Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2532 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 23 Settembre 2009, n. 20482. Rel., est. Panzani.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Sugli atti pregiudizievoli ai creditori - Azione revocatoria fallimentare - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - In genere - "Scientia decoctionis" - Nozione - Mera conoscibilità astratta alla stregua dell'ordinaria diligenza - Sufficienza - Esclusione - Conoscenza concreta - Necessità - Desumibilità da elementi presuntivi - Limiti - Colpevole ignoranza dello stato di insolvenza - Rilevanza - Esclusione - Fattispecie.



In tema di azione revocatoria fallimentare, la sussistenza del requisito della "scientia decoctionis" non può essere desunta dalla mera conoscibilità dello stato di insolvenza e, pur giovando al fine del suo accertamento le presunzioni evincibili da circostanze esterne obiettive - tali da indurre ragionevolmente una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza a ritenere che la controparte del rapporto si sia trovata in stato di dissesto - la effettiva conoscenza, da parte del creditore, dello stato di insolvenza del debitore, in quanto elemento positivo della predetta azione, non può essere ravvisata per il fatto che la ignoranza di tale insolvenza sia colpevole. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la sussistenza del requisito in esame, ritenendo che, dalla relazione degli amministratori e dal bilancio di una società posta in liquidazione coatta amministrativa e poi dichiarata insolvente, si potesse al più ricavare la notizia di uno stato di difficoltà, a fronte del quale, oltretutto, gli amministratori non avevano messo la società in liquidazione, ma avevano pareggiato la perdita con le riserve di apposito fondo e reclamato finanziamenti pubblici promessi, confidando, con tali risorse e l'aumento di capitale deliberato, nella prosecuzione dell'attività). (massima ufficiale)


Massimario, art. 67 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - rel. Consigliere -
Dott. TAVASSI Marina - Consigliere -
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.A.M. Coop. Agricola di Macellazione s.c. a r.l. in liquidazione coatta amministrativa, in persona dei commissari liquidatori dott. Ruffini Luigino e dott. Mazzetti Mido, elettivamente domiciliata in Roma, piazzale Clodio 1, presso l'avv. Gaito Virgilio, che la rappresenta e difende con l'avv. Aldo Algani del foro di Bergamo, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
BANCO DI BRESCIA SAN PAOLO CAB SOCIETÀ PER AZIONI, in persona del presidente dott. Gino Trombi, elettivamente domiciliata in Roma, via Aquileia 12, presso l'avv. Morsillo Andrea, che la rappresenta e difende con l'avv. Giacomo Bettoni del foro di Brescia, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 383/04 del 27.4.2004;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7/7/09 dal Relatore Cons. Dr. Luciano Panzani;
Udito l'avv. Gaito per la ricorrente, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
Udito l'avv. Giordano Luca, sostituto processuale
dell'avv. Giacomo Bettoni, per la controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.A.M. Cooperativa Agricola di Macellazione a r.l. in liquidazione coatta amministrativa a far tempo dal 16.3.1990, essendo intervenuta dichiarazione dello stato d'insolvenza con sentenza del Tribunale di Cremona del 19.12.1990 conveniva avanti al Tribunale di Brescia la s.p.a. Banca Credito Agrario Bresciano per sentir revocare le rimesse aventi carattere solutorio affluite sul conto corrente di corrispondenza n. 10072 tra il 16.3.1989 ed il 16.3.1990 con condanna della convenuta alla restituzione delle somme percette, oltre accessori di legge. Chiedeva inoltre che fossero revocati tutti gli eventuali atti estintivi di debiti scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali di pagamento a partire dal 16.3.1988 e tutte le altre operazioni qualificabili come contratti mediante le quali la cooperativa risultasse aver ceduto al CAB a titolo oneroso crediti, titoli, carta commerciale, valuta e quant'altro nel periodo 16.3.1989-16.3.1990.
Affermava la cooperativa che lo stato d'insolvenza era noto alla banca convenuta in ragione delle periodiche relazioni al bilancio e dei modi via via adottati per farvi fronte, situazione che la banca non poteva ignorare in ragione della sua qualità di operatore qualificato e delle notizie che erano state pubblicate sulla stampa locale (giornale La Provincia del 27.6.1989).
La banca convenuta contestava il fondamento della domanda attorea, osservando che la cooperativa godeva di affidamenti per complessive L. 850.000.000, di cui 50 milioni per apertura di credito in conto corrente.
Esperita c.t.u. contabile diretta ad accertare a partire da quale data la cooperativa potesse considerarsi insolvente e se tale situazione potesse essere conosciuta in base ai bilanci, il Tribunale dichiarava inefficaci le rimesse solutorie effettuate dalla cooperativa nell'anno anteriore al decreto ministeriale che aveva disposto la liquidazione coatta, con conseguente condanna della convenuta al pagamento di L. 683.337.209 oltre interessi legali dalla data della domanda.
Su appello principale della banca ed incidentale della liquidazione coatta, la Corte di appello di Brescia con sentenza 27.4.2004, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la banca al pagamento della somma di Euro 26.192,76 oltre interessi di legge dal 10.3.1995 al saldo, compensando le spese per quattro quinti e ponendole a carico della banca per il restante quinto. Osservava la Corte che il fido di cinquanta milioni per apertura di credito in conto corrente non era opponibile alla procedura in quanto privo di data certa anteriore. Era invece fondato il motivo di appello con cui la banca si era doluta che il Tribunale avesse ritenuto sussistente la conoscenza dello stato d'insolvenza in ragione delle risultanze dei bilanci e delle relazioni degli amministratori. Se la situazione di dissesto doveva ritenersi nota per il periodo successivo alla pubblicazione di notizie sulla stampa locale, non altrettanto poteva dirsi per il periodo anteriore. Era onere della procedura provare l'effettiva conoscenza dello stato d'insolvenza da parte della banca, senza che, proprio in ragione di tale motivo, potesse essere di giovamento in proposito la qualità di operatore specializzato della banca. In proposito, pur essendo ammissibile la prova presuntiva, non poteva ritenersi sufficiente il fatto che il bilancio al 31.12.1987, depositato il 27.6.1988, mostrasse che l'impresa cadeva in un'area ad alta intensità di rischio, secondo l'opinione manifestata dal c.t.u. Il Tribunale aveva ritenuto di rafforzare tale conclusione sulla base della relazione degli amministratori allegata al bilancio. Tuttavia tale relazione non aveva evidenziato uno stato attuale d'insolvenza, pur dando atto che era impossibile ritornare ad una situazione "se non florida almeno sopportabile" e che investire nel settore significava "compiere un gesto di grande coraggio senza alcuna certezza nel futuro", per cui, trovandosi "stretti tra le morse di un mercato sempre più pesante e contraddittorio e la necessità istituzionale di garantire comunque il ritiro del bestiame dei soci con una "buona remunerazione" con il conseguente "accentuarsi in modo stridente delle difficoltà economiche di gestione", si che si era chiesto ai soci il sacrificio di raddoppiare il capitale sociale, in attesa di interventi pubblici di sostegno, che pur promessi non si erano allo stato concretizzati, e si erano utilizzate le riserve accantonate sul Fondo Sviluppo a copertura delle perdite, in modo da chiudere il bilancio in sostanziale pareggio. Anzi gli amministratori, lungi dal porre in liquidazione la società, si erano adoperati a proseguire l'attività manifestando ottimismo, si che non si poteva affermare che dalla lettura della relazione emergesse l'attualità della conoscenza dello stato d'insolvenza. La Corte d'appello, come già il Tribunale, riteneva infondata la domanda di revoca delle rimesse affluite a seguito dello sconto di due cambiali agrarie, posto che in tutto erano state scontate tre cambiali di L. 600 milioni ciascuna ed il netto ricavo dello sconto delle prime due era andato a copertura del debito relativo allo sconto delle successive, si che non vi era stato pregiudizio per i creditori, non risultando alterata la par condicio. La domanda era invece fondata per il debito relativo agli interessi, per i quali vi era stato effettivo rientro. Ne derivava che la domanda di revoca andava accolta per L. 27.259.324, pari ad Euro 14.078,26 relativamente alle rimesse effettuate dopo il 27.6.1989, data di pubblicazione sul giornale La Provincia delle notizie sullo stato d'insolvenza in cui si trovava la cooperativa, e per L. 23.456.951, pari ad Euro 12.114,50, relative al rientro sul debito per interessi relativi allo sconto delle cambiali agrarie, e quindi per complessivi Euro 26.192,76. Avverso la sentenza ricorre per cassazione la liquidazione coatta amministrativa articolando tre motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso la banca.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la liquidazione coatta deduce violazione della L. Fall., art. 67, comma 2, e art. 203 in connessione con gli artt. 2727 e 2729 c.c.. Lamenta che la Corte di appello avrebbe ritenuto oggetto di prova la stessa sussistenza della scientia decoctionis, che invece è presunta iuris et de iure; che la prova presuntiva deve avere ad oggetto proprio la conoscenza dello stato d'insolvenza e non i fatti noti dai quali tale stato può essere ricavato, come avrebbero invece affermato i giudici bresciani. Ricorda che questa Corte ha affermato che la scientia decoctionis deve essere effettiva, ma può essere oggetto di prova per presunzioni relative a quelle circostanze che possono farne ritenere provata la sussistenza, effettiva e non soltanto probabile, tenendo conto dei canoni di prudenza ed avvedutezza propri dell'operatore bancario, così come riconosciuto da questa Corte.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce difetto e
contraddittorietà di motivazione in ordine alla prova della scientia decoctionis.
L'affermazione che la relazione degli amministratori al bilancio del 1987 sarebbe ottimistica sarebbe del tutto ingiustificata e contraddittoria, avendo la Corte di merito ritenuto che la conoscenza dello stato d'insolvenza emergesse dalle notizie pubblicate sul giornale La Provincia, che invece erano assai meno circostanziate di quanto risultava dalla relazione degli amministratori. Costoro si erano determinati a proseguire l'attività in ragione dell'attesa di interventi pubblici che poi erano mancati e di ciò la Corte di merito non avrebbe dato conto. Dalla relazione degli amministratori risultava che il mercato era in crisi, che la cooperativa doveva ritirare il bestiame dagli allevatori assicurando una buona retribuzione, che le difficoltà economiche di gestione si erano accentuate in modo stridente, che gli amministratori si erano convinti dell'impossibilità di ritornare ad una situazione sopportabile, che il pareggio di bilancio si era realizzato soltanto tramite l'utilizzo delle riserve del Fondo Sviluppo, che era indispensabile il sostegno pubblico, sì che si chiedeva che le strutture della società fossero dotate dei mezzi e strumenti necessari per svolgere l'azione di tutela e sviluppo che veniva loro richiesta. Gli amministratori si risolvevano inoltre ad investire nel rinnovo delle strutture essendo le vecchie obsolete, compiendo, essi dicevano, un gesto di grande coraggio senza alcuna certezza per il futuro. L'aumento del capitale e l'intervento pubblico erano apporti futuri di mezzi soltanto sperati, che non potevano costituire al presente rimedio all'insolvenza.
La motivazione della Corte d'appello sarebbe insufficiente anche perché i giudici di appello non avrebbero precisato in che cosa sarebbero consistite le manifestazioni di fiducia nel futuro che sarebbero state espresse dagli amministratori e, ancora, la Corte non avrebbe spiegato perché la situazione d'insolvenza non sarebbe stata attuale con una perdita d'esercizio di almeno L. 700 milioni, pari all'ammontare del Fondo Sviluppo.
La Corte nell'analizzare la c.t.u. avrebbe illogicamente affermato che da essa non risultava una situazione d'insolvenza in atto, ma soltanto prevedibile in un futuro prossimo, mentre il c.t.u. aveva esaminato i vari indicatori dell'andamento aziendale, concludendo che l'impresa sin dal 1987 "si trovava in accentuato ed irreversibile declino", sottolineando che il valore aggiunto creato al suo interno si era ridotto di oltre il 63% a fronte dell'aumento delle vendite e che quindi la gestione era inefficiente; che il margine di tesoreria era negativo, cioè che l' impresa non era in grado di pagare i debiti in scadenza con la liquidità che generava; che i contributi pubblici venivano utilizzati per coprire i pagamenti ai soci a fronte dei conferimenti, che le riserve erano state utilizzate indebitamente per coprire le perdite.
Ancora la Corte non avrebbe motivato sul fatto che il netto ricavo dello sconto delle cambiali agrarie veniva utilizzato per coprire il debito derivante dallo sconto di precedente cambiale, con distrazione dallo scopo previsto per legge (acquisto di prodotti agricoli), circostanza che atteneva ai rapporti diretti tra le parti e non poteva pertanto essere ignota alla banca. Con il terzo motivo la Liquidazione coatta deduce violazione della L. Fall., art. 67, comma 2 e art. 203 in relazione al requisito del pregiudizio, della L. 5 luglio 1928, n. 1760, in materia di cambiali agrarie, in particolare dell'art. 6, relativo ai prestiti per conduzione e miglioramento fondiario nonché difetto e contraddittorietà di motivazione. La cambiale agraria scaduta il 31.3.1989 venne pagata con il netto ricavo dello sconto di altra cambiale agraria accreditato sul conto corrente in pari data. Quest'ultima cambiale, scaduta il 30.6.1989, non fu immediatamente addebitata in conto perché a quella data il saldo era passivo, ma soltanto il 19.10.1989 quando fu scontata una nuova cambiale, il cui netto ricavo fu utilizzato per coprire il passivo così formato, insieme al saldo attivo di circa 170 milioni esistente in tale momento. Nell'affermare che non vi sarebbe stato rientro perché il debito sarebbe stato in sostanza soltanto rinnovato, la Corte non avrebbe considerato che l'ultima cambiale era soltanto di 550 milioni, si che un rientro vi sarebbe comunque stato. Non vi fu poi sostituzione o rinnovo di titoli, perché ciò non è possibile per le cambiali agrarie secondo la disciplina, dettata dalla L. n. 1760 del 1928, essendo le cambiali emesse per finanziare l'acquisto di scorte e materie prime nel corso dell'esercizio. In ogni caso non risponderebbe a verità che la revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2 presuppone l'esistenza del pregiudizio per la massa, perché tale requisito non è richiesto dalla legge. 2. I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi. Essi non sono fondati. Va premesso che questa Corte ha in più occasioni affermato che "In tema di elemento soggettivo dell'azione revocatoria proposta L. Fall., ex art. 67, comma 2, la "scientia decoctionis" in capo al terzo è oggetto di apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato, potendosi formare il relativo convincimento anche attraverso il ricorso alla presunzione, alla luce del parametro della comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria diligenza, con rilevanza peculiare della condizione professionale dell'accipiens; ne consegue che la misura della predetta diligenza va riferita alla categoria di appartenenza del terzo ed all'onere di informazione tipico del settore di operatività" (Cass. 4.2.2008, n. 2557). Peraltro, la conoscenza dello stato d'insolvenza dell'imprenditore da parte del terzo contraente dev'essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo non già la semplice conoscibilità oggettiva ed astratta delle condizioni economiche dall'imprenditore, bensì la concreta situazione psicologica del terzo al momento della stipula dell'atto impugnato, la quale può essere desunta anche da semplici indizi, aventi l'efficacia probatoria delle presunzioni semplici ed in quanto tali soggetti a concreta valutazione da parte del giudice di merito, da compiersi in applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.. A tal fine, dovendosi conferire rilievo ai presupposti ed alle condizioni in cui il terzo si è trovato ad operare nella specifica situazione, la circostanza che esso rivesta la qualità di istituto bancario non è di per sè determinante, neppure se correlata al parametro (del tutto teorico) del creditore avveduto, ma viene in considerazione solo in presenza di concreti collegamenti con i sintomi conoscibili dello stato d'insolvenza, quali notizie di stampa, risultanze di bilancio, protesti, procedure esecutive, etc.; è soltanto in quest'ambito, infatti, che può attribuirsi rilevanza anche all'attività professionale esercitata dal terzo, nonché alle regole di prudenza ed avvedutezza che, indipendentemente da ogni doverosità, caratterizzano concretamente l'operare della categoria di appartenenza (Cass. 28.2.2007, n. 4762). Tale prova presuntiva può ricavarsi dalla conoscenza del bilancio della società fallita, da cui emerga la dimostrazione dell'insolvenza (Cass. 3.5.2007, n. 10208).
In ogni caso, tuttavia, la sussistenza della "scientia decoctionis" non può essere desunto dalla mera conoscibilità dello stato di insolvenza, e, pur giovando al fine del suo accertamento le presunzioni evincibili da circostanze esterne obiettive, tali da indurre ragionevolmente una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza a ritenere che la controparte del rapporto si sia trovata in stato di dissesto, la effettiva conoscenza, da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore, in quanto elemento positivo dell'azione revocatoria, non può essere ravvisata per il fatto che la ignoranza di tale insolvenza sia colpevole (Cass. 28.8.2001, n. 11289). Nel caso in esame la Corte d'appello ha adeguatamente motivato il proprio convincimento osservando che il c.t.u., era giunto alla conclusione che dal bilancio 1987 emergeva che la cooperativa era entrata in un'area ad alta intensità di rischio, spiccata vulnerabilità e carenza di liquidità tanto da far ritenere altamente prevedibile il verificarsi dell'insolvenza, sottolineando che la prevedibilità di una futura insolvenza non significava ancora che l'insolvenza fosse in atto. Per altro verso la Corte di merito ha esaminato la relazione degli amministratori al bilancio del 1987, osservando che tale relazione evidenziava che il mercato era in crisi, che la cooperativa doveva ritirare il bestiame dagli allevatori assicurando una buona retribuzione, che le difficoltà economiche di gestione si erano accentuate in modo stridente, che gli amministratori si erano convinti dell'impossibilità di ritornare ad una situazione sopportabile, che il pareggio di bilancio si era realizzato soltanto tramite l'utilizzo delle riserve del Fondo Sviluppo, che era indispensabile il sostegno pubblico, si che si chiedeva che le strutture della società fossero dotate dei mezzi e strumenti necessari per svolgere l'azione di tutela e sviluppo che veniva loro richiesta. Nonostante questi elementi preoccupanti, tuttavia, gli amministratori non avevano posto la società in liquidazione, avevano pareggiato la perdita con le riserve del Fondo Sviluppo ed avevano reclamato la concreta deliberazione dei fondi pubblici promessi da Stato e Regione, fidando che con tali fondi e con il provento dell'aumento di capitale deliberato fosse possibile proseguire l'attività. Ad avviso della Corte di merito da tutto ciò si poteva ricavare che la società era in difficoltà, ma che gli amministratori manifestavano ciononostante un cauto ottimismo, fidando nel proseguire l'attività con un atto che essi stessi definivano di "grande coraggio".
Da tali elementi la Corte d'appello ha concluso che dalla relazione degli amministratori e dal bilancio al 31.12.1987 si potesse ricavare notizia che la società si trovava in difficoltà, ma non di una situazione d'insolvenza in atto. La ricorrente offre una diversa lettura delle medesime circostanze di fatto prese in esame dalla Corte bresciana, affermando che da esse si poteva ricavare la conoscenza dello stato d'insolvenza. È peraltro evidente che in tal modo la ricorrente non individua un vizio di motivazione o una violazione di legge (da quest'ultimo punto di vista le premesse in diritto su cui si fonda la motivazione della sentenza impugnata sono sostanzialmente coincidenti con i principi di diritto elaborati da questa Corte, che si sono in precedenza ricordati), ma propone una diversa valutazione delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.
3. Il terzo motivo di ricorso non è fondato. La Corte di appello ha affermato che gli atti solutori costituiti dall'accredito in conto corrente del ricavo netto delle cambiali agrarie scontate dalla banca non erano suscettibili di revocatoria perché non avevano causato pregiudizio alla massa dei creditori, non alterando la par condicio, perché in sostanza il debito della cooperativa verso la banca non era aumentato, posto che nella sostanza attraverso lo sconto di cambiali di medesimo importo, il debito preesistente era stato rinnovato mutandone soltanto la scadenza. Tale principio è peraltro in contrasto con l'orientamento di questa Corte, recentemente ribadito dalle Sezioni Unite (Cass. 28.3.2006, n. 7028) che, hanno sottolineato che nell'ipotesi del negozio oneroso infrannuale di cui L. Fall., art. 67, comma 2 vecchio testo, è assente il riferimento ad un requisito di danno a differenza di quanto previsto al comma 1. Emerge così, anche dalla stessa diversa formulazione delle due regole giuridiche (pur) contenute nel medesimo articolo, come, nel secondo caso (in prospettiva di una più incisiva salvaguardia nei confronti degli atti compiuti dall'imprenditore commerciale nel periodo più prossimo alla sua dichiarazione di fallimento), prema al legislatore non tanto il rapporto commutativo del negozio quanto il recupero, comunque, di ciò che, uscendo dal patrimonio del debitore nell'attualità di una situazione di insolvenza, sottragga il beneficiario alla posizione di creditore concorrente (perché, in tal modo, già soddisfatto), con automatico vulnus del principio della par condicio creditorum. E spiegandosi pure, quindi, in tale prospettiva perché la norma sancita nel capoverso dell'art. 67, L. Fall., accomuni, nella sua eccezionalità, alla sorte dei contraenti a titolo oneroso quella dei creditori che abbiano (pur legittimamente secondo le regole civilistiche) ricevuto dall'imprenditore, poi fallito, il pagamento di propri crediti liquidi ed esigibili. Il presupposto oggettivo della revocatoria degli atti di disposizione compiuti dall'imprenditore nell'anno anteriore alla dichiarazione del suo fallimento si correla pertanto non alla nozione di danno quale emerge dagli istituti ordinari dell'ordinamento bensì alla specialità del sistema fallimentare, ispirato all'attuazione del principio della par condicio creditorum, per cui il danno consiste nel puro e semplice fatto della lesione di detto principio, ricollegata, con presunzione legale assoluta, al compimento dell'atto vietato nel periodo indicato dal legislatore.
Va tuttavia sottolineato che questa Corte in fattispecie analoga ha affermato, con orientamento che il Collegio ritiene di condividere, che in tema di revocatoria fallimentare di rimesse su conto corrente (nel quale sia stata regolata l'apertura di credito bancario), mentre è revocabile il pagamento (accreditato su conto scoperto) pur se la somma relativa provenga da separato negozio di finanziamento concluso con la stessa banca proprio al fine del ripianamento dello scoperto di quel conto, non lo è invece, non rivestendo natura di rimessa solutoria, la mera operazione di rinnovo di pagherò cambiario scaduto (con il solo effetto, apprezzabile sotto il profilo economico- patrimoniale, dell'addebito degli interessi in rapporto al termine prorogato), atteso che detta operazione non implica un distinto finanziamento operato dalla stessa banca e non comporta erogazione alcuna di danaro diretta a confluire nel conto scoperto, indipendentemente dalla tecnica di annotazione contabile della operazione che sia stata adottata (Cass. 4.9.2004, n. 17892). Nella specie, era questione dell'addebito dell'importo della cambiale scaduta e dell'accredito della minor somma pari alla differenza tra lo stesso importo e gli interessi calcolati in deduzione. Il principio è stato espresso in fattispecie di cambiale agraria diretta.
Ne deriva che la revoca dei pagamenti delle cambiali agrarie oggetto del giudizio non può trovare accoglimento in ragione del carattere non solutorio delle relative rimesse.
La liquidazione coatta nella memoria ex art. 378 c.p.c., pur dando lealmente atto della giurisprudenza a sè sfavorevole, osserva che l'ultima cambiale agraria era di 550 milioni e che pertanto il netto ricavo dello sconto non poteva essere sufficiente ad estinguere il precedente finanziamento derivante da una cambiale agraria di 600 milioni. Per la differenza la provvista sarebbe stata attinta dal conto corrente e si tratterebbe dunque di rimessa revocabile. Tale ultima affermazione corrisponde peraltro a circostanza di fatto dedotta per la prima volta con la ricordata memoria, di cui non può tenersi conto in questa sede di legittimità.
Le spese vanno poste a carico della liquidazione coatta in ragione della soccombenza, liquidate per l'intero in Euro 10.200, di cui Euro 10.000 per onorari.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate per l'intero in Euro 10.200, di cui Euro 10.000 per onorari, oltre spese generali ed accessorie come per legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1 Sezione civile, il 7 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2009