Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2496 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 19 Novembre 2009, n. 24416. Rel., est. Nappi.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Per il fallito - Beni del fallito - Beni non compresi - Assegno erogato al collaboratore di giustizia ex art.13 del d.l. n.8 del 1991 - Natura alimentare - Fondamento - Conseguenze - Acquisizione all'attivo fallimentare - Ammissibilità - Esclusione.



L'assegno di mantenimento erogato a norma dell'art.13 del d.l. 10 gennaio 1991, n.13 ai collaboratori di giustizia ha natura integralmente alimentare, in quanto conferito a chi si trovi nell'impossibilità di svolgere attività lavorativa e determinato in ragione delle condizioni del collaboratore e delle persone a suo carico; pertanto, in caso di intervenuto fallimento del collaboratore, il giudice delegato non può disporne l'acquisizione neppure parziale all'attivo fallimentare, essendo tale potere, ai sensi dell'art. 46, secondo comma, della legge fall., esercitabile sulle sole quote di reddito che non abbiano tale specifica destinazione. (massima ufficiale)


Massimario, art. 46 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - rel. Consigliere -
Dott. ZANICHELLI Vittorio - Consigliere -
Dott. SALVATO Luigi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Fallimento di Giuliano Maria Grazia, domiciliato in Roma, via Lombardia 40 presso l'avv. F. Astone, rappresentato e difeso dall'avv. Maccari R., come da mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
Giuliano Maria Grazia, domiciliata in Roma, via P.L. da Palestrina 19, presso l'avv. Passalacqua G., che la rappresenta e difende, come da mandato a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso il decreto n. 3048/2008 del Tribunale di Messina, depositato il 27 marzo 2008;
Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;
udito il difensore della resistente, avv. Pizzuto, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale.
Udite le conclusioni del P.M., CENICCOLA Raffaele, che ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il decreto impugnato il Tribunale di Messina, pronunciando in sede di reclamo ex art. 26, L. Fall., ha revocato l'acquisizione all'attivo fallimentare degli emolumenti erogati alla fallita Giuliano Maria Grazia, collaboratrice di giustizia, dal Servizio centrale di protezione del Ministero dell'interno, compensando integralmente tra le parti le spese del procedimento. Hanno ritenuto i giudici del merito che l'assegno di mantenimento erogato a norma del D.L. n. 8 del 1991, art. 13 ha natura alimentare, come dimostra il fatto che viene erogato solo a chi non possa svolgere attività lavorativa e risulta determinato in ragione delle condizioni del collaboratore e delle persone a suo carico. Sicché l'assegno non può essere neppure in parte acquisito all'attivo fallimentare, perché il giudice delegato non può sovrapporre le proprie valutazioni a quelle degli organi competenti a determinarne la misura in ragione appunto delle esigenze di sostentamento del collaboratore e della sua famiglia. Se infatti la misura dell'assegno fosse effettivamente eccessiva, dovrebbe ridursene l'importo a vantaggio dello Stato erogatore, non potrebbe di certo acquisirsene l'eccedenza al fallimento.
Ricorre per cassazione il fallimento e propone due motivi d'impugnazione, cui resiste con controricorso Giuliano Maria Grazia, che propone altresì ricorso incidentale.
I ricorsi proposti contro la stessa sentenza sono stati riuniti. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione del D.L. n. 8 del 1991, art. 13. Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dai giudici del merito, l'assegno di mantenimento erogato dal Servizio protezione non ha natura meramente alimentare, bensì composita, in quanto destinato anche a sostituire il reddito da lavoro che il collaboratore non è più in grado di procurarsi. Il motivo è infondato.
Secondo quanto prevede l'art. 438 c.c., comma 1 "gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento". E la giurisprudenza di questa corte ha da tempo chiarito che "il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di un'attività lavorativa, sicché, ove l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l'impossibilità, per circostanze a lui non imputabile, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata" (Cass., sez. 1, 6 ottobre 2006, n. 21572, m. 591930, Cass., sez. 1, 14 febbraio 1990, n. 1099, m. 465349). Non v'è dubbio allora che in questo stesso ambito si colloca anche la disposizione del D.L. n. 8 del 1991, art. 13 laddove prevede l'erogazione di un assegno di mantenimento al collaboratore, nel caso di sua impossibilità di svolgere attività lavorativa. Infatti anche in questo caso si tratta di un assegno erogato a chi sia nella "impossibilità, per circostanze a lui non imputabile, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali".
L'assegno di mantenimento previsto dal D.L. n. 8 del 1991, art. 13 ha dunque natura alimentare, come correttamente hanno ritenuto i giudici del merito.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 46, L. Fall., e della L. n. 2248 del 1865, artt. 2 e 5.
Sostiene innanzitutto che la L. Fall., art. 46, n. 2, prevede la riducibilità anche degli assegni di natura alimentare, equiparati agli altri emolumenti elencati.
Lamenta poi l'erroneità dell'assunto per cui il giudice delegato non potrebbe sovrapporre le sue valutazioni a quelle del Servizio protezione, nella determinazione dell'entità dell'assegno alimentare, stante il principio della disapplicabilità degli atti amministrativi illegittimi da parte del giudice ordinario. Anche questo motivo è infondato, in entrambe le sue articolazioni. Va innanzitutto rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa corte, il giudice delegato, nella determinazione della quota di reddito da stipendi o pensioni disponibile per il fallito e della corrispondente quota da destinare alla soddisfazione dei creditori, a norma della L. Fall., art. 46, comma 1, n. 2, "non esercita un potere pienamente discrezionale, ma deve considerare, da un lato che il mantenimento del fallito e della sua famiglia non può essere ridotto alle esigenze puramente alimentari (a differenza di quanto previsto dal successivo art. 47), dovendo invece essere ragguagliato quantitativamente ad una misura che costituisca premio ed incentivo per l'attività produttiva e reddituale svolta; dall'altro, che detto mantenimento non può essere elevato al limite astratto del minimo tenore di vita socialmente adeguato, secondo il principio dell'art. 36 Cost., dovendosi considerare che nella condizione sociale del fallito esiste la sua situazione di debitore verso una collettività di creditori concorrenti" (Cass., sez. 1, 15 dicembre 1994, n. 10736, m. 489221).
La situazione normativa è dunque la seguente:
a) l'art. 438 c.c., comma 2 prevede che l'assegno alimentare vada determinato in ragione di quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale;
b) la L. Fall., art. 46, comma 2, prevede che gli emolumenti percepiti dal fallito siano esclusi dall'attivo fallimentare "entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia";
c) l'art. 47, L. Fall., prevede che il giudice delegato possa riconoscere un sussidio a titolo di alimenti al fallito cui vengano a mancare i mezzi di sussistenza.
Considerato allora che v'è certamente corrispondenza tra quanto previsto dall'art. 438 c.c., comma 2 e dall'art. 47, L. Fall., deve concludersi che in nessun caso il giudice delegato potrebbe acquisire all'attivo fallimentare un assegno di natura meramente alimentare percepito dal fallito, perché la L. Fall., art. 46, comma 1, n. 2), prevede l'acquisizione all'attivo delle sole quote di reddito superiori a tale limite.
E poiché, come s'è visto, ha natura alimentare anche l'assegno di mantenimento previsto dal D.L. n. 8 del 1991, art. 13 ne consegue che il giudice delegato non potrebbe disporne l'acquisizione neppure in parte all'attivo fallimentare.
Nè potrebbe essere sindacata dal giudice delegato l'eventuale determinazione in eccesso dell'assegno di mantenimento da parte del Servizio di protezione, in violazione dei limiti legali fissati con riferimento alla misura della pensione sociale.
Infatti, il potere di disapplicazione, che ha natura incidentale, non potrebbe essere esercitato per rilevare un'illegittimità cui non conseguirebbe affatto l'acquisizione di beni all'attivo fallimentare, bensì solo la riduzione dell'assegno di mantenimento erogato dallo Stato.
3. Con il ricorso incidentale Maria Grazia Giuliano deduce violazione dell'art. 92 c.p.c., lamentando che i giudici del merito abbiano ingiustificatamente disposto la compensazione delle spese del procedimento.
il motivo è infondato perché la compensazione è stata giustificata in ragione della novità delle questioni trattate; e nella giurisprudenza di questa corte è indiscusso che sia questa una giustificazione adeguata (Cass., sez. 50, 23 maggio 2003, n. 8210, m. 563496).
Queste stesse ragioni giustificano la compensazione anche delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2009