Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25849 - pubb. 09/09/2021

La disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese non è confluita nel CCII

Cassazione civile, sez. VI, 09 Luglio 2021, n. 19618. Pres. Bisogni. Est. Terrusi.


Concordato preventivo - Impresa assoggettabile ad amministrazione straordinaria delle grandi imprese - Competenza



La disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese non è confluita nel CCII, e l'art. 350 ha semplicemente modificato le sopra citate norme delle leggi speciali (la Prodi-Bis e la Marzano), sostituendo, per la dichiarazione d'insolvenza, il tradizionale criterio di collegamento della sede principale con un richiamo al tribunale competente ai sensi dell'art. 27 del CCII; mentre la delega non è stata attuata nel più ampio criterio dell'art. 2, lett. n), n. 3, che avrebbe inteso concentrare nei maggiori tribunali (da individuare, peraltro, secondo diversi concorrenti indicatori) la competenza per le procedure concorsuali in genere (salve le cd. procedure minori di composizione delle crisi da sovraindebitamento).

Ne consegue che la competenza sulla domanda di concordato preventivo proposta da società che sarebbe soggetta ad amministrazione straordinaria è del tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Fatto

Con decreto del 20 ottobre 2020 la corte d'appello di Bologna, decidendo sul reclamo proposto da Intesa San Paolo s.p.a. e da Unicredit s.p.a., e revocando il provvedimento col quale il tribunale di Reggio Emilia aveva assegnato il termine di cui alla L. Fall., art. 161, comma 6, per la presentazione della proposta concordataria della X. s.p.a., ha dichiarato l'incompetenza del detto tribunale in favore di quello di Bologna, sede della sezione specializzata in materia di impresa, in quanto competente a conoscere della domanda di concordato proposta dalla X. alla stregua di società assoggettabile ad amministrazione straordinaria, secondo l'art. 27 CCII.

La X. s.p.a. ha impugnato il provvedimento con regolamento di competenza (qualificato come facoltativo) sostenendo che la competenza sia invece del tribunale di Reggio Emilia, poiché l'art. 27 CCII, contiene il testuale riferimento alle imprese "in" amministrazione straordinaria e quindi presuppone come già realizzata l'ammissione alla procedura. Ha ritenuto di esser legittimata al regolamento facoltativo essendo stato contestualmente escluso l'abuso del concordato, giacché la corte d'appello aveva respinto il primo motivo e in tal senso deciso, di conseguenza, anche il merito del reclamo.

Le società intimate - Intesa SanPaolo, Unicredit, Re-Food a socio unico, Re-Covery a socio unico e Filiera Sì hanno depositato una memoria ai sensi dell'art. 47 c.p.c..

Anche il tribunale di Bologna, ricevuti gli atti a seguito della pronuncia adottata dalla corte d'appello, ha chiesto (d'ufficio) il regolamento di competenza, proponendo la medesima tesi della X.; e anche in tal caso le interessate Intesa SanPaolo, Unicredit, Re-Food a socio unico, Re-Covery a socio unico e Filiera Si hanno depositato una memoria ai sensi dell'art. 47 c.p.c..

Il procuratore generale ha concluso in entrambi i procedimenti nel senso della competenza del tribunale di Bologna.

Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell'adunanza camerale.

 

Motivi

I. - I procedimenti vanno riuniti per connessione oggettiva.

II. - Il regolamento di competenza proposto dalla X. è ammissibile.

Le società resistenti hanno eccepito che si tratterebbe di regolamento necessario, poiché il provvedimento della corte d'appello, negando la competenza, avrebbe assorbito la questione di merito relativa alla sorte della domanda di concordato.

Il regolamento necessario, a loro dire, sarebbe tuttavia precluso in materia concorsuale dalla L. Fall., art. 9-bis, che in caso di incompetenza impone la sola translatio del procedimento.

Può convenirsi sulla qualificazione del regolamento come necessario e sull'assorbimento della questione di merito.

Tuttavia l'eccezione di inammissibilità non è fondata in quanto si basa su un'affermazione giurisprudenziale (tratta da Cass. n. 30748-17) non decisiva e comunque superata dall'orientamento più recente di questa Corte, al quale occorre dare continuità.

E' stato invero condivisibilmente affermato che il regolamento di competenza è in ogni caso ammissibile, pure avverso l'ordinanza che decide sulla competenza ai sensi della L. Fall., art. 9-bis, stante la possibilità, durante la sospensione del processo ex art. 48 c.p.c., che il creditore istante ovvero il pubblico ministero invochino l'adozione di misure cautelari sul patrimonio del debitore di cui sia stato chiesto il fallimento, ai sensi stessa L., art. 15 (cfr. Cass. n. 20666-19).

Nella concreta fattispecie il principio che vuole ammissibile il regolamento ancor più rileva, visto che si discute della sola domanda di concordato.

In tal caso l'interesse è unicamente quello a definire con immediatezza la questione di competenza, senza che sia rinvenibile alcun ostacolo in norme o principi diversi.

Tale interesse è primario e prevale su ogni altra considerazione.

Resta poi il fatto che il regolamento è stato chiesto altresì dal tribunale di Bologna, d'ufficio.

III. - La questione sottoposta alla Corte, sia dalla X. sia dal tribunale di Bologna, attiene all'esegesi del citato art. 27 CCII.

Questa norma - occorre ricordare - è entrata in vigore, in base all'art. 389, comma 2, il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in gazzetta ufficiale del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (CCII).

Nel caso concreto la norma è invocata rettamente, in quanto si discute di un ricorso L. Fall., ex art. 161, presentato dalla X. s.p.a. il 2 maggio 2020, all'esito della rinuncia a una anteriore proposta di concordato del febbraio 2019.

IV. - Il punto controverso riguarda il significato da attribuire alla formulazione normativa.

Di tale formulazione sia la X. che il tribunale rimettente sottolineano il senso letterale, riferito alle imprese "in" amministrazione straordinaria, a fronte dell'esegesi della corte d'appello tesa a estenderne il senso alle imprese astrattamente assoggettabili ad amministrazione straordinaria.

Simile esegesi è dai ricorrenti criticata perché ritenuta in contrasto col testo della legge, al punto da determinare un'estensione arbitraria del contenuto della norma in asserita adesione a un preteso, ma non dimostrato, intento del legislatore.

V. - Il procuratore generale, in adesione alla tesi della corte d'appello, assume invece che il tribunale delle imprese - fondato su pilastri di concentrazione degli affari in taluni uffici giudiziari e sulla connessa specializzazione del giudice - è "un modello di organizzazione del sistema giustizia" necessario in materia di impresa, perché qui la specializzazione serve "al fine di offrire una risposta - non solo in termini di tempistica, ma anche di qualità e di prevedibilità della decisione - di giustizia efficiente ed efficace".

A tal riguardo elenca una serie di norme (artt. 17 e 20 CCII, art. 840-ter c.p.c., della L. n. 580 del 1993, art. 8, come modificato dal D.Lgs. n. 219 del 2016), a testimonianza della valorizzazione della funzione attribuita nei diversi campi alla detta sezione specializzata.

VI. - Può tuttavia osservarsi che quella indicata dal procuratore generale è una caratteristica comune a ogni competenza specializzata, cosicché rimarcarla ai limitati fini della competenza in materia di impresa non serve a granché.

Ciò che invece va sottolineato è che la questione in esame presenta l'impronta tecnica di una compiuta disciplina, che si riflette nelle scelte eminentemente discrezionali del legislatore in ordine all'individuazione del giudice ritenuto competente.

VII. - La competenza appartiene al tribunale di Reggio Emilia.

L'art. 27 CCII, sotto la rubrica "Competenza per materia e per territorio", detta al comma 1, la seguente regola attributiva: "Per i procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza e le controversie che ne derivano relativi alle imprese in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione è competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese di cui al D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art. 1. Il tribunale sede della sezione specializzata in materia di imprese è individuato a norma del D.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art. 4, avuto riguardo al luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi principali".

La norma si coniuga con quella più generale stabilita dall'art. 350 medesimo Codice ("Modifiche alla disciplina dell'amministrazione straordinaria"), che sia nel D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 3, comma 1, (cd. L. Prodi-bis), sia nel D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, art. 2, comma 1, convertito, con modificazioni, in L. 18 febbraio 2004, n. 39, (cd. L. Marzano), ha previsto che le parole "del luogo in cui essa ha la sede principale" siano sostituite dalle parole "competente ai sensi dell'art. 27 codice della crisi e dell'insolvenza, comma 1".

Il dato è indicativo di un sistema attestato nel seguente modo: (a) ai fini dell'accertamento dello stato di insolvenza delle imprese soggette alle citate leggi speciali (vale a dire aventi i requisiti da esse previsti) è competente il tribunale di cui all'art. 27 CCII, comma 1, e cioè il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese, anziché (com'era nella versione originaria) il tribunale del luogo in cui l'impresa ha la sede principale; (b) quel tribunale, indicato come competente, provvede anche quando, in base alle disposizioni contenute nel titolo III della L. Fall. (il IV essendo stato abrogato), si dovrebbe far luogo alla dichiarazione di fallimento di un'impresa ammessa alla procedura di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione; (c) lo stesso tribunale resta altresì competente per tutti i procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza e per tutte le controversie che ne derivano (v. del resto la L. Prodi-bis, art. 13), relativi alle imprese, così dichiarate insolventi, che siano state poi ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria.

VIII. - Il riferimento dell'art. 27 alle imprese "in" amministrazione straordinaria, in combinato con le regole desunte dall'art. 350, non consente esegesi diversa da questa letterale, convogliata, per la parte che qui interessa, dall'esistenza di una procedura già in atto.

Il senso specifico della previsione è nel chiarire che la richiamata (nuova) individuazione del tribunale competente in rapporto alla sede delle sezioni specializzate rileva non solo per l'accertamento dello stato di insolvenza ma anche per i procedimenti di regolazione della crisi (o dell'insolvenza) come definiti e disciplinati dal previgente titolo III della L. Fall., e per le controversie che ne possano derivare se attinenti alle imprese ammesse all'amministrazione straordinaria.

IX. - La contraria affermazione della corte d'appello di Bologna - e delle odierne banche - si basa invece su una lettura correttiva del testo di legge.

Codesta, pur collocandosi nel solco di una linea condivisa da altri uffici di merito, esorbita dai confini del procedimento interpretativo, poiché non è dato al giudice condurre l'interpretazione fino al punto di sostituire il testo della norma processuale con altro ritenuto (a torto o a ragione) più appropriato.

Si assume difatti che andrebbe esteso l'ambito applicativo della previsione sulla competenza nonostante il riconoscimento di un diverso spazio della medesima, comunque esistente; spazio che il provvedimento della corte d'appello pur nella motivazione ammette effettivamente circoscritto "alla dichiarazione di insolvenza di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 3 (come modificato dall'art. 350 CCII)", agli eventuali "procedimenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza" e alle "controversie che ne derivano" quanto alle imprese "già in amministrazione straordinaria".

Tale spazio semplicemente la citata tesi reputa eccessivamente "ristretto".

E' però evidente che l'affermata conclusione giunge, per l'appunto, a manipolare in via interpretativa il testo di legge in corrispondenza di una semplice opinione di incongruità della scelta del legislatore; e quindi si risolve essenzialmente in una posizione critica dell'operato del legislatore medesimo - critica ben vero anche piuttosto sterile, vista l'ampia discrezionalità che al legislatore è riservata in tema di competenza.

X. - Per contro deve essere ribadito che non è ammissibile il tentativo di correggere una norma processuale al dichiarato fine di ampliarne l'ambito di operatività rispetto a quello che le compete e che pur risulta correttamente individuato in chiave di maggior ristrettezza.

Non pertiene in vero al giudice, ma al legislatore, l'individuazione astratta della regola di competenza in rapporto alla fattispecie.

Nel caso concreto l'individuazione è chiarissima, essendo stati affidati alla competenza del tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese (di cui al D.Lgs. n. 168 del 2003, art. 1), i procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza e le controversie che ne derivano relativi alle imprese "in" amministrazione straordinaria (e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione), in esatta rispondenza, peraltro, a quanto stabilito dalla corrisponde parte della L. delega, art. 2, lett. n).

Da questo punto di vista non può sostenersi che l'interpretazione letterale dell'art. 27, concretizzi una irragionevole riduzione dell'ambito applicativo della norma in senso non conforme ai principi della legge delega, dal momento che anche il principio della delega, che viene specificamente in considerazione, è attestato sul riferimento alle imprese "in" amministrazione straordinaria, e non a quelle assoggettabili alla procedura (L. n. 155 del 2017, art. 2, lett. n), n. 1).

XI. - In quest'ottica un'ulteriore considerazione è opportuno svolgere.

Va ricordato che, ove l'interpretazione letterale sia sufficiente a individuare, in modo chiaro e univoco, il significato e la portata precettiva di una norma di legge, l'interprete non può (né deve) ricorrere a criteri ermeneutici sussidiari.

Lo stesso criterio della mens legis può valere solo nel caso in cui, nonostante l'impiego del criterio letterale e del criterio teleologico singolarmente considerati, la lettera della norma rimanga ambigua, così da acquistare quel ruolo paritetico e comprimario rispetto al criterio letterale che è assentito dalla giurisprudenza di questa Corte.

Per contro - come detto - mai è consentito all'interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono, nell'ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica del complesso normativo in cui la norma si inserisce (cfr. Cass. n. 24165-18, Cass. n. 5128-01, nonché per varie applicazioni Cass. n. 12081-03, Cass. n. 3382-09 e altre).

XII. - Ora non si nega che il criterio interpretativo sussidiario teleologico o anche sistematico - al quale in pratica hanno fatto riferimento sia il provvedimento gravato, sia il procuratore generale - possa assumere rilievo. Ma ciò nell'ipotesi, assolutamente eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della norma sia incompatibile col sistema nel suo complesso. Il che è stato anche recentemente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte a mezzo dell'affermazione che il fondamentale canone di cui all'art. 12 preleggi, comma 1, impone all'interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione, potendo bensì con esso concorrere i criteri della interpretazione teleologica e sistematica purché l'interprete non varchi il limite esegetico consentito dall'enunciato formale (art. 101 Cost.) (v. pressoché testualmente Cass. Sez. U. n. 877621).

Una condizione di manifesta incompatibilità sistematica non è riscontrabile nel caso di specie, né guardando alla normativa di cui al decreto legislativo delegato (cui si deve il CCII), né guardando al rapporto tra codesta e la L. delega n. 155 del 2017.

XIII. - Non lo è dal primo punto di vista, poiché è errato affermare che il sistema prescelto dal legislatore delegato converga in sé verso il criterio della concentrazione delle procedure in alcuni specifici uffici, a misura del coinvolgimento di imprese di maggiori dimensioni in sé e per sé considerate e dell'annessa esigenza di specializzazione.

In questo senso l'individuazione della mens legis fatta dall'orientamento al quale ha aderito la corte d'appello di Bologna, e a cui è ancorata la difesa delle società resistenti, è assertiva.

La pur avvertita esigenza di specializzazione dei magistrati investiti delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza, incentrata sulla cd. suddivisione tripartita della competenza di cui alla L. delega, art. 2, lett. n), - fra (i) tribunali sede delle sezioni specializzate in materia di impresa, per le procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi e per quelle da aprirsi nei confronti dei gruppi di imprese di rilevante dimensione, (ii) tribunali circondariali, quanto alle procedure riservate ai cd. sovraindebitati, e (iii) tribunali circondariali specificamente selezionati in base a criteri di tipo quantitativo, quanto alle restanti procedure ordinarie - non è stata, nel CCII, tradotta in disciplina.

E tanto risponde a una constatazione ovvia, quanto diffusa.

Detto altrimenti: la disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese non è confluita nel CCII, e l'art. 350 ha semplicemente modificato le sopra citate norme delle leggi speciali (la Prodi-Bis e la Marzano), sostituendo, per la dichiarazione d'insolvenza, il tradizionale criterio di collegamento della sede principale con un richiamo al tribunale competente ai sensi dell'art. 27 del CCII; mentre la delega non è stata attuata nel più ampio criterio dell'art. 2, lett. n), n. 3, che avrebbe inteso concentrare nei maggiori tribunali (da individuare, peraltro, secondo diversi concorrenti indicatori) la competenza per le procedure concorsuali in genere (salve le cd. procedure minori di composizione delle crisi da sovraindebitamento).

XIV. - Se poi si estende la visuale al rapporto tra il decreto delegato e la legge di delegazione, è da dire che la scelta del legislatore delegato, incentrata sulla attuazione parziale della delega a mezzo del D.Lgs. n. 14 del 2019, non ha integrato alcuna violazione.

E ciò non solo perché la legge delega, implicando la possibilità di adottare, con l'osservanza dei principi e criteri direttivi fissati, "uno o più decreti legislativi per la riforma organica delle procedure concorsuali", ha dato per presupposto il conferimento di un potere di intervento legislativo non necessariamente consumabile uno actu - cosa d'altronde ampiamente dimostrata dalla prassi, peraltro sempre più frequente a livello generale, dei decreti correttivi; ma anche e soprattutto perché l'attuazione parziale della delega non concretizza, in sé, una violazione dei principi costituzionali, in quanto non è dato riscontrare nel sistema l'eccesso di delega in minus.

Costantemente si assume che il parziale esercizio della delega da parte del legislatore può determinare una responsabilità politica del Governo verso il Parlamento, ma non una violazione dell'art. 76 Cost., a meno che ciò non comporti uno stravolgimento completo della legge di delegazione (tra le moltissime, C. Cost. n. 223-19, C. Cost. n. 304-11, C. Cost. n. 149-05, nonché C. Cost. n. 283-13 (ord.) e n. 257-05 (ord.)).

Il che non è dato di ritenere, visto che la lettura d'insieme non conduce a dire che l'intera riforma delle procedure concorsuali sia stata, nella prospettiva del legislatore delegante, tutta racchiusa nel criterio di concentrazione.

Il vero è che il controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante richiede semmai un confronto fra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, l'uno relativo alla norma specifica che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega nel segmento di normazione che interessa, l'altro relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con quelli. Cosicché, se certamente, da un lato, il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto del complessivo contesto nel quale si inseriscono la legge-delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonché delle finalità che la ispirano, dall'altro la delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato, che può essere più o meno ampia in relazione al grado di specificità dei criteri fissati.

Quel che conta è valutare se il legislatore abbia ecceduto tali margini di discrezionalità tenendo conto delle caratteristiche più o meno stringenti dei criteri involti dalla norma di delega (v. applicazioni del principio C. Cost. n. 98 del 2008 e prima ancora, in indicativa sequenza C. Cost. n. 250 del 1991, n. 198 del 1998, n. 163 del 2000, n. 290 del 2001, n. 413 del 2002, n. 199 del 2003, n. 426 del 2006, n. 340 del 2007; n. 490 del 2000 (ord.), n. 213 del 2005 (ord.)).

Ed è palese che nessuna violazione può esser ravvisata quanto al criterio specifico di delega che qui rileva; il quale criterio è per l'appunto evincibile dalla medesima lett. n), n. 1, ai sensi del quale è postulata l'attribuzione ai tribunali sede delle sezioni specializzate in materia di impresa della competenza sulle procedure concorsuali e sulle cause che da esse derivano "relative alle imprese in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione".

Pertanto il limite intrinseco della funzione delegata non è stato, ai fini che qui interessano, eluso e la ratio della delega non è ricostruibile nel senso della concentrazione della competenza in relazione al tipo di impresa (se cioè assoggettabile o meno all'amministrazione straordinaria), sebbene, più limitatamente, nel senso della definizione della competenza una volta per tutte secondo la regola fissata per la dichiarazione dello stato di insolvenza, anche rispetto ai procedimenti regolatori alternativi (o alle controversie discendenti) ove riguardanti - poi - le imprese ammesse all'amministrazione straordinaria.

XV. - Va quindi dichiarata la competenza del tribunale di Reggio Emilia.

Le spese del regolamento a istanza di parte, considerata la complessità della questione controversa e la mancanza di precedenti in tema, possono essere interamente compensate.

 

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara la competenza del tribunale di Reggio Emilia; compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2021.