Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2546 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 12 Agosto 2009, n. 18234. Rel., est. Cultrera.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sugli atti pregiudizievoli ai creditori - Azione revocatoria fallimentare - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - In genere - Pegno di titoli costituito dal terzo a garanzia delle obbligazioni del fallito - Vendita dei titoli da parte della banca creditrice su ordine del garante - Accreditamento dell'importo sul conto corrente del fallito - Estinzione dello scoperto di conto - Omessa rivalsa da parte del terzo prima del fallimento - Revocabilità del versamento - Esclusione - Fondamento.



In tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo garante sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67, secondo comma, della legge fall., quando risulti che con esse il terzo, utilizzando mezzi propri e senza rivalersi nei confronti del debitore prima del fallimento, non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma si è limitato ad adempiere l'obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice. Pertanto, nel caso in cui il terzo dia ordine alla banca di vendere titoli di Stato da lui costituiti in pegno a garanzia delle obbligazioni assunte dal fallito e di accreditare il relativo controvalore sul conto corrente del debitore, l'operazione realizza una mera annotazione contabile, cioè un atto neutro rispetto al conto corrente, che riduce l'esposizione passiva senza avere, ai fini predetti, natura solutoria con riguardo al patrimonio del fallito, non acquisendo quest'ultimo la disponibilità economica e giuridica della somma stessa. (massima ufficiale)


Massimario, art. 67 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario - Presidente -
Dott. CECCHERINI Aldo - rel. Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO NEW LEASE S.R.L. (P.I. 06695700150), in persona del Curatore Avv. ZOCCOLA BUZZONI MARIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 197, presso l’avvocato MEZZETTI MAURO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCECA SALVATORE, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
BANCA ANTONIANA POPOLARE VENETA S.P.A. (c.f. 02691680280), in persona del Dirigente addetto alla Filiale di Milano pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. BETTOLO 17, presso l’avvocato QUINTARELLI ALFONSO, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio dott. GABRIELE CORCIULO di PADOVA - Rep. n. 60879 del 18.05.09;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2783/2003 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/10/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 23/06/2009 dal Consigliere Dott. CULTRERA Maria Rosaria;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato SALVATORE MARCECA che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Milano, con la decisione ora impugnata n. 2783 depositata il 14 ottobre 2003, a conferma di precedente pronuncia del Tribunale di Milano, ha parzialmente accolto la domanda proposta con atto di citazione del 23.5.96 dal curatore del fallimento New Lease contro Banca Nazionale dell’Agricoltura, ora Monte dei Paschi di Siena, per ottenere la revoca, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, di due versamenti effettuati in periodo sospetto sul c/c ordinario n. 8218/G intestato alla societa’ ed acceso presso l’agenzia di Rho, condannando la convenuta alla restituzione della somma di L. 20.790.000, pari all’importo della sola rimessa non contestata. In relazione all’altro versamento di L. 568.525.817, il curatore aveva sostenuto in punto di fatto che si trattava di un accreditamento eseguito sul conto corrente della fallita, che presentava scoperto, dal terzo Giuseppe Galli, pari all’importo del titoli di Stato che questi aveva costituito in pegno in favore della banca a garanzia delle obbligazioni assunte dalla fallita, che la stessa banca aveva venduto su suo ordine.
La Corte di merito ha escluso la revocabilita’ di tale versamento in quanto non era stata acquisita la prova che il debito fosse stato pagato con denaro della fallita, atteso che l’annotazione del controvalore dei titoli rappresentava atto formale non riferibile al correntista, ovvero che suddetto garante avesse esercitato azione di rivalsa prima dell’apertura del fallimento con recupero del relativo importo.
Difettava, in conclusione, la prova di un’effettiva relazione/iterazione fra il pagamento ed il patrimonio della fallita. Contro questa decisione il curatore del fallimento New Lease ha proposto il presente ricorso per Cassazione in base a tre motivi resistiti dalla Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. intimata con controricorso. Quest’ultima si e’ fusa per incorporazione con il Monte del Paschi di Siena, che ha depositato documentazione relativa alla vicenda societaria e procura speciale conferita a nuovo difensore per intervenuto decesso del precedente difensore Avv. Francesco Paola.
Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente:
1.- col primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2 e deduce a conforto che l’enunciato espresso nel precedente di questa S.C. n. 522 del 1999 che sorregge la conclusione impugnata non e’ applicabile nel caso di specie in quanto il denaro incassato dal terzo si confonde col patrimonio del fallito, sicche’ il successivo versamento al creditore rappresenta pagamento di debito, come tale revocabile. Cita a sostegno principio contrario a quello condiviso dai giudici di merito, espresso nelle sentenze della Cassazione n. 11520/1998 e 13159/2002 che chiariscono che, laddove confluisce nel conto corrente, il versamento del terzo ne diviene posta attiva, con conseguente sua revocabilita’ entro il limite dello scoperto.
La resistente replica deducendo infondatezza del mezzo siccome non individua quale sarebbe il principio sul quale si sarebbe basata la Corte territoriale, la cui asserita applicazione determinerebbe il vizio denunciato. La decisione impugnata infatti non reca alcun cenno al precedente richiamato nel motivo ma ad altro arresto della Cassazione n. 570/99, pronunciato in fattispecie analoga a quella discussa.
2.- Col secondo motivo deduce vizio d’insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia ed ascrive all’organo giudicante omessa rappresentazione delle ragioni fondanti il suo sillogismo, basato su principio, come sopra riferito, ormai superato e disapplicato in sede di merito – v. Tribunale Monza 20 novembre 2001.
La resistente deduce inammissibilita’ della censura ed infondatezza anche di tale motivo.
3.- Col terzo motivo deduce vizio d’omessa pronuncia - art. 112 c.p.c. -, sulla questione, gia’ dedotta in primo grado, riguardante la declaratoria di nullita’ del pegno.
L’esistenza della garanzia risultava infatti smentita dai documenti nn. 20 e 21 prodotti dalla banca innanzi al tribunale, da cui emergeva che la stessa era solo depositaria dei titoli BOT intestati al terzo, e non certo creditore pignoratizio, e che avendo ordinato lo svincolo dei titoli aveva rinunciato al preteso diritto di garanzia.
La controricorrente deduce giudicato interno sulla questione che, prospettata in primo grado e risolta in quella sede, non e’ stata sottoposta al riesame del giudice d’appello.
Quest’ultimo motivo, che ha priorita’ logica e merita percio’ esame preliminare, e’ inammissibile.
Il ricorrente assume, ma il dato e’ pacifico, d’aver sottoposto la questione ivi prospettata al primo giudice; omette tuttavia di riferire se e con quale mezzo investi’ il giudice d’appello della richiesta di riesame sulla statuizione impugnata, ovviamente a lui sfavorevole, onde ottenerne riforma in parte qua. ha sentenza in esame non accenna affatto alla questione, ne’ in parte narrativa ne’ in motivazione, evidentemente perche’ non era stata riproposta, logicamente in quanto la sua disamina era priva di rilevanza. Emerge infatti dal tessuto argomentativo che sorregge l’approdo, che la somma confluita sul conto corrente intestato alla societa’ fallita venne versata dal Galli a seguito della vendita dei titoli che egli aveva concesso in pegno alla banca e che questa vendette su suo ordine.
In tale contesto ricostruttivo, la rimessa e’ stata qualificata dai giudici di merito versamento eseguito dal terzo, e quindi e’ stata esaminata in jure secondo prospettiva ad esso calzante, trascurando del tutto, perche’ estranea all’economia della decisione conclusiva, la diversa problematica giuridica scaturente dall’escussione del pegno e dal conseguente incameramento del controvalore dei titoli dati in garanzia alla banca dal Galli. Ne discende, attesa peraltro la rilevata genericita’ della censura, esposta in senso tautologico e coltivata in palese violazione del principio di autosufficienza che assiste la formulazione del ricorso per Cassazione, che la questione devesi dichiarare ormai preclusa, essendosi formato su di essa il giudicato interno.
I primi due motivi, i quali meritano esame congiunto in quanto sono logicamente connessi, sono infondati.
La decisione impugnata, la cui ratio decidendi si fonda sull’assunto che l’accredito del controvalore dei titoli sul conto intestato alla societa’ garantita rappresenta mera annotazione contabile, e dunque non pone la somma nella disponibilita’ giuridica e materiale del correntista, fa buon governo di una costruzione esegetica corretta. Si e’ detto che e’ pacifico in punto di fatto che la banca nella specie non realizzo’ il pegno costituito dal terzo a garanzia dell’apertura di credito in conto corrente concessa alla societa’ poi fallita, caso in cui pacificamente l’accredito della somma corrispondente non costituisce rimessa revocabile poiche’ non entra nel patrimonio del debitore ma e’ solo l’effetto dell’esercizio, legittimo, della prelazione (per tutte Cass. nn. 2456/2008, 26898/08).
Vendette invece i titoli oggetto della prelazione su disposizione del garante, e quindi verso’ il corrispettivo realizzato sul conto della societa’ New Lease, che in quel momento presentava lo scoperto. Si e’ ancora sottolineato, che in questa cornice di riferimento fattuale, la Corte territoriale ha qualificato la rimessa in termini di pagamento del terzo e quindi ha indagato sull’esistenza dei requisiti che, secondo esegesi ormai consolidata sia fra gli studiosi della materia che nel diritto vivente, ne avrebbero potuto giustificare la revoca. Tale percorso logico e argomentativo, cosi’ come la sintesi conclusiva che ne’ e’ scaturita, sono immuni dai vizi denunciati. E’ jus receptum che, nel caso in cui un debito del fallito sia stato saldato da un terzo, la revocabilita’ del pagamento deve essere esclusa allorche’ il terzo abbia impiegato mezzi propri; tanto a condizione che egli non abbia esercitato azione di rivalsa nei confronti del debitore prima ancora del fallimento, circostanza quest’ultima pacificamente insussistente nel caso di specie. Laddove risulti provato, ma quest’onere deduttivo e probatorio incombe sul curatore fallimentare, che egli abbia eseguito il pagamento attingendo alla provvista del debitore fallito, la revocabilita’ e’ invece indiscussa, purche’ ricorrano le ulteriori condizioni postulate dal disposto della L. Fall., art. 67, comma 2. Nel primo caso, e sempre che non vi sia stata rivalsa, non vi e’ la lesione della par condicio, che rappresenta la ratio legis sottostante il governo dell’istituto della revocatoria secondo la disposizione normativa citata, perche’ il patrimonio del fallito in conseguenza di quel pagamento non ha subito alcun depauperamento; la surroga che il terzo che ha adempiuto ha facolta’ d’esercitare a mente dell’art. 1203 c.c. colloca infatti il solvens nella medesima posizione dell’accipiens soddisfatto, dunque non incrementa la massa passiva, ne’ per l’effetto turba il perseguito equilibrio fra le posizioni dei creditori. Ma ancor piu’ evidente e’ l’assenza di una lesione al trattamento paritario del ceto creditorio laddove il terzo, che abbia veste giuridica di garante, adempia in tale qualita’ alla propria obbligazione discendente dalla concessione della garanzia.
Il debitore, la cui esposizione verso la banca beneficia della garanzia, e’ estraneo al regolamento discendente dal rapporto di garanzia e, come ha sottolineato l’orientamento consolidatosi sul solco della decisione delle S.U. n. 1684/2005 - Cass. nn. 9143/07, 19088/07, 13092/08 -, la somma realizzata transita si’ sul suo conto corrente, ma non entra nella sua disponibilita’ giuridica, dunque resta estranea al suo patrimonio. L’annotazione ha funzione solo contabile e carattere formale, e non implica attribuzione della titolarita’ del rapporto poiche’ il pagamento, imputato correttamente alla sfera patrimoniale del terzo che ha concesso la garanzia, non e’ riferibile al correntista, neppure in via mediata. Le rimesse effettuate dal terzo fideiussore non sono percio’ revocabili ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2.
Non diversa e’ la soluzione nel caso in cui il garante, come nella specie, abbia eseguito bonifico che abbia trasferito il corrispettivo della vendita dei titoli concessi in pegno, ma non fatti oggetto di escussione sul conto corrente intestato al debitore garantito. Questi neppure in tale caso acquista la disponibilita’ economica e giuridica della somma, che non viene per cio’ solo attratta nel patrimonio del fallito, ma resta pur sempre correlata al pagamento di un terzo, i cui effetti vanno verificati alla luce dei criteri riferiti mantenendo la sua natura di atto neutro rispetto al rapporto di conto corrente, come tale non avente natura solutoria.
La decisione si colloca nel tracciato dell’enunciato sopra riferito, dunque e’ immune da critica. I motivi la criticano con richiami a precedenti di questa Corte, citati ancora nella memoria difensiva, che si sono espressi in senso difforme, ormai superati dalla pronuncia delle Sezioni Unite indicata intervenuta al fine di comporre il contrasto esegetico originato propri da quei precedenti, di cui da atto il ricorrente, alla fine smentiti dalla conclusione enunciata.
Tanto premesso, il ricorso deve essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese della presente fase liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge. Così deciso in Roma, il 23 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2009