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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24846 - pubb. 10/02/2021.

La nozione di 'grave scorrettezza' che rende sanzionabili i comportamenti del magistrato ha carattere elastico


Cassazione Sez. Un. Civili, 30 Dicembre 2020. Pres. Tirelli. Est. Cosentino.

Magistratura - Illecito disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006 - Grave scorrettezza - Carattere elastico - Funzionalità - Nozione - Fattispecie


La nozione di "grave scorrettezza" richiamata dall'art. 2, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006, nel rendere sanzionabili disciplinarmente i comportamenti del magistrato nei confronti delle parti, dei difensori, di altri magistrati e di chiunque abbia con esso rapporti nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ha carattere "elastico"; pertanto, in funzione del giudizio di sussunzione dei fatti accertati nella norma che tipizza il predetto illecito, il giudice disciplinare deve attingere sia ai principi che la disposizione (anche implicitamente) richiama, sia a fattori esterni presenti nella coscienza comune, così da fornire concretezza alla parte mobile della disposizione che, come tale, è suscettibile di adeguamento rispetto al contesto storico sociale in cui deve trovare operatività; ne consegue che deve ritenersi violato il dovere di correttezza gravante sul magistrato dall'inosservanza di quelle regole di civile comportamento che devono connotare i rapporti sociali (regole di educazione, di lealtà, di onestà intellettuale e pratica, di convenienza sociale) e la cui osservanza è volta, nello specifico, a preservare, anzitutto, le relazioni interpersonali nel rispetto della diversità dei ruoli e, con esse, il buon andamento dell'ufficio giudiziario e la sua stessa unitarietà funzionale, essendo dato di comune esperienza quello per cui, sul profilo oggettivo del servizio, si riverbera, in modo virtuoso, il corretto svolgimento delle prime. (Il principio è stato applicato in relazione ai comportamenti di un magistrato con ruolo dirigenziale che erano sconfinati nella mancanza di rispetto, nell'aggressività verbale e nel dileggio gratuito nei confronti di colleghi del proprio ufficio giudiziario). (massima ufficiale)

 

Fatti

1. La Dott.ssa A.B., all'epoca dei fatti magistrato in servizio al tribunale di * con funzione di presidente della sezione penale, oggi in servizio alla corte d'appello di *, ha proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione della sentenza emessa dalla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con la quale le è stata irrogata la sanzione della perdita di anzianità di mesi due per aver commesso l'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lett. d), avendo tenuto comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei colleghi, e l'illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, comma 1, lett. a), per aver fatto uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sè o per altri.

2. Più precisamente, con l'impugnata sentenza, la Dott.ssa M. è stata assolta da altri capi di incolpazione, ma è stata ritenuta responsabile in relazione agli addebiti di seguito riportati.

2.1 Per la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), perchè, violando i doveri di correttezza, diligenza ed equilibrio, nella qualità di presidente della sezione penale del Tribunale, instaurava un clima di grande tensione assumendo atteggiamenti mortificanti, arroganti e inutilmente vessatori e, così, gravemente scorretti nei confronti dei colleghi.

In particolare:

2.1.1. Nei locali del tribunale, in orari di ufficio, in presenza di avvocati e personale amministrativo, rivolgeva ai colleghi frasi quali "siete degli inetti, dei meri burocrati, non avete voglia di lavorare, di applicarvi o sacrificarvi" e ancora "voi non lavorate", "io vi faccio il disciplinare", "voi non producete" (frasi rivolte magistrati ***);

2.1.2. Riferendosi alla situazione dell'ufficio formulava frasi quali "una ha il mal di pancia", "l'altra è debole", così descrivendo, con la prima frase, lo stato di salute della Dottoressa S.S., la quale aveva subito un grave intervento chirurgico cui era eseguita degenza ospedaliera protrattasi per un mese.

2.1.3. In occasione della riunione indetta dal presidente del tribunale nel (*), finalizzata all'organizzazione dei turni in vista delle festività natalizie, si allontanava dal luogo della riunione dicendo che, non avendo fissato attività d'ufficio, non era disponibile essere inserita nella turnazione.

2.2. Per la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a), perchè, violando il dovere di correttezza, usava della sua qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti in favore del figlio Z. e, comunque, di ottenere informazioni in ordine all'esito dell'attività di polizia giudiziaria posta in essere dagli agenti della squadra mobile di *, nell'ambito delle indagini per il danneggiamento incendiario dell'auto di H.H.; nonchè al fine di convincere il dirigente della squadra mobile Dottor X., che coordinava le indagini di polizia giudiziaria, dell'estraneità del figlio Z..

In particolare:

2.2.1 il giorno (*), alle ore 20,25, si recava presso gli uffici della Questura di *, ove chiedeva e otteneva che fosse richiamato in ufficio il Dott. X., dirigente della squadra mobile, ritiratosi in ragione dell'ora tarda presso la sua abitazione; ottenuto il ritorno in ufficio del predetto dirigente, chiedeva informazioni in merito all'attività di polizia giudiziaria svolta nei confronti del figlio Z. e, nella medesima occasione, insisteva circa l'assoluta estraneità del figlio, supportando l'affermazione di innocenza con la dichiarazione che Z. era rimasto presso l'abitazione familiare per l'intera giornata di consumazione del delitto;

2.2.2. il giorno (*), alle 9,15, si recava di nuovo presso l'ufficio del capo della squadra mobile Dott. X., per riferire di aver letto, di nascosto, il contenuto di alcuni messaggi scambiati al figlio con un conoscente e di avere così accertato che, in orario compatibile con il fatto delittuoso, egli si era data appuntamento con detto conoscente ed era quindi uscito di casa, in tal modo fornendo ulteriore e diverso alibi al figlio; il colloquio si concludeva a seguito dell'invito del dirigente della squadra mobile affinchè il magistrato cessasse di interferire nelle indagini di polizia giudiziaria a carico del figlio.

3. Quanto agli addebiti di cui ai precedenti paragrafi 2.1.1. e 2.1.2., la Sezione disciplinare ha ritenuto provati i fatti ascritti dell'incolpata alla stregua delle seguenti risultanze istruttorie:

3.1. le dichiarazioni rese dalle colleghe dell'incolpata, dottoresse S., So., L. e T., nell'ambito del procedimento per incompatibilità ambientale svoltosi davanti alla Prima Commissione del CSM nei confronti della odierna ricorrente e del Presidente, all'epoca, del tribunale, Dott. F., conclusosi in ragione del trasferimento, a domanda, di entrambi;

3.2. le dichiarazioni del suddetto Dott. F., il quale aveva "confermato che l'incolpata, dopo essere stata nominata presidente di sezione, aveva assunto un atteggiamento "molto autoritario spigoloso", seppur volto a spronare i colleghi a lavorare sempre di più, ma senza in effetti offrire gli stessi l'aiuto di cui avrebbero avuto bisogno (specialmente quelli di prima nomina)".

4. La Sezione disciplinare ha altresì ritenuto che la circostanza che il Tribunale di * "versasse in uno stato di grave disorganizzazione e malfunzionamento, generativo di un clima di palpabile tensione", temperasse, ma non giustificasse, la gravità dei comportamenti assunti dalla Dott.ssa M.; nella sentenza si sottolinea (pagg. 7/8) che "rivestire un ruolo dirigenziale implica la necessità di saper affrontare anche situazioni di tensione, informando i propri comportamenti, se necessario, alla fermezza, che mai però dovrebbe sconfinare nella mancanza di rispetto, nell'aggressività verbale o del dileggio gratuito; tanto più se si tratta di gestire l'organizzazione del lavoro con magistrati di prima nomina, che nella dirigenza devono poter trovare la solidità e l'equilibrio che consenta loro di gestire con serenità le inevitabili difficoltà connesse alla gestione del primo incarico, tanto più plausibili in uffici caratterizzati dall'incombenza di un contenzioso assai complesso ed impegnativo come quello di *".

5. Quanto all'addebito di cui al precedente paragrafo 2.1.3., la Sezione disciplinare ha ritenuto che esso trovasse riscontro documentale nel verbale della riunione, là dove si legge che "Il Presidente di sezione dichiara di non dare le disponibilità per coprire i turni di Natale in quanto senza attività e totalmente assente dal servizio. Si da atto che la Presidente di sezione a questo punto lascia la riunione".

6. Quanto agli addebiti di cui ai precedenti paragrafi 2.2.1. e 2.2.2., la Sezione disciplinare, premesso che i fatti addebitati all'incolpata non erano stati contestati nella loro consistenza storica, ha affermato che i medesimi integravano oggettivamente la fattispecie dell'uso abusivo della qualità di magistrato del D.Lgs. n. 109 del 2006, ex art. 3, lett. a), sottolineando l'irrilevanza della circostanza che la Dott.ssa M. non si fosse espressamente qualificata come magistrato, dovendosi presumere - e, si aggiunge nella sentenza impugnata, non essendo contestato dall'incolpata che ella fosse conosciuta in Questura, anche in ragione del ruolo di Presidente della sezione penale da lei rivestito.

7. Il ricorso proposto dalla Dott.ssa M. si articola in tre motivi.

8. La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 22 settembre 2020, per la quale la ricorrente ha depositato una memoria illustrativa e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

 

Motivi

9. Con il primo motivo di ricorso, riferito all'art. 606 c.p.p., lett. b), c), ed e) la Dott.ssa A.B. deduce la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), l'erronea valutazione del carattere di "gravità" dell'illecito disciplinare, l'inosservanza o erronea applicazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, la mancanza di motivazione e il travisamento delle prove.

9.1. La sezione disciplinare avrebbe omesso di valutare il complessivo contesto di grave e allarmante degrado in cui versava il tribunale di * all'epoca dei fatti, che ha dato luogo ai contrasti interni e ai comportamenti addebitati all'incolpata. Il giudizio di "grave scorrettezza" dei comportamenti della Dott.ssa M., per l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 2, lett. d), non potrebbe prescindere da una valutazione del fatto nella sua interezza; la disorganizzazione, i disservizi e la conseguente scarsa produttività del tribunale vibonese avrebbero inciso sulla gravità del comportamento dell'odierna ricorrente, enfatizzando le divergenze e le difficoltà di rapporti tra colleghi.

9.2. Parte ricorrente deduce altresì i seguenti travisamenti di dati dalla stessa ritenuti di rilievo:

9.2.1. la contestazione relativa alla pronuncia di frasi offensive per i colleghi alla presenza di avvocati o di personale amministrativo trascurerebbe che tali frasi erano state pronunciate in Camera di consiglio e che la permeabilità acustica degli ambienti destinati alla Camera di consiglio non poteva certo essere addebitata all'incolpata;

9.2.2. la Sezione disciplinare non avrebbe adeguatamente valutato le deposizioni testimoniali del Direttore amministrativo del tribunale di *, Dott. B.F., del Presidente dell'Ordine degli avvocati, avv. A.G., dell'ex presidente del Tribunale, Dott. Lu.Ro., i quali hanno escluso di aver assistito o, appreso aliunde, degli episodi di cui al paragrafo 9.2.1. che precede; nè avrebbe considerato che la circostanza che la Dott.ssa M. si sarebbe riferita alle proprie colleghe usando le espressioni "una ha il mal di pancia", "l'altra è debole", non risultava suffragata da alcuna prova;

9.2.3. in ordine alla contestazione concernente la mancata collaborazione offerta dalla Dott.ssa M. nella turnazione per il periodo natalizio, la Sezione disciplinare non avrebbe considerato che l'incolpata, in quanto titolare di una funzione semidirettiva, era tabellarmente esonerata dei ruoli monocratici e dei relativi turni di direttissima;

9.2.4. quanto, infine, alla contestazione relativa all'abuso della qualità di magistrato nei rapporti con la locale Questura, la Sezione disciplinare non avrebbe colto che l'incolpata non aveva speso il proprio status di magistrato, avendo agito, piuttosto, da madre allarmata.

9.3. Il complesso dei suddetti travisamenti avrebbe condotto la Sezione disciplinare, secondo la ricorrente, ad una valutazione monca, parziale ed erronea dell'elemento della gravità della scorrettezze a lei addebitate.

10. Il motivo non può trovare accoglimento, giacchè le censure ivi promiscuamente sviluppate si risolvono tutte in una inammissibile richiesta di rivalutazione dell'apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dalla Sezione disciplinare.

10.1. In particolare, per quanto riguarda la doglianza concernente la sottovalutazione delle complessive, drammatiche, condizioni dell'ufficio. La stessa va giudicata infondata, giacchè la Sezione disciplinare ha preso espressamente in considerazione le condizioni dell'ufficio in cui l'incolpata operava (cfr. pag. 6, ultimo capoverso, della sentenza, parzialmente trascritto nel paragrafo 4 che precede).

10.2. La doglianza concernente i travisamenti delle risultanze menzionate nei precedenti paragrafi 9.2.1., 9.2.2., 9.2.3. e 9.2.4. si risolve in una richiesta di rivalutazione del merito e, pertanto, va giudicata inammissibile, giacchè, in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni della Sezione disciplinare del CSM è limitato al controllo della congruità, adeguatezza e logicità della motivazione, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perchè è estraneo al sindacato di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali, pur dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 (in termini, Cass. SSUU n. 7691/19, conf. SSUU n. 14430/17).

11. Con il secondo motivo di ricorso, riferito all'art. 606 c.p.p., lett. b), c), ed e), la Dott.ssa M. attinge la statuizione che ha affermato la sua responsabilità per gli addebiti di grave scorrettezza nei confronti dei colleghi, di cui ai precedenti paragrafi 2.1.1. e 2.1.2; viene denunciata la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), con riferimento all'erronea configurazione dell'elemento costitutivo della "gravità" ed all'assenza dell'elemento della "abitualità", nonchè la mancanza di motivazione.

11.1. Nel mezzo di impugnazione, dopo la premessa che il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), sanziona i comportamenti gravemente o abitualmente scorretti tenuti dal magistrato nei confronti dei colleghi o delle parti o dei loro difensori, si argomenta che il concetto di gravità deve essere ancorato ad indici oggettivi e determinati, che possono analogicamente ricavarsi dall'art. 133 c.p. (modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo, intensità del dolo o grado della colpa) e si lamenta che nessuno di questi elementi sarebbe stato preso in considerazione nella sentenza gravata.

11.2. Secondo la ricorrente, la verifica in concreto dei profili ricavabili all'art. 133 c.p., condurrebbe ad escludere la gravità della scorrettezza a lei addebitata: quanto alle modalità dell'azione, infatti, nel mezzo di ricorso si sottolinea come le frasi incriminate siano state pronunciate all'interno della Camera di consiglio, senza la presenza di estranei, e tendessero a rimediare ai gravi ritardi accumulatisi nell'espletamento dell'attività giudiziaria; quanto alla gravità del danno o del pericolo, la ricorrente sottolinea come il prestigio dell'ufficio giudiziario fosse già ampiamente compromesso dalla disorganizzazione e dal malfunzionamento del medesimo, cosicchè nessun deterioramento ulteriore poteva ascriversi a qualche intemperanza verbale.

11.3. Quanto all'abitualità dei comportamenti contestati, la ricorrente, dopo aver sottolineato come l'impugnata sentenza nulla dicesse al riguardo, argomenta che il limitato spazio temporale e la particolare congiuntura di lavoro che aveva dato luogo agli atteggiamenti a lei addebitati escluderebbero in radice la sussistenza anche di tale elemento costitutivo dell'illecito disciplinare.

12. Il secondo motivo è anch'esso da rigettare. Esso sostanzialmente ripropone la censura già svolta nel primo motivo all'apprezzamento di merito della Sezione disciplinare, focalizzandola, però, sugli specifici riferimenti normativi della gravità e dell'abitualità.

12.1. E' opportuno sgombrare immediatamente il campo dalle argomentazioni svolte nel mezzo di ricorso con riferimento all'elemento costitutivo dell'illecito rappresentato dall'abitualità, le quali vanno giudicate inammissibili perchè prive di pertinenza alle motivazioni della sentenza impugnata e, prima ancora, al capo di incolpazione di cui la ricorrente è stata ritenuta disciplinarmente responsabile. Alla Dott.ssa M., infatti sono stati contestati comportamenti "gravemente scorretti" e non già comportamenti "abitualmente scorretti". La censura sintetizzata nel precedente paragrafo 11.3 risulta quindi fuori fuoco.

12.2. Per quanto riguarda la gravità della scorrettezza addebitata alla ricorrente, va preliminarmente ribadito il principio, affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 31058/19, che la nozione di "grave scorrettezza" cui fa riferimento la previsione normativa di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), nel rendere sanzionabili disciplinarmente i comportamenti del magistrato nei confronti delle parti, dei difensori, di altri magistrati e di chiunque abbia con essi rapporti nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ha carattere elastico; pertanto, in funzione del giudizio di sussunzione dei fatti accertati nella norma che tipizza il predetto illecito, il giudice disciplinare deve attingere sia ai principi che la disposizione (anche implicitamente) richiama, sia a fattori esterni presenti nella coscienza comune, così da fornire concretezza alla parte mobile della disposizione che, come tale, è suscettibile di adeguamento rispetto al contesto storico sociale in cui deve trovare operatività; cosicchè deve ritenersi che il dovere di correttezza gravante sul magistrato risulti violato dall'inosservanza di "quelle regole di civile comportamento che, in generale, devono connotare i rapporti sociali (regole di educazione, di lealtà, di onestà intellettuale e pratica, di convenienza sociale, etc.) e la cui osservanza è volta, nello specifico, a preservare, anzitutto, le relazioni interpersonali nel rispetto della diversità dei ruoli e, con esse, il buon andamento dell'ufficio giudiziario e la sua stessa unitarietà funzionale, essendo dato di comune esperienza quello per cui, sul profilo oggettivo del servizio, si riverbera, in modo virtuoso, il corretto svolgimento delle prime" (così SSUU n. 31058/19, cit., pag. 14).

12.3. Tanto premesso in diritto, il Collegio rileva che la Sezione disciplinare ha adeguatamente motivato il proprio accertamento della sussistenza del requisito della "grave scorrettezza" della condotta ascritta all'incolpata facendo espresso riferimento alla regola - rientrante tra "quelle regole di civile comportamento che, in generale, devono connotare i rapporti sociali" menzionate nello stralcio sopra trascritto della sentenza n. 21058/19 - che la fermezza alla quale devono informarsi, quando necessario, i comportamenti di chi riveste un ruolo dirigenziale non può mai sconfinare "nella mancanza di rispetto, nell'aggressività verbale o del dileggio gratuito" (pag. 7, primo rigo, della sentenza gravata).

13. Con il terzo motivo di ricorso, riferito all'art. 606 c.p.p., lett. b), c), d) ed e), la Dott.ssa M. censura l'immotivato rigetto della sua richiesta di applicazione dell'esimente della scarsa rilevanza del fatto di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, denunciando la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d) e art. 3 bis, la violazione di legge sostanziale e processuale, la mancata assunzione di una prova decisiva e la mancanza assoluta di motivazione, difettando nella sentenza impugnata qualsivoglia riferimento alla questione della scarsa rilevanza del fatto.

13.1. La ricorrente sottolinea come l'accertamento della non scarsa rilevanza del fatto non è implicito nel giudizio di gravità della scorrettezza addebitata all'incolpata, trattandosi di concetti giuridici non sovrapponibili, posti a presidio di beni giuridici differenti. Nel mezzo di ricorso si argomenta che la gravità della scorrettezza è un elemento integrante lo specifico illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), preposto alla tutela del buon andamento dell'ufficio giudiziario e dell'unitarietà funzionale dell'ufficio, in vista dei quali si impone la correttezza nelle relazioni interpersonali; l'esimente della scarsa rilevanza di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, per contro, è riferibile a tutti gli illeciti disciplinari e tutela un unico bene giuridico, comune a ciascuno di questi, ossia l'immagine del singolo magistrato.

13.2. La verifica del giudice disciplinare, sostiene la ricorrente, avrebbe dunque dovuto riguardare tanto la lesione d'immagine eventualmente sofferta dall'ufficio giudiziario, quanto la lesione d'immagine del singolo magistrato, con una valutazione in concreto ex post, funzionale ad apprezzare la dimensione effettuale del fatto integrante l'illecito disciplinare. Tale indagine sarebbe assente nella sentenza impugnata, che la ricorrente censura sia per aver omesso di valutare gli indici di produttività dell'ufficio prima e dopo il trasferimento ad altra sede della Dott.ssa M., sia per avere omesso di considerare che tale trasferimento, in una con quello del Presidente del Tribunale, aveva disinnescato qualunque pericolo per l'immagine dell'ufficio.

14. Anche il terzo motivo va disatteso. Se, infatti, è indubbio che, come sottolinea la ricorrente, la motivazione sulla non scarsa rilevanza del fatto è necessaria anche quando la gravità del comportamento sia elemento costitutivo del fatto tipico (in tal senso, si vedano i precedenti di queste Sezioni Unite nn. 6327/12, 6468/15, 22577/19), deve tuttavia darsi continuità al principio, espresso nella ripetuta sentenza n. 31058/19, proprio con riferimento all'illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), alla cui stregua "in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, l'accertamento della condotta disciplinarmente irrilevante in applicazione dell'esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis (da identificarsi in quella che, riguardata ex post ed in concreto, non comprometta l'immagine del magistrato), deve compiersi senza sovvertire il principio di tipizzazione degli illeciti disciplinari; pertanto, nell'ipotesi in cui il bene giuridico individuato specificamente dal legislatore in rapporto al singolo illecito disciplinare non coincida con quello protetto dal citato art. 3 bis, il giudizio di scarsa rilevanza del fatto dovrà anzitutto tenere conto della consistenza della lesione arrecata al bene giuridico specifico e, solo se l'offesa non sia apprezzabile in termini di gravità, occorrerà ulteriormente verificare se quello stesso fatto, che integra l'illecito tipizzato, abbia però determinato un'effettiva lesione dell'immagine pubblica del magistrato, risultando applicabile la detta esimente soltanto in caso di esito negativo di entrambe le verifiche". Alla stregua di tale principio la verifica della sussistenza di un'effettiva lesione dell'immagine pubblica del magistrato non risulta necessaria, ai fini dell'accertamento della scarsa rilevanza del fatto al medesimo addebitato, quando questa vada esclusa già per la gravità dell'offesa recata al bene giuridico specifico direttamente tutelato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, medesimo art. 2, comma 1, lett. d), ossia il buon andamento dell'ufficio giudiziario e della sua unitarietà funzionale.

14.1. Sotto altro aspetto va considerato che, come già chiarito da queste Sezioni Unite (ex multis, sent. n. 25091/10), la norma di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, aggiunta dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1, ha introdotto, nella materia degli illeciti disciplinari riguardanti i magistrati, il principio di offensività, proprio del diritto penale, secondo il quale la sussistenza dell'illecito va, comunque, riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma, con accertamento in concreto, effettuato ex post. Tale accertamento costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare e resta sottratto al sindacato di legittimità se non risulti viziato da un errore di impostazione giuridica e non si riveli motivato in modo insufficiente o illogico (cfr. SSSU n. 7934/13, SSUU n. 27434/17, SSUU n. 15048/19).

14.2. Sulla scorta delle considerazioni che precedono, è agevole rilevare che il rigetto dell'istanza di applicazione dell'esimente avanzata dalla difesa dell'incolpata risulta motivato esaurientemente, ancorchè implicitamente, là dove l'impugnata sentenza esplicita le ragioni che hanno indotto la Sezione disciplinare ad applicare all'incolpata la sanzione della perdita di due mesi di anzianità.

14.3. La perdita di due mesi di anzianità costituisce infatti la sanzione immediatamente più grave rispetto a quella della censura, fissata nel D.Lgs. n. 109 del 2006, tanto per l'illecito di cui all'art. 2, comma 1, lett. d) quanto per quello di cui all'art. 3, comma 1, lett. a). La Sezione disciplinare si è dunque attenuta alla regola fissata nel secondo periodo del comma 5 del medesimo D.Lgs. ("quando più illeciti disciplinari, commessi in concorso tra loro, sono puniti con la medesima sanzione, si applica la sanzione immediatamente più grave"), espressamente escludendo di potersi avvalere della facoltà di applicare la sanzione meno grave, prevista nell'ultimo periodo di detto comma ("può essere applicata anche la sanzione meno grave se compatibile"), sul duplice rilievo che:

- entrambi gli addebiti mossi all'incolpata - la violazione dei doveri di correttezza nei confronti dei colleghi e l'abuso della qualità di magistrato nei rapporti con la Questura di * - erano "relativi a condotte reiterate";

- l'addebito relativo alla scorrettezza nei confronti dei colleghi era relativo a "comportamenti tenuti nei confronti di giovani magistrati alle prese con funzioni di processi delicati in un contesto difficile, per l'alto tasso di procedimenti complessi di criminalità organizzata, per di più nella veste di presidente di sezione, un ruolo in cui la Dott.ssa M. avrebbe dovuto, semmai, aiutare i giovani colleghi ad affrontare le nuove responsabilità professionali più serenamente possibile".

14.4. Le ragioni con le quali la Sezione disciplinare ha motivato la propria decisione di non esercitare la facoltà di applicare la sanzione della censura, ritenendo i comportamenti tenuti dall'incolpata meritevoli della maggior sanzione della perdita di anzianità di due mesi, valgono, con tutta evidenza, ad illustrare i motivi del mancato riconoscimento dell'esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis; mancato riconoscimento che - non risultando viziato da errori di impostazione giuridica, nè motivato in modo insufficiente o illogico - si sottrae al sindacato di questo Giudice di legittimità.

In definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola.

Non vi è luogo a regolazione di spese, nè - ratione materiae - al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Si dà atto che la presente sentenza è firmata dal solo presidente del collegio, per impedimento dell'estensore, ai sensi dell'art. 132 c.p.c., comma 3, in conformità al disposto del decreto del Primo Presidente della Corte di Cassazione n. 163/2020, recante integrazione delle Linee guida sull'organizzazione della Corte di cassazione nell'emergenza COVID 19.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020.