Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2494 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. III, 03 Dicembre 2009, n. 25403. Rel., est. Amendola.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Organi preposti al fallimento – Tribunale fallimentare - Competenza funzionale - Solidarietà passiva - Sopravvenuta dichiarazione di fallimento di uno dei condebitori - Prosecuzione nella sede ordinaria della controversia relativa al rapporto tra creditore e condebitore non fallito - Omessa proposizione di domande, per la partecipazione al concorso, nei confronti del condebitore fallito - "Vis attractiva" ex art. 24 legge fall. del tribunale fallimentare - Esclusione - Fondamento - Fattispecie relativa a responsabilità del cessionario d'azienda.



In tema di obbligazioni solidali, la regola dell'improcedibilità nella sede ordinaria della domanda di adempimento e della conseguente attrazione a quella fallimentare, ai sensi dell'art. 24 legge fall., non trova applicazione in caso di sopravvenuto fallimento di uno dei condebitori, allorché contro tale soggetto non sia svolta alcuna domanda volta ad ottenere un titolo per partecipare al concorso e, dunque, il creditore possa proseguire il giudizio verso il condebitore "in bonis". (Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla responsabilità in capo al cessionario, ex art. 2560 cod. civ., per i debiti dell'azienda cedutagli dal cedente poi fallito, situazione peraltro qualificabile come fonte di solidarietà impropria, cioè relativa a rapporti eziologicamente ricollegati a fonti diverse). (massima ufficiale)


Massimario, art. 24 l. fall.

Massimario, art. 51 l. fall.

Massimario, art. 52 l. fall.

Massimario, art. 96 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele - Presidente -
Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere -
Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere -
Dott. CALABRESE Donato - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 23700-2007 proposto da:
TESSITRAMA SPA in persona dell'amministratore, legale rappresentante pro tempore, Sig. PULZATO GIANFRANCO elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell'avvocato CUCCIA ANDREA, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCORA GIAN ANTONIO, TRACANELLA UMBERTO giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
TINTEA SPA in persona del suo Presidente Signor MOLTRASIO SERGIO, TESSITURA LUIGI SANTI SPA in persona del suo Presidente SANTI MARCO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio dell'avvocato RIZZO ANTONIO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati VALGAVI GIAN PAOLO, SENALDI FRANCESCO giusta delega a margine del controricorso;
FALLIMENTO KOFAKO SRL in persona del suo curatore Avv. ACCATINO BEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 4, presso lo studio dell'avvocato SCORSONE VINCENZO, rappresentato e difeso dall'avvocato TINO SINIBALDO giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrenti -
e contro
FALLIMENTO CENTRO TESSILE SRL;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1531/2 006 della CORTE D'APPELLO di MILANO, 1^ SEZIONE CIVILE, emessa il 1/03/2006, depositata il 19/06/2006, R.G.N. 3887/2003;
udita la relazione del la causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2 009 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito l'Avvocato GIAN ANTONIO MARCORA;
udito l'Avvocato ANTONIO RIZZO;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'iter processuale può essere così ricostruito sulla base della sentenza impugnata.
Con citazione notificata il 21 aprile 1999 Tintea s.p.a. e Tessitura Luigi Santi s.p.a. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Varese, Tessitrama s.p.a. e Centro Tessile s.r.l. deducendo di essere creditrici, nei confronti di quest'ultima società, per varie prestazioni d'opera, delle somme, rispettivamente, di L. 283.270.050 e di L. 1.010.000.000. Esponevano quindi che, in separate scritture, le parti avevano convenuto, previo riconoscimento da parte di Centro Tessile dei propri debiti, il pagamento dilazionato di somme ridotte, espressamente stabilendo che il mancato versamento, nei termini stabiliti, anche di una sola rata, avrebbe attribuito al creditore il diritto di pretendere la corresponsione dell'intero, sia per sorte capitale, che per interessi. Essendosi peraltro verificata tale eventualità, che aveva comportato la risoluzione degli impegni assunti nelle predette scritture, erano tornati, in vigore i debiti originar ammontanti, dedotti, i pagamenti medio tempore intervenuti, a L. 225.770.050, per Tintea, e a L. 728.154.029, per Tessitura Luigi Santi.
Evidenziate innumerevoli circostanze dalle quali si evinceva che Centro Tessile aveva ceduto l'azienda a Tessitrama, tra le quali, segnatamente, comunicazioni della stessa debitrice, chiedevano le attrici che, accertato che tra Centro Tessile e Tessitrama era intercorsa una vera e propria cessione di azienda, la seconda venisse condannata al pagamento dei debiti contratti dalla prima, ex art. 2560 cod. civ..
Nel processo si costituiva la sola Tessitrama che contestava i fatti costitutivi dell'avversa pretesa.
Al giudizio, interrotto a seguito del fallimento di Centro Tessile e riassunto nei confronti della Curatela, veniva in seguito riunito quello oriqinato dalla domanda proposta da Kofako s.r.l. nei confronti della medesima Tessitrama, al fine di ottenere il pagamento di forniture effettuate a Centro Tessile.
Con sentenza del 16 giugno 2003 il Tribunale di Varese, accertata in via incidentale l'avvenuta risoluzione degli accordi relativi alla riduzione dei debiti conclusi tra Tintea e Tessitura Luigi Santi con Centro Tessile, dichiarava Tessitrama solidalmente responsabile dei debiti inerenti all'azienda di quest'ultimo, per l'effetto condannando la società cessionaria al pagamento di Euro 376.060,17 a Tessitura Luigi Santi, di Euro 116.600,50 a Tintea, e di Euro 51.849,75 a Kofako, oltre accessori.
Proposto gravame dalla società soccombente, la Corte d'appello di Milano in data 19 giugno 2006, lo respingeva.
Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione, Tessitrama s.p.a., articolando cinque motivi e notificando l'atto a Tintea s.p.a., a Tessitura Luigi Santi s.p.a. e alle Curatele di Kofako s.r.l. e di Centro Tessile s.r.l..
Tutti gli intimati, ad eccezione di quest'ultimo, hanno notificato controricorso.
Le parti costituite hanno altresì depositato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Col primo motivo l'impugnante denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 51 e 52, L. Fall., per essersi i giudici di entrambi i gradi di giudizio pronunciati nel merito delle domande proposte da Tintea s.p.a. e da tessitura Luigi Santi s.p.a., malgrado l'improcedibilità, nel giudizio di cognizione ordinaria, delle stesse, in conseguenza del la dichiarazione di fallimento di Centro Tessile s.r.l.. Sostiene che l'accertamento della risoluzione di atti contenenti rinunce parziali ai crediti vantati dalle istanti nei confronti della predetta società, all'epoca in bonis, nonché dell'entità delle somme alle stesse dovute, si prestano a incidere negativamente sul patrimonio della società fallita, nei cui confronti la ricorrente, condannata a pagare debiti da questa contratti, sarebbe legittimata a rivalersi, a tatto danno del concorso dei creditori.
Richiamata la consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto (confr. Cass. civ. n. 13875 del 2004), chiede, nel relativo quesito di diritto, se la vis attractiva del tribunale fallimentare operi anche laddove, chiesto in giudizio l'adempimento di una obbligazione solidale, uno dei condebitori venga poi dichiarato fallito (confr. Cass. civ. n. 13875 del 2004).
1.2 Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1456, 1236, 1.965, 1230, 1300 e 1301 cod. civ., nonché insufficienza o contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte d'appello ritenuto che negli, atti con i quali le parti avevano convenuto la parziale riduzione dei crediti vantati dalle società attrici fosse inserita una clausola risolutiva espressa, così qualificando, in maniera affatto apodittica, la previsione pattizia del diritto del creditore di pretendere il pagamento dell'intero importo, in caso di omesso pagamento, nei termini, anche di una sola rata del dovuto. Secondo il ricorrente, invece, la fattispecie andava inquadrata nell'ambito della rimessione, ancorché parziale, del debito, con conseguente estinzione dell'obbligazione, ex art. 1236 cod. civ. e correlativa liberazione del condebitore solidale, ex art. 1301 cod. civ..
Affatto erronea e non motivata era poi la tesi della Corte territoriale in ordine alla natura di transazione a carattere conservativo dei predetti accordi, smentita, a tacer d'altro, dalla sostituzione, convenzionalmente stabilita, del debito originario con altro di importo diverso e minore, di modo che la regolamentazione dell'ipotesi dell'omesso pagamento anche dì una sola rata doveva intendersi come decadenza del debitore dal beneficio del termine. Il ricorrente formula quindi una serie di quesiti di diritto sulla portata dell'art. 1456 cod. civ., con particolare riferimento alla sua applicabilità anche agli atti unilaterali quali la remissione del debito; sugli effetti di questa nelle obbligazioni solidali nonché sugli elementi caratterizzanti della transazione novativa. Rileva inoltre, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., comma 1, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che il vizio di motivazione concerne la qualificazione come transazione, piuttosto che come rimessione del debito, delle scritture private tra Tintea s.p.a. e Tessitura Luigi Santi s.p.a, da una parte, e Centro Tessile, dall'altra, nonché l'individuazione, nella previsione relativa al mancalo pagamento anche di una sola rata, di una clausola risolutiva espressa.
1.3 Col terzo motivo l'impugnante lamenta violazione e falsa applicazione delle norme relative alla cessione d'azienda e delle regole in materia di ermeneutica contrattuale. Denuncia, in particolare, l'illegittimità dell'acquisizione delle prove testimoniali nonché insufficienza e contraddittorietà della motivazione sulla qualificazione giuridica dei rapporti intercorsi tra Centro Tessile e Tessitrama.
Richiamati i numerosi elementi di fatto addotti a sostegno dell'insussistenza nella fattispecie dei presupposti di operatività dell'art. 2560 cod. civ., rileva la deducente che l'erroneità della decisione della Corte d'appello sarebbe particolarmente evidente a sol considerare che la cessione d'azienda è incompatibile con la prosecuzione dell'attività imprenditoriale da parte della cedente, quale risulta, nella fattispecie, dalla copiosa documentazione versata in atti. La sentenza sarebbe inoltre basata su inammissibili e contestate deposizioni di soggetti incapaci a testimoniare, chiamati a deporre su patti contrari al contenuto di un documento scritto e travisate nella loro portata.
I relativi quesiti di diritto vertono, conseguentemente, sui presupposti fattuali necessari per l'operatività della normativa .in materia di cessione di azienda, sul valore preminente del significato letterale delle parole usate, sui limi ti di ammissibilità della prova testimoniale.
Rileva inoltre l'esponente, ex art. 366 bis c.p.c., comma 1, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che il vizio di motivazione verte sul punto controverso e decisivo della sussistenza, nella fattispecie, di un contratto di cessione di azienda. 1.4 Col quarto mezzo l'impugnante denuncia violazione dell'art. 1458 cod. civ., per non avere il giudice di merito tenuto conto della intervenuta, pacifica risoluzione della complessa regolamentazione contrattuale intercorsa tra Tessitrama e Centro Tessile, allegata e dimostrata in corso di causa ed espressamente riconosciuta dall'amministratore di Centro Tessile, all'epoca in bonis. Su tale profilo, specificamente dedotto in primo grado nonché nella fase di gravame, il giudice di merito aveva del tutto omesso di prendere posizione, di modo che la sentenza impugnata era, in parte qua, altresì affetta dal vizio di omessa motivazione. Nel relativo quesito di diritto si chiede alla Corte di stabilire se la risoluzione del contratto di cessione d'azienda determini il venir meno della responsabilità solidale dell'asserito cessionario, ex art. 2560 cod. civ..
Si rileva inoltre, ex art. 366 bis c.p.c., comma 1, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che il giudice di merito è incorso nel vizio di omessa motivazione, non essendosi pronunciato sulla predetta circostanza.
1.5 Col quinto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2560 cod. civ., nonché insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in ordine all'applicazione della predetta norma alla fattispecie concreta.
Ricordato che l'iscrizione dei debiti nei libri contabili dell'impresa ceduta costituisce requisito essenziale dell'azione del creditore nei confronti dell' acquirente, la cui prova incombe su chi vuoi far valere la responsabilità solidale del cessionario, sostiene Tessitrama che le società creditrici Tintea, Tessitura Luigi Santi e Kofako non avevano affatto adempiuto all'onere probatorio su di essi incombente, posto che, lungi dal dimostrare l'iscrizione dei debiti nei libri contabili obbligatori dell'azienda ceduta, elemento costitutivo della responsabilità dell'acquirente, avevano individuato la fonte probatoria negli accordi di riduzione dei debiti conclusi da Centro Tessile con Tintea e Tessitura Luigi Santi. Del tutto erroneamente, quindi, la Corte d'appello, pur dando atto che le scritture contabili di Centro Tessile riportavano l'importo dei crediti azionati dalle attrici in modo apparentemente plurivoco e contraddittorio, aveva nondimeno affermato la responsabilità della cessionaria ex art. 2560 cod. civ..
Lamenta anche la società ricorrente difetto di motivazione in ordine a uno dei requisiti fondamentali per l'applicazione del la predetta norma, e cioè l'anteriorità dell'iscrizione dei debiti nei libri contabili, rispetto al trasferimento d'azienda, avendo il decidente omesso qualsivoglia riferimento a tale requisito e avendo anzi fatto espresso richiamo a iscrizioni successive alla cessione, come a circostanze rilevanti al fine di affermare la responsabilità della cessionaria.
Nel quesito di diritto l'impugnante chiede alla Corte di specificare il contenuto dell'onere probatorio imposto dall'art. 2560 cod. civ., e, in particolare, se esso debba o meno intendersi come onere di provare l'esistenza, alla data della cessione d'azienda, dell'iscrizione nei libri contabili obbligatori dell'azienda ceduta, di ciascun titolo dedotto dal creditore a fondamento del proprio credito, esclusa ogni rilevanza dì fonti di conoscenza diverse. Rii è va inoltre, ex art. 366 bis c.p.c., comma 1, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che il vizio di motivazione concerne l'omesso riferimento all'anteriorità dell'iscrizione dei debiti nei libri contabili, rispetto al trasferimento d'azienda. 2.1 Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Fallimento Kofako s.r.l. nella memoria depositata ex art. 378 cod. proc. civ., sotto il profilo che i cinque mezzi proposti da Tessitrama s.p.a. recherebbero solo apparentemente l'enunciazione dei quesiti di diritto richiesti dall'art. 366 bis cod. proc. civ., sostanziandosi in formule non redatte secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. Sul punto ricorda il collegio che la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla semplice lettura dello stesso, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e, specularmente, la regula iuris che il giudice di legittimita è chiamato ad enunciare (confr. Cass. civ. sez. lav. 7 aprile 2009 n. 8463; Cass. civ. sez. lav. 25 marzo 2009, n. 7197); ove poi venga in rilievo il motivo di cui all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è prevista una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si concretizzi tuttavia nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali si deduce la insufficienza della motivazione a giustificare la decisione (confr. Cass. civ. sez. lav. 25 febbraio 2009, n. 4556).
Sennonché nella fattispecie, i formulati quesiti appaiono correttamente funzionalizzati, in maniera semmai particolarmente ricca e articolata, all'enunciazione di principi di diritto ovvero di dieta giurisprudenziali su questioni di particolare importanza, nonché chiaramente espositivi dei fatti controversi in relazione ai quali vengono denunziati vizi dell'iter argomentativo. 2.2 Passando quindi all'esame delle proposte censure, si osserva quanto segue.
Il primo motivo è infondato.
Come correttamente ritenuto dal giudice di merito, l'improcedibilità nella sede ordinaria concerne unicamente la domanda che non solo sia diretta contro il fallito, ma sia volta a ottenere un titolo per partecipare al concorso sostanziale. Essa non può quindi riguardare le domande proposte contro i condebitori solidali non falliti, le quali non solo non danno luogo a un litisconsorzio necessario, ma neppure possono essere oggetto di una istanza di insinuazione ed essere verificate nell'adunanza prevista dall'art. 96, L. Fall. (confr. Cass. civ. n. 1519 del 2000; n. 12325 del 1999). Il collegio non ignora che questa Corte, in un non lontano arresto, ha affermato che, qualora l'attore, a tutela della propria situazione soggettiva, faccia valere in giudizio l'esistenza di una obbligazione solidale per l'adempimento di una medesima prestazione (si da poter richiedere l'adempimento per l'intero a ciascuno degli obbligati solidali), ed uno dei condebitori venga dichiarato fallito, l'esistenza di un unico interesse, cui non può che corrispondere un unico diritto, rende operativa la vis attractiva del giudice fallimentare, con conseguente spostamento presso lo stesso anche della controversia relativa al rapporto corrente tra il creditore ed il condebitore non fallito, diversamente da quanto accade in presenza delle obbligazioni solidali di garanzia (Cass. civ., Sez. lavoro, 2 3/07/2004, n. 13875): ma tanto, come chiarisce siffatto inciso, con riguardo all'ipotesi in cui venga fatta valere in giudizio l'obbligazione nascente da un unico rapporto in modo che il condebitore, costretto all'adempimento per la totalità, ex art. 1292 cod. civ., possa poi esperire l'azione di regresso per singole ed uguali quote nei confronti degli altri obbligati. Ciò significa che, a prescindere dal la condivisibilità di siffatto orientamento, ne sono comunque esclusi i casi cd. di "solidarietà impropria", riguardanti rapporti eziologicamente ricollegati a fonti diverse, e cioè i casi nei quali ad una obbligazione principale se ne ricollegano altre chiamate ad assolvere funzioni di garanzia, come avviene nei rapporti fideiussori, nascenti da un proprio ed autonomo atto negoziale, ovvero quelli di responsabilità senza debito, stabiliti dalla legge, quale, per l'appunto, l'ipotesi di cui all'art. 2560 cod. civ..
In ogni caso dirimente è il rilievo che nella fattispecie nessuna domanda di condanna è mai stata proposta nei confronti di Centro Tessile, di modo che è possibile enunciare il seguente principio:
allorquando, evocati in giudizio più soggetti solidalmente responsabili di un'obbligazione rimasta inadempiuta, la domanda di condanna venga avanzata nei confronti di uno solo di essi, la circostanza che l'altro, non destinatario di alcuna domanda, venga dichiarato fallito, non impedisce che il giudizio stesso prosegua nella sede ordinaria nei confronti degli altri condebitori in bonis, senza essere attratto nella competenza de tribunale fallimentare. In definitiva, escluso che nella fattispecie fossero state proposte istanze verso la società fallita finalizzate alla successiva partecipazione al concorso, è corretta e condivisibile l'opzione ermeneutica accolta dal giudice di merito, secondo cui il fallimento di Centro Tessile non aveva determinato l'improcedibilità delle domande accertative e di condanna avanzate nei confronti di Tessitrama s.p.a..
2.3 Anche le critiche esposte nel secondo motivo non hanno pregio. Mette conto evidenziare che, per quanto attiene alla interpretazione degli accordi scritti intervenuti tra le parti, il giudice d'appello, ricostruiti i percorsi argomentativi del primo decidente, ha osservato, da un lato, che la clausola volta a regolamentare gli effetti del mancato pagamento anche di una sola rata era certamente una clausola risolutiva espressa; dall'altro che gli accordi conclusi da Tintea e da Tessitura Luigi Santi con Centro Tessile erano transazioni a carattere conservativo, posto che ne' dal punto di vista soggettivo, ne' da quello oggettivo vi erano, rispetto alla originaria obbligazione, differenze tali da indurre a qualificare come nuovo ed autonomo il negozio risultante dalla transazione. Ora, considerato che la ricorrente neppure contesta la versione dei fatti esposta nella sentenza impugnata, e cioè che, in atti scritti i paciscenti, previo riconoscimento da parte di Centro Tessile dei propri debiti, convennero il pagamento dilazionato di somme ridotte, espressamente stabilendo che il mancato versamento, nei termini stabiliti, anche di una sola rata, avrebbe attribuito al creditore il diritto di pretendere la corresponsione dell'intero, sia per sorte capitale, che per interessi, la ricostruzione in termini di clausola risolutiva espressa della predetta previsione e l'affermata natura conservativa e non novativa dell'accordo transattivo appaiono frutto di un ragionamento sillogistico esente da aporie o da contrasti disarticolanti tra emergenze fattuali e qualificazione giuridica adottata, laddove, a fronte del menzionato dato testuale, appare semmai illogico e incongruo l'inquadramento della fattispecie in chiave di rimessione del debito, proposta dall'impugnante. Si ribadisce in proposito che può essere qualificata novativa soltanto la transazione che determini l'estinzione del precedente rapporto, con sostituzione integrale ad esso del nuovo regolamento di interessi, in modo che si veri fichi una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello previsto dall'accordo transattivo, e conseguente insorgenza dall'atto di un'obbligazione oggettivamente diversa dalla precedente, mentre è qualificabile come transazione semplice o conservativa l'accordo con il quale le parti si limitino ad apportare modifiche solo quantitative ad una situazione già in atto e a regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti (anche) in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un quid medium tra le prospettazioni iniziali, fermo restando che l'accertamento circa la ricorrenza dell'una o dell'altra ipotesi di transazione, integrando un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (confr. Cass. civ. , sez. lav. 14 giugno 2006, n. 13717).
2.4 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, il terzo e il quarto motivo di ricorso.
I rilievi in essi formulati sono privi di pregio.
Secondo la Corte territoriale il giudice di prime cure aveva ineccepibilmente valutato le risultanze probatorie, facendo applicazione del principio interpretativo, correlto e condivisibile, per cui la cessione di azienda può essere posta in essere non solo con un unico contratto, ma anche attraverso vari negozi funzionalmente collegati e finalizzati alla cessione dell'attività aziendale da una ad altra società.
Quali punti sensibili ai fini dell'analisi interpretativa dei rapporti negoziali intervenuti tra le parti, la Corte ha individuato le seguenti circostanze, suffragate dalle prove orali raccolte e dalla documentazione in atti:
a) la cessazione dì ogni attività produttiva da parte di Centro Tessile, a partire dal 30 luglio 1997, comunicata all'INPS in data 29 novembre 1997;
b) la cessione a Tessitrama, attraverso una concatenata serie di negozi, dell'uso del marchio (il cui corrispettivo la società aveva continuato a percepire pur dopo la dismissione dell'impresa), dell'avviamento, delle giacenze di magazzino, degli arredi, delle apparecchiature, dei patrimonio conoscitivo e di tutta l'esperienza aziendale, essendo la cessionaria subentrata nei rapporti con i dipendenti, con gli agenti, con i dirigenti e addirittura nelle utenze dei telefoni cellulari, e dei telepass;
c) le comunicazione fatte da Centro Tessile a clienti, fornitori ed agenti, con le quali la stessa provvide ad informarli che, in forza delle intese intervenute con Tessitrama, il marchio Premiata Manifattura Tessile P.M.T. sarebbe stato utilizzato dalla predetta società e che il dirigente dott. Castagno sarebbe stato reperibile presso la sede della stessa, così perfezionando il trasferimento dell'avviamento alla cessionaria.
2.5 Ritiene il collegio che tale impianto motivazionale resista alle critiche formulate in ricorso: e invero i principi giuridici enunciati dal giudice di merito in ordine all'istituto della cessione di azienda e conseguentemente applicati alla fattispecie concreta dedotta in giudizio sono corretti e condivisibili.
Questa Corte ha ripetutamente avuto modo di precisare che si ha cessione di azienda quando le parti non abbiano inteso trasferire una semplice somma di cespiti, ma un complesso organico di beni unitariamente considerato, dotato di potenzialità produttiva tale da farne emergere ex ante la complessiva attitudine anche solo potenziale all'esercizio di un'impresa, senza che rilevi, per la qualificazione di una vicenda traslativa come cessione di azienda, che le singole parti che la compongono siano state cedute globalmente o con più atti separati, decisiva essendo unicamente la causa reale del negozio e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, causa e regolamentazione che possono essere desunte esclusivamente dalla lettura delle conferenti disposizioni negoziali intervenute tra i paciscenti (Cass. civ., 5, 10 ottobre 2008, n. 24913).
Nella fattispecie il decidente ha puntigliosamente elencato tutti gli elementi di fatto inconfutabilmente dimostrativi del trasferimento dell'intera struttura imprenditoriale di Centro Tessile a Tessitrama, nell'ambito di una valutazione del materiale istruttorio completa ed esaustiva, ispirata a criteri di comune buon senso e ampiamente plausibile.
2.5 Nè a diverso conclusioni può indurre il rilievo che il giudice d'appello non abbia confutato espressamente la valenza della pretesa, intervenuta e pacifica risoluzione della complessa regolamentazione contrattuale intercorsa tra Tessitrama e Centro Tessile, pure menzionata nella esposizione dei motivi di gravame. In realtà la ricostruzione della fattispecie accolta dal giudice di merito, ampiamente e persuasivamente argomentata, consente di ritenere irrilevante la mancata, espressa confutazione della prospettata risoluzione della intervenuta cessione, tanto più che il rilievo è meramente assertivo, neppure essendo dato conoscere la base fattuale di tale, pretesa evoluzione della vicenda negoziale. Si ricorda in proposito che il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d'appello è configurabile allorché manchi completamente l'esame di una censura mossa alla sentenza di primo grado, di modo che la violazione non ricorre allorché il giudicante abbia fondato la decisione su argomenti che totalmente ne prescindano ovvero che necessariamente ne presuppongano l'accoglimento o il rigetto. Il giudice non è infatti tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all'art. 132, c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo conseguentemente ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo seguito (Cass. civ., 3 19 maggio 2006, n. 11756; Cass. civ., 3, 12 gennaio 2006, n. 407).
2.5 Infine non hanno pregio le critiche formulate nel quinto motivo. Questa Corte non ignora che, in caso di cessione di azienda, l'iscrizione dei debiti, inerenti all'esercizio della stessa, nei libri contabili obbligatori è elemento costitutivo della responsabilità dell'acquirente e non può essere surrogata dalla prova che l'esistenza di quelle passività era comunque nota all'acquirente medesimo (confr. Cass. civ., 3 aprile 2002, n. 4726). Ma se così è, l'elemento dirimente delle argomentazioni svolte dal giudice di merito è l'affermazione che gli importi riconosciuti a credito delle appellate trovavano precisa corrispondenza nelle risultanze dei libri obbligatori, dei quali era stata acquisita copia nel corso del giudizio di prime grado.
Il rilievo, nella sua asciutta perentorietà, toglie ogni valenza vuoi alla qualificazione come plurivoco e contraddittorio del sistema di annotazione adottalo, del resto solo apparente, secondo la valutazione dello stesso decidente, vuoi alla indicazione di altre fonti di conoscenza delle passività, del tutto inconferenti, per quanto innanzi detto, ai fini della correttezza della scelta decisoria adottata.
In tale contesto il ricorso deve essere rigettato.
Segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.200 (di cui Euro 200 per spese), per ciascun resistente costituito, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2009