Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2595 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 25 Marzo 2009, n. 7214. Rel., est. Didone.


Responsabilità patrimoniale - Cause di prelazione - Pegno - In genere (nozione, caratteri) - Pegno a garanzia di crediti - Costituzione a garanzia di credito non ancora esistente - Nullità - Sussistenza - Costituzione a garanzia di crediti condizionali o futuri - Validità - Condizioni - Determinazione del credito garantito - Necessità - Mera determinabilità del credito - Conseguenze - Invalidità dell'atto costitutivo - Esclusione - Opponibilità agli altri creditori - Condizioni - Requisiti di cui all'art. 2787, terzo comma, cod. civ. - Necessità.



In tema di pegno a garanzia di crediti, il principio di accessorietà desumibile dall'art. 2784 cod. civ. comporta la nullità per difetto di causa dell'atto costitutivo della prelazione stipulato in relazione ad un credito non ancora esistente, ma non esclude, in applicazione analogica dell'art. 2852 cod. civ., l'ammissibilità della costituzione della garanzia a favore di crediti condizionali o che possano eventualmente sorgere in dipendenza di un rapporto già esistente; in quest'ultimo caso, peraltro, è necessaria, ai fini della validità del contratto, la determinazione o la determinabilità del credito, la quale postula l'individuazione non solo dei soggetti del rapporto, ma anche della sua fonte; ferma restando la validità e l'efficacia del contratto "inter partes", comunque, la mera determinabilità del rapporto comporta l'inopponibilità del pegno agli altri creditori (ivi compreso il curatore, in caso di fallimento del soggetto che abbia costituito la garanzia), qualora, dovendo trovare applicazione l'art. 2787, terzo comma, cod. civ., manchi la sufficiente indicazione del credito garantito. (massima ufficiale)


Massimario, art. 31 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. DIDONE Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO DI BELLELI HOLDING INDUSTRIALE S.P.A., in persona del Curatore Dott. LANFREDI DANTE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 72, presso l'avvocato SIMONCINI ALDO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato AMADEI FAUSTO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
BANCA INTESA S.P.A. (c.f. 00799960158), quale successore della incorporata Banca Commerciale Italiana S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso l'avvocato CICCOTTI ENRICO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati BRUGNATELLI ENRICO, CUTOLO COSTANTINO, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 956/2003 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 03/12/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/02/2009 dal Consigliere Dott. DIDONE ANTONIO;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato SIMONCINI ALDO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l'Avvocato CICCOTTI ENRICO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE UMBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per il rigetto o l'assorbimento del ricorso incidentale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Il 12 settembre 1994, la s.p.a. Belleli Holding Industriale costituì in pegno a favore della Banca Commerciale Italiana (Comit) il certificato di deposito al portatore n. 40000582765 con scadenza vincolata al 13 febbraio 1995, emesso dalla stessa Comit in pari data, per l'importo di L. 5.000.000.000, a garanzia: 1) di una linea di credito di L. 19.400.000.000, "utilizzabile per apertura di credito all'esportazione Vulkan - Brema (Germania) con scadenza agosto 1995" accordata alla società Belleli s.p.a.; 2) di ogni altro credito già in essere o di insorgenza futura verso il debitore; 3) di tutti gli altri crediti di cui la banca fosse titolare nei confronti del terzo costituente il pegno, dei suoi coobbligati e dei suoi garanti. La somma di L. 5 miliardi rappresentava un "ulteriore finanziamento" concesso dalla Comit sul contratto Vulkan Kocks, finalizzato quindi a garantire una linea di credito già in essere a favore della Belleli s.p.a. In data 20 febbraio 1995 il certificato di deposito bancario concesso in pegno fu sostituito con altro analogo dell'importo di L. 5.110.000.000, a sua volta sostituito alla scadenza del 14 agosto 1995 con altro di L. 5.243.000.000, e, alla scadenza di quest'ultimo certificato, in data 14 febbraio 1996, la somma di L. 5.400.257.270, ricavata dalla vendita fu "evidenziata" in un conto nominativo, assoggettato a pegno in prosecuzione del vincolo originario.
Il 7 maggio 1996 la s.p.a. Belleli Holding Industriale venne dichiarata fallita.
Con la sentenza impugnata (del 3.12.2003) la Corte di appello di Brescia - in totale riforma di quella di primo grado emessa il 10.7.2001 dal Tribunale di Mantova, appellata dalla Comit - ha rigettato la domanda proposta dalla curatela fallimentare della s.p.a. BHI diretta a ottenere la condanna della Banca Commerciale Italiana al pagamento della somma di L. 5.462.983.966, oltre accessori; domanda fondata sull'assunto: della nullità del pegno per insufficiente indicazione; del credito garantito; della non configurabilità di un pegno rotativo, per cui la somma chiesta in restituzione doveva considerarsi sottoposta al vincolo di garanzia solo alla data del 15 febbraio 1996; dell'inefficacia del pegno, in quanto costituente atto a titolo gratuito (L. Fall., art. 64) o, comunque, revocabile ai sensi della L. Fall., art. 67;
dell'infondatezza della pretesa di compensare il saldo attivo del conto speciale con i crediti vantati dalla banca.
Ha osservato la Corte di appello - accogliendo il primo motivo di gravame - che l'insufficiente indicazione del credito garantito - correttamente rilevata dal primo Giudice - comportava la sola conseguenza della inopponibilità ai terzi della prelazione in riferimento a qualsiasi credito diverso dal fido di lire 19.400.000.000 concesso alla Belleli s.p.a. perché l'art. 2787 c.c., comma 2, per il caso in cui il pegno di valore superiore a L. cinquemila, non risulti da atto di data certa contenente sufficiente indicazione del credito e del bene vincolato, prevede non la sanzione della nullità del contratto, ma semplicemente quella dell'"insussistenza del diritto di prelazione, che è istituto operante nei rapporti con i terzi, relativamente al concorso nell'escussione del patrimonio del debitore". Il motivo andava accolto anche se la dichiarata nullità non aveva riverberato effetti concreti nei rapporti economici fra i contendenti, essendo dipesa da altra linea argomentativa la condanna della banca a restituire l'importo di L. 5.462.983.966.
Esclusa la denunciata extrapetizione, perché la curatela fallimentare aveva inteso impugnare, L. Fall., ex art. 64, o, in subordine cit. L. ex art. 67, l'atto costitutivo dell'unico pegno del quale la banca avesse inteso avvalersi per vedere riconosciuto il proprio diritto sulla somma portata dal conto nominativo - a nulla rilevando che la genesi del pegno dovesse essere cronologicamente collocata al 12 settembre 1994 (come sostenuto dall'appellante) ovvero al 15 febbraio 1996 (come sostenuto dal fallimento), potendo la circostanza influire soltanto sulla fondatezza dell'azione intentata - la Corte territoriale ha accolto il secondo motivo di appello con il quale era stata dedotta l'applicabilità, anche in materia fallimentare, ai fini della qualificazione come gratuito od oneroso dell'atto impugnato, del principio di cui all'art. 2901 c.c., comma 2, a tenore del quale "le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito". Dall'applicazione del detto principio discendeva la contestualità del pegno originario rispetto alla concessione del credito garantito, rappresentato dal corrispondente incremento, da L. 14.400.000.000, a L. 19.400.000.000, del finanziamento per l'esportazione concesso alla società controllata Belleli s.p.a., posto che l'art. 2901 c.c., comma 2, fa salva l'onerosità della garanzia - qualora sia contestuale alla concessione del credito - anche quando sia prestata per debiti altrui.
Accertata, in concreto, la natura di pegno regolare della prelazione concessa - e ciò alla luce delle pattuizioni delle parti - la Corte di merito ha accolto il terzo motivo di appello con il quale si lamentava che erroneamente fosse stata esclusa l'operatività del patto di rotatività del pegno.
La Corte di Brescia in proposito ha rilevato che l'aumento del controvalore numerario dei certificati emessi in rinnovazione alle diverse scadenze risultava essere il portato dell'accreditamento degli interessi maturati alle singole scadenze. Talché non si era verificata la sostituzione di un bene di maggior valore a quello originariamente assoggettato al pegno, ciò in applicazione del principio di cui all'art. 2791 c.c., secondo cui se è data in pegno una cosa fruttifera (per tale intendendosi anche la cosa produttiva di frutti civili) il creditore, salvo patto contrario, ha la facoltà di fare suoi i frutti, imputandoli prima alle spese e agli interessi e poi al capitale. Nel caso di specie il patto contrario si era atteggiato nel senso, più favorevole al debitore, di estendere ai frutti civili il vincolo pignoratizio, anziché autorizzare il creditore a farli propri. Andava condiviso, poi, l'orientamento favorevole alla legittimità del pegno rotativo, con la conseguenza che, dovendosi collocare cronologicamente la costituzione del pegno al 12 settembre 1994, la contestualità di essa rispetto al credito garantito escludeva che potesse applicarsi la sanzione d'inefficacia L. Fall., ex art. 64, così come la revocabilità L. Fall., ex art. 67, n. 3, mentre l'essere stata costituita oltre l'anno dalla dichiarazione di fallimento escludeva la garanzia
dall'assoggettabilità alla revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2.
Infine, la Corte territoriale ha accolto il quarto motivo di appello con il quale si censurava la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto illegittima la compensazione operata dalla banca della somma di L. 5.462.983.966, portata dal libretto nominativo intestato alla Belleli Holding Industriale s.p.a. con il debito fideiussorio di questa nei confronti dell'istituto bancario. L'appellante da un lato sosteneva che il debito verso la società, compensato, non sì identificava nell'obbligazione restitutoria avente a oggetto la somma portata dal conto nominativo, bensì nel costo di acquisizione (L. 5.000.000.000) del certificato di deposito utilizzato per l'operazione del 12 settembre 1994 e, dall'altro, che il credito della banca verso la Belleli Holding Industriale s.p.a., era stato ammesso al passivo fallimentare.
La Corte di merito, peraltro, ha diversamente qualificato il rapporto ritenendolo sussumibile nello schema giuridico del pegno di crediti, disciplinato dagli artt. 2800 e seguenti del c.c., con la previsione espressa che il creditore pignoratizio, dopo avere riscosso alla scadenza il credito sottoposto al vincolo, ne effettui il deposito in luogo stabilito d'accordo ovvero determinato dall'autorità giudiziaria e, se il credito garantito è scaduto, il creditore può ritenere del denaro ricevuto quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni, restituendo il residuo al costituente. La realizzazione dell'ultimo certificato di deposito con la corrispondente acquisizione della somma di L. 5.400.257.270, aveva, quindi, integrato la riscossione del credito costituito in pegno e, essendo frattanto venuto a scadenza il credito verso la Belleli s.p.a. con la revoca degli affidamenti comunicata il 5 novembre 1995, già prima del fallimento la Comit aveva titolo per introitare la somma riscossa - con gli ulteriori interessi frattanto maturati - a parziale copertura del maggior credito garantito e pervenire, per tale via, all'estinzione del rapporto di pegno. Infine, poiché tale diritto operava direttamente nei rapporti fra essa banca e la società datrice del pegno, ben poteva la prima avvalersene indipendentemente dalla rilevata inefficacia del diritto di prelazione nei confronti dei terzi, anche se dagli atti di causa (nè dall'allegazione in tal senso da parte della curatela) emergeva che la realizzazione del pegno fosse stata finalizzata a soddisfare un credito diverso da quello validamente garantito.
Era priva di rilevanza, pertanto, ogni dibattito sulla configurabilità di una compensazione degli opposti crediti:
giacché, non sussistendo alcun obbligo di restituzione a carico della banca, vano era discutere delle modalità di estinzione di esso.
Contro la sentenza di appello la curatela fallimentare ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
Resiste con controricorso la banca intimata che ha proposto ricorso incidentale affidato a un motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. - Con il primo motivo di ricorso la curatela ricorrente denuncia "violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dell'art. 2787 c.c., comma 3, e artt. 1346 e 1418 c.c., nullità dell'atto costitutivo del pegno - art. 360 c.p.c., n. 3".
La curatela ricorrente deduce che nella concreta fattispecie ricorrerebbe la figura del c.d. "pegno omnibus", perché la scrittura del 12.9.1994 prevedeva che il pegno garantisse, oltre alla linea di credito Vulkan Brema, anche ogni altro "credito del debitore", anche se non liquido ed esigibile, già in essere, o che dovesse sorgere, verso la Banca Commerciale Italiana S.p.A., da qualunque operazione bancaria dipendente nonché "ogni altro credito della Banca nei confronti del terzo datore di pegno (BHI) con rinuncia all'esercizio del diritto di recesso da parte di quest'ultimo nei confronti del debitore, di coobbligati e di garanti, sino a quando ogni ragione della banca non fosse completamente estinta". La Corte di merito, dunque, avrebbe violato l'art. 2787 c.c., comma 3, e artt. 1346 e 1418 c.c., posto che tra l'art. 1346 c.c., e l'art. 2787 c.c., comma 3, sussiste un rapporto da genere a specie e il principio della specifica individuazione del credito garantito in materia di pegno, altro non sarebbe che l'applicazione specifica del più generale principio - sancito dall'art. 1346 c.c., in materia di contratti e dall'art. 1324 c.c., in materia di atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale - per cui l'oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile, a pena di nullità del contratto stesso, sancita dall'art. 1418 c.c..
Sarebbe incoerente la configurabilità di un negozio costitutivo di un pegno ad un tempo valido e tuttavia inidoneo a produrre l'effetto tipico voluto dalle parti, costituito dalla prelazione a favore del creditore che, altrimenti, verrebbe ridotta ad un mero diritto di ritenzione, trasfigurando, al di fuori di ogni previsione normativa, l'elemento causale dell'istituto, il quale si trasformerebbe da strumento di garanzia a strumento di autotutela.
La clausola omnibus si porrebbe anche in aperto contrasto con il principio fondamentale della accessorietà delle garanzie perché l'impossibilità di stabilire quale sia il diritto garantito viene, infatti, a comprimere in modo irrimediabile il rapporto di stretta dipendenza logico giuridica, tra mezzo di tutela del creditore e diritto di credito, impedendo in radice di individuare i limiti di efficacia del pegno delineati dagli artt. 2794 e 2799 c.c.. Invoca la pronuncia di questa Corte dell'11 agosto 1998, n. 7871. Conclude nel senso che la sentenza impugnata andrebbe cassata con rinvio diretto ad accertare se la clausola omnibus fosse fondamentale nella determinazione volitiva delle parti e se fosse o meno possibile, escludendo dalla declaratoria di nullità la garanzia per l'operazione Vulkan Brema, ricondurre a certezza il credito garantito.
La dimostrazione dell'esattezza dell'assunto della ricorrente sarebbe costituita dalla stessa utilizzazione della garanzia fatta dalla banca, la quale, con la compensazione operata, non ha ridotto l'esposizione di BHI per il mancato buon fine della operazione VulKan (che - deduce - per quanto è dato sapere è andata regolarmente a buon fine), ma ha utilizzato la somma depositata sul "conto speciale" per sanare il saldo passivo di un conto corrente di Belleli S.p.A. n. 188567.0171, nonché il "saldo debitore per capitale ed interessi al 7.5.1996 portato dal conto finanziamento pagamento stipendi"... "intestato a Belleli S.p.A.".
2.2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia "violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto della L. Fall., art. 31, e art. 2787 c.c., comma 3, e contestuale mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia - art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5", perché la Corte di merito ha omesso di spendere una sola parola per spiegare il rigetto di un argomento assolutamente rilevante, (trattato dal Fallimento in comparsa di costituzione e risposta per l'appellato 10.1.2002, pag. 21 e 22, in comparsa conclusione per l'appellato 7.7.2003, pag. 18 - 19 - 20 ed in memoria di replica per l'appellato 22.8.03, pag. 3 - 4 - 5 ed in comparsa conclusionale) con il quale si è affermato che il Curatore, nel momento in cui agisce per la declaratoria di inefficacia del pegno, assume la veste e la posizione di terzo, rispetto alle parti contraenti. 2.3.- Con il terzo motivo la curatela ricorrente denuncia "violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 64, e dell'art. 2901 c.c., in relazione alla costituzione di pegno in data 12.9.1994 ed alla ritenuta applicabilità della presunzione di onerosità di cui all'art. 2901 c.c., all'azione revocatoria fallimentare - art. 360 c.p.c., n. 3".
2.4.- Con il quarto motivo la curatela ricorrente denuncia "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2786 e 2791 c.c., in relazione ai requisiti di validità del pegno rotativo - art. 360 c.p.c., n. 3". Deduce che erroneamente sono stati ritenuti sussistenti i requisiti per la configurabilità del pegno rotativo perché l'art. 2791 c.c., che consente il patto contrario quanto all'incasso dei frutti e all'imputazione agli interessi, alle spese e al capitale non è risolutivo quanto alla configurabilità del pegno rotativo che richiede, secondo la giurisprudenza, che il bene sostituito a quello originariamente dato in pegno sia dello stesso valore di quest'ultimo e abbia identica natura. Per contro, nella concreta fattispecie rispetto al certificato di deposito al portatore originariamente dato in pegno il saldo attivo di conto corrente sottoposto a pegno il 15.2.1996 - oggetto dell'azione revocatoria - ha valore e natura diversi e l'eccezione della banca secondo la quale la diversità dei valori dei singoli titoli sarebbe riconducibile agli interessi maturati, è priva di fondamento, nel momento in cui il creditore pignoratizio ha scelto di capitalizzarli, trasformandoli in capitale, diverso e maggiore rispetto al valore di volta in volta iniziale.
Nè sarebbe fondata l'obiezione dell'istituto di credito secondo cui nessuna nuova costituzione di pegno sarebbe intervenuta, con riferimento all'evidenziazione delle somme sul conto speciale di cui trattasi, in quanto nessuna consegna di somme da parte della debitrice è materialmente avvenuta, posto che vi fu il conferimento alla banca di un mandato in rem propriam per gestire i titoli dati in pegno e per costituire nuove garanzie. In tal senso, secondo il fallimento ricorrente, andrebbe interpretata la pattuizione contrattuale secondo la quale "in caso di mancata rinnovazione del Certificato di Deposito alla scadenza originaria del vincolo temporale o ad ogni altra successiva scadenza, le somme portate dal Certificato stesso" sarebbero state "evidenziate in un conto speciale presso la Banca medesima il cui saldo" sarebbe stato "soggetto sin da ora a vincolo di pegno a favore di essa Banca, senza novazione alcuna".
Pur senza un atto positivo del debitore, la creazione del conto ove far confluire la somma costituita in pegno è stata fatta dalla banca in esecuzione di un mandato specifico conferito dal cliente. Pertanto la prelazione pignoratizia deve considerarsi intervenuta ex novo il 15.2.1996 e, quindi, due mesi e 2 3 giorni prima della dichiarazione di fallimento, e sarebbe revocabile a norma della L. Fall., art. 67. Conclude, pertanto, chiedendo la cassazione della sentenza con rinvio al giudice del merito che dovrà esaminare, in fatto, la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della invocata revoca fallimentare.
2.5.- Con il quinto motivo il fallimento ricorrente denuncia la "nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., pronuncia resa su eccezioni e circostanze di fatto mai allegate dalle parti - vizio di motivazione - art. 360 c.p.c., nn. 4) e 5)". Deduce che la Corte d'Appello ha risolto la dedotta questione circa l'operatività della compensazione inquadrando la fattispecie nella disciplina del pegno di crediti, di cui agli art. 2800 c.c. e ss., a tenore dei quali il creditore pignoratizio, dopo aver riscosso alla scadenza il credito sottoposto a vincolo, ne effettua il deposito nel luogo stabilito dall'accordo o determinato dall'autorità giudiziaria; se il credito garantito è scaduto, il creditore può ritenere il denaro ricevuto sino al soddisfacimento delle sue ragioni. Secondo la Corte di merito la riscossione dell'ultimo certificato di deposito integrerebbe la realizzazione del credito sottoposto a pegno, con la conseguenza che - essendo nel frattempo venuto a scadenza il credito verso Belleli S.p.A., garantito dalla appellata con fideiussione - già prima del fallimento, COMIT aveva legittimamente introitato la somma riscossa a parziale copertura del maggior credito garantito.
Tale ricostruzione in fatto, secondo il ricorrente, è frutto di un'autonoma iniziativa della Corte territoriale, poiché mai l'attore o il convenuto hanno dedotto o eccepito siffatta ricostruzione dei fatti avendo entrambe dedotto che, alla scadenza dell'ultimo certificato di deposito, le somme sono sì state riscosse, ma non sono state certo trattenute a pagamento del credito della banca, bensì evidenziate su un conto speciale anch'esso soggetto a vincolo di pegno.
La ricostruzione operata dalla Corte di merito poggia quindi su presupposti di fatto mai dedotti in giudizio, e anzi esplicitamente esclusi, poiché mai la banca convenuta ha eccepito di avere legittimamente trattenuto le somme a norma dell'art. 2803 c.c., al momento della riscossione dell'ultimo certificato di deposito, avendo fondato la propria difesa sull'eccezione di compensazione conseguente all'esercizio, ritenuto legittimo, della ritenzione della somma oggetto di pegno, allegando un fatto impeditivo completamente diverso e da collocarsi temporalmente in epoca successiva alla riscossione del credito, cui avrebbe fatto seguito il trattenimento delle somme a saldo, erroneamente ipotizzato dalla Corte d'appello. Questa, pertanto, ha esorbitato dai suoi poteri violando l'art. 112 c.p.c., laddove ha fondato la sua decisione su una circostanza mai eccepita dalle parti e oltretutto contraddetta dagli atti e dalla stessa sentenza, la quale, nell'esposizione dei fatti e delle domande delle parti, da per assodata tale difesa della banca convenuta. 2.6.- Con l'ultimo motivo la curatela ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 56, e art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo che l'obbligazione di restituzione sorge per la banca con la dichiarazione di inefficacia del pegno. Pertanto, il credito di BHI che la banca vorrebbe compensare con il proprio trova il suo momento genetico "solo dopo il venir meno della causa che legittimava quest'ultima a trattenere i valori trasferitigli". Poiché la caducazione della causa (garanzia pignoratizia) avviene unicamente a seguito della declaratoria di inefficacia del pegno (ex art. 2787 c.c., comma 3, ovvero L. Fall., ex art. 64, o revocata L. Fall. ex art. 67), non potrà controparte, venuta meno la garanzia a seguito del fallimento, portare in compensazione del proprio credito verso il fallito il proprio debito sorto a seguito della declaratoria d'inefficacia, poiché tra tale situazione soggettiva di debito e il credito della banca verso BHI, non sussiste reciprocità. Il diritto alla restituzione compete alla massa fallimentare (nei cui confronti il pegno è inefficace) mentre il credito della banca, è verso la società fallita e la diversità soggettiva impedisce la compensazione.
Richiama Sez. 1^, Sentenza n. 11030 del 26/07/2002, secondo cui "in materia fallimentare, il credito verso il fallito non può essere compensato con il debito di restituzione a seguito di esperimento fruttuoso dell'azione revocatoria, atteso che quest'ultimo è un debito verso la massa e non verso il fallito, cosicché manca, perché possa operare la compensazione, il requisito della reciprocità delle obbligazioni".
3.- La banca controricorrente, con l'unico motivo di ricorso incidentale, chiede la "correzione" della motivazione della sentenza impugnata "per violazione dell'art. 1851 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 3) e per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sui punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), deducendo che la concreta fattispecie è sussumibile nello schema del pegno irregolare perché il certificato di deposito era emesso dalla stessa banca e, a maggior ragione, era irregolare il pegno sulla somma evidenziata sul conto speciale il 15.2.1996.
4.- Preliminarmente i ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti.
Ciò premesso, osserva la Corte che l'esame del quinto motivo del ricorso principale va svolto in via preliminare, stante la denuncia di violazione dell'art. 112 c.p.c., e la nullità conseguente alla violazione stessa, se sussistente.
Il motivo, peraltro, è infondato nella parte in cui assume l'esistenza di un vizio di extrapetizione, essendosi la Corte di merito limitata a qualificare diversamente (pegno di credito anziché di titoli di credito) gli stessi fatti allegati dalle parti, mentre è fondato nella parte in cui implicitamente contesta l'esattezza della qualificazione giuridica data al rapporto dal Giudice di appello.
Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa stessa Sezione, "l'art. 2800 c.c., il quale condiziona l'esistenza della prelazione, nel pegno di credito, alla notificazione della costituzione del pegno medesimo al debitore, ovvero alla sua accettazione con atto di data certa, non trova applicazione nell'ipotesi del pegno di titolo di credito, tanto regolare quanto irregolare" (Sez. 1^, Sentenza n. 5136 del 1977, Pres.: Mirabelli;
est.: Carnevale; conf. Sez. 1^, Sentenza n. 5949 del 1982), posto che il pegno di titoli di credito, "che si differenziano ontologicamente e funzionalmente dai crediti in genere e sono soggetti alla particolare disciplina loro propria" si costituisce, ai sensi degli artt. 1997 e 2786 cod. civ., semplicemente mediante la consegna del titolo al creditore pignoratizio ed il correlativo spossessamento del debitore" (Sez. 1^, Sentenza n. 5949 del 1982). Ciò permesso, va rilevato che dalla sentenza impugnata risulta che il 12 settembre 1994, la s.p.a. Belleli Holding Industriale costituì in pegno a favore della Banca Commerciale Italiana (Comit) il certificato di deposito al portatore n. 40000582765 con scadenza vincolata al 13 febbraio 1995, emesso dalla stessa Comit in pari data, per l'importo di L. 5.000.000.000. Inoltre, con accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, la Corte territoriale ha accertato la natura di pegno regolare della prelazione concessa e ciò alla luce delle pattuizioni delle parti e conformemente all'insegnamento secondo cui "il pegno di un libretto di deposito bancario, costituito a favore della banca depositarla, o di certificati di deposito al portatore, emessi dallo stesso creditore pignoratizio, si configura come pegno irregolare soltanto quando sia conferita espressamente alla banca la facoltà di disporre del relativo diritto, mentre, nel caso in cui difetti il conferimento di tale facoltà, si rientra nella disciplina del pegno regolare" (Sez. 1^, Sentenza n. 5290 del 2006; conf. Sez. 1^, Sentenza n. 3794 del 2008). Mancanza di conferimento di facoltà di disposizione che, nella concreta fattispecie, è stata accertata in fatto dalla Corte territoriale.
Da quanto innanzi evidenziato consegue l'assorbimento dell'unico motivo di ricorso incidentale, peraltro inammissibile nella parte in cui tende alla mera correzione della motivazione perché "nel nostro ordinamento non è riscontrato il diritto di impugnare la sola motivazione, bensì quello di impugnare una statuizione che ad essa sia conseguita" (Sez. 1^, Sentenza n. 8889 del 2001). 4.2.- Chiarito che nella concreta fattispecie si verte in tema di pegno regolare di titoli di credito, possono essere esaminati congiuntamente, ora, i primi due motivi del ricorso, il primo volto a sostenere la nullità del pegno omnibus e il secondo a censurare la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto insufficiente l'indicazione del credito e nondimeno opponibile il pegno al curatore del fallimento. Entrambe le censure sono fondate.
Dalla sentenza impugnata, infatti, si evince che il pegno è stato costituito a garanzia: 1) di una linea di credito di L. 19.400.000.000, "utilizzabile per apertura di credito all'esportazione Vulkan - Brema (Germania) con scadenza agosto 1995" accordata alla società Belleli s.p.a.; 2) di ogni altro credito già in essere o di insorgenza futura verso il debitore; 3) di tutti gli altri crediti di cui la banca fosse titolare nei confronti del terzo costituente il pegno, dei suoi coobbligati e dei suoi garanti. I crediti sub 2) e 3) sono palesemente indeterminati e, inoltre, indeterminabili, mancando qualsiasi riferimento al tipo di rapporto dal quale sarebbero scaturiti i crediti garantiti.
La Corte di appello, inoltre, ha definito insufficiente l'indicazione del credito garantito, senza, peraltro, farne discendere la conseguenza dell'inopponibilità al curatore ai sensi dell'art. 2787 c.c..
Va ricordato, in proposito, l'orientamento di questa Corte (Sez. 1^, Sentenza n. 1532 del 2006; Sez. 1^, Sentenza n. 7871 del 1998), al quale il Collegio intende dare continuità, non essendo state prospettate argomentazioni plausibili idonee a confutarne le conclusioni, secondo cui l'art. 2787 c.c., comma 3, stabilisce che quando il credito eccede un certo importo la prelazione pignoratizia possa essere opposta ai terzi solo se la scrittura sia di data certa e contenga sufficienti indicazioni del credito, oltreché della cosa. Tale indicazione, come più volte ritenuto da questa Corte (Cass. 5561/2004; 7794/1991), può anche essere desunta in via indiretta, in base ad elementi che comunque portino alla identificazione del credito garantito, che siano presenti all'interno della scrittura o anche ad essa esterni, purché il documento contenga indici di collegamento utili alla individuazione del credito e della cosa. Resta invece inopponibile la prelazione se, per la genericità delle espressioni usate, il credito garantito possa essere individuato solo con l'ausilio di ulteriori elementi esterni, ancor più se non preesistenti o almeno coevi alla formazione della scrittura, la cui insorgenza solo dopo la convenzione, tanto più se lontano da essa, comporti che il pegno fu costituito in previsione di indetermineite ed eventuali operazioni creditizie, e mancò dunque dei caratteri di accessorietà ed inerenza, venuti ad esistenza solo ex post (Sez. 1^, Sentenza n. 1532 del 2006; Sez. 1^, Sentenza n. 5561 del 2004; Cass., 7 novembre 1996, n. 9727 e 24 giugno 1995, n. 7163).
Per vero, "mentre nessun rapporto obbligatorio potrebbe essere identificato con la sola individuazione dei suoi soggetti, ancor più questo criterio si rivelerebbe manchevole ed anzi illegittimo di fronte ad una norma (l'art. 2787 c.c.) che precisamente esige l'identificazione documentale degli elementi obiettivi del rapporto, negando essa che la prelazione abbia luogo se non risulti sufficiente indicazione del credito e della cosa: il titolo appunto e l'oggetto del rapporto pignoratizio" (Cass., 19 giugno 1972 n. 1927 in Foro il., 1973, 1^, c. 121). In modo ancor più incisivo, poi, è stato precisato da questa Sezione (Sez. 1^, Sentenza n. 7871 del 1998) che è "indiscutibile che la indeterminatezza del credito garantito, al pari di quella afferente l'oggetto del pegno, debbasi, ai sensi dell'art. 2787 c.c., comma 3, ritenere causa di nullità del contratto (cfr. Cass., n. 7859 del 1996), o della clausola di previsione in esso inserita" e che la questione relativa all'estensione della nullità della clausola all'intero atto costituisce accertamento rimesso al Giudice del merito alla luce dell'interpretazione della volontà delle parti.
"Al proposito - e con specifico riguardo ai criteri con i quali l'interprete deve condurre l'indagine di essenzialità della pattuizione - questa Corte ha precisato: che detta indagine deve svilupparsi con l'intento di ricostruire, oggettivamente, la perdurante utilità del contratto (dopo la rimozione della clausola nulla) rispetto agli interessi con esso perseguiti; che la prova della mancanza di un interesse al mantenimento del contratto deve essere fornita dall'interessato; che l'apprezzamento al proposito formulato è incensurabile in sede di legittimità se motivato adeguatamente e razionalmente (Sez. 1^, Sentenza n. 7871 del 1998;
Cass. 1.3.95 n. 2340; cfr. anche 11248/97 e 2387/97). Qualora, peraltro, il Giudice del merito dovesse escludere la nullità dell'intera prelazione, questa, nella parte in cui l'atto costitutivo di essa fosse privo dei requisiti di cui all'art. 2787 c.c., comma 3, non sarebbe opponibile al curatore del fallimento, stante la sua posizione di terzietà nei riguardi del creditore pignoratizio, nei cui confronti agisce proprio in sostituzione della massa dei creditori rispetto ai quali "la prelazione non ha luogo" in virtù della predetta norma.
Pertanto, in accoglimento del primo, del secondo e del quinto motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo giudizio e per le spese del giudizio di legittimità, mentre i restanti motivi del ricorso principale restano assorbiti. Il Giudice del rinvio si atterrà ai seguenti principi:
1) l'art. 2787 c.c., comma 3, per ciò che attiene ai requisiti della sufficiente indicazione del credito e della cosa svolge una funzione diversa dalla norma di cui all'art. 1346 c.c., attenendo questa alla stessa validità della costituzione del pegno, nel mentre la prima disposizione è posta a tutela della par condicio e la sanzione per la sua inosservanza è quella della inopponibilità della prelazione, ferma restando l'efficacia inter partes del contratto;
2) dall'applicazione del principio di accessorietà del pegno, desumibile dall'art. 2784 c.c., discende che verrebbe meno la causa di garanzia qualora il contratto fosse stipulato in relazione ad un credito non ancora esistente, ferma restando l'applicabilità in via analogica della norma, dettata per l'ipoteca, secondo cui è ammissibile la costituzione della prelazione pignoratizia per un credito condizionale ovvero non ancora sorto ma che possa "eventualmente nascere in dipendenza di un rapporto già esistente" (art. 2852 c.c.);
3) in tale ultima ipotesi, peraltro, è necessaria la determinazione del credito o la sua determinabilità ai fini della validità del contratto (art. 1346 c.c.). Determinabilità che richiede l'individuazione non solo dei soggetti del rapporto ma anche della fonte di esso;
4) in ogni caso la mera determinabilità del rapporto se impedisce di ritenere invalido il contratto non consente la sua opponibilità agli altri creditori (e al curatore del fallimento del debitore) e, quindi, il sorgere della prelazione, qualora manchi la sufficiente indicazione del credito garantito ex art. 2787 c.c., comma 3. P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo, il secondo e il quinto motivo del ricorso principale. Dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia per nuovo giudizio e per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 febbraio 2009. Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2009