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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23279 - pubb. 26/02/2020.

Prova per presunzioni della scientia decoctionis del terzo contraente


Cassazione civile, sez. VI, 11 Febbraio 2020, n. 3327. Pres. Di Virgilio. Est. Dolmetta.

Fallimento – Revocatoria fallimentare – Scientia decoctionis – Prova presuntiva – Valutazione complessiva degli elementi indiziari – Necessità

Fallimento – Revocatoria fallimentare – Scientia decoctionis – Prova presuntiva – Violazione di legge – Controllo di legittimità


In tema di prova per presunzioni della scientia decoctionis del terzo contraente, la valutazione del giudice circa la sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 c.c. non può fondarsi unicamente sull’apprezzamento atomistico degli elementi fattuali, ma deve essere ricavata anche dall’analisi complessiva e coordinata degli indizi.

In tema di prova per presunzioni, la valutazione compiuta in sede di merito riguardo agli elementi indiziari da cui non si riesca ad evincere chiaramente il criterio logico posto alla base della selezione dei fatti e del convincimento del giudice, costituisce violazione dell’art. 2729 c.c. censurabile in sede di legittimità. (Benedetta Bonfanti) (riproduzione riservata)

Segnalazione della Dott.ssa Benedetta Bonfanti

Fatti di causa

1.- Nel febbraio del 2005, la s.p.a. Gama in amministrazione straordinaria ha proposto avanti al Tribunale di Verona azione revocatoria di rimesse di conto corrente bancario nei confronti della s.p.a. Banca Monte dei Paschi di Siena (come allora diversamente denominata).

2.- Con sentenza del gennaio 2013, il Tribunale veneto ha accolto la domanda, in relazione a un importo inferiore a quello richiesto.

La Banca ha impugnato la sentenza avanti alla Corte di Appello di Venezia. Che la ha parzialmente accolta, con sentenza depositata in data 16 marzo 2018.

3.- In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il requisito della scientia decoctionis non già dall'inizio del periodo sospetto, come aveva stabilito il Tribunale, bensì dal momento dell'"invio di una lettera di revoca da parte della Banca di un'apertura di credito, in realtà... mai concessa".

Rilevato che "l'iter argomentativo seguito dal Tribunale non persuade", la Corte veneziana ha affermato che, "nel caso in esame, la Banca non ha concluso alcun contratto di finanziamento per il quale ai sensi del TUB, art. 117, è necessaria la forma scritta"; che "l'assenza di un affidamento esclude che l'istituto abbia potuto svolgere alcun esame dei bilanci"; che a un istituto di credito "non può essere imposto" un "monitoraggio continuo dei dati contabili dei suoi clienti, trattandosi di indagini costose e incompatibili con le correnti dinamiche di mercato"; che il bilancio relativo all'esercizio 2002 era stato depositato solo nel settembre 2003; che questo - "ad eccezione di un indice di indebitamento di Euro 22.000.000" - "non registrava altri quozienti anomali rispetto a quelli rilevati sul campione delle imprese private italiane".

Ha ancora aggiunto che l'"anomalo andamento del rapporto bancario non si inserisce all'interno di una valutazione tale da rendere manifesta o anche solo percepibile uno stato di irreversibile insolvenza della Gama": "le anticipazioni effettuate dalla Banca... anche prima della scadenza stabilita e in assenza di fatture di riferimento, nonchè il rimborso delle stesse solo nel momento in cui il saldo del conto si presentasse positivo rivelano... al più uno stato di debolezza finanziaria".

4.- Avverso questo provvedimento ricorre la società in amministrazione straordinaria, esponendo tre motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, la Banca.

5.- Entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

6.- Con il primo motivo si deduce "violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa o errata applicazione e valutazione dell'elemento soggettivo dell'azione, c.d. scientia decoctionis, di cui alla L. Fall., art. 67, comma 2, e per omessa o errata applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c.", per avere la Corte veneziana trascurato di compiere una "valutazione complessiva" degli elementi sintomatici a sostegno della scientia decoctionis intervenuti antecedentemente all'invio della lettera di revoca degli affidamenti in essere. Come anche per avere la pronuncia trascurato, più in particolare, di tenere conto delle qualità e specifiche conoscenze tecniche del creditore e della sua natura di operatore professionale, che comportava l'acquisizione e la conoscenza dei bilanci della società correntista; dei bilanci relativi agli esercizi dal 1999 a 2002 e della significatività dei dati riportati, o comunque emergenti, dai medesimi; delle irregolarità manifestate dal conto corrente e della "pesante tensione finanziaria" del correntista, che lo stesso veniva a rappresentare.

7.- Con il secondo motivo si lamenta "violazione degli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omessa valutazione di fatti non contestati in grado di appello", per non avere la Corte veneziana esaminato in modo adeguato le risultanze dei bilanci della società poi fallita, pure anteriori a quello relativo all'esercizio 2002, nè tenuto conto del comportamento, anche processuale, serbato dalla Banca convenuta.

8.- Col terzo motivo si prospetta "violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all'applicazione dell'art. 61 c.p.c., nella parte in cui la Corte di appello non ha motivato la mancata ammissione della CTU" relativa all'andamento del conto corrente su cui hanno inciso le rimesse revocande.

9.- Le tre censure, che in quanto strettamente connesse possono essere esaminate in modo congiunto, meritano accoglimento per le ragioni che si vengono a mostrare.

10.- I contenuti di base della giurisprudenza, che questa Corte è venuta a consolidare in tema di revocatoria fallimentare e di scientia decoctionis, sono stati opportunamente sintetizzati, di recente, dalla pronuncia di Cass. n. 29257/2019 (in relazione a un caso per più versi non dissimile, del resto, da quello qui in esame).

Ha dunque rilevato la detta pronuncia che la "conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente, pur dovendo essere effettiva, può essere provata anche mediante indizi e fondata su elementi di fatto, purchè idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività. Orbene, se è vero che la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione così come il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l'esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (ex multis, Cass. n. 3845/2019; Cass., n. 3336/2015), è pur vero che, per giurisprudenza altrettanto consolidata in tema di prova per presunzioni, il giudice deve esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento".

"Da tempo questa Corte segnala che il giudice è tenuto a seguire un procedimento articolato in due fasi logiche: dapprima, una valutazione analitica degli elementi indiziari, per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi). In tal senso è stata ritenuta censurabile in sede di legittimità la decisione con la quale il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio, atomisticamente considerati, senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, fossero però in grado di acquisirla ove valutati secondo un giudizio complessivo di sintesi e di vicendevole completamento (ex multis, Cass. n. 18822/2018; Cass. n. 9059/2018; Cass., n. 5374/2017)".

"Ne consegue che, allorquando sia in contestazione il rigore del ragionamento presuntivo che il giudice deve operare ai sensi dell'art. 2729 c.c., occorre verificare che l'apprezzamento dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, richiesti dalla legge, sia stato ricavato dal complesso degli indizi, sia pure previamente individuati per la loro idoneità a produrre le inferenze che ne discendano secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit (Cass. n. 12002/2017) e che non sia stato omesso l'esame di un fatto secondario, dedotto come giustificativo dell'inferenza di un fatto ignoto principale, purchè decisivo (Cass., n. 17720/2018)".

11.- Nel caso di specie, il giudizio formulato dalla Corte territoriale non si è conformato ai principi appena richiamati, in quanto essa si è limitata a esaminare singolarmente - e non complessivamente - taluni degli elementi proposti dalla fattispecie concreta.

12.- In particolare, la pronuncia non ha tenuto in alcun conto dei bilanci della s.p.a. Gama anteriori a quello dell'esercizio del 2002 e della sintomatica loro espressività. Rispetto a quest'ultimo esercizio, poi, si è fermata a un'apodittica dichiarazione di non significatività dell'indice di indebitamento, nonostante lo stesso esprimesse, già di per sè solo, un dato impressionante.

Nemmeno ha tenuto conto della qualità di operatore qualificato - in quanto impresa autorizzata all'esercizio del credito - del creditore, che è aspetto da sempre sottolineato, per contro, dalla giurisprudenza di questa Corte e che viene in rilievo, nella presente specie, non solo in relazione all'esigenza delle imprese bancarie di conoscere (per tempo) i bilanci dei loro clienti e alla necessaria competenza nella relativa lettura che a queste imprese è richiesta dalla legge.

Senz'altro inadeguato è infatti stato, per questo particolare proposito, l'esame del rapporto di affidamento in essere tra le parti, che la sentenza ha nel contempo affermato essere esistente ("le operazioni di anticipazione su fatture effettuate dalla banca rappresentano una sottospecie di apertura di credito"), come pure non esistente ("l'assenza di un affidamento esclude che l'istituto abbia potuto svolgere alcun esame").

Il mancato rispetto della forma scritta TUB ex art. 117, non esclude, com'è peraltro evidente, il rischio di (non) rientro delle somme in una o altra maniera erogate dalla Banca al cliente. E', d'altro canto, in palese contrasto con i precetti di legge e dell'Autorità di Vigilanza (e, prima di tutto, con il principio di "sana e prudente gestione" di cui al TUB, art. 5) l'affermazione della Corte veneziana, per cui le banche potrebbero liberamente non monitorare la contabilità e patrimonialità dei loro clienti.

Decisamente sommario e isolato, astratto dal contesto complessivo della fattispecie è stato, altresì, l'esame relativo al peculiare andamento del conto corrente in essere tra le parti (al punto di non prendere nemmeno in considerazione la pur sollecitata possibilità di disporre una CTU in proposito).

13.- In conclusione, va accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata, con rinvio della controversia per una nuova valutazione della scientia decoctionis della Banca, attraverso una valutazione adeguata e complessiva di tutti gli elementi proposti dalla fattispecie concreta.

Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alle determinazioni relative alle spese del presente giudizio.


P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere pure sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile - 1, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020.