Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2602 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 26 Febbraio 2009, n. 4640. Rel., est. Rordorf.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Liquidazione dell’attivo - Vendita di immobili - In genere - Condono differito di cui all'art. 40 della legge n. 47 del 1985 (e succ. mod.) - Presupposti - Applicazione limitata alle procedure in corso all'epoca di entrata in vigore della legge - Esclusione - Anteriorità del credito per cui si procede o si interviene rispetto all'entrata in vigore della legge - Necessità - Sussistenza - Fattispecie.

Urbanistica - In genere.



La disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 40 della legge n. 47 del 1985 (introdotto dal d.l. n. 146 del 1985, n. 146, conv. con mod. dalla legge n. 298 del 1985, poi ulteriormente modificata) - secondo la quale nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile - trova applicazione, anche nel caso in cui la vendita forzata abbia luogo nell'ambito di una procedura fallimentare, purché il credito per il quale si procede (o insinuato al passivo) sia sorto anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 47 del 1985 (a prescindere dalla data delle successive sue modificazioni) e, quindi, non limitatamente alle procedure in corso alla predetta data, non rilevando la data di inizio della procedura di vendita forzata del bene. (Principio di diritto enunciato dalla S.C. rigettando il motivo di ricorso proposto da un comune avverso la decisione del tribunale che, in sede di reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato, aveva ritenuto che l'apertura della procedura concorsuale consentiva al terzo acquirente di un immobile irregolarmente edificato di avvalersi del cosiddetto condono differito, l'esercizio del quale faceva venir meno la precedente acquisizione dell'immobile ad opera del medesimo comune, la quale non era impeditiva dello svolgersi e dell'esito naturale della procedura di vendita del bene in ambito fallimentare). (massima ufficiale)


Massimario, art. 26 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere -
Dott. SALVATO Luigi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 15162/2004 proposto da:
COMUNE DI USTICA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI 22, presso l'avvocato SALEMI GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall'avvocato MACHÌ Antonio, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
SABO S.R.L., in persona dell'amministratore unico pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILANGIERI 4, presso l'avvocato MAZZEI Luigi, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
BARBIERA VINCENZO, nella qualità di Curatore del Fallimento della società SAN BARTOLOMEO di BONURA BALDASSARRE & C. S.a.s. e dei soci illimitatamente responsabili BONURA BALDASSARRE, VITTORIO e ANNAMARIA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 1, presso l'avvocato CORSO LUCIA, rappresentati e difesi dall'avvocato MAZZAMUTO Marco, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrenti -
avverso il decreto del TRIBUNALE di PALERMO, depositata il 19/04/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22/01/2009 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;
udito, per i controricorrenti, l'Avvocato MUSCARIELLO SERGIO, per delega Avv. MAZZAMUTO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito, per la controricorrente SABO S.r.l., l'Avvocato MAZZEI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilità del reclamo fallimentare; cassazione senza rinvio, compensazione delle spese.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto emesso il 19 aprile 2004 a norma della L. Fall., art. 26, il Tribunale di Palermo rigettò un reclamo proposto dal Comune di Ustica avverso il provvedimento mediante il quale il giudice delegato al fallimento della società San Bartolomeo di Bonura Baldassarre & C. s.a.s. e dei soci illimitatamente responsabili, Sigg.ri Baldassare, Vittoria ed Annamaria Bonura, aveva disposto il trasferimento all'aggiudicataria società SA.BO. s.r.l. di un complesso immobiliare, denominato Hotel San Bartolomeo, ubicato in Ustica.
Il tribunale negò che avesse fondamento la doglianza del Comune di Ustica, il quale aveva contestato il diritto della curatela di trasferire l'immobile in questione perché la relativa concessione edilizia era stata dichiarata decaduta sin dal 1981, non essendo stati iniziati i lavori di costruzione entro il termine prescritto, con contestuale ordine di demolizione dell'immobile frattanto edificato, poi sostituito da una deliberazione di acquisizione del bene in favore del comune per utilizzazione a fini pubblici, debitamente trascritta. Il tribunale ritenne invece legittimo il decreto di trasferimento emesso dal giudice delegato, alla luce del combinato disposto di due norme: la L. n. 47 del 1985, art. 40, u.c., che, in caso di immobile oggetto di procedura esecutiva, autorizza a presentare la richiesta di sanatoria delle irregolarità edilizie entro centoventi giorni dal trasferimento, a condizione che le ragioni del credito per il quale si procede siano anteriori all'entrata in vigore della legge, e la L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 19, che prevede l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale delle opere abusive e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro in caso di adempimento degli oneri previsti per la sanatoria. Osservò anche il tribunale che l'applicazione, nel caso di specie, dell'istituto del cosiddetto condono differito, contemplato dalla prima delle due menzionate disposizioni, non era preclusa dal superamento dei limiti di cubatura indicati dalla citata L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 1, sia perché tali limiti non sarebbero riferibili ad edifici privi di destinazione residenziale, sia perché è previsto che essi non operano in ipotesi di annullamento di una già disposta concessione edilizia e siffatta previsione risulterebbe logicamente estensibile anche alla decadenza della concessione. Aggiunse, infine, il tribunale che la pendenza della procedura concorsuale e la conseguente possibilità di presentare domanda di sanatoria dopo il trasferimento dell'immobile disposto nell'ambito di detta procedura avrebbero dovuto indurre il Comune di Ustica a sospendere il procedimento di acquisizione del bene al proprio patrimonio, in ossequio a quanto previsto dalla medesima L. n. 47 del 1985, art. 44;
e che neppure era fondato l'assunto del reclamante, secondo cui l'ormai avvenuta destinazione dell'immobile a fini di pubblica utilità avrebbe precluso la condonabilità dell'intervenuto abuso edilizio, poiché l'effettiva destinazione ad uso pubblico non risultava provata.
Per la cassazione di tale decreto ricorre il Comune di Ustica, prospettando sette motivi di doglianza.
Resistono con separati controricorsi la curatela del fallimento e la SA.BO. s.r.l..
Tutte le parti hanno anche depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l- La controricorrente SA.BO. s.r.l. ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso, perché, a suo dire, esso veicolerebbe una pretesa di terzo volta a rivendicare la proprietà dell'immobile trasferito nell'ambito della procedura concorsuale;
pretesa che, come tale, avrebbe dovuto invece esser fatta valere nelle forme dell'opposizione prevista dall'art. 619 c.p.c.. Con siffatta eccezione la controricorrente - pur non proponendo un ricorso incidentale - intende, evidentemente, sollecitare un rilievo d'ufficio ad opera di questa corte. Va detto però subito che tale rilevo non potrebbe comunque metter capo ad una declaratoria d'inammissibilità del ricorso, ma varrebbe semmai ad evidenziare una ragione d'inammissibilità del reclamo a suo tempo proposto dal Comune di Ustica avverso il decreto di trasferimento del giudice delegato, cui ha fatto seguito il provvedimento del tribunale impugnato in questa sede dallo stesso comune (si veda, in argomento, Cass. 15 settembre 1992, n. 10546).
Senonché, nel caso in esame un tale eventuale esito è precluso dall'esistenza di una specifica pronuncia con cui il tribunale ha rigettato l'eccezione che era stata sollevata sul punto dalla difesa della stessa SA.BO. s.r.l.. Questa, infatti, già nel giudizio di merito, aveva sostenuto esservi stata un'inammissibile mutatio libelli, in conseguenza della quale il reclamo si sarebbe posto al di fuori dell'ambito consentito dalla L. Fall., art. 24, venendo ad investire questioni che avrebbero dovuto formare invece oggetto di un'azione ordinaria. A tale eccezione il tribunale ha però negato fondamento affermando, expressis verbis, non soltanto che non vi era stato alcun mutamento indebito dell'originaria domanda proposta dal reclamante, ma anche che il reclamo formulato dal Comune di Ustica avverso il decreto di trasferimento immobiliare emesso dal giudice delegato non equivale affatto ad un'azione di rivendica di proprietà, perché non era controversa tra le parti la spettanza del diritto di proprietà, bensì soltanto la possibilità o meno di applicare, nella specie, il cosiddetto condono differito. Quest'ultima espressione è forse un po' ellittica, dovendosi intendere che oggetto della controversia è (non tanto l'applicazione in sè del condono, quanto) la legittimità dell'emissione di un decreto di trasferimento di un immobile, già acquisito dal comune, con riferimento al quale si discute se l'aggiudicatario acquirente abbia o meno la possibilità di avvalersi dei benefici del condono differito. Fatto sta, comunque, che il rigetto ad opera del tribunale dell'eccezione, avanzata proprio al fine di far dichiarare inammissibile il reclamo, avrebbe implicato, per l'odierna controricorrente che quella decisione non avesse condiviso, l'onere di proporre un ricorso incidentale sul punto, in difetto del quale l'asserita qualificazione della domanda del comune in termini di rivendica proprietaria e la conseguente declaratoria d'inammissibilità del reclamo endofallimentare sono precluse dal giudicato interno formatosi in proposito.
2. Il tribunale, come s'è detto, ha fondato la propria decisione sul presupposto che l'apertura della procedura esecutiva concorsuale, in virtù di quanto stabilito dalle norme già richiamate in narrativa, consentirebbe al terzo acquirente dell'immobile irregolarmente edificato di avvalersi del cosiddetto condono differito, l'esercizio del quale farebbe venir meno la precedente acquisizione dell'immobile ad opera del comune. Tale acquisizione, quindi, non sarebbe impeditiva dello svolgersi della procedura di vendita del bene in ambito fallimentare e dell'esito naturale cui tale procedura è approdata.
La prima norma che viene in esame, in siffatto contesto, è quella dettata della L. 28 febbraio 1985, n. 47,. art. 40, u.c. (comma introdotto dal D.L. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 1985, n. 298, e poi ulteriormente modificato dal D.L. 12 gennaio 1988, n. 2, art. 7, comma 2, a propria volta convertito dalla L. 13 marzo 1988, n. 68), secondo la quale "nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo 4^ della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge".
Secondo il tribunale, proprio in virtù di siffatta disposizione, la circostanza che il complesso immobiliare di cui si discute fosse stato edificato nonostante l'intervenuta decadenza della concessione edilizia precedentemente rilasciata dal Comune di Ustica non era di ostacolo alla sua vendita in ambito fallimentare, essendo ancora possibile, per l'acquirente, avvalersi del procedimento di sanatoria (cosiddetto condono differito) contemplato da detta norma. Su questo primo passaggio della decisione impugnata si appunta il primo motivo del ricorso del comune, che lamenta la violazione o falsa applicazione della disposizione di legge dianzi citata e sostiene: anzitutto, che detta disposizione sarebbe applicabile solo ai procedimenti di esecuzione forzata già in corso alla data di entrata in vigore della citata L. n. 47 del 1985, mentre la procedura di vendita del complesso immobiliare di cui qui si discute era iniziata molto tempo dopo; in secondo luogo, che il requisito dell'anteriorità del credito, rispetto alla "entrata in vigore della presente legge", implicherebbe che, contrariamente a quel che invece è accaduto, il fallimento fosse stato dichiarato prima dell'entrata in vigore della citata L. n. 47 del 1985, perché l'indicato riferimento alla "presente legge", sebbene frutto di un'aggiunta operata dalla successiva L. n. 68 del 1988, alluderebbe pur sempre alla medesima legge in cui quel riferimento è stato introdotto. 2.1. Gli indicati profili di censura non paiono condivisibili. Che i benefici della norma sopra richiamata siano limitati a coloro che abbiano acquistato l'immobile abusivamente edificato solo nell'ambito di procedure esecutive già in corso al momento dell'entrata in vigore della L. n. 47 del 1985, è affermazione priva di sostegno nel testo della stessa legge, e non sorretta da adeguati argomenti logici. È invece evidente che, mediante la norma in discorso, il legislatore ha inteso evitare che il regime d'incommerciabilità dell'immobile - connotato da un chiaro profilo sanzionatorio - si risolva ingiustificatamente in danno dei creditori incolpevoli; i quali, potendo aver fatto credito al proprietario dell'immobile fidando sulla garanzia generica loro offerta dal patrimonio di costui, rischierebbero di vedersi in tutto o in parte privati di tale garanzia proprio a causa della sopravvenuta incommerciabilità dei beni che in quel patrimonio erano compresi. Non è perciò la data d'inizio della procedura di vendita forzata del bene che rileva, bensì soltanto l'anteriorità del credito per il quale si procede rispetto all'entrata in vigore della legge. Ma se, a quest'ultimo riguardo può convenirsi col ricorrente sul fatto che la legge della cui entrata in vigore si tratta è, appunto, la citata L. n. 47 del 1985 (a prescindere dalla data delle successive sue modificazioni), non è affatto corretto individuare l'altro termine del raffronto temporale con l'apertura del fallimento. Il fallimento, ovviamente, non s'identifica con la "ragione di credito per cui si interviene o si procede" (ed in tal senso deve, pertanto, la motivazione dell'impugnato decreto sul punto essere corretta), ma costituisce la procedura esecutiva nella quale i crediti sono fatti valere, secondo la regola della concorsualità. Ai fini dell'applicabilità della norma in questione, dunque, è sufficiente che i crediti insinuati al passivo (o almeno alcuni di essi) siano sorti anteriormente alla data di entrata in vigore della menzionata L. del 1985. Il che è da presumersi si sia verificato, nel caso di specie, essendo stato il fallimento dichiarato appena sei mesi dopo l'entrata in vigore della legge in discorso, ne' essendo stata avanzata - neppure dal ricorrente - l'inverosimile ipotesi che i crediti ammessi al passivo fossero tutti sorti in quell'ultimo semestre.
3. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso chiamano in causa la seconda delle norme di legge di cui il tribunale ha fatto applicazione nel decidere la controversia. Si tratta della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma 19, che, per le opere abusive divenute sanabili in forza della medesima legge, attribuisce al proprietario che abbia adempiuto gli oneri previsti per la sanatoria il diritto di ottenere l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere sopra questa realizzate, disposte in attuazione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 7, comma 3, nonché la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare, dietro esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria. La norma, peraltro, fa salvi i diritti dei terzi e del comune nel caso in cui le opere edilizie siano state destinate dal comune medesimo ad attività di pubblica utilità entro la data del 1 dicembre 1994.
Il tribunale ha ritenuto che, alla luce delle suindicate disposizioni, non ostasse alla vendita in sede fallimentare dell'immobile in discorso neppure il provvedimento di acquisizione di esso al patrimonio comunale, con relativa trascrizione nel pubblico registro immobiliare, a suo tempo intervenuto.
Il comune ricorrente sostiene che, viceversa, la disposizione dianzi riportata non è applicabile nel caso di specie, perché: a) essa si riferisce alle sole violazioni urbanistiche sanabili in base alla stessa L. n. 724 del 1994, e non a quelle che avrebbero già potuto e dovuto esser sanate a norma della precedente L. n. 47 del 1985, le cui disposizioni sarebbero comunque state invocabili solo a condizione che la curatala avesse previamente e tempestivamente presentato istanza di condono entro la scadenza prorogata dal legislatore sino al 1 gennaio 1995 (secondo motivo di ricorso); b) l'immobile in esame eccede comunque, per dimensione, i limiti di cubatura entro i quali la citata L. n. 724, art. 39, comma 1, consente la sanatoria, dovendosi ritenere che quei limiti operano anche per gli edifici non aventi destinazione residenziale ed anche nel caso di decadenza da una concessione edilizia precedentemente concessa, non assimilabile alla diversa ipotesi, contemplata dalla norma, di annullamento della concessione (terzo e quarto motivo di ricorso).
3.1. In ordine al rilievo sub a), è da osservare che la L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, nel dettare norme di definizione agevolata delle violazioni edilizie - com'è reso evidente già dall'incipit del comma 1 e dalle indicazioni temporali figuranti nel comma 3 -, si è espressamente ricollegato alla disciplina già precedentemente introdotta allo stesso riguardo dalla L. n. 47 del 1985, pur introducendo alcune modalità, condizioni e limiti prima non previsti (tra i quali i limiti di cubatura fissati dal primo comma, di cui di dirà), sostanzialmente disponendo la riapertura dei termini per la presentazione delle domande di condono. La circostanza, dunque, che il comma 19, nel considerare gli effetti della sanatoria rispetto ad eventuali già intervenuti provvedimenti di acquisizione dell'edificio ad opera del comune, si sia riferito alle "opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge" non può essere intesa come espressione della volontà del legislatore di non rendere applicabile la disposizione in esame alle situazioni in cui la sanatoria, pur rientrando l'opera abusiva nella previsione di sanabilità contemplata dalla stessa L. del 1994, art. 39, avrebbe potuto già esser richiesta anche in base alla citata L. n. 47 del 1985, art. 39. Se così intesa, la disposizione sarebbe invero del tutto irragionevole, mentre l'interpretazione sistematica della norma in discorso induce senz'altro a ritenere che essa sia altresì riferibile alle violazioni già in precedenza condonabili, purché ricorrano anche gli ulteriori presupposti contemplati dalla nuova legge.
Ne consegue che, pur nel contesto normativo rinnovato dalla legge del 1994, continuava nella specie ad essere applicabile anche l'istituto del cosiddetto condono differito, introdotto dalla L. del 1985, con riguardo agli immobili oggetto di esecuzione forzata ed azionabile dall'acquirente nel limiti già sopra ricordati, e che, pertanto, ricorrendo i presupposti per l'applicazione di detto istituto, nessun onere di presentazione di preventiva istanza di condono gravava sul curatore. Ma tutto ciò - giova ripeterlo - pur sempre a condizione che non sussistesse una delle situazioni in presenza delle quali la medesima L. del 1994 espressamente ha escluso l'applicabilità del condono.
3.2. Quanto appena osservato conduce immediatamente all'esame del rilievo sub b), che peraltro si scompone in due distinti (ma subordinati) quesiti: se i limiti di cubatura cui è condizionata la sanabilità dell'abuso edilizio, a norma del citato art. 39, comma 1, siano riferibili solo ad edifici destinati ad uso residenziale, onde non sarebbero applicabili al complesso immobiliare in questione, che residenziale non è; e se, ove pure invece, sotto il profilo dianzi considerato, dovesse optarsi per la teorica applicabilità di quei limiti di cubatura, l'operatività di essi possa essere esclusa in considerazione del fatto che, per detto complesso immobiliare, era stata in origine rilasciata una concessione edilizia, poi tuttavia decaduta per mancato rispetto dei termini di inizio della costruzione.
3.2.1. La risposta al primo quesito - contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale di Palermo ed a quanto sostiene la società controricorrente - deve essere negativa (ed è superfluo aggiungere che a diversa conclusione non possono certo indurre, di per sè sole, le circolari ministeriali cui allude l'impugnato decreto). La dizione adoperata dal primo comma del più volte menzionato art. 39, e la manifesta intenzione ivi espressa dal legislatore di porre un limite inderogabile, di carattere generale, alla sanabilità degli abusi edilizi, ricollegando detto limite all'oggettiva entità dell'abuso e, di conseguenza, all'entità della lesione da esso inferta ai valori espressi dalla normativa urbanistica a tutela di un interesse pubblico preminente, inducono senz'altro ad escludere un'interpretazione della norma che vada al di là di quanto in essa enunciato e sia tesa a circoscriverne la portata ai soli edifici a destinazione residenziale.
Una siffatta interpretazione, d'altronde, non trova un appiglio sufficientemente univoco - come ipotizza invece la difesa di parte controricorrente, invocando precedenti di giurisprudenza amministrativa di primo grado - nel disposto del medesimo art. 39, comma 16. Il fatto che quest'ultima disposizione, ai fini dell'oblazione occorrente per la sanatoria degli abusi, nel prevedere l'applicazione delle riduzioni già ipotizzate dalla L. n. 47 del 1985, art. 34, commi 3, 4 e 7, aggiunga (con riferimento al solo settimo comma) l'inciso "anche in deroga ai limiti di cubatura di cui al comma 1", non può essere inteso come manifestazione della volontà del legislatore - che sarebbe invero assai obliquamente enunciata - di consentire la condonabilità senza limiti degli abusi riguardanti gli edifici non residenziali menzionati nella richiamata L. n. 47 del 1985, art. 34, comma 7. La deroga di cui qui si tratta non concerne la sanatoria, bensì unicamente l'oblazione (e la relativa misura), onde appare senz'altro da condividere l'orientamento da ultimo formatosi al riguardo nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, che sottolinea come la rimozione di qualsiasi limite quantitativo alla condonabilità degli edifici non residenziali convertirebbe la disposizione di eccezione del citato art. 39, comma 19, in una disposizione di rottura incondizionata del controllo edilizio passato, in aperta difformità con le indicazioni ricavabili anche da ripetute pronunce della Corte costituzionale (28 luglio 1995, n. 416; 12 settembre 1995, n. 427; 23 luglio 1996, n. 302; e 18 luglio 1996, n. 256, che evidenziano il carattere del tutto eccezionale delle norme sul condono, dunque particolarmente soggette al limite di ragionevolezza); il che conferma come il summenzionato inciso del medesimo art. 39, comma 16, debba essere riferito unicamente al pagamento dell'oblazione, e non alla condonabilità dell'abuso, potendo comunque detto pagamento essere effettuato anche avendo riguardo a cubature maggiori, in relazione ad immobili con destinazione non residenziale, allo scopo di provocare l'estinzione di taluni reati in materia edilizia a norma della richiamata L. n. 47 del 1985, art. 38, comma 2, (si vedano, in tal senso, Cons. Stato 17 settembre 2008, n. 4416; e 23 giugno 2008, n. 3098).
3.2.2. Risposta negativa merita anche il secondo dei due quesiti dianzi formulati, perché non appare condivisibile l'assimilazione, che il tribunale ha operato, tra l'ipotesi di costruzione eseguita in base ad una concessione edilizia successivamente annullata e l'ipotesi di costruzione realizzata dopo la decadenza dell'originaria concessione per mancato rispetto del previsto termine di inizio del lavori.
Solo nella prima della due indicate ipotesi la più volte citata disposizione della L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 1, consente di condonare abusi edilizi per volumetrie eccedenti i limiti dalla stessa disposizione fissati; e, trattandosi con ogni evidenza di una norma di carattere eccezionale, per un verso non è consentito applicarla analogicamente ad altre ipotesi non previste, per altro verso anche un'eventuale interpretazione estensiva sarebbe praticabile solo con molta cautela.
Il tribunale sembra invero essersi mosso proprio nel senso dell'interpretazione estensiva, assumendo che "la decadenza è un minus rispetto all'annullamento in quanto la concessione edilizia è pienamente valida ma decade per un'inosservanza formale del termine di inizio lavori", sicché non sussisterebbe "alcuna ragione per la diversificazione delle due ipotesi". La ragione, invece, sussiste, in quanto annullamento e decadenza della concessione si collocano, rispetto al tema in discussione, su piani affatto diversi: tali per cui non appare corretto istituire tra esse un rapporto di maggiore a minore.
Il motivo per il quale il legislatore ha ritenuto di escludere l'operatività dei suindicati limiti di cubatura, nella disciplina del condono edilizio, in presenza di costruzioni effettuate sulla base di concessioni successivamente annullate, consiste unicamente nella tutela dell'affidamento di chi ha costruito presupponendo l'esistenza di un titolo che, in quel momento, appariva legittimarlo a tanto (onde la giurisprudenza amministrativa ha escluso che di tale previsione possa avvalersi il costruttore che, viceversa, abbia ottenuto in mala fede il rilascio della concessione successivamente annullata: Cons. Stato 3 marzo 2001, n. 1229). Un analogo presupposto non è però postulabile nel caso di costruzione realizzata a seguito di una concessione dalla quale il costruttore sia decaduto per decorso dei termini di inizio dei lavori: per l'ovvia ragione che, una volta scaduti quei termini, della cui esistenza il costruttore non poteva certamente non esser consapevole, egli era - e sapeva di essere - nella condizione di chi edifica in difetto di concessione. Non si tratta, quindi, di instaurare una scala di gravità delle anomalie e di collocare la concessione annullata (per motivi di intrinseca illegittimità) su un gradino più alto di quella colpita da decadenza per ragioni formali. Si tratta, invece, di considerare che nell'un caso la costruzione si è sviluppata (e con quella volumetria) nella ragionevole convinzione della sua legittimità, mentre nell'altro caso non è possibile affermare altrettanto. La diversità della situazione, attenendo proprio alla ratio della disposizione in esame, non ne consente dunque (nonché un'applicazione analogica, neppure) un'interpretazione estensiva nei termini prospettati dal tribunale.
4. Alla stregua dei rilievi che precedono, mentre anche il secondo motivo di ricorso deve essere rigettato, risultano da accogliere il terzo ed il quarto motivo, con conseguente assorbimento degli altri. In relazione ai motivi accolti, il decreto impugnato va quindi casato; ma non occorre far seguire a ciò un giudizio di rinvio, giacché non si pone la necessità di accertamenti ulteriori ed è possibile provvedere senz'altro nel merito, annullando il decreto con cui il giudice delegato ha disposto il trasferimento di un bene immobile edificato in contrasto insanabile con la normativa vigente e, pertanto, non liberamente commerciabile.
5. Le peculiarità della fattispecie, l'assenza di specifici precedenti giurisprudenziali di legittimità su molte delle questioni controverse e l'obiettiva difficoltà d'interpretazione e di applicazione di una legislazione speciale non sempre tanto chiara e lineare quanto sarebbe auspicabile che fosse, suggeriscono di compensare tra le parti le spese dell'intero giudizio. P.Q.M.
La Corte, rigetta i primi due motivi del ricorso, accoglie, nei termini di cui in motivazione, il terzo ed il quarto motivo, dichiara assorbiti gli altri, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, annulla il decreto di trasferimento dell'immobile sito in Ustica, denominato Hotel San Bartolomeo, emesso il 21 gennaio 2004 dal giudice delegato al fallimento della società San Bartolomeo di Bonura Baldassarre & C. s.a.s., disponendo la compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio. Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2009