardia alla sola evenienza della mancata allegazione, da parte dell'investitore, della completezza delle informazioni al riguardo ricevute: "in tema di intermediazione finanziaria, la sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d'ordine, contenente la segnalazione d'inadeguatezza dell'operazione sulla quale egli è stato avvisato, è idonea a far presumere assolto l'obbligo previsto in capo all'intermediario dall'art. 29, comma 3, del reg. Consob n. 11522 del 1998; tuttavia, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi l'omissione di specifiche informazioni, grava sulla banca l'onere di provare, con qualsiasi mezzo, di averle specificamente rese".

16. - L'atteggiarsi dei citati principi (su cui v. pure Cass. n. 23131-20) non è colto dall'impugnata sentenza, la quale, pur menzionandone il tratto, ha mancato di darvi concreta applicazione.

Con motivazione al riguardo evasiva e in più punti errata essa si è determinata (1) sulla base dell'inconferente assunto circa il non imminente pericolo di default del gruppo Cirio - non conferente proprio perché era stata la stessa banca a qualificare l'operazione come inadeguata alle linee di investimento concordate coi clienti; e peraltro anche contraddetto dalla tempistica specificata, che ne ha collocato il sintomo evidente pochi mesi dopo l'operazione de qua; (2) sulla base della sufficienza delle informazioni relative alla "mancata quotazione del titolo" e "all'inadeguatezza rispetto alla linea d'investimento concordata" - motivata col mero riferimento al fatto che la segnalazione di inadeguatezza era avvenuta "in uno con le ulteriori precisazioni fornite ai clienti da parte del S. (un teste) prima della sottoscrizione dell'ordine"; (3) sulla base della ultroneità della consegna dell'offering circular a fronte del documento sui rischi generali.

Sennonché è abbastanza evidente che l'ultima circostanza non possiede alcun significato nell'economia della contestazione finalizzata al risarcimento dei danni da omesse o insufficienti informazioni all'atto dell'acquisto dei titoli, e che una volta che l'operazione è stata qualificata come inadeguata da parte della stessa banca, non ha rilevanza neppure stabilire se il default di Cirio fosse da considerare o meno imminente (come poi peraltro è stato). Mentre invece era essenziale accertare, e darne poi conto in motivazione, quali informazioni specificamente fossero state fornite al momento della sottoscrizione del modulo contenente la clausola di inadeguatezza, per modo da verificare se, in concreto, l'assenso all'operazione fosse stato garantito da una presa di cognizione effettiva del livello di rischio sottostante.

Quando, come nella specie, il cliente non rivesta le caratteristiche dell'investitore abilitato o professionale, neppure la sua accertata ed eventuale propensione al rischio fa venir meno gli obblighi informativi dell'intermediario, ma li qualifica in modo peculiare, nel senso che l'esperienza dell'investitore e le scelte da lui compiute in precedenza devono semmai orientare l'individuazione delle informazioni da fornire, indirizzandole verso quelle riguardanti le caratteristiche specifiche e non generalmente o facilmente accessibili del prodotto, per l'essenziale ragione che quanto più elevato è il rischio dell'investimento, tanto più puntuali devono essere le informazioni suddette (cfr. per varie applicazioni Cass. n. 18153-20, Cass. n. 29353-18, Cass. n. 10286-18).

A tanto conduceva l'accertata premessa sopra riferita, atteso che gli investitori, non avendo rilasciato indicazioni circa la pregressa esperienza finanziaria, si sarebbero dovuti reputare come non qualificati.

17. - Sui riferiti punti l'impugnata sentenza è del tutto deficitaria, donde va cassata con rinvio alla medesima corte d'appello, in diversa composizione, per nuovo esame.

Il giudizio di rinvio proseguirà nei confronti dell'impresa in l.c.a., tenuto conto della possibile ammissione del credito dei risparmiatori con riserva.

La corte d'appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, dichiara la nullità della costituzione delle controricorrenti e la conseguente inammissibilità del ricorso incidentale, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa alla corte d'appello di Venezia anche per le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al suo ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 8 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2022.