Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2620 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 22 Gennaio 2009, n. 1617. Rel., est. Nappi.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sugli atti pregiudizievoli ai creditori - Azione revocatoria fallimentare - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - In genere - Prova della mancanza della "scientia decoctionis" - Condizioni - Prosecuzione del rapporto con il debitore - Sufficienza - Esclusione - Fondamento.



In tema di revocatoria fallimentare, la mera prosecuzione di un rapporto con il debitore non può, di per sè, essere considerata decisiva ai fini della esclusione della "scientia decoctionis", in quanto anche in questa situazione il creditore (nella specie, una banca) può essere indotto a continuare le proprie prestazioni dalle più varie motivazioni, come quella di ottenere, almeno, dei pagamenti parziali o di accrescere le proprie garanzie. (massima ufficiale)


Massimario, art. 67 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente -
Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., domiciliata in Roma, Via Caposile 2, presso l'avv. ANZALDI A., che la rappresenta e difende unitamente all'avv. F. Jacopetti, come da mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
Fallimento Progetti e costruzioni s.p.a., domiciliato in Roma, Via Gentile da Fabriano 3, presso l'avv. R. Cavaliere, rappresentata e difesa dall'avv. COSTANZA M., come da mandato in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 487/2004 della Corte d'appello di Milano, depositata il 17 febbraio 2004;
Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;
uditi i difensori, avv. Anzaldi, per la ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso, e avv. Costanza, per il resistente, che ne ha chiesto il rigetto.
Udite le conclusioni del P.M., PATRONE Ignazio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Milano ha confermato la dichiarazione di inopponibilità ai creditori concorsuali insinuati nel fallimento della Progetti e costruzioni s.p.a. dell'atto in data 17 gennaio 1996 con il quale la società poi fallita aveva ceduto alla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. il proprio credito di L. 357.352.000 nei confronti del Ministero dei lavori pubblici.
Hanno ritenuto i giudici del merito che le cessione costituiva un mezzo anomalo di estinzione del passivo del conto corrente della società poi fallita, non assistito da affidamenti; e che la banca non aveva provato di avere ignorato lo stato di insolvenza della debitrice, peraltro denunciato dall'esistenza di procedure esecutive a suo carico. Contro questa decisione ricorre ora per cassazione la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e propone cinque motivi d'impugnazione, cui resiste con controricorso il Fallimento Progetti e costruzioni s.p.a.. Entrambe le parti hanno depositato memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delle norme sull'interpretazione dei contratti e vizio di motivazione della decisione impugnata.
Sostiene che la cessione di ex edito non può essere considerata mezzo anomalo di pagamento, essendo prevista dall'art. 1198 c.c., e rappresentando anche una modalità di prestazione del servizio offerto dalla banca alla propria clientela. Lamenta comunque:
a) che erroneamente i giudici del merito abbiano escluso la contestuale erogazione di credito in favore della società cedente, mentre v'era stata almeno di fatto una nuova apertura di credito, con aumento del fido precedente, come si sarebbe potuto dimostrare, oltre che con i documenti prodotti, anche con la prova testimoniale ingiustificatamente dichiarata inammissibile;
b) di essere stata onerata di un'impossibile prova negativa della conoscenza dello stato di insolvenza, con una violazione del contraddittorio denunciata di incompatibilità costituzionale. I giudici del merito, in violazione dell'art. 1362 c.c., che impone di valutare i comportamenti delle parti, hanno peraltro omesso di considerare che fu la società debitrice, di sua iniziativa, a proporre la cessione di un credito relativo a lavori ancora in corso;
e che la banca aderì all'iniziativa, Delib. 12 febbraio 1996, un'apertura di credito per L. 404.000.000, elevata a 425.000.000 il 4 aprile 1996. Nè era necessaria la rigorosa prova scritta dell'apertura di credito, perché non erano in discussione rimesse in conto corrente, ma appunto solo una cessione di credito con contestuale anticipazione.
La L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, posto a fondamento della decisione non era applicabile nel caso in esame, perché il credito futuro della società poi fallita non fu ceduto per estinguere un credito scaduto ed esigibile della banca, non essendo appunto scaduti nè esigibili i crediti della banca in ragione delle aperture di credito già concesse. Sicché i giudici del merito hanno giudicato contro la comune intenzione delle parti e in violazione della presunzione di buona fede nell'interpretazione dei contratti, che, secondo quanto previsto dall'art. 1371 c.c., vanno interpretati in modo che si realizzi un equo contemperamento degli interessi delle parti. Il contratto controverso prevedeva infatti la cessione "salvo buon fine" di un credito futuro della Progetti e costruzioni s.p.a. ed era connesso a una contestuale apertura di credito, esplicitamente prevista tra le condizioni generali del contratto, benché prevedesse che la banca avrebbe in futuro utilizzato le somme incassate per estinguere suoi crediti verso la cedente.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 187 e 188 c.p.c., e vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando l'omessa considerazione della prova documentale prodotta e la mancata ammissione della prova testimoniale vanamente richiesta allo scopo di dimostrare l'effettiva attuazione della comune intenzioni delle parti contraenti.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1260 c.c., e vizi di motivazione della decisione impugnata. Sostiene che, quando fu stipulata la cessione del credito vantato dalla Progetti e costruzioni s.p.a. verso la pubblica amministrazione, la banca non aveva un credito certo liquido ed esigibile nei confronti della cedente, perché, sia pure di mero fatto, era stato già riconosciuto alla società poi fallita un affidamento su un conto corrente ancora aperto. Sicché i saldi negativi del conto non avevano alcuna rilevanza. Mentre aveva rilevanza il fatto, trascurato dai giudici del merito, che nel contratto di cessione era concordata una contestuale anticipazione nelle forme di un'apertura di credito in conto corrente. Comunque, quand'anche la cessione fosse stata utilizzata come mezzo di pagamento, rientrava nella normalità dei rapporti tra le parti, perché, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del merito, l'art. 1260 c.c., non richiede l'attualità, la liquidità e l'esigibilità del credito ceduto ne' una particolare controprestazione del cessionario.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1198 c.c., che riconosce la cessione di credito come modalità di estinzione delle obbligazioni, escludendo che possa essere considerata come mezzo anomalo di pagamento. Sicché legittimamente la banca ha incassato nel successivo mese di maggio 1996 il credito, nel proprio interesse.
Con il quinto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente incompatibile della norma citata, i giudici dei merito abbiano onerato la banca di un'impossibile prova negativa della conoscenza dello stato di insolvenza della società poi fallita.
Censura altresì la mancata considerazione delle prove documentali e la mancata ammissione delle prove testimoniali dedotte appunto per provare di avere ignorato lo stato di dissesto della società debitrice, come dimostrato dal perdurante rapporto di conto corrente e dall'ulteriore apertura di credito per quattrocentoquattro milioni di lire riconosciuta alla Progetti e costruzioni s.p.a. nel febbraio 1996, aumentata a L. quattrocentoventicinque milioni nel successivo mese di aprile. Del resto il timore dell'insolvenza, che secondo i giudici del merito avrebbe determinato la destinazione solutoria della cessione, non equivale certamente alla conoscenza di una decozione già in atto.
2. Vanno esaminati congiuntamente innanzitutto il primo il terzo e il quarto motivo del ricorso, che attengono tutti alla revocabilità oggettiva della controversa cessione di credito e sono tutti infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, "al fine della esperibilità dell'azione revocatoria prevista dalla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, mezzi normali di pagamento, diversi dal denaro, sono soltanto quelli comunemente accettati nella pratica commerciale in sostituzione dei denaro, come gli assegni circolari e bancari ed i vaglia cambiari" (Cass., sez. 1^, il gennaio 2003, n. 649, m. 559841). Sicché "l'estinzione di una precedente passività come scopo ulteriore rispetto alla causa tipica dei singoli negozi a tal fine utilizzati, secondo lo schema del collegamento negoziale, conferisce all'operazione complessivamente realizzata, e all'atto terminale di estinzione del debito, carattere di anormalità" (Cass., sez. 1^, 4 agosto 2000, n. 10264, m. 539193); ed "è, perciò, necessario, per escludere la revoca, non solo constatare che l'estinzione del debito pecuniario scaduto ed esigibile si sia realizzata con danaro, ma che questo non sia stato corrisposto al compimento di un processo satisfattorio non usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali" (Cass., sez. 1^, 22 novembre 1996, n. 10347, m. 500738).
In particolare è indiscusso che "la cessione di credito, effettuata in unzione solutoria, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro o con titoli di credito considerati equivalenti al danaro ed è, pertanto, soggetta a revocatoria fallimentare a norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, sottraendosene soltanto quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestualmente al sorgere del debito con essa estinto" (Cass., sez. 1^, 23 aprile 2002, n. 5917, m. 553959). E il fatto che la cessione di credito (art. 1198 c.c.), come la datio in solutum (art. 1197 c.c.), siano ammesse come possibili modalità di estinzione delle obbligazioni non esclude che si tratti di modalità di pagamento diverse da quelle normali (Cass., sez. 1^, 21 dicembre 2004, n. 23714, m. 578383).
Vero è che, "agli effetti dell'esercizio della revocatoria fallimentare R.D. 16 marzo 1942, n. 267, sub art. 67, comma 1, n. 2, la cessione di credito non può ritenersi mezzo anormale di pagamento, ove non sia stipulata per estinguere un debito preesistente e scaduto, ma sia stata prevista a garanzia di un debito (non ancora sorto) sorto contestualmente" (Cass., sez. 1^, 2 agosto 1977, n. 3421, m. 386968, Cass., sez. 1^, 12 luglio 1991, n. 7794, m. 473120, Cass., sez. 1, 31 agosto 2005, n. 17590, m. 583035); e che "il concetto di contestualità deve essere inteso non in senso formale o semplicemente cronologico, bensì in senso preminentemente sostanziale e causale" (Cass., sez. 1^, 9 maggio 2000, n. 5845, m. 536278, Cass., sez. 1^, 29 agosto 1995, n. 9075, m. 4937 65). Ma nel caso in esame, come risulta dalla sentenza impugnata, la cessione intervenne il 17 gennaio 1996 nel corso di un rapporto di conto corrente che già vedeva esposta la Progetti e costruzioni s.p.a. per un debito di L. 385.000.000, non coperto da un affidamento risultante da prova scritta, che ne fu ridotto a L. 69.000.000 nel successivo mese di maggio, quando il credito ceduto fu pagato dall'amministrazione pubblica debitrice.
La ricorrente sostiene che l'affidamento o l'apertura di credito non richiede la prova scritta e che la cessione fu contestuale a un'anticipazione. Sennonché, come rilevato dai giudici del merito e non contestato dalla ricorrente, la banca non erogò alcuna anticipazione come contropartita della cessione. Mentre incamerò la somma erogata dalla amministrazione debitrice ceduta, come si ammette nel ricorso, destinandola a decurtazione del proprio credito da scoperto di conto corrente verso la Progetti e costruzioni s.p.a.. Quanto alla prova della dedotta preesistente apertura di credito, che secondo la ricorrente avrebbe escluso la liquidità ed esigibilità del suo credito verso la Progetti e costruzioni s.p.a., va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quando una banca deduce l'esistenza di un contratto di apertura di credito, ha l'onere di dimostrarne la stipulazione, che può essere avvenuta anche "per facta concludentia", ma solo nel caso in cui "risulti applicabile la deroga del requisito della forma scritta, prevista nelle disposizioni adottate dal C.I.C.R. e dalla Banca d'Italia, ai sensi del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 117 (T.U.L.B.), (e, anteriormente, L. n. 154 del 1992, ex art. 3), per essere stato tale contratto già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto" (Cass., sez. 1^, 9 luglio 2005, n. 14470, m. 582864, Cass., sez. 1^, 15 settembre 2006, n. 19941, m. 594714). Mentre nel caso in esame la ricorrente non ha neppure dedotto che la stipulazione di anticipazioni di credito o di affidamenti fosse prevista e disciplinata dal preesistente contratto scritto di conto corrente. 3. Il secondo motivo, con il quale la ricorrente lamenta l'omessa considerazione della prova documentale prodotta e la mancata ammissione della prova testimoniale, è inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza.
Nella giurisprudenza di questa Corte, invero, è indiscusso che il ricorso per cassazione deve indicare specificamente il contenuto della prova che si assuma non adeguatamente considerata dal giudice del merito (Cass., sez. 1^, 17 luglio 2007, n. 15952, m. 598505) e riportare integralmente i capitoli della prova per testi della cui mancata ammissione il ricorrente si dolga (Cass., sez. 3^, 19 marzo 2007, n. 6440, m. 599198).
Nel caso in esame invece la ricorrente si limita a dedurre che dalla prova documentale prodotta e dalla prova testimoniale non ammessa si sarebbe potuto argomentare in ordine all'insussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi dell'azione revocatoria esercitata dal fallimento. Ma non indica neppure approssimativamente quali siano i fatti che, rappresentati da quelle prove, avrebbero giustificato le conclusioni invocate.
4. Infondato è infine il quinto motivo del ricorso, con il quale la ricorrente lamenta che i giudici del merito le abbiano imputato di non avere adempiuto l'onere di fornire la prova negativa della conoscenza dello stato di insolvenza della Progetti e costruzioni s.p.a..
Occorre premettere che la L. Fall., art. 67, presumendo la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte del creditore che riceve un pagamento anomalo, non esige per superare tale presunzione la prova negativa di uno stato soggettivo, certamente difficilmente dimostrabile, ma solo la positiva dimostrazione di fatti idonei a far ritenere, secondo l'ordinaria diligenza, una situazione di normalità, nell'esercizio dell'impresa (Cass., sez. 1^, 15 febbraio 2008, n. 3781, m. 601788). Sicché è palesemente infondata la questione di legittimità prospettata dalla ricorrente. Nel caso in esame i giudici del merito hanno ritenuto che la banca abbia mancato di superare la suddetta presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza della Progetti e costruzioni s.p.a., che era comunque desumibile dalle numerose procedure esecutive cui la debitrice era stata assoggettata. Nel censurare questa giustificazione della decisione impugnata, la ricorrente evoca documenti e prove testimoniali di cui, come s'è detto, non precisa il contenuto; e afferma che la prova della sua inconsapevolezza dovrebbe desumersi dalla continuazione dei rapporti con la Progetti e costruzioni s.p.a..
Ma nella giurisprudenza di questa Corte è indiscusso che "il semplice fatto della prosecuzione di un rapporto con il debitore non può, di per sè, essere considerato decisivo, ai fini della esclusione della "scientia decoctionis", in quanto anche in questa situazione il fornitore può essere indotto a continuare le proprie prestazioni dalle più varie motivazioni, come quella di ottenere, almeno, dei pagamenti parziali" (Cass., sez. 1^, 5 gennaio 1995, n. 189, m. 489582). In particolare è frequente che le banche prolunghino rapporti con imprese insolventi, allo scopo di ottenere una parziale riduzione delle proprie esposizioni o di accrescere le proprie garanzie. E non v'è dubbio che nel caso in esame, come rilevato dai giudici del merito, la banca ricorrente ottenne appunto una sostanziosa riduzione del credito vantato nei confronti della Progetti e costruzioni s.p.a..
Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2009