Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2535 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 06 Agosto 2009, n. 17998. Rel., est. Fioretti.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sugli atti pregiudizievoli ai creditori - Azione revocatoria fallimentare - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - In genere - Stato di insolvenza - Presunzione di conoscenza ex art. 67, primo comma, legge fall. - Prova contraria - Oggetto - Assenza di circostanze evidenzianti l'insolvenza - Insufficienza - Positiva dimostrazione di fatti idonei a far ritenere, secondo criteri di ordinaria diligenza, una situazione di normalità nell'esercizio dell'impresa - Riferibilità temporale al momento dell'atto revocando - Necessità.



In tema di revocatoria fallimentare, al fine di vincere la presunzione di conoscenza dello stato d'insolvenza, posta dall'art.67, primo comma, n.1 legge fall. (nel testo "ratione temporis" vigente), grava sul convenuto l'onere della prova contraria, la quale non ha contenuto meramente negativo, e non può quindi essere assolta con la sola dimostrazione dell'assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato d'insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nel momento in cui è stato posto in essere l'atto revocabile, sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l'imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell'impresa. Ne consegue che, ai fini della prova positiva della "inscientia decoctionis", la mancanza di protesti cambiari e di procedure esecutive immobiliari a carico della società fallita può in concreto non assurgere a decisiva rilevanza, pur trattandosi di indizi rivelatori di insolvenza, nè la medesima prova può derivare dall'allegazione di una circostanza (come i dati contabili dei bilanci della debitrice) appresa dalla parte convenuta solo dopo la conclusione dell'atto (nella specie, una compravendita immobiliare con prezzo notevolmente sproporzionato rispetto al valore del bene) e comunque non tale da consentire all'uomo medio di rendersi conto della esistenza di una situazione di insolvenza dell'altro contraente. (massima ufficiale)


Massimario, art. 67 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - rel. Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PASTORE DECIO, nella qualita’ di curatore del fallimento GAVIMM G. B. INVEST s.p.a. (c. f. 05295100639), elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 145/A, presso l’avvocato ALLEGRA GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato DI MARTINO DOMENICO, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente –
contro
INGENITO ANTONIO (c.f. NGNNTN65M11F839R), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SAPORITO VITTORIO, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2833/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 05/06/2009 dal Consigliere Dott. FIORETTI Francesco Maria;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato V. SAPORITO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso con assorbimento degli altri motivi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Fallimento della Gavimm G.B. Invest, dichiarato dal Tribunale di Napoli il 5.10.1995, con atto di citazione, notificato il 9.12.1999, convenne in giudizio dinanzi allo stesso Tribunale Antonio Ingenito per sentir dichiarare inefficace nei confronti della massa dei creditori, ai sensi della L. Fall., art. 67, commi 1 e 2, l’atto a rogito del Notaio D’Anna del 21.10.1994, con il quale la societa’, poi dichiarata fallita, aveva alienato al convenuto un appartamento ed un box auto, siti in Napoli, alla via Alcide Cervi 48, per il corrispettivo di 165 milioni delle vecchie L..
A sostegno delle domande il fallimento dedusse che la vendita era avvenuta quando era ormai evidente la crisi finanziaria, in cui versava la societa’ poi fallita, e che il prezzo pattuito in corrispettivo era irrisorio rispetto al valore di mercato dell’immobile, che il proprio consulente aveva stimato in L. 287 milioni.
L’Ingenito si costitui’ in giudizio e contesto’ la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi delle azioni. Affermo’, in particolare, che il prezzo corrisposto alla Gavimm G.B. Invest corrispondeva alle stesse valutazioni del c.t. di parte attrice, il quale aveva erroneamente aggiunto al valore degli immobili in questione quello di L. 106.000.000 attribuito all’attico che l’Ingenito stesso aveva costruito abusivamente, e poi condonato, sul terrazzo di copertura e che egli ignorava lo stato di insolvenza della venditrice, la quale gli aveva ceduto la detenzione dell’appartamento ben quattro anni prima della stipula del rogito, in forza di un contratto preliminare, che era stato distrutto alla firma del definitivo.
Il Tribunale adito, dichiarate inammissibili le prove orali articolate dal convenuto e disposta c.t.u., al fine di accertare il valore dell’immobile alla data della vendita, con sentenza 15.10.05 accolse la domanda proposta ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1.
Detta sentenza e’ stata impugnata dall’Ingenito dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli, che, accogliendo il gravame, ha rigettato la domanda proposta dal Fallimento della Gavimm G.B. Invest s.p.a.. Avverso tale sentenza la curatela del menzionato Fallimento ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di cinque motivi. Ingenito Antonio ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui all’art. 115 c.p.c. e all’art. 2697 c.c. — Errore di diritto ed illegittimita’ ex art. 360 c.p.c., n. 3.
Deduce il ricorrente che il compratore, al fine di vincere la presunzione di conoscenza dello stato d’insolvenza del venditore, prevista dalla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1, e’ tenuto a dare la dimostrazione positiva della sussistenza e/o del verificarsi di fatti o circostanze che abbiano impedito la conoscibilita’ di detta situazione.
Avrebbe, pertanto, errato la Corte d’Appello nel ritenere che l’Ingenito abbia vinto la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza della societa’ venditrice limitandosi a dedurre che alla data del rogito non sussistevano ne’ protesti, ne’ procedimenti esecutivi a carico della venditrice, e nel l’affermare che l’inscientia decoctionis possa essere dimostrata anche attraverso la allegazione di circostanze, tali da far ritenere che l’imprenditore si trovava in una situazione normale di esercizio della impresa, di cui la parie abbia avuto conoscenza soltanto dopo la conclusione del contratto.
Con il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia - illegittimita’ ex art. 360 c.p.c., n. 5.
La Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare che l’Ingenito si e’ attivato, per conoscere lo stato di salute della societa’, solo nel corso del giudizio, richiedendo il bilancio della societa’ fallita solo in data 29.11.2000, quindi solo in corso di causa. L’allegazione di circostanze di cui il convenuto ha avuto conoscenza dopo la conclusione del contratto, ovvero nel corso del giudizio di primo grado, rappresenterebbe la prova della incuria e della negligenza dello stesso nel momento della stipula del rogito. Tale comportamento, ove preso in considerazione dalla Corte d’Appello sarebbe stato astrattamente idoneo a determinare la conferma della sentenza del Tribunale di Napoli.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia erronea, insufficiente ed illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia - Illegittimita’ ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Deduce il ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente valutato l’elaborato del c.t.u., avendo omesso di considerare alcuni passi che avrebbero potuto portare il giudice, con riferimento al requisito della sproporzione delle reciproche prestazioni, ad un diverso convincimento.
Con il quarto motivo denuncia erronea, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia - Illegittimita’ ex art. 360 c.p.c., n. 5. La motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria laddove da un lato afferma che dal rogito notarile si ricava che lo stabile, di cui fa parte l’appartamento in questione, era stato acquistato al rustico dalla societa’ nel maggio 1990 ed interamente ristrutturato, grazie ad un mutuo di oltre L. tre miliardi concessole dal San Paolo di Torino, per cui l’Ingenito non avrebbe potuto dubitare della buona salute della societa’ venditrice; dall’altro evidenzia, in contrasto con tale affermazione, che la societa’ era stata costretta a concedere la temporanea detenzione degli immobili anche prima della stipula dei rogiti, per poter far fronte, attraverso le anticipazioni dei pagamenti dei corrispettivi effettuati dai detentori, al mutuo concesso da detto Istituto.
Tale contraddizione evidenzierebbe che la societa’ non aveva in realta’ le capacita’ finanziarie per estinguere con mezzi propri il mutuo contratto e che, percio’, la concessione del medesimo non poteva rappresentare per l’Ingenito, che lo estingueva poco a poco con propri assegni, una circostanza utile a rasserenarlo circa il buono stato di salute della Gavimm G.B. Invest s.p.a.. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia illegittimita’ ex art. 360 c.p.c., n. 5 – Omessa motivazione sulla insussistenza della necessita’ di rimessione in istruttoria.
Deduce il ricorrente che la decisione della Corte d’Appello sarebbe errata, per non avere motivato su richieste istruttorie (ammissione di nuova c.t.u. per stabilire l’esatto valore di mercato dell’immobile compravenduto, ed ammissione della prova testimoniale richiesta con la memoria depositata il 2.4.2001), avanzate in via subordinata dall’appellante.
Il primo motivo di ricorso e’ fondato.
La Corte d’appello ritiene nella impugnata sentenza di non poter condividere il costante orientamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte di Cassazione, secondo cui la prova dell’inscientia decoctionis del terzo convenuto in revocatoria, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, non puo’ essere assolta con la mera dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato di insolvenza, occorrendo la positiva dimostrazione che, nel momento in cui e’ stato posto in essere l’atto revocabile, sussistevano circostanze tali da far ritenere ad un soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell’impresa.
Secondo la Corte d’Appello tale orientamento giurisprudenziale potrebbe portare a risultati iniqui con l’impedire al giudice di valutare la buona fede del terzo contraente e di fondare la decisione sul proprio libero convincimento.
Per scongiurare tale pericolo il giudice dovrebbe tenere conto di quanto normalmente avviene nella pratica in caso di transazioni commerciali concluse da qualsivoglia soggetto privato con un imprenditore, considerando che e’ da escludere che normalmente un privato faccia precedere il proprio acquisto da indagini accurate ed approfondite in ordine ad ogni possibile aspetto, dal quale trarre indicazioni sulla situazione patrimoniale dell’imprenditore. Partendo da tali premesse la Corte ritiene che, operando in tema di prova il principio della acquisizione processuale, "nulla impedisce che clementi atti a vincere la presunzione possano essere tratti anche dalle difese della controparte o che l’inscientia decoctionis possa essere dimostrata anche attraverso l’allegazione di circostanze di cui la parte abbia avuto conoscenza dopo la conclusione del contratto, ma che, nel caso in cui fossero state preventivamente acquisite, avrebbero rafforzato il convincimento della parte stessa in ordine alla inesistenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore.
Dopo tali premesse di carattere generale la Corte osserva che "Nel caso di specie e’ pacifico che alla data di stipulazione del contratto impugnato non fossero ancora emersi elementi tipicamente sintomatici del dissesto della societa’. E’ proprio dalle difese del Fallimento che emerge che la G B. Invest non risultava all’epoca ancora protestata, ne’ era gravata da procedure esecutive immobiliari; le normali interrogazioni, usualmente eseguite dal notaio incaricato del rogito, non avrebbero pertanto condotto all’emersione di dati, tali da ingenerare motivi di preoccupazione o di sospetto nell’acquirente. Inoltre, se si considera che G.B. Invest aveva ad oggetto la ristrutturazione e la vendita di immobili e che - come si ricava dal rogito notarile - l’immobile nel quale era situato l’appartamento oggetto della compravendila impugnata era stato acquistato dalla societa’ al rustico nel maggio del 1990 ed interamente ristrutturato, anche grazie alla erogazione di un mutuo di oltre tre miliardi delle vecchie L. concessole dall’Istituto San Paolo di Torino, non si vede per quale ragione l’odierno appellante avrebbe dovuto dubitare del fatto che la venditrice si trovasse in una situazione di normale esercizio della impresa.
La considerazione trova conforto nell’esame del bilancio dell’esercizio del 1993 depositato dalla societa’ poi fallita che, sebbene non consultato dall’Ingenito anteriormente alla stipulazione del contratto, prova che un soggetto, quale l’appellante, non dotato di conoscenze in materia commerciale e contabile, non avrebbe potuto rendersi conto delle difficolta’ economiche in cui si dibatteva la venditrice neppure se avesse usato una diligenza usualmente non richiesta, preoccupandosi di verificare lo stato patrimoniale ed il conto economico della societa’. Cio’ che detto bilancio avrebbe rivelato a un non addetto ai lavori, infatti, e’ che la G. B. Invest aveva un patrimonio netto di L. 900 milioni, aveva prodotto utili nell’esercizio precedente a fronte di una modesta perdita nell’esercizio 93, aveva ingenti crediti da riscuotere a breve e, soprattutto, aveva in corso numerosi cantieri. Le contrarie deduzioni del Fallimento sono invece fondate su un’accurata analisi dei dati del bilancio (indici di disponibilita’, rapporto di liquidita’ fra attivita’ correnti senza le scorte e passivita’ correnti, rapporto di indebitamento) o su circostanze (l’avvenuto aumento del capitale sociale da 800 milioni ad un miliardo e mezzo attraverso l’emissione da parte della societa’ di obbligazioni) di non immediata evidenza e che dunque, quand’anche rivelatrici di uno stato di illiquidita’ della societa’, non avrebbero potuto essere colte da un soggetto privo di specifiche competenze tecniche.
Sempre dal rogito notarile si ricava, poi, che alla data di stipulazione del contratto l’Ingenito gia’ abitava nell’appartamento che gli fu venduto, e tale circostanza, considerata unitamente alle copie degli assegni emessi sin dal 1991 in favore della G. B. Invest prodotti dall’appellante nel proprio fascicolo di parte (uno dei quali quietanzato dall’Istituto San Paolo, "ad estinzione mutuo gravante sull’appartamento") non puo’ che confortare l’assunto della buonafede dell’acquirente, da tempo impegnatosi nell’acquisto e tranquillizzato dai fatto che la societa’ gli aveva anticipatamente concesso la detenzione dell’immobile. Deve in conclusione ritenersi che l’Ingenito abbia vinto la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza". Tali argomentazioni non possono essere condivise.
Non appare accettabile il principio secondo cui, al fine del superamento della presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza, il giudice puo’ valutare a favore del convenuto anche circostanze ignorate da questo al momento della conclusione del contratto di compravendita e da questo apprese solo nel corso del successivo processo, qualora si tratti di circostanze di fatto (nel caso che ne occupa sarebbero costituiti dai dati contabili risultanti dai bilanci della societa’ venditrice) che non avrebbero consentito comunque all’uomo medio di rendersi conto della esistenza di una situazione di insolvenza dell’altro contraente.
Se tali dati non erano conosciuti al momento della conclusione del contratto, si deve escludere che gli stessi, anche se non consentivano all’uomo medio di formulare un giudizio negativo sullo stato di salute della impresa, possano avere avuto una qualche influenza determinante nel rafforzare il convincimento dell’acquirente di trovarsi di fronte ad un imprenditore in una situazione di normale esercizio della impresa. Ne’ puo’ ritenersi sufficiente per vincere detta presunzione il fatto che all’epoca del contratto la societa’ venditrice dell’immobile, per cui e’ causa, non era ancora protestata ne’ era gravata da procedure esecutive immobiliari, atteso che secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte di Cassazione, che il collegio condivide, non valendo le considerazioni espresse dalla Corte d’Appello a metterne in dubbio la validita’, l’onere della prova contraria gravante sul convenuto in revocatoria non ha contenuto meramente negativo e non puo’ quindi essere assolto con la mera dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato di insolvenza, come ritenuto invece dal giudice a quo, occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nel momento in cui e’ stato posto in essere l’atto revocabile, sussistevano circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell’impresa (cfr. tra le piu’ recenti: Cass. n. 10629 del 2007; Cass. n. 10432 del 2005; Cass. n. 17214 del 2004). La Corte di appello nel decidere non si e’ attenuta a tale fondamentale principio senza dare convincenti e giuridicamente fondate ragioni di tale dissenso. Per quanto precede il motivo di ricorso in esame deve essere accolto; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione a tale motivo e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’ e per la decisione si atterra’ al principio di diritto sopra enunciato. L’accoglimento di detto motivo comporta la dichiarazione di assorbimento degli altri motivi di ricorso.
P.Q.M.
LA CORTE
Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.
Cosi’ deciso in Roma, il 5 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2009.