Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23931 - pubb. 11/01/2020

Responsabilità personale per obbligazioni contratte in nome della costituenda società

Cassazione civile, sez. I, 26 Luglio 2012, n. 13287. Pres. Plenteda. Est. Ragonesi.


Responsabilità dei promotori - Obbligazioni contratte in nome della costituenda società - Responsabilità personale e diretta del soggetto agente - Sussistenza - Fondamento - Conseguenze - Fattispecie relativa a società di fatto insolvente - Soggezione a fallimento - Configurabilità – Fondamento



Coloro i quali contraggono obbligazioni in nome di una costituenda società di capitali assumono, in forza dell'art. 2331, secondo comma, cod. civ., una responsabilità personale e diretta, la quale permane, salvo patto contrario, anche quando la società abbia conseguito la personalità giuridica e ratificato le operazioni compiùte anteriormente in suo nome; la dizione legislativa di cui all'articolo citato, infatti, non sorregge in alcun modo l'affermazione della temporaneità della responsabilità di cui si tratta, mentre detta disposizione mira a tutelare l'affidamento dei terzi, i quali, non essendo in grado di conoscere la consistenza patrimoniale della persona giuridica prima della pubblicazione del suo atto costitutivo, non possono che aver negoziato sulla fiducia della solvibilità di coloro che hanno agito per la costituenda società; pertanto, qualora il soggetto che abbia agito in nome di una società di capitali non ancora registrata, e quindi inesistente, abbia posto in essere un'attività imprenditoriale o un'attività quale socio di una società di fatto insolvente, ne risponde a pieno titolo, con la conseguenza che tale responsabilità determina la sua soggezione a fallimento. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

Il B.B.J.M. proponeva opposizione alla dichiarazione di fallimento della società di fatto riconosciuta esistente tra lui medesimo e Be.Da. emessa dal Tribunale di Torino con sentenza del 27.6.2001. Si costituivano in giudizio il fallimento della società di fatto Dario Bellandini e John Michael Botros ed il Pubblico Ministero, mentre rimanevano contumaci il Fallimento della Immobiliare Cuorgne s.r.l., e Da.B..

Con sentenza n. 6451/03 il Tribunale respingeva l'opposizione. Con citazione del 22 settembre 2003, l'avv. B. proponeva appello.

Nel procedimento, si costituiva unicamente il Fallimento della società di fatto, senza che altre parti si fossero costituite o il PM avesse svolto difese.

Con sentenza depositata il 4.10.05, la Corte di Appello di Torino rigettava il gravame.

Per quel che in questa sede ancora rileva la Corte territoriale ha ritenuto non fondata l'eccezione relativa alla denunciata violazione della L. Fall., art. 15, concernente la mancata notificazione dell'istanza di fallimento del PM e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza. Argomenta la Corte che, da un lato, il B. avrebbe preso atto dell'istanza di fallimento contro di lui proposta dal PM e che si era difeso in relazione ad essa e, dall'altro lato, che il procedimento camerale e sommario relativo alla dichiarazione di fallimento necessiterebbe soltanto che il soggetto convocato L. Fall., ex art. 15 abbia certa nozione della o delle istanze di fallimento contro di lui proposte. Inoltre, detto gravame sarebbe stato inammissibile, in quanto non avrebbe contestato la ratio deciderteli del capo impugnato con sufficiente grado di specificità.

Secondo il giudice di seconde cure poi, il motivo di censura alla sentenza, per aver erroneamente ritenuto che l'istanza di dissequestro inoltrata dal B. non contenesse esplicito riferimento alla sua specifica attività di avvocato, sarebbe parimenti infondato, alla luce delle risultanze di causa. L'istanza di dissequestro, inoltre, non sarebbe l'unico atto di gestione, in quanto la società avrebbe continuato l'attività sulla base della disponibilità dell'azienda e dell'immobile procurata dal B., il quale anche avrebbe ribadito l'impegno di pagamento di un debito sociale nei confronti della olandese Alpha Club B. V. Infondata sarebbe, altresì, la tesi del B. in ordine alla totale inesistenza di attività imprenditoriale svolta insieme al Be..

Secondo la Corte era provato che , in data 7 giugno 2000, la società "provvide alla emissione di n. 274 fatture", e B. avrebbe dato la disponibilità dell'azienda e del locali "funzionale anzi necessaria alle attività di raccolta del contratti effettuate dal Be.".

Secondo la Corte, il vincolo sociale sarebbe stato esteriorizzato "nei confronti della procura della repubblica di Torino" e sarebbero atti di gestione a rilevanza esterna i contratti di affitto di aziende di locazione. In ogni caso, sussisterebbero sia gli estremi della società di fatto dei rapporti interni, sia la sua esteriorizzazione nei rapporti esterni, con la conseguente esistenza "di società di fatto, realmente esistente, non occulta, ma anzi esteriorizzata".

Rileva poi la Corte d'appello che non sarebbe decorso l'anno tra la cessazione dell'attività gestoria e la dichiarazione di fallimento, in quanto, in data 8 luglio 2000, il B. avrebbe rilasciato una dichiarazione di conferma degli impegni assunti, mentre la sentenza dichiarativa del fallimento e stata depositata in data 5 luglio 2001.

In ogni caso, non sarebbe stata provata, in detto periodo, l'intervenuta cessazione del rapporto societario.

La censura relativa alle conseguenze giuridiche delle operazioni poste in essere prima dell'iscrizione della società, riguarderebbe un problema mal posto, in quanto il B. non sarebbe stato dichiarato fallito come imprenditore commerciale, ma come socio di società di fatto con Be., il quale ultimo agiva proprio grazie alla disponibilità dell'azienda e dei locali che sarebbero stati conferiti dal B..

La prova, infine della "reiterata presenta del B. in Italia" risulterebbe anche aliunde, rispetto alle tardive produzioni del PM, mentre le prove dedotte sarebbero state correttamente respinte in quanto non idonee a contestare fatti documentalmente provati.

Avverso tale sentenza, l'avv. B.J.M. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi cui resiste con controricorso la curatela del fallimento della società di fatto Botros - Bellardini.

 

Diritto

Con il primo motivo di ricorso il B. deduce nuovamente la nullità del procedimento di dichiarazione di fallimento per violazione della L. Fall., art. 15, non essendo stata effettuata alcuna valida notifica della istanza di fallimento del PM ed essendosi esso ricorrente difeso solo nell'altro distinto autonomo procedimemento promosso dal fallimento dell'Immobiliare Courgnè successivamente riunito a quello promosso dal Pm.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata contiene una duplice ratio decidendi la seconda delle quali è costituita dalla constatazione che il motivo di appello era inammissibile perchè si limitava a proporre quanto già dedotto nel giudizio di primo grado senza avanzare specifiche censure alle argomentazioni della sentenza di primo grado ed in conseguenza di ciò la Corte d'appello ha ritenuto essersi formato sul punto il giudicato.

Tale seconda ratio decidendi che di per sè riveste il carattere della decisività non è stata oggetto di doglianza con il motivo in esame onde lo stesso va dichiarato inammissibile.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente contesta la sussistenza di una società di fatto con il Be. e sostiene che, avendo egli agito come amministratore della The Alpha Club Com Italia srl, mai iscritta nel registro delle imprese, egli avrebbe al massimo dovuto rispondere dei propri atti nei confronti dei terzi ai sensi dell'art. 2331 c.c. e non già quale imprenditore individuale.

Il motivo è infondato.

Quanto alla seconda censura dianzi riportata ,è giurisprudenza costante di questa corte che la società di capitali che non sia stata regolarmente costituita per mancata iscrizione nel registro delle imprese non viene a giuridica esistenza, con la conseguenza che delle obbligazioni assunte in suo nome sono responsabili coloro che hanno agito. (Cass 1795/72, cass 2515/84; Cass 5915/99; Cass 21520/04).

In particolare,la responsabilità illimitata e solidale di chi ha agito per una società di capitali non ancora costituita, o non ancora iscritta, permane inalterata (salvo patto contrario) anche dopo la regolare iscrizione della società, ed anche dopo che questa, una volta conseguita la personalità giuridica, abbia ratificato dette operazioni (v. Cass., 9 giugno 1972 n. 1795, 28 luglio 1960 n. 2222). Il principio - sul quale concorda la dottrina pressochè unanime - è imposto, innanzitutto, dal dato che la dizione legislativa di cui all'art. 2331 c.c., comma 2 non sorregge in alcun modo l'affermazione della temporaneità della responsabilità della quale si tratta. Inoltre, dal rilievo che la norma mira a tutelare l'affidamento dei terzi i quali, non essendo in grado di conoscere la consistenza patrimoniale della società prima della pubblicazione del suo atto costitutivo, non possono che avere negoziato sulla fiducia della solvibilità di coloro che hanno agito per la costituenda società, e ciò sia che si inquadri la fattispecie normativa in quella della rappresentanza senza rappresentato, sia che la si inquadri in quella della rappresentanza senza poteri, emerge che l'appagamento della finalità della norma esige il permanere della responsabilità di questi ultimi. (Cass 8127/96; Cass 21520/04).

Ciò posto deve comunque ritenersi che il soggetto che abbia agito in nome di una società di capitali non ancora registrata, e quindi inesistente, qualora abbia posto in essere una attività imprenditoriale ovvero abbia svolto una attività quale socio di una società di fatto ,che , in base a quanto detto, viene al medesimo direttamente imputata, ne risponde a pieno titolo. Tale responsabilità comporta anche che il soggetto in questione sia suscettibile di essere dichiarato fallito qualora abbia svolto attività imprenditoriale in proprio ovvero risulti essere socio illimitatamente responsabile di una società di fatto. Sussistendo infatti la piena responsabilità, nessuna norma impedisce ai terzi creditori di presentare istanze di fallimento nei confronti del soggetto in questione e che questi, sussistendo lo stato d'insolvenza, venga dichiarato fallito se abbia svolto attività imprenditoriale o abbia operato quale socio di fatto di una società insolvente.

Se così non fosse del resto, si verrebbe a creare un' area di immunità priva di qualunque giustificazione che si presterebbe a possibili abusi. Basti pensare al caso in cui una società costituita presso il notaio non venga mai iscritta nel registro delle imprese.

In tal caso il soggetto che operasse in nome di questa svolgendo attività imprenditoriale sarebbe sì responsabile verso i terzi ma, se non fosse suscettibile di essere dichiarato fallito, le situazioni d'insolvenza da questi eventualmente create non potrebbero essere sottoposte a procedura concorsuale venendo così a creare in danno dei terzi creditori una ingiustificata disparità di trattamento.

Quanto alle restanti censure, con cui, sotto diversi profili, il ricorrente contesta l'esistenza della società di fatto, per non essere gli atti da lui posti in essere collegati con l'attività del Be. e per non essersi comunque mai esteriorizzata l'esistenza di una società, le stesse sono inammissibili.

La Corte d'appello ha ritenuto che l'attività del Be. e del B., era coessenziale al fini del perseguimento degli scopi sociali e che, da un lato, il Be. conferì la propria opera mantenendo in vita la trama dei rapporti creata nel tempo (ossia concluse altri 1.208 contratti con altrettanti clienti), mentre, dall'altro lato, il B., conferì la disponibilità dell'azienda e dell'immobile, avendo stipulato i contratti di affitto e di locazione in data 6.6.2000, e pose in essere altri atti di gestione ravvisabili nella dichiarazione in data 8.7.2000 rilasciata alla immobiliare Cuorgnè,con cui confermò tutti gli impegni assunti dalla inesistente The Alpha Club Com Italia s.r.l. e, in particolare, si dichiarò impegnato a provvedere al pagamento del debito della immobiliare Cuorgnè di L. 50 miliardi nel confronti della olandese Alpha Club B.V., nonchè nella istanza di dissequestro dei locali siti in (OMISSIS), Corso Unione Sovietica, ove dichiarò il numero dei contratti (1208) conclusi dalla società tra il 24 maggio 2000 ed il 16 giugno 2000.

In particolare la Corte d'appello ha ritenuto che il " B. (e non la ACC, mai venuta ad esistenza), diede la disponibilità di un'azienda e dei locali, funzionali alle attività di raccolta del contratti, effettuate dal Be.; tale dazione, consistita nella attività contrattuale di stipula del predetti contratti, essendo funzionale, anzi necessaria, all'attività del Be., può essere senz'altro qualificata nei termini di un conferimento.

Il B. (e non la mai esistita ACC) conferì l'azienda e i locali ed il Be. stipulò i contratti".

Tale motivazione appare di per sè congrua, basata su un attento esame delle risultanze processuali ed adeguatamente argomentata sotto il profilo logico-giuridico. La stessa non appare pertanto sindacabile in sede di legittimità.

Le censure che il ricorrente muove a tale motivazione, oltre ad essere generiche, non investendo e non contestando il complesso delle attività riferite ad esso ricorrente ed in concorso con l'attività del Be., tendono in realtà a prospettare una diversa interpretazione delle risultanze processuali, in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisione.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in primo luogo, l'inammissibilità, ai sensi dell'art. 184 c.p.c., dei tre documenti allegati alla memoria di replica del PM nel giudizio di primo grado.

In secondo luogo, deduce sotto diversi profili che era ormai trascorso un anno da quando aveva cessato ogni attività gestionale (7 giugno) nella pretesa società di fatto e che, pertanto, il fallimento non poteva essere dichiarato, aggiungendo che, comunque, l'onere probatorio sulla circostanza che l'anno non era trascorso era a carico della controparte.

La prima doglianza è inammissibile stante la sua assoluta genericità e mancanza di autosufficienza, non essendo neppure riportato quale fosse il contenuto dei tre documenti nè la loro pretesa rilevanza in giudizio. La doglianza non contiene, inoltre, alcuna argomentazione atta a dimostrare la tardività del deposito.

Le ulteriori doglianze sono inammissibili prima ancora che infondate.

La sentenza impugnata ha affermato che il momento da cui decorre l'anno per la dichiarazione di fallimento è quello in cui il recesso del socio della società irregolare è pubblicizzato all'esterno e che, nel caso di specie, tale publicizzazione non vi era stata onde l'anno non poteva considerarsi trascorso.

Tale affermazione è del tutto conforme agli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte secondo cui la decorrenza del termine annuale per la dichiarazione del fallimento del socio occulto illimitatamente responsabile di una società di fatto, in estensione del fallimento sociale, non può farsi risalire alla data del suo recesso, nè, tanto meno, a quella della dichiarazione di fallimento della società - cui consegue soltanto lo scioglimento dell'ente collettivo (art. 2308 cod. civ.), e non la sua estinzione - ma deve essere ricondotta, in ossequio al principio di certezza delle situazioni giuridiche, alla data in cui lo scioglimento del rapporto del socio con la società sia portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, senza che possa invocarsi, in contrario, la sentenza della Corte costituzionale n. 319 del 2000 - dichiarativa dell'illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 147, comma 1, nella parte in cui non prevede, ai fini della dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile, il termine annuale dalla perdita di tale qualità - giacchè la stessa Corte costituzionale ha chiarito (ordinanza n. 321 del 2002) come detta sentenza abbia considerato esclusivamente l'ipotesi in cui la perdita della qualità di socio sia stata regolarmente pubblicizzata, non essendo tra loro equiparabili - proprio in relazione alla necessità di dare certezza alle situazioni giuridiche - la situazione del socio receduto di una società regolarmente costituita e registrata e quella del socio di una società irregolare, perchè non iscritta nel registro delle imprese o addirittura occulta. (Cass 18458/05).

La citata corretta affermazione della Corte d'appello non è in alcun modo censurata dal ricorrente che ribadisce la tesi non conferente nel caso di specie secondo cui l'anno per la dichiarazione di fallimento decorrerebbe dal momento in cui esso ricorrente non aveva più assunto responsabilità illimitata.

L'altra doglianza, connessa alla questione in esame e relativa alla data effettiva di compimento dell'ultimo atto gestorio, resta assorbita.

Infondato è inoltre l'assunto secondo cui l'onere della prova della data di cessazione dell'attività ai fini del decorso dell'anno di cui alla L. Fall., art 10 sia a carico dei resistenti, posto che il giudizio di opposizione a fallimento riveste - come correttamente osservato dalla Corte d'appello - carattere inquisitorio onde il giudice può decidere sulla base di tutti gli elementi utili acquisiti in giudizio.

Il ricorso va in conclusione respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in favore del fallimento resistente in Euro 2000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2012.