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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 265 - pubb. 01/07/2007.

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Cassazione civile, sez. I, 15 Gennaio 2000. Pres., est. Sgroi.

Borsa – Gestione di titoli azionari – Contratto di mandato – Buona fede e correttezza del mandatario.

Borsa – Mandato di gestione mobiliare conferito all’agente di cambio – Principi di buona fede, lealtà e correttezza.

Usi di borsa – Contestazione dei conti di liquidazione – Decadenza – Esecuzione del mandato di gestione del patrimonio – Inapplicabilità.


In tema di mandato conferito a fine di gestione di titoli azionari, la diligenza del mandatario, al pari della buona fede e della correttezza nell'esecuzione della prestazione dovuta (art. 1710, 1175, 1375 c.c.), assume un contenuto particolarmente pregnante, trattandosi di contratto che conferisce ad una delle parti una posizione (peculiare e) preminente (essendole rimesso il potere di controllo dell'andamento del mercato azionario), così che il rischio connaturato alle operazioni finanziarie convenute "ab origine" ed in modo generico con il "dominus" va rettamente distribuito alla stregua delle suddette regole di integrazione del contratto applicate secondo canoni particolarmente rigorosi, non potendosi confondere l'aleatorietà delle operazioni di borsa con la "rovinosità" delle medesime e con il puro ed ingiustificato azzardo da parte dell'agente - mandatario, dovendo, in tal caso, al cospetto di eventuali, ingenti perdite subite dal mandante (ed ammesse dal mandatario stesso), ritenere l'agente tenuto alla prova di aver eseguito l'incarico con la dovuta diligenza, tenuto conto dei rischi naturali delle operazioni (e non evitabili nonostante un comportamento improntato alla dovuta prudenza ed avvedutezza).

Anche nel caso in cui l'investitore abbia conferito al "remisier" dell'agente di cambio un mandato di gestione mobiliare privo di limitazioni, il contratto deve essere eseguito, ai sensi dell'art. 1375 c.c., secondo buona fede, che va intesa come lealtà, alla stregua delle regole della correttezza richiamate dall'art. 1175 c.c. (nella specie, è stata ritenuta non conforme a tali regole la gestione di un patrimonio di valore inferiore a un miliardo di lire, comportante così, nell'arco di un biennio, una perdita di circa trecento milioni di lire).

Il termine di dieci giorni entro il quale contestare i conti di liquidazione, fissato dall'art. 53 degli usi della borsa valori di Milano, non è applicabile alla contestazione dell'esecuzione del mandato di gestione del patrimonio mobiliare.

 

omissis

Fatto

Con citazione notificata il 22 maggio 1992, l'avv. Nicola Sculco conveniva dinanzi al Tribunale di Milano il dott. Alberto Pirovano, esponendo che alla fine di luglio del 1988 si era recato presso lo studio del convenuto, per conferirgli la gestione di alcuni titoli azionari; che veniva ricevuto dal rag. Adelio Liverani, remissore dell'agente di cambio Pirovano, che gli faceva sottoscrivere alcuni moduli in bianco; che dopo alcuni giorni aveva dato disposizioni alla CARIPLO di operare il trasferimento a favore del Pirovano di alcuni titoli presso di questa depositati; che nel settembre 1988 era stato assicurato dal Liverani circa l'andamento positivo della gestione di quei titoli; che nel gennaio 1989 l'avv. Sculco aveva versato al Pirovano la somma di lire 61.864.300, per l'acquisto di ulteriori azioni; che aveva richiesto l'invio dell'estratto conto promessogli, dato che i conti di liquidazione risultavano di difficile lettura e non idonei all'illustrazione della gestione titoli; che nell'aprile 1990 egli aveva ricevuto dal Pirovano una lettera con la quale questi lo avvertiva della rischiosità delle operazioni effettuate a causa del loro carattere speculativo; che egli rispondeva il 2 maggio 1990, chiedendo l'invio di idonea documentazione, onde comprendere quale fosse la valorizzazione dei suoi titoli, anche in considerazione del fatto che non aveva mai autorizzato il Pirovano a compiere operazioni speculative, ma soltanto a conservare ed accrescere la posizione originaria; che quindici giorni dopo, aveva ricevuto una lettera dal dr. Pirovano, che riconosceva che i risultati della gestione non erano affatto buoni; che con lettera 7 giugno 1990 l'avv. Sculco aveva revocato il mandato conferito al Pirovano ed in data 2 luglio 1990 gli aveva contestato il travalicamento dei limiti del mandato, che avrebbe dovuto avere solo ad oggetto la gestione conservativa dei titoli e non il compimento di operazioni a rischio e sproporzionate rispetto al valore del patrimonio, nè la sostituzione dei titoli originari con altri di valore differente, in contrasto con le istruzioni.

Tanto premesso in fatto, in linea di diritto la citazione conteneva alcune considerazioni (sulla responsabilità dell'agente di cambio, ai sensi delle disposizioni sul mandato e degli articoli 1175 e 1375 c.c.) ed affermava che il Pirovano era responsabile dei danni arrecati allo Sculco nella gestione del mandato conferitogli, svolto esclusivamente per un proprio profitto, consistente nella percezione di ingenti commissioni sulle operazioni di compravendita e negli interessi per le operazioni di riporto, come si desumeva dal fatto che le operazioni effettuate, molte delle quali in perdita, erano rischiose e sproporzionate rispetto al valore del patrimonio iniziale.

Osservava poi che la responsabilità suddetta sussisteva anche se il mandato ad operare sul mercato azionario era stato conferito ad un remissore del suo studio; che non si poteva opporre la mancata contestazione dei conti di liquidazione, nel termine previsto dall'art. 54 degli usi di borsa di Milano, perché il motivo del reclamo era la mancanza dell'accordo delle parti, avendo l'intermediario agito di suo totale arbitrio e senza potere, eccedendo i limiti del mandato, nell'esclusivo interesse dell'agente di cambio; infatti le operazioni effettuate dal Pirovano erano state compiute senza il consenso dello Sculco, che non le avrebbe mai autorizzate, essendo consistite nello smobilizzo dei titoli originari e in operazioni che, per la loro rischiosità, quando non effettuate in perdita, potevano produrre ingenti perdite e costi sproporzionati di interesse, bolli e commissioni.

Concludeva chiedendo la condanna del Pirovano a pagargli la differenza tra il valore che la situazione ed i titoli originari (ivi compresi i loro naturali incrementi) e la somma di lire 61.864.300, successivamente consegnata, avrebbero avuto al momento della revoca del mandato e quello dei diversi titoli restituiti dopo la revoca stessa, nonché il risarcimento del danno subito, quantificabile, quanto meno, nel totale costo sia degli interessi passivi che delle operazioni speculative (premi abbandonati) e-o effettuate in perdita, nonché dei bolli e delle commissioni addebitate (oltre interessi e rivalutazione).

Con comparsa del 15 settembre 1992 si costituiva il Pirovano, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, rispetto alle domande dell'attore, perché il rapporto fra lo Sculco e l'agente di cambio era stato procacciato dal remissore Adelio Liverani, al quale l'attore aveva rilasciato un mandato - senza limiti - a gestire i propri capitali, destinati a specifiche operazioni di borsa.

Affermava il Pirovano di non avere mai ricevuto dall'avv. Sculco alcun mandato di gestione dei suoi capitali, che si riferiva invece al Liverani, il quale si era avvalso, per la concreta esecuzione in Borsa delle operazioni (compravendite a termine di premi e di titoli e contratti di riporto) della collaborazione dell'agente di cambio che era l'unico soggetto abilitato a stipulare contratti di Borsa presso le grida della Borsa di Milano. In ordine alla responsabilità, essa non poteva essere attribuita per il fatto che talune operazioni di borsa si fossero chiuse in perdita, perché nessuno ha la capacità di prevedere il futuro.

Riguardo, invece, alle operazioni compiute in Borsa dall'agente di cambio, in esecuzione degli ordini ricevuti dallo Sculco, per il tramite del suo mandatario Liverani, esse erano state eseguite nel rispetto della normativa in vigore e con la diligenza dovuta, così come erano stati spediti allo Sculco i fissati bollati e gli estratti conto inerenti a dette operazioni, senza che mai l'attore avesse contestato alcunché nei termini previsti dagli articoli 16 e 53 degli usi di Borsa; nè lo Sculco si era mai preoccupato di conferire con l'agente di cambio per avere ogni chiarimento.

Nell'esecuzione degli ordini (concetto diverso dalla gestione dei capitali) l'agente di cambio ha un dovere di diligenza, che vi era sempre stata, perché il Pirovano aveva compiuto operazioni di riporto e di compravendita di premi entro i limiti di rischio consentiti dalla CONSOB e dalle leggi di Borsa e naturalmente tali da escludere operazioni rovinose; aveva informato lo Sculco delle operazioni eseguite e, in un periodo non facile del mercato, lo aveva informato dei rischi connessi alla compravendita di premi che l'avv.

Sculco gli ordinava tramite il Liverani; in ogni caso, l'avv. Sculco era decaduto dal diritto di contestare all'agente di cambio l'irregolarità delle operazioni di borsa compiute sempre con il consenso suo e-o del suo mandatario Liverani, nel periodo 88-90.

Il Pirovano, poi, con citazione del 5 luglio 1993, chiamava in causa il Liverani, chiedendo che, nell'ipotesi di accoglimento delle domande dello Sculco nei suoi confronti, il Liverani fosse dichiarato tenuto a garantire e manlevare il Pirovano stesso dalla domanda di causa. A fondamento della domanda di manleva trascriveva la citazione dello Sculco nei suoi confronti e la propria comparsa di risposta.

Alla medesima udienza del 6 ottobre 1993 Si costituiva il Liverani, e lo Sculco depositava memoria istruttoria.

Il primo sottolineava che, per la sua qualità di "procuratore alle grida" del Pirovano, eseguiva gli ordini di questi che - dietro autorizzazione dello Sculco - gli aveva concesso la semplice facoltà di operare delle scelte. L'incarico di gestire il patrimonio dello Sculco era stato conferito al solo Pirovano, che non poteva addossare al Liverani responsabilità che non gli competevano, avendo quest'ultimo eseguito gli ordini e le disposizioni dell'Agente di cambio, gestore del patrimonio dello Sculco.

In linea subordinata, il chiamato in causa eccepiva l'assenza di responsabilità, per l'esito non felice delle operazioni di borsa eseguite; a parte il fatto che lo Sculco non aveva posto alcun limite, inibendo in modo specifico determinati contratti, gli investimenti sul mercato azionario solo aleatori ed inoltre, nel periodo 1988-1990 la Borsa aveva assunto un andamento negativo; infine, lo Sculco era stato sempre messo al corrente dell'andamento dei suoi titoli, attraverso le periodiche informazioni fornitegli dall'agente di cambio.

Concludeva pertanto perché il Tribunale respingesse le domande proposte nei confronti del Liverani, per il suo difetto di legittimazione passiva e comunque perché infondate.

Nella memoria istruttoria lo Sculco, dopo aver ribadito la legittimazione passiva del Pirovano, specificava la mancanza di diligenza di costui ed i danni, osservando che questi consistevano nella differenza (pari. a lire 338.343.000) tra il valore che i titoli originari, ivi compresi i loro incrementi, avrebbero avuto al momento della revoca del mandato, e quello dei diversi titoli consegnati, oltre che nella perdita del conferimento in denaro di lire 91.226.800, a cui dovevano aggiungersi gli stratosferici costi per interessi passivi, per operazioni speculative e per quelle effettuate in perdita, per bolli e per commissioni su ogni acquisto e rendita, osservando che, se i titoli originari non fossero stati venduti e se sulla posizione dello Sculco avesse gravato il 50% dei suddetti costi, il risultato della gestione sarebbe stato positivo (e ciò pari a lire 1.804.434.000 e non a lire 711.794.000).

Indugiava poi su altri titoli di danni e sulla modalità di gestione del mandato nell'interesse del mandatario, non riconducibile a quello di un onesto e diligente operatore di borsa, con danno del cliente; contestava l'eccezione di decadenza; insisteva sulla tesi della "gestione conservativa", nonché sulla mancanza di adeguata informazione da parte del Pirovano; deduceva 14 capitoli di prova orale e richiesta di C.T.U. su vari quesiti.

Veniva poi chiesto sequestro conservativo nei confronti sia del Pirovano che del Liverani, ma tale richiesta era rigettata.

Con sentenza del 3 agosto 1995 il Tribunale rigettava le domande attrici, ritenendo determinante a tal fine il tenore ed il significato complessivo del mandato conferito con la scrittura del 26 luglio 1988, diretta al dott. Pirovano, qualificata "Autorizzazione con mandato ad operare sul mercato azionario italiano, entro i limiti eventualmente precisati in calce" al remissore dello studio del dott.

A. Pirovano, agente di cambio, con la quale si attribuiva al rag.

Liverani la libera facoltà di scelta sia dei titoli che dei tempi operativi. In calce alla dichiarazione, nello spazio riservato agli eventuali limiti nel concedere l'autorizzazione, non era riportata alcuna annotazione.

Il Tribunale riteneva che il mandato non prevedeva limiti di sorta e non vincolava il mandatario ad una gestione meramente conservativa dei titoli e del denaro ricevuti; che l'attore era stato costantemente informato della natura delle operazioni effettuate dal Pirovano e avrebbe potuto rivolgersi ad esperti per una più attenta valutazione del materiale informativo inviatogli; che la volontà dell'attore non era stata viziata da dolo od errore; che non era provato l'assunto secondo cui l'avv. Sculco avrebbe firmato dei semplici moduli in bianco; che il non esiguo spazio temporale fra il 21 luglio 88 ed il 7 giugno 1990 inficiava la credibilità della tesi di avere ignorato la natura del mandato ed il carattere speculativo delle operazioni di borsa affidate ai due professionisti; che sfornita di prova era la circostanza secondo cui le perdite a carico del mandante sarebbero state connesse ad inesatta esecuzione del mandato (col compimento di operazioni di borsa rischiose ed avventate) e non piuttosto all'alea fisiologica a tali speculazioni; che era assorbita la questione dell'individuazione del o dei mandatari, essendo stata accertata l'insussistenza in radice della responsabilità.

Avverso la suddetta sentenza lo Sculco proponeva appello, chiedendo l'accoglimento delle conclusioni anche istruttorie formulate in primo grado, sulla base dei seguenti motivi: 1) Il Tribunale, a fronte di documentate e minuziose richieste - anche istruttorie e di indagine tecnica - aveva risolto, ogni problema con qualche apodittica, illegittima e illogica affermazione di stile. Esistendo in atti diversi principi di prova scritta (il più risolutivo dei quali era la "posizione originale" alla fine di settembre 1988) ed emergendo da tale situazione che la grafia era quella dell'aggiunta "rag. A. Liverani" sul mandato sottoscritto in bianco dall'attore e che la data doveva essere posteriore alla sottoscrizione del mandato ed al trasferimento dei titoli da parte della CARIPLO, nonostante che le indicate circostanze fossero di per sè prova della sottoscrizione in bianco del mandato e dell'omissione del divieto di smobilizzo dei titoli conferiti, i giudici avrebbero dovuto ammettere la prova testimoniale, ai sensi dell'art. 2724 n. 1 c.c.

In ogni caso, non ricorreva il divieto previsto dall'art. 2722 c.c., che si applica solo ai documenti contrattuali e non alle dichiarazioni unilaterali, quale era la lettera - mandato, con cui il Pirovano era autorizzato ad avvalersi del Liverani; la "libertà di scelta dei titoli e dei tempi operativi", non poteva significare una incondizionata autorizzazione a compiere le dissennate operazioni in concreto effettuate, nè allo smobilizzo dei titoli ed unicamente a lucrare maggiori commissioni; quale fosse stato l'effettivo contenuto degli accordi emergeva dalla circostanza che inizialmente la posizione titoli era stata accresciuta e fino all'aprile 1990 era stata falsamente confermata come esistente. Considerato che le prive vendite dei titoli erano state effettuate nel settembre 1988 e che nel momento in cui era stata redatta la posizione originale, essa non era quella reale, il Tribunale avrebbe dovuto rispondere al perché dell'intenzionale rappresentazione di una falsa gestione conservativa.

Era da criticare l'assunto del Tribunale secondo cui lo Sculco si sarebbe potuto rivolgere ad esperti, perché ciò avrebbe comportato la negazione della buona fede, della fiducia, della diligenza, della professionalità e pure dell'intervento sanzionatorio e riequilibratore del giudice, ogni volta che la violazione dei menzionati principi arreca danno; pure da criticare era l'assunto circa la fonte delle perdite lamentate, perché smentita dai documenti e dalla richiesta di una C.T.U. 2) Il Tribunale non aveva pronunciato su punti decisivi, non aveva tenuto in considerazione la duplicità del titolo risarcitorio (contrattuale ed extracontrattuale); non aveva pronunciato sull'istanza di consulenza, neppure al fine di chiarire se nel mandato fossero comprese tutte le operazioni schizofrenicamente e reiteratamente effettuate dai convenuti (contratti a premio, acquisti-vendite in perdita nello stesso giorno) e-o se queste rientrassero nell'alea fisiologica a tali operazioni, ovvero non avessero travalicato ogni più basso limite del mandato, per perseguire una considerevole rilevantissima e sproporzionata remunerazione a titolo di commissione; non aveva poi osservato l'ordine di esibizione delle scritture contabili. 3) Nella specie era mancata la diligenza, la prudenza, la buona fede e l'onestà, perché il mandato era stato eseguito in conflitto di interessi con l'attore; il Tribunale non aveva rilevato il mancato assolvimento da parte dei convenuti dell'onere della prova di avere agito secondo le istruzioni, in buona fede e con la diligenza del mandatario. In una situazione in cui potevano considerarsi certe:

- la fiducia riposta dall'attore nella professionalità del convenuto, nonché la sua colpevolezza;

- l'indecifrabilità ed inidoneità della documentazione inviata all'attore e la mai mantenuta promessa di una situazione patrimoniale mensile;

- l'inesistenza di ordini e-o di fissati bollati sottoscritti dall'attore;

- la falsa prospettazione di una situazione non rispondente a quella reale;

- il divieto dello smobilizzo della posizione iniziale;

- l'incremento dei volumi delle contrattazioni (in totale oltre 87 miliari);

- gli incrementi che avrebbero avuto la posizione iniziale e l'impossibilità di ricostituirla alla fine del rapporto;

- il risultato positivo della differenza di valore fra i titoli originari incrementatisi e quelli diversi restituiti;

- il risultato ancor più positivo se la gestione non fosse stata gravata di costi per circa 70 milioni al mese;

- la movimentazione dei titoli in conflitto di interessi ed all'unico fine di lucrare ingenti guadagni ai danni dell'attore, i primi giudici avrebbero dovuto. dichiarare la responsabilità di entrambi i convenuti per l'inosservanza dei doveri di diligenza, correttezza e professionalità, nonché del dovere di fornire la prova di avere agito con la diligenza del mandatario (art. 1710 c.c.) e di quello di adeguata informazione del mandante.

Secondo l'appellante non poteva sorgere il minimo dubbio sulla presunta inaffidabilità del programma di informazione dei clienti, sul fatto che il Pirovano non avesse sentito prima il dovere di avvertire l'attore, per poter procrastinare le conseguenze negative della revoca del mandato e della perdita di guadagni (circa 30 milioni al mese); sul tentativo di minimizzare l'accaduto con promesse di gestione conservativa; sull'invio degli estratti conto più intelligibili, dopo la revoca del mandato; sull'aver lucrato, oltre a compensi di oltre 600 milioni (in venti mesi) anche parte degli interessi passivi, addebitati in circa 150 milioni; sul controvalore di 87 miliardi e mezzo di operazioni effettuate che, da solo, dimostrava che non si fosse trattato di semplice chiusura in perdita di normali operazioni borsistiche; sugli stratosferici costi addebitati, sugli interessi passivi, sulle operazioni speculative e-o effettuate in perdita, sui bolli e le commissioni del Pirovano; sul riconoscimento dei predetti importi nel prospetto inviato il 17 maggio 1990, il risarcimento dei danni avrebbe potuto essere quantificato nella misura indicata nella memoria 5.10.93 e nelle conclusioni formulate in primo grado.

Il Pirovano si costituiva con comparsa, in cui diffusamente insisteva nelle difese ed eccezioni già dedotte in primo grado, ivi comprese quelle non accolte o non esaminate e dichiarate assorbite dal Tribunale.

Si costituiva anche il Liverani, con comparsa che veniva riassunta nelle seguenti proposizioni:

- che l'incarico conferito dall'avv. Sculco non fosse conservativo, ma speculativo, risultava dalla lettera al Pirovano del 26 luglio 88;

- che, avendo potuto lo Sculco dai fissati bollati ed estratti conto inviatigli che la gestione non avveniva con criteri conservativi, ben avrebbe egli potuto sollevare fin dall'inizio le sue rimostranze;

- che, trattandosi di operazioni di borsa e, quindi, aleatorie, eventuali perdite erano prevedibili (art. 1225 c.c.), - che le perdite subite, considerata l'entità del patrimonio conferito, il periodo della gestione (quasi due anni) e l'andamento poco felice della borsa all'epoca, erano di lieve entità (10% circa).

Concludeva chiedendo il rigetto dell'appello e, in via subordinata, la reiezione delle domande proposte nei confronti del Liverani per il suo difetto di legittimazione passiva e comunque perché infondate in fatto e diritto.

La Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata il 10 gennaio 1997, rigettava l'appello, con la seguente testuale motivazione.

"Presupposto del diritto al risarcimento del danno vantato dall'avv.

Sculco è la responsabilità del Pirovano quale agente di borsa e del Liverani quale remisier, nell'esecuzione del mandato conferito nel luglio 1988 per la gestione del denaro liquido e dei titoli azionari loro consegnati. Le risultanze processuali non consentono di ritenere sussistente tale responsabilità, non emergendo elementi tali da potersi configurare un comportamento negligente o contrario a buona fede dei predetti soggetti nella gestione loro affidata. Sostiene l'avv. Sculco di aver conferito un incarico limitato alla custodia e ad una gestione meramente conservativa dei titoli e del denaro, non estesa al compimento di operazioni speculative a rischio, quali quelle di fatto realizzate dall'agente di borsa e dal suo remisier.

Tale affermazione, che è già in evidente contraddizione con il fatto stesso del trasferimento di denaro e di titoli azionari dalla banca presso la quale si trovavano depositati ad un agente di borsa (si vedano i cap. di prova nn. 15 e 16 formulati a verbale d'udienza del 10.3.94), è decisamente in contrasto con quanto risulta dall'atto di conferimento del mandato, doc. 1 prodotto dal Pirovano.

Dalla scrittura privata del 26 luglio 1988, diretta al Pirovano e qualificata "Autorizzazione con mandato ad operare sul mercato azionario italiano, entro i limiti eventualmente precisati in calce, al remisier dello studio dott. A. Pirovano - agente di cambio", risulta infatti che al remissore era stata lasciata la libera facoltà di scelta sia dei titoli che dei tempi operativi, senza previsione di eventuali limiti. obietta l'avv. Sculco che il conferimento dell'incarico è avvenuto con sottoscrizione di un modulo in bianco, sottoscritto dal Liverani, nel quale all'atto della firma non figurava alcun nome (cap. 3 memoria. 5.10.93). Se con ciò si intenda che mancava il nominativo del soggetto autorizzato, la circostanza è irrilevante, dal momento che la persona poi indicata era comunque già identificata, e dal momento che la contestazione riguarda il contenuto ed i limiti dell'autorizzazione e non la persona autorizzata; se si intende che si trattava di foglio totalmente in bianco, la circostanza è inverosimile, tenuto conto che il mandato veniva conferito proprio ad un agente, di cambio, la cui attività tipica è quella di svolgere operazioni di borsa, le quali sono, per loro stessa natura, caratterizzate da una peculiare componente aleatoria.

Anche l'ulteriore argomentazione dell'appellante di avere ignorato che le operazioni di borsa eseguite erano di carattere speculativo è priva di fondamento. Va, invero, considerato che il rapporto non è stato occasionale o breve, ma è durato ben tre (sic) anni; che durante il rapporto l'avv. Sculco ha ricevuto i conti di liquidazione, come dà per scontato nei primi atti difensivi e come si ricava dalla lettera del 2.5.90 prodotta come doc. 5 nel fascicolo di 1 grado; che, per quanto si rileva dai conti di liquidazione, in parte prodotti anche dallo stesso attore appellante, sono ben evidenziate nella voce "quantità" le compere e le vendite; e nella voce "controvalore" il dare e l'avere; che, quindi, l'appellante avrebbe ben potuto rilevare, con un minimo di diligenza, quantomeno che le operazioni effettuate non erano meramente conservative. In tale contesto di emergenze processuali, le prove orali offerte dall'appellante si rivelano inconferenti e, per quanto riguarda patti contrari al contenuto del documento (incarico) contestualmente firmato, inammissibili.

Nessuna rilevanza potrebbe avere la richiesta c.t.u., posto che non è stato provato, ma anzi è in contrasto con le risultanze processuali, il fatto che l'autorizzazione conferita riguardasse un mandato per una gestione conservativa e non speculativa, e posto che l'andamento delle operazioni avrebbe potuto essere noto al mandante attraverso i conti di liquidazione ricevuti.

Del resto l'avv. Sculco non ha mai, neppure con la lettera di revoca del mandato (doc. n. 7 dallo stesso prodotto in 1 grado) proposto reclamo, come sarebbe stato suo onere, nel termine di 10 giorni, contro i conti di liquidazione ricevuti, secondo le prescrizioni dell'art. 3 degli Usi di Borsa della prov. di Milano, richiamati dalla difesa del Pirovano che ha, appunto, eccepito la conseguente decadenza. Gli usi della Borsa di Milano devono, in effetti, ritenersi applicabili nel caso di specie, perché trattasi di usi giuridici praeter legem, costituenti fonte consuetudinaria della disciplina degli ordini e dei contratti di borsa, così come più volte ritenuto dalla S.C. che ha anche in proposito specificato che, una volta che i conti di liquidazione siano pervenuti a conoscenza del cliente - destinatario, questi viene messo nella condizione di poter esercitare il diritto di impugnarli, sicché è legittima la disposizione degli usi della Borsa di Milano (in precedenza l'art. 51, poi l'art. 53 della Raccolta ufficiale 1980) che fissa un breve termine (portato da 5 a 10 giorni) a pena di decadenza per l'impugnativa, con la precisazione che tale termine, in applicazione dei principi generali degli artt. 1335 e 1832 c.c., decorre dalla ricezione del conto. Conseguenza dell'applicabilità del cit. art. 53 sarebbe stata comunque l'avvenuta approvazione, per mancanza di tempestivo reclamo, dei conti di liquidazione ricevuti dall'avv. Sculco.

Se è vero, come ha sostenuto il Tribunale, che l'insussistenza in radice della responsabilità attribuita dall'attore appellante agli appellati, rende ininfluente la problematica dell'individuazione, fra gli stessi, del soggetto responsabile, appare tuttavia opportuno in questa sede rilevare, attesa l'eccezione di carenza della propria legittimazione passiva sollevata dal Liverani, che ogni eventuale responsabilità relativa alle operazioni di borsa realizzate in virtù del mandato sarebbe gravata sia sull'agente di cambio Pirovano che sul Liverani, in base ai principi generali del diritto in materia di rappresentanza e di responsabilità, i quali vanno perciò ritenuti legittimati passivi rispetto all'azione intrapresa dall'avv. Sculco. Infatti, tenuto conto dei rapporti intercorsi fra i tre soggetti, come disciplinati nella lettera d'incarico del 26 luglio 88, la responsabilità del Pirovano non avrebbe potuto escludersi per il fatto, che questi era l'agente di cambio esecutore degli ordini di borsa trasmessi dal remissore, e la responsabilità del Liverani non avrebbe potuto escludersi dal momento che questi non si era limitato a procurare il cliente e a rimettere gli ordini al Pirovano, ma era stato autorizzato direttamente dal cliente ad operare, senza limiti, sul mercato azionario, con facoltà di scelta dei titoli e dei tempi operativi (cpv. art. 1717 c.c.)".

Avverso la suddetta sentenza lo Sculco ha proposto ricorso per cassazione, illustrato con memoria. il Pirovano ha resistito con controricorso. Il Liverani non ha svolto attività difensiva, benché ritualmente intimato. il Presidente del Collegio è stato designato quale estensore, ai sensi dell'art. 276 ultimo comma c.p.c.

Diritto

Il ricorrente, dato atto della manchevole esposizione dei fatti rilevanti in causa (che, in quanto già riferiti nelle scritture difensive delle parti, questa Corte ha esposto in narrativa) contenuta nella sentenza impugnata, l'ha integrata di ulteriori circostanze, delle quali si darà conto, se necessario, in prosieguo (pagine da 5 a 9 del ricorso). Inoltre ha trascritto i capitoli di prova richiesti e le circostanze su cui aveva chiesto l'espletamento di C.T.U. (pagine da 25 a 33).

I) Viene pregiudizialmente in esame il motivo del ricorso attinente alla motivazione della sentenza impugnata che ha affermato l'applicabilità della "decadenza" in base agli usi della Borsa di Milano; infatti, se tale motivo fosse rigettato, ogni questione in ordine alla sussistenza della responsabilità sarebbe preclusa.

Con tale secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1832 c.c. e dell'art. 53 usi di borsa - erronea e contraddittoria motivazione su più punti decisivi - travisamento dei fatti, nonché omessa pronuncia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).

Indipendentemente dalla pochezza logica e giuridica dell'affermata presunta e, comunque, irrilevante negligenza dello Sculco, quando in tutta la motivazione non vi era il minimo cenno alla diligenza degli appellati (nel contesto di un rapporto cliente - professionista, in cui il primo non possiede le medesime capacità del secondo, perché sono proprio tali capacità che costituiscono la causa stessa dell'incarico professionale), il ricorrente evidenzia il grave ed erroneo equivoco in cui è incorso il giudice nel ritenere che i conti di liquidazione abbiano, da una parte, assolto ogni onere di informazione del mandante anche sulla natura conservativa-speculativa della gestione e, dall'altro, che i medesimi dovessero ritenersi approvati per la mancata proposizione del reclamo previsto dagli usi di borsa (art. 53) e dalla disciplina civilistica (art. 1832 c.c.).

Innanzi tutto il ricorrente osserva che gli "usi di borsa" non hanno mai regolato l'attività delle gestioni azionarie come, indirettamente, viene confermato dalla successiva disposizione dell'art. 8 lett. a) legge 2.1.91 n. 1, che considera nullo ogni richiamo contrattuale alle condizioni d'uso.

Per quanto riguarda l'incontestabilità delle risultanze del conto non impugnato, essa si riferisce solo alle singole operazioni nella loro realtà effettuale; l'incontestabilità riguarda solo le iscrizioni delle singole partite e non la validità ed efficacia dei rapporti da cui esse derivano. L'onere (art. 1832 c.c.) del correntista di specificare le contestazioni mosse al conto trasmessogli risponde all'esigenza di impedire la protrazione della definizione dei rapporti sui termini numerici delle operazioni; in altri termini, diventa incontestabile solo il profilo meramente contabile delle singole partite, ma non anche la validità ed efficacia del rapporto obbligatorio da cui i debiti e-o crediti ivi annotati sorgono.

Il ricorrente non ha mai contestato l'effettività delle singole annotazioni, ma, invece, l'inesatta esecuzione del mandato conferito e-o le modalità (diligenza, professionalità, buona fede, conflittualità, razionalità) con cui il medesimo è stato attuato.

Sono state proprio le registrazioni contabili riportate nei conti di liquidazione che hanno consentito di ricostruire l'andamento della gestione dei propri titoli; ricostruzione trasfusa nelle difese, come il giudice di merito non ha esaminato e smentito.

Il motivo è fondato nel suo nucleo essenziale, concernente l'inapplicabilità degli Usi della Borsa valori di Milano alla materia di causa, costituita dalla postulata responsabilità per inesatta e negligente esecuzione del "mandato" di gestione di azioni e capitali, conferito dallo Sculco con la scrittura del luglio 88 riportata in sentenza, la quale palesemente si contraddice quando, da un lato, fonda la tesi della mancanza di responsabilità dei resistenti sulla "natura" (vedi infra) di tale mandato e, dall'altro, ritiene l'esistenza della decadenza dello Sculco in ordine alla contestazione dei conti di liquidazione ricevuti, decadenza che - invece - non ha nulla a che vedere con tale asserita responsabilità.

Come del resto sottolineava la stessa difesa del Pirovano fin dal primo grado, occorreva distinguere nettamente fra il mandato del luglio 88 ed i singoli contratti di borsa stipulati, sia pure in esecuzione del mandato stesso.

Al primo contratto si applicavano le norme degli articoli da 1703 a 1736 c.c. (nonché le norme generali in materia di obbligazioni e contratti), ma sicuramente non si applicavano gli usi della borsa valori, che quindi non hanno alcun rilievo ai fini della affermata decadenza dell'azione di responsabilità esperita dal mandante contro i propri mandatari (l'affermazione dell'astratta responsabilità di entrambi i convenuti, contenuta nella sentenza d'appello, non è stata impugnata con ricorso incidentale e quindi costituisce giudicato).

Invero, malgrado l'impossibilità di contestare i singoli contratti di borsa stipulati (questi, sì, regolati dagli usi), non è in radice inibito al mandante di dimostrare l'inesatta esecuzione del mandato nel suo complesso, perché i titoli di responsabilità (dedotti dallo Sculco) essenzialmente discendono dalla ripetizione e dal complesso di tutte le operazioni, considerate nel loro insieme e nelle loro correlazioni (vedi meglio infra). Si tratta di vedere se un contratto di durata, ad esecuzione continuata e reiterata, cioè ripetuta nel tempo, è stato bene e diligentemente eseguito, ed a tal fine le singole operazioni di borsa (ormai irretrattabili) andavano esaminate nel loro complesso (e non singolarmente). In tale prospettiva, è appena il caso di sottolineare che il mandato del luglio 88 non era un'operazione di borsa (a cui fossero applicabili gli usi) nè per il suo contenuto, nè per la sua struttura.

L'operazione di borsa ha per contenuto, essenzialmente, (salve clausole particolari) compravendite ovvero riporti, e di tale contenuto non vi è cenno nel mandato più volte ripetuto (che aveva per oggetto il futuro compimento (per conto dello ScuIco) di compravendita e-o riporti in borsa. Dal punto di vista della struttura, ogni operazione di borsa si risolve in un triplice ordine di rapporti contrattuali: a) un rapporto che ha per contraenti due agenti di cambio che assumono le figure di compratore e venditore o di riportato e riportatore; b) due rapporti correlativi, che legano ognuno dei due agenti suddetti al proprio rispettivo cliente che ha impartito l'ordine di borsa. È evidente che il mandato, di cui lo Sculco lamenta l'inesatta esecuzione, con richiesta dei danni conseguenti, non ha niente a che vedere con tale struttura essenziale all'operazione di borsa, che nella specie è successiva al mandato e reiterata più volte.

Le considerazioni fatte sono sufficienti all'accoglimento del motivo ed al conseguente annullamento di quella parte della sentenza che riguarda la decadenza (pagina 18 e primo capoverso di pag. 19 dell'originale). Invero, le censure dello Sculco - contenute nel motivo - inerenti alla natura del rapporto contrattuale de quo ed alla diligenza dei mandatari saranno riprese, con più organicità, nell'esame degli altri motivi, che concernono tali punti; e quelle relative all'esegesi dell'art. 1832 c.c. sono assorbite, perché da un lato la sentenza d'appello non ha applicato detta norma (che riguarda il contratto di conto corrente, che non è dedotto in causa) e quindi la censura è estranea alla ratio decidendi dell'affermata decadenza; dall'altro lato, le considerazioni già fatte sull'irrilevanza della mancata contestazione dei singoli conti di liquidazione, ai fini di stabilire se le operazioni compiute nell'arco dei due anni (e non tre, come erroneamente afferma la Corte di Milano) abbiano provocato danni risarcibili dai mandatari, possono estendersi all'ipotetica invocabilità della disciplina della decadenza ex art. 1832 c.c.

Sull'inapplicabilità dell'approvazione tacita ex art. 1712 comma 2, v. in fine.

II) Con il primo motivo lo Sculco denuncia la violazione degli articoli 2697, 1710, 1176 comma 2 e 1218 c.c., l'erronea e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, il travisamento dei fatti e l'omessa pronuncia (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), lamentando che dalla sola circostanza che il mandato 26.7.88 prevedeva "la libera facoltà di scelta sia dei titoli che dei tempi operativi" il giudice di merito abbia apoditticamente dedotto l'inesistenza di un comportamento negligente e-o contrario a buona fede degli appellati nella gestione loro affidata, mentre la "libertà" non aveva il significato di una incondizionata autorizzazione a compiere le dissennate operazioni effettuate, ovvero a vendere i titoli trasferiti e neppure ad escludere ogni obbligo di diligenza e ad accettare ogni modalità di attuazione del mandato.

L'effettivo contenuto degli accordi emerge dalla documentata circostanza che, inizialmente, la posizione "titoli" è stata accresciuta (doc. 1 e 2) e che tale posizione è stata falsamente confermata come esistente fino al maggio 90 (doc. 6-10), tanto vero che, risalendo le prime vendite dei titoli originari all'inizio di settembre 1988 (doc. 18), nel momento in cui la posizione originaria era redatta, essa non corrispondeva a quella reale (doc. 2 e 18).

Secondo il ricorrente, l'aver subordinato all'indicazione dei limiti dell'incarico l'obbligo di diligenza e la responsabilità degli appellati, non solo ha indotto la Corte d'appello a non porsi alcun perché sull'intenzionale rappresentazione di una falsa gestione conservativa, ma neppure ad accertare quali fossero state le modalità di svolgimento del mandato, ignorando ogni deduzione dell'appellante tendente a dimostrare che, al di là della natura dell'incarico, la prestazione eseguita non era quella dovuta, sia in termini assoluti (compravendita di titoli a caso, senza razionalità, ed all'unico fine di percepire le provvigioni come da doc. 3, 8, 11 e 48) che in termini relativi (rilevante sproporzione della movimentazione dei titoli in rapporto a quelli in carico, secondo i dati forniti da entrambe le parti (doc. 10 e 17). L'oggettiva sproporzione delle operazioni (in venti mesi 87 miliardi) aveva dimostrato come il Pirovano ed il Liverani non avessero eseguito la prestazione dovuta, perché anche con il consenso del mandante nessun agente di borsa avrebbe attuato una gestione come quella in esame.

Nella specie non era stato dimostrato dai resistenti che il ricorrente avesse dato un solo ordine di effettuare una qualsiasi delle operazioni, nè che essi avessero chiesto alcun preventivo consenso e-o lo abbiano informato delle operazioni da effettuare, con violazione dei dovere di consultazione, per evitare irrimediabili pregiudizi.

Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello non abbia rilevato il mancato assolvimento dell'onere della prova gravante sugli appellati, di avere eseguito la prestazione con la diligenza qualificata dei mandatari: risultando provato sia il rapporto che il contenuto della prestazione e la sua inesatta esecuzione, gli appellati avrebbero dovuto fornire la dimostrazione che, avendo eseguito il mandato con diligenza (art. 1710 e 1176 comma 2 c.c.) l'inesatta esecuzione della prestazione da loro dovuta e-o il loro inadempimento era stata determinata da causa a loro non imputabile (art. 1218 c.c.).

Con il terzo motivo (che va esaminato congiuntamente al primo) lo Sculco denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2721, 2722, 2723 e 2724 c.c., nonché dell'art. 210 c.p.c., l'illegittima inversione dell'onere della prova, l'omessa valutazione delle domande e delle istanze istruttorie, l'erronea e contraddittoria motivazione su più punti decisivi, il travisamento dei fatti e l'omessa pronuncia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.) osservando, in primo luogo, che pur sussistendo diversi principi di prova scritta (il più risolutivo dei quali era la posizione originale di fine settembre 88, doc. 2) ed emergendo che la grafia era quella dell'aggiunta "Rag. Adelio Liverani" sul mandato sottoscritto in bianco, nonché che la data di redazione doveva essere posteriore alla sottoscrizione del mandato ed al trasferimento dei titoli (doc. 1) il giudice avrebbe dovuto (art. 2724 n. 1 c.c.) ammettere la prova testimoniale, perché le indicate circostanze erano prova sufficiente della sottoscrizione in bianco del mandato e dell'omissione sul medesimo del divieto di smobilizzo dei titoli conferiti.

D'altra parte, il divieto previsto dall'art. 2722 c.c. si applica solo ai documenti contrattuali e non anche alle dichiarazioni unilaterali, quale deve essere ritenuta la lettera - mandato di autorizzazione del Pirovano ad avvalersi del Liverani. La prova testimoniale avrebbe dovuto essere ammessa anche ai sensi dell'art. 2723 c.c., perché la "posizione originale" è stata formata in epoca successiva alla sottoscrizione del mandato e rende verosimile la circostanza che il divieto di vendita dei titoli possa essere stato concordato nel momento della redazione di tale "situazione".

Il ricorrente, ricordato che la migliore limitazione sarebbe stata il diligente, disinteressato e professionale svolgimento dell'incarico, osserva che nella fattispecie concorrono la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

Il ricorrente lamenta poi la mancata ammissione della C.T.U. aggiungendo alle considerazioni già svolte nel lo motivo che l'indagine tecnica avrebbe avuto rilevanza sugli aspetti tecnici dell'espletamento dell'incarico e sulle operazioni effettuate, per chiarire se esse rientrassero nell'alea fisiologica di una gestione speculativa ovvero non avessero travalicato ogni limite del più speculativo dei mandati, nonché per chiarire se le medesime avessero perseguito uno scopo diverso dal conseguimento di una sproporzionata personale remunerazione a titolo di commissione (sette per mille sul valore di ogni singola operazione). Conclude il ricorrente osservando che l'illegittimità ed illogicità della decisione di subordinare la rilevanza dell'indagine tecnica alla natura conservativa della gestione ed alla presunta idoneità informativa dei conti di liquidazione dimostra il limite delle cognizioni del giudice a quo che non ha confutato le ragioni dell'appellante, ed ha ritenuto indimostrati quei fatti rispetto ai quali l'appellante si trovava nell'impossibilità di offrire adeguati parametri di valutazione, che solo la c.t.u. avrebbe potuto provare.

Infine, il ricorrente lamenta l'inosservanza dell'ordine di esibizione delle scritture e dei documenti contabili del Pirovano, specie di quelli relativi alla corresponsione di qualsiasi somma dal Pirovano al Liverani e viceversa, tendente a fornire l'ulteriore dimostrazione dell'espletamento dell'incarico in conflitto di interessi col mandante.

III) Il Collegio osserva che i suddetti motivi sono infondati per quanto riguarda la questione del tenore effettivo degli impegni assunti dai convenuti, nonché del "tipo" di gestione a loro affidata; sono invece fondati, in ordine alla questione dell'addebitabilità del danno subito per effetto di quella gestione e della conseguente responsabilità dei predetti convenuti, salva restando al prosieguo della causa l'accertamento della misura concreta del danno risarcibile (non avendo il giudice di merito mai pronunciato in proposito, questa Corte potrà dare indicazioni vincolanti solo nei limiti di cui infra, dovendo per il resto l'indagine del giudice di rinvio svolgersi con ampia libertà).

A) Sulla questione del contenuto dell'incarico conferito, in base al documento n. 1 prodotto dal Pirovano, datato 26 luglio 88, ben a ragione il giudice del merito ha dato rilievo al tenore letterale di detto documento, alla qualità delle parti ed al comportamento successivo delle stesse (si veda la motivazione riportata in narrativa). Contro tale motivato e logico convincimento del giudice del merito, non vale invocare la pretesa violazione degli articoli 2721, 2724 n. 1, 2722 e 2723 c.c.

L'art. 2721 non è stato violato, perché, una volta che il giudice abbia correttamente ritenuto che l'accordo delle parti è stato completamente redatto per iscritto, non viene in evidenza la possibilità di provare per testimoni un contratto avente un ingente valore.

Il ricorrente si limita a indicare circostanze valutabili ai fini dell'esecuzione del contratto e non della sua stipulazione, per quel che riguarda i patti posteriori (art. 2723), contraddetti dalla congrua motivazione della sentenza impugnata sulla rilevabilità (dai documenti contabili ricevuti dallo Sculco) del tipo di operazioni compiute (salvo restando il fatto che la mancata tempestiva contestazione non ha prodotto alcuna decadenza del diritto al risarcimento dei danni: vedi la motivazione in ordine al 2 motivo e quanto si dirà infra).

In ordine alla pretesa violazione dell'art. 2722, si osserva che il divieto in esso posto riguarda anche le dichiarazioni inserite in un documento sottoscritto da una sola parte ed idoneo a rivelare la convenzione dedotta in giudizio (Cass. 2 febbraio 1996 n. 897); e d'altra parte, che si tratti di un mandato e cioè di un contratto bilaterale è ammesso dallo stesso ricorrente.

La violazione dell'art. 2724 n. 1 non sussiste, perché per la sua applicabilità è necessario che il documento contenga un qualche riferimento al patto che si deduce in contrasto col precedente patto scritto, mentre non è sufficiente che in base al documento si possa ritenere possibile o plausibile la conclusione di un nuovo patto contrastante col precedente accordo scritto (Cass. 16 luglio 1980 n. 4623, fra le altre conformi); e l'apprezzamento del giudice del merito in proposito è insindacabile (Cass. 21 aprile 1981 n. 2337, fra le altre conf.).

B) La natura non meramente conservativa del contratto di gestione è stata affermata dal giudice del merito con motivazione sufficiente e logica (in parte neppure impugnata) e contro la quale i capitoli di prova testimoniale dedotti in causa e ritrascritti nel ricorso sono inconcludenti, perché la conservazione iniziale del patrimonio azionario conferito ed il suo naturale incremento (v. capitoli da 5 ad 8, in particolare; degli altri si dirà in seguito) non contrastavano affatto con la possibilità, conferita ai convenuti ed in particolare al Liverani (senza escludere la responsabilità dell'agente di cambio, proprio per la sua posizione più qualificata di esperto) di vendere i suddetti titoli per effettuare operazioni di borsa, sia pure col limite implicito di cui si dirà infra. E non ha concludenza la prova (capitoli da 15 a 18) sul diverso tipo di rapporto fra lo Sculco e la CARIPLO, proprio perché diverso è il rapporto con un agente di cambio e-o con un remisier di borsa, come è universalmente noto.

C) Per quel che riguarda la responsabilità, invece, la motivazione della sentenza impugnata è evidentemente del tutto insoddisfacente, risolvendosi in affermazioni apodittiche o insufficienti o irrilevanti.

Il vizio fondamentale consiste nel non avere considerato in modo specifico i titoli dei danni richiesti dall'attore, che pure erano indicati analiticamente nelle conclusioni trascritte in sentenza (pagine da 5 a 7). Invero, che un danno come entità materiale vi sia stato, risultava per tabulas dalla circostanza che lo Sculco (che aveva consegnato un valore di entità X) alla fine del rapporto ha avuto in restituzione un valore inferiore, giustificato dai convenuti con l'aleatorietà e rischiosità propria dei contratti di borsa, e cioè con una asserzione palesemente incongrua e del tutto irrilevante per quanto riguarda almeno una parte della voce del danno (indicata in Lire 663.070.000), e da sottoporre a verifica più attenta per quanto riguarda altra parte della stessa voce, nonché le altre indicate nelle conclusioni.

Invero, a parte l'apodittica affermazione della mancanza di un comportamento negligente o contrario a buona fede nella gestione affidata ai convenuti, in primo luogo la sentenza impugnata ha fatto riferimento alla natura non conservativa, ma speculativa delle operazioni che i mandatari dovevano compiere.

La suddetta motivazione sembrerebbe a prima vista congrua ed esaustiva, per quanto riguarda l'impossibilità di ricondurre alla responsabilità dei convenuti i danni indicati in Lire 338.343.000, quale differenza di valore tra i titoli originari e quello dei titoli ricevuti in restituzione; in Lire 91.226.800 per la restituzione dei conferimenti in denaro; nonché in Lire 533.120.000, sempre avuto riguardo ai titoli originari. Se, infatti, il mandato comprendeva anche la facoltà di vendere quei titoli originari, per effettuare operazioni anche speculative, sembrerebbe evidente che lo Sculco non potrebbe pretendere alcunché a titolo di danni per tali operazioni.

Il Collegio osserva che si tratta di un criterio certamente rilevante, al fine di stabilire se il mandato sia stato eseguito esattamente, ma che residua sempre la questione della diligenza, della correttezza e della buona fede a cui doveva ispirarsi il mandatario (vedi infra).

Una seconda motivazione della Corte consiste nella durata del rapporto, nelle mancate proteste dello Sculco di fronte all'obbligo di informazione adempiuto dai mandatari e nella sua negligenza. Si tratta di motivazioni palesemente inidonee ad escludere la risarcibilità del danno patito, perché: a) l'obbligo di informazione era uno solo dei più ampi obblighi gravanti sui convenuti; b) la diligenza del mandante e le sue mancate proteste non possono aver rilievo in un rapporto la cui ragione essenziale consiste nell'affidarsi ad un esperto (nessuno oserà affermare che chi si affida ad un medico o ad un avvocato debba "vigilare" sulla sua diligenza, pena la perdita di ogni ragione di danni per il comportamento non diligente e-o imperito del professionista); c) il tempo trascorso fra le operazioni compiute e la protesta di danni è del tutto irrilevante (v. il punto trattato a proposito del secondo motivo).

E pertanto, si può concludere che è mancata una sufficiente motivazione ed è stata violata la disciplina legale del rapporto.

Invero, l'art. 1375 c.c. stabilisce che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, che va intesa come lealtà, conformemente alle regole della correttezza richiamate dall'art. 1175 c.c. La violazione di tale obbligo genera una responsabilità contrattuale (e pertanto deve ritenersi inammissibile l'accenno fatto dal ricorrente ad una responsabilità extracontrattuale).

Nelle ipotesi in cui il contratto assicuri ad una delle parti una posizione preminente (o il potere di controllo del mercato) il rischio insito nelle operazioni deve essere distribuito alla stregua delle suddette regole di integrazione del contratto. Ciò in particolare viene in rilievo con riferimento alla voce di danno indicata in Lire 663.070.000 per rimborso di metà dei costi addebitati per interessi passivi, operazioni in perdita, bolli e commissioni. Con riguardo a quest'ultima "sottovoce" insistentemente richiamata dallo Sculco lungo l'annoso iter della causa - il silenzio delle sentenze di 1 e 2 grado è stato totale, al pari di quello del Liverani. Invece singolare - ai fini di trarre elementi utili a favore dell'attore, come ribadito nel ricorso - è stato il comportamento del Pirovano, che nelle prime scritture ha soltanto ridimensionato la somma delle commissioni ed ha tentato di giustificarle con motivazioni insufficienti (il tipo di operazioni a cui si commisurava la commissione, e cioè quelle a premio), perché in primo luogo doveva accertarsi se fosse giustificato il loro ripetersi vertiginoso (le somme miliardarie non sono contestate dal Pirovano, autore della significativa lettera dell'aprile 90, ricordata dal ricorrente a riprova del carattere avventato delle operazioni). Ad avviso del Collegio, invece, il punto era essenziale.

Il mandatario a norma dell'art. 1710 c.c. doveva osservare la diligenza di cui all'art. 1176; trattandosi di operazioni da compiere in base ad una scelta del mandatario, ma sempre nell'interesse del mandante, la diligenza assumeva un contenuto più pregnante, al pari della buona fede e correttezza ex art. 1175 e 1375 c.c., indicando esse criteri di determinazione della attenzione, della cura e dello sforzo del debitore. La diligenza assolve al compito (tanto più esteso quanto più la prestazione è indicata all'origine genericamente, come nel caso di specie), di specificare il comportamento dovuto e di individuare gli atti da compiere per soddisfare l'interesse del creditore, quale limite della discrezionalità dell'incarico. L'obbligo di correttezza nel mandato ha un peso peculiare, perché il suo contenuto è l'affidamento della cura di un affare del mandante, per cui il gestore (che è scelto per le sue qualità professionali) ha un dovere di cautela, di oculatezza ed avvedutezza e di salvaguardia dell'utilità del gerito e di protezione della sua sfera patrimoniale. Non è sufficiente contrapporre l'aleatorietà e la rischiosità delle operazioni di borsa, sia perché ciò non si identifica con la "rovinosità" ed il puro azzardo, sia soprattutto perché tali caratteristiche non giustificano gli elevati costi incontrati nella gestione (la dottrina indica i costi troppo elevati come ipotesi di inesatta esecuzione del mandato).

Non è possibile ritenere che sia conforme ai doveri richiamati, l'affrontare dei costi di gestione (per un patrimonio di meno di un miliardo), che secondo i calcoli dello stesso Pirovano ammontavano a circa 300 milioni, in circa due anni. appena. Invero, alla perdita dello Sculco corrispondeva un guadagno dei mandatari ingiustificato.

Il giudice del merito avrebbe dovuto accertare sia gli effettivi costi (di commissione, fiscali e quant'altro), sia la loro proporzione rispetto al capitale, e giudicare se le operazioni fossero state fatte al solo (o preminente) scopo di lucrare commissioni ed interessi, come sostiene lo Sculco, anche mediante indagine tecnica, se gli elementi documentali non fossero stati sufficienti in proposito.

E le "perdite" ammesse dai convenuti comportavano l'inversione dell'onere probatorio (a loro carico ex art. 1218 c.c.), dell'avere eseguito l'incarico con. la diligenza suddetta, tenuto conto ovviamente dei rischi naturali delle operazioni di borsa (ma non di quelli evitabili con la normale prudenza ed avvedutezza, quale emerge dalla già ricordata lettera del Pirovano), (v. anche Cass. n. 4203 del 1998).

Concludendo, la sentenza d'appello va annullata in parte qua ed il giudice di rinvio dovrà riesaminare il merito dell'esecuzione del mandato (e degli eventuali danni addebitabili ai mandatari alla stregua dei principi enunciati supra), mentre sulle istanze istruttorie dovrà provvedere come segue.

Si sono già supra giudicati inammissibili i capitoli di prova testimoniale da 5 ad 8 e da 15 a 18. I capitoli da 1 a 4 sono irrilevanti, perché la sentenza (sul punto non impugnata) ha affermato già l'astratta riferibilità ad entrambi i convenuti della c.d. legittimazione passiva (più esattamente, responsabilità nell'esecuzione del mandato).

I capitoli da 9 a 12 sono irrilevanti, perché riguardano la questione dell'informazione, non decisiva ai fini della responsabilità. Il cap. 13 è inammissibile, perché supra si è già deciso in senso opposto sulla natura speculativa delle operazioni da compiere. Il cap. 14 riguarda un punto incontestato.

Quindi, nel complesso, bene la Corte d'appello non ha ammesso la prova testimoniale, anche per le considerazioni qui aggiunte.

In ordine alla consulenza d'ufficio, se il giudice di rinvio riterrà necessario l'ausilio del tecnico per effettuare conteggi di non facile esecuzione e per verificare la rispondenza ai criteri già enunciati delle operazioni speculative, dovrà ammettere i quesiti sub d), g), h) (con esclusione della parola "inutili", che comporta un giudizio precostituito), i) (con esclusione della parola "inutilmente", per la medesima ragione); 1) (con esclusione delle parole da "senza le quali" alla fine, per la medesima ragione).

Sono invece inammissibili i quesiti a), b) e c), stante la natura dell'incarico acclarata; i quesiti e) ed f), per la stessa ragione; m), perché assorbito dai quesiti ammissibili; n), perché la, questione dell'informazione non ha rilievo ai fini del danno, non avendo il mandante un dovere di sorveglianza del mandatario a cui si è affidato proprio perché esperto (cfr. già Cass. 23 maggio 1975 n. 2064). D'altra parte, in aggiunta a quanto già rilevato in ordine al secondo motivo del ricorso, deve escludersi l'applicabilità dell'approvazione tacita ex art. 1712 comma secondo c.c.

(acquiescenza del creditore alla prestazione inesatta, con rinuncia tacita a far valere l'inesatto adempimento del mandatario), perché si è già detto che la responsabilità del mandatario, alla stregua del carattere continuativo e reiterato delle operazioni da compiere, non poteva che essere giudicata in base al complesso delle operazioni, in un arco di tempo non predeterminato, fino alla revoca dell'incarico.

Invece l'art. 1712 comma 2 presuppone l'esecuzione già avvenuta di tutto il mandato e cioè l'esaurimento del rapporto ai sensi del primo comma.

L'ordine di esibizione dei documenti contabili è assorbito dalla C.T.U. (vedi art. 198 c.p.c.).

P.Q.M

La Corte di Cassazione accoglie, per quanto di ragione, il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la pronuncia sulle spese, ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.

Così deciso a Roma il 14 luglio 1999.