Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2609 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. V, tributaria, 06 Febbraio 2009, n. 2910. Rel., est. Merone.


Tributi (in generale) - Contenzioso tributario (disciplina posteriore alla riforma tributaria del 1972) - Procedimento - Procedimento di primo grado - Termini per ricorrere - Decorrenza - In genere - Avviso di accertamento tributario inerente a crediti antecedenti al fallimento - Notifica al solo curatore - Omessa impugnazione - Legittimazione del fallito - Fondamento - Fattispecie.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Per il fallito - Rapporti processuali - Avviso di accertamento tributario inerente a crediti antecedenti al fallimento - Notifica anche al fallito - Necessità - Fondamento - Fattispecie.



L'accertamento tributario, se inerente a crediti i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d'imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al curatore - in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso fallimentare, o, comunque, della loro idoneità ad incidere sulla gestione delle attività e dei beni acquisiti al fallimento - ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi, anche di carattere sanzionatorio, che conseguono alla definitività dell'atto impositivo; ne consegue che il fallito, nell'inerzia degli organi fallimentari ed a prescindere dalla valutazione da essi compiuta sul predetto accertamento, è eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso tale tutela, una volta che abbia piena cognizione anche dei motivi della pretesa tributaria. (In base a detto principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che da un lato aveva negato la legittimazione dei ricorrenti e dall'altro lato aveva fatto decorrere, per i contribuenti non destinatari dell'avviso di accertamento, il termine per proporre il ricorso sin dalla verifica dello stato passivo, anzichè, semmai, dalla trasmissione ai medesimi dell'intera documentazione relativa alle pretese erariali). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



Massimario, art. 42 l. fall.

Massimario, art. 43 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico - Presidente -
Dott. BOGNANNI Salvatore - Consigliere -
Dott. MERONE Antonio - rel. Consigliere -
Dott. CARLEO Giovanni - Consigliere -
Dott. GIACALONE Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 5801-2006 proposto da:
PROMODATA SRL, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato VILLANI MAURIZIO con studio in LECCE VIA CAVOUR 56 (avviso postale), giusta delega a margine;
- ricorrente -
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 83/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 10/06/2 005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/2008 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;
udito per il resistente l'Avvocato TIDORE BARBARA, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO
La controversia, come si legge nella motivazione della sentenza impugnata, ha ad oggetto avvisi di accertamento IVA, IRPEG e IRAP relativi agli anni 1998 e 1999 e la cartella di pagamento per IVA, IRPEG, ILOR e IRAP degli anni 1997, 1998 e 1999, notificati al curatore del fallimento della Promodata s.r.l..
Gli odierni ricorrenti, nella qualità di legali rappresentanti della società fallita il 29 maggio 2002, tornata poi in bonis con sentenza del Tribunale di Roma dell'aprile 2004, lamentano, sostanzialmente, di non aver potuto esercitare il diritto di difesa nei confronti delle pretese fiscali, in pendenza della procedura fallimentare, in quanto i relativi atti sono stati notificati esclusivamente al curatore fallimentare. In particolare, riferiscono di avere appreso della esistenza degli atti in contestazione esaminando il fascicolo fallimentare, dal quale risultava che il giudice delegato, il 4 luglio 2003, aveva ammesso al passivo i crediti erariali, dopo avere negato al curatore l'autorizzazione a proporre ricorso (nonostante l'acquisizione del parere favorevole di un consulente). Soltanto in data 28 ottobre 2003 i ricorrenti hanno ricevuto dal curatore fallimentare copia della cartella di pagamento e degli avvisi di accertamento contestati. Venuti così a conoscenza che i recuperi di imposta traevano origine da un p.v.c. della guardia di finanza, nel quale si ipotizzava la utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, in data 3 dicembre 2003 (così a p. 10 dell'odierno ricorso) avevano impugnato gli atti dell'accertamento e della riscossione dinanzi al competente giudice tributario (nella sentenza impugnata risulta che le impugnazioni sono state proposte il 13 novembre e il 18 dicembre 2003), denunciando la mancata notifica della degli atti impositivi ai soggetti titolari del rapporto tributario sostanziale, proponendo altresì censure di merito in relazione al contenuto degli atti stessi.
La commissione tributaria provinciale ha dichiarato inammissibili i ricorsi riuniti per difetto di legittimazione dei ricorrenti e tale decisione è stata confermata dalla commissione tributaria regionale. In particolare, i giudici di appello hanno confermato la decisione di primo grado, sul rilievo che nella specie non ci sarebbe stata l'inerzia del curatore, che giustifica la riemersione della capacità processuale del fallito, perché il curatore stesso aveva prospettato al giudice delegato la opportunità di impugnare le pretesi fiscali, ma non era stato autorizzato ad agire. Mancava quindi il presupposto per il recupero della capacità processuale. Inoltre, anche ammesso che i ricorrenti fossero legittimati ad agire, gli stessi avevano impugnato tardivamente gli atti, posto che il termine doveva decorrere dalla data in cui erano venuti a conoscenza delle pretese fiscali, in occasione della verifica dello stato passivo, avvenuta il 4 luglio 2003, in quanto in tale data si era verificata la sanatoria teleologica del raggiungimento dello scopo degli atti (art. 156 c.p.c.), con la conseguenza che il termine per proporre ricorso dinanzi al giudice tributario doveva considerarsi scaduto il 18 ottobre 2003 (mentre invece era stato proposto tardivamente il 13 novembre 2003).
Avverso quest'ultima decisione ricorrono nella qualità i sigg. Roberto Cristofori e Carlo Focarelli, con nove motivi, suddivisi in due parti. Nella prima parte sono illustrati i motivi (quattro) relativi alla legittimazione dei ricorrenti, nella seconda parte sono illustrati i motivi (cinque) relativi al merito. Resiste con controricorso l'amministrazione finanziaria. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso appare fondato in relazione ai motivi con i quali viene denunciata la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 42 e 43 (primo motivo lett. A, parte prima), artt. 156 e 160 c.p.c. e L. n. 212 del 2000, art. 6 (terzo motivo, lett. C, parte prima) e della L. n. 289 del 2002, art. 15 (quarto motivo, lett. D, parte prima), assorbiti gli altri.
La sentenza della CTR si regge sostanzialmente su due rationes decidendi, entrambe errate.
2. Secondo i giudici di appello gli odierni ricorrenti non avrebbero recuperato la capacità processuale perché mancherebbe il presupposto della inerzia del curatore, il quale invece, nella specie si era attivato, benché senza successo, per contrastare la pretesa erariale.
Ritiene il collegio che tale assunto non sia condivisibile, perché nei fatti gli odierni ricorrenti non hanno potuto agire in giudizio per la difesa dei propri diritti e nessuno lo ha fatto in loro vece. Per cui, l'interpretazione recepita dalla CTR, ove mai fosse corretta, sarebbe certamente in contrasto con il dettato costituzionale, laddove all'art. 24, viene garantito "a tutto tondo" il diritto di difesa.
È noto che secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, l'accertamento tributario inerente a crediti i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d'imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al curatore - in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso fallimentare, o, comunque, della loro idoneità ad incidere sulla gestione delle attività e dei beni acquisiti al fallimento - ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi, anche di carattere sanzionatorio, che conseguono alla "definitività" dell'atto impositivo. Da ciò deriva che il fallito, nell'inerzia degli organi fallimentari - ravvisabile, ad es., nell'omesso esercizio, da parte del curatore, del diritto alla tutela giurisdizionale nei confronti dell'atto impositivo, è eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso tale tutela alla luce dell'interpretazione sistematica del combinato disposto della L. Fall., art. 43 e del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16 conforme ai principi, costituzionalmente garantiti (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del diritto alla tutela giurisdizionale ed alla difesa" (Cass. 4235/2006, confermativa dell'orientamento già espresso con le sentenze 7561/1995, 7308/1996, 14987/2000, 6937/2002, ulteriormente confermato poi con le sentenze 5671/2006, 6393/2006, 27263/2006, 3020/2007).
È evidente che la decisione del giudice delegato sulla opportunità di autorizzare l'azione nei confronti del fisco (la cui motivazione, nella specie, non è nota) è basata su considerazioni che possono anche prescindere dai profili che riguardano personalmente il fallito (che non sono soltanto quelle previste dall'art. 43, comma 2, della risalente L. Fall.) e, quindi, non è un filtro che può garantire, in linea di principio, il completo esercizio del diritto di difesa. Ne deriva l'accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
3. Anche la seconda ratio decidendi appare errata. Secondo i giudici di appello il ricorso dei contribuenti sarebbe comunque inammissibile perché tardivo, posto che:
a) il termine per impugnare gli atti decorreva dal 4 luglio 2003, quando hanno conosciuto della pretesa fiscale in occasione della verifica dello stato passivo;
b) i ricorsi introduttivi sono stati proposti il 13 novembre 2003, oltre il termine di sessanta giorni, scaduto il 28 ottobre 2003, considerando anche la sospensione feriale.
Osserva il Collegio che il ragionamento della CTR appare giuridicamente errato in relazione - ad entrambi gli assunti. Per impugnare consapevolmente la pretesa impositiva non basta conoscerne l'esistenza, occorre conoscere anche i motivi sui quali si fonda la pretesa stessa. Nella specie non risulta che i contribuenti dall'esame del fascicolo processuale abbiano acquisito tutti gli elementi necessari per esercitare proficuamente il diritto di difesa. In presenza del fatto non contestato che il curatore fallimentare soltanto in data 28 ottobre 2003 ha trasmesso agli odierni ricorrenti l'intera documentazione relativa alle pretese erariali, la prova contraria doveva essere offerta dalla amministrazione finanziaria. A parte la considerazione, che inficia anche la seconda parte del ragionamento della CTR, che in forza della Legge di Condono n. 289 del 2002 (art. 16, comma 8), i termini per ricorrere ed impugnare erano sospesi fino al 1 giugno 2004.
Peraltro, nella specie, il presupposto per agire in giudizio non è costituito soltanto dalla conoscenza della pretesa fiscale e delle sua motivazioni, ma anche dal fatto che il curatore abbia fatto scadere il termine per impugnare senza prendere alcuna iniziativa a tutela dei falliti. Orbene, considerando che, come già detto, fino al 1 giugno del 2004, i termini erano sospesi e che quindi fino a tale data il curatore avrebbe potuto in ipotesi agire, gli odierni ricorrenti non potevano avere acquisito prima la certezza dell'inerzia che condizionava le loro iniziative giudiziarie. In definitiva, la data del 4 luglio 2003 non può essere assunta quale termine iniziale per computare la tempestività dei ricorsi introduttivi, in assenza della prova che a tale data i contribuenti avessero piena cognizione di tutti gli elementi ed i presupposti necessari per agire in giudizio. Ciò in quanto i contribuenti, invece, hanno provato che il termine per agire decorreva dal 28 ottobre 2003. In ogni caso, quale che sia il dies a quo (compreso tra il 1 gennaio 2003 ed il 1 giugno 2004), il ricorso è tempestivo in considerazione della sospensione sancita dalla legge di condono del 2002.
Infine, giova anche evidenziare che il riferimento alla sanatoria degli eventuali vizi di notifica degli atti ai contribuenti, oltre ad essere del tutto irrilevante perché porterebbero alla conclusione che gli interessati avrebbero comunque avuto conoscenza degli atti stessi anche prima del 4 luglio 2003, senza che però ciò comporti che i ricorsi introduttivi siano stati proposti tardivamente (attesa la sospensione dei terminala decadenza avrebbe potuto essere ipotizzata soltanto se fosse stato provato che gli odierni ricorrenti avessero avuto effettiva conoscenza degli atti già nel 2002) è anche inconferente. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio "La natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell'avviso di accertamento tributario - che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l'amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria - non osta all'applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l'applicazione, per l'avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l'applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l'effetto di sanare la nullità della notificazione dell'avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell'atto, ex art. 156 cod. proc. civ.. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza - previsto dalle singole leggi d'imposta - per l'esercizio del potere di accertamento"(Cass. 19854/2004; conf. 22197/2004, 24962/2005, 12153/2005). In altri termini, la CTR ha interpretato erroneamente il principio affermato da questa Corte, ritenendo che l'atto avesse raggiunto l'effetto benché fosse oramai scaduto il termine per ricorrere (termine che però non era scaduto in forza della sospensione che la stessa CTR non ha considerato). 4. Conseguentemente, il ricorso va accolto in relazione al primo, terzo e quarto motivo di ricorso, nei termini sopra specificati, assorbiti tutti gli altri. Va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR Lazio per il giudizio di merito che dovrà essere rinnovato sulla base dei rilievi e principi di diritto affermati, con liquidazione delle spese anche in relazione al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2009