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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22940 - pubb. 28/12/2019.

Il diritto di pegno su quote di società a responsabilità limitata mediante iscrizione nel registro delle imprese


Cassazione civile, sez. I, 27 Novembre 2019. Pres. Didone. Est. Dolmetta.

Riconducibilità quote s.r.l. ai diritti di credito – Applicabilità disciplina del pegno di diritti diversi da crediti

Costituzione pegno di quote s.r.l. – Procedura – Deposito della domanda – Iscrizione nel registro delle imprese


Le quote della s.r.l., rappresentando non diritti di credito ma posizioni contrattuali in società, sono soggette alla disciplina residuale della costituzione in pegno prevista dall’art. 2806 cod. civ.

Il diritto di pegno su quote di società a responsabilità limitata è costituito a seguito dell’iscrizione nel registro delle imprese, non essendo sufficiente al riguardo il semplice deposito della domanda di iscrizione. (Lucrezia Cipriani) (riproduzione riservata)

 

Fatti di causa

1.- La s.p.a. Valtellina ha chiesto di essere ammessa al passivo fallimentare della s.p.a. (*), titolando la propria pretesa nel fatto che la società poi fallita aveva dato in pegno - quale terzo datore - le quote di una serie di società a responsabilità limitata, tutte sottoposte all'attività di direzione e coordinamento della stessa datrice, per la garanzia di un debito della controllata s.r.l. (*) (essa pure fallita) inerente al corrispettivo della prestazione di opere di realizzazione di impianti fotovoltaici.

Dando seguito all'eccezione revocatoria presentata dal curatore, il Giudice delegato ha senz'altro respinto la domanda, rilevando l'inefficacia della garanzia pignoratizia ai sensi delle disposizioni di cui alla L.Fall., art. 64 e art. 67, comma 2.

2. - La s.p.a. Valtellina ha proposto opposizione L.Fall., ex art. 98 ss. avanti al Tribunale di Reggio Emilia. Che la ha respinta con decreto depositato in data 9 luglio 2014, sempre richiamando le predette norme della disciplina fallimentare.

3. - In proposito, il Tribunale ha rilevato, in primo luogo, che la prestazione della garanzia del pegno doveva essere valutata come atto a titolo gratuito.

Fermato l'assunto che, per accertare la natura gratuita o onerosa della garanzia prestata dal terzo, occorre considerare il "complessivo rapporto trilaterale creditore - debitore - terzo", il decreto ha osservato che, nella specie, non emergeva un'"utilità economica significativa", nè per la debitrice (*), nè per la datrice (*): "non vi è stata alcuna effettiva riduzione del debito di (*) nei confronti della creditrice"; "non è in alcun modo provato che le scadenze delle obbligazioni, diversamente modulate in virtù delle due scritture private dell'1 giugno 2012, abbiano generato un vantaggio economicamente non irrisorio per (*) o anche solo per la controllata (*)".

4.1. - Nel prosieguo della motivazione, il Tribunale ha pure osservato che la garanzia pignoratizia risultava revocabile anche ove considerata quale atto di titolo oneroso e "normale".

4.2. - Sotto il profilo della ricomprensione dell'atto nel periodo sospetto, il giudice del merito ha riscontrato - sul piano del fatto - che la "costituzione dei pegni è avvenuta con sette distinte scritture private autenticate, in data 15 giugno 2012, registrate a Milano il 20 giugno 2012 e infine iscritte nel registro delle imprese in data 21 giugno 2012"; e che "in data 18 dicembre 2012 la (*) depositava ricorso per concessione di termine ai sensi della L.Fall., art. 161, comma 6, e tale domanda veniva iscritta nel registro delle imprese di Reggio Emilia in pari data".

Ha poi rilevato che dal "complesso" delle disposizioni di cui agli artt. 2352,2471 bis, 2469,2470,1787 e 2806 c.c. "si evince che il pegno su quote di s.r.l. è validamente costituito con scrittura privata avente data certa e che esso diventa efficace e opponibile nei confronti dei terzi a seguito dell'iscrizione del pegno stesso nel registro delle imprese".

Ne ha tratto la conseguenza che, nella specie, gli "atti di pegno, essendo stati iscritti in data 21 giugno 2012, cadono nel semestre anteriore all'iscrizione della domanda di concordato preventivo" nel registro delle imprese.

4.3. - Con riferimento alla scientia decoctionis, il decreto ha affermato essere "fuori discussione che uno stato di insolvenza di (*) fosse effettivamente sussistente nel giugno 2012, giacchè contro di essa pendeva un ricorso prefallimentare"; ha riscontrato, altresì, che "tale stato di insolvenza era conosciuto dalla s.p.a. Valtellina", posta una scrittura intercorsa tra questa e la (*) proprio agli inizi del mese di giugno 2012, in cui venivano segnalati, in particolare, lo stato di tensione finanziaria del gruppo (*), la presenza di un accordo di ristrutturazione del debito con il ceto bancario del dicembre 2011, l'esigenza di "riscadenzare il debito nei confronti della (*) (partecipata in misura quasi totalitaria dalla (*))".

5. - Avverso questo provvedimento, la s.p.a. Valtellina presenta ricorso, svolgendo otto motivi di cassazione (per un errore materiale, l'ultimo dei motivi formulati porta quale numero identificativo il "9").

Il fallimento (*) resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

6. - Il primo motivo di ricorso lamenta, con riferimento alla decisione relativa alla revoca L.Fall., ex art. 67, comma 2, "violazione di norma di diritto: L.Fall., art. 69 bis, comma 2".

Nel caso di specie - segnala il ricorrente - è stata presentata solo una domanda di concordato c.d. in bianco L.Fall., ex art. 161, comma 6, a cui è seguita, senza medi, la dichiarazione di fallimento: senza che venisse presentata "una proposta, nè un piano, nè la relativa documentazione". Senza, soprattutto, che fosse ancora stata compiuta la scelta se non optare, in luogo del concordato, per la diversa procedura dell'accordo di ristrutturazione.

Posta questa peculiare situazione - così si stima - "non si è perfezionata alcuna domanda di concordato preventivo, con ciò dovendosi necessariamente intendere quella di cui all'art. 161, comma 1, completa della proposta, del piano e della documentazione indicata ai commi 2 e 3 della norma" in questione. "E' dunque palese" - si conclude - che non ci troviamo al cospetto della fattispecie prevista dalla L.Fall., art. 69 bis, comma 2".

7. - Il motivo non merita di essere accolto.

L'applicazione della regola di consecuzione, di cui alla L. Fall. art. 69 bis, attiene, invero, alla esistenza di una procedura concorsuale (poi sfociata, anche in modo indiretto ma comunque nel contesto di un'unica crisi imprenditoriale, nella dichiarazione di fallimento dell'impresa), non già alla compiuta formulazione di una domanda ad hoc. Secondo quanto indica, se non altro, la disposizione della L.Fall., art. 168, (che appunto trova applicazione anche nell'ipotesi di concordato in bianco).

Il tenore testuale dell'art. 69 bis, comma 2, appare univoco, d'altro canto, nel fissare il dies a quo della c.d. retrodatazione al tempo della pubblicazione della domanda di ammissione: si veda, per questo proposito, la pronuncia di Cass., 29 marzo 2019, n. 8970, che viene anzi a collegare in modo espresso e diretto l'introduzione della norma dell'art. 69 bis comma 2 - nell'ambito di un diritto vivente di tradizionale applicazione dell'istituto della consecuzione - con la "possibilità per l'imprenditore di presentare una domanda di concordato preventivo c.d. in bianco", che pure è stata introdotta dalla riforma del 2012.

Non può convenirsi, poi, con il rilievo che il ricorrente assegna alla possibilità che alla presentazione della domanda in bianco segua poi il deposito di una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti L.Fall., ex art. 182 bis. Che tale eventualità rappresenta solo un possibile epilogo di una procedura concordataria già in essere (di là da ogni notazione sull'eventuale ricomprensione nel perimetro operativo della consecuzione pure dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, che la giurisprudenza di questa Corte annovera tra gli istituti connotati della natura di "procedura concorsuale": cfr., tra le altre, le pronunce di Cass., 18 gennaio 2018, n. 1182; Cass., 10 aprile 2019, n. 10106).

8.1. - Il secondo e il terzo motivo di ricorso, posti sempre a censura della decisione del Tribunale di Reggio Emilia di ravvisare nella specie gli estremi della revoca L.Fall., ex art. 67, comma 2, appaiono suscettibili di un esame unitario. Entrambi fanno infatti riferimento, seppure da angoli di visuale diversi, al tema delle modalità costitutive del diritto di pegno su quote di s.r.l..

8.2.- Il secondo motivo denunzia la violazione degli artt. 2352,2471 bis, 2469,2470,2787 e 2806 c.c..

Il ricorrente assume, in particolare, che la costituzione in pegno delle quote di s.r.l. si attua - in ragione del combinato disposto dell'art. 2787 c.c., comma 3, e art. 2704 c.c. - "mediante scrittura privata autenticata, che in quanto tale ha data certa ed è opponibile ai terzi e quindi anche al curatore fallimentare".

Nulla a che vedere, dunque, con l'iscrizione nel registro delle imprese, che pure è stata pretesa dal decreto impugnato. Nè con le ulteriori norme che questo ha richiamato.

La norma dell'art. 2352 c.c., relativa al pegno delle partecipazioni azionarie, "non regola" - si puntualizza - "le modalità di costituzione del pegno"; non diversamente la disposizione dell'art. 2471 bis c.c., che, pur specificamente dedicata al pegno di quote, si limita a richiamare la norma azionaria. Quella dell'art. 2469 c.c., poi, tratta del trasferimento delle partecipazioni, senza nulla dire in punto di pegno. Quella dell'art. 2470 c.c. fa "riferimento alle condizioni per l'efficacia e la pubblicità degli atti relativi al trasferimento di quote". Quella dell'art. 2806 c.c., infine, si applica unicamente ai diritti di privativa industriale e il diritto di autore.

8.3. - Il terzo motivo, che riveste posizione subordinata rispetto al secondo, lamenta la violazione dell'art. 2470 c.c..

Anche a volere ritenere l'applicazione di questa norma all'ipotesi del pegno delle quote, per la fattispecie concreta non ne seguirebbe - si assume - la revocabilità della garanzia.

La norma dell'art. 2470, infatti, prevede che il trasferimento delle quote sia efficace (nei confronti della società) dal momento del "deposito" del relativo atto presso il registro delle imprese: non già dalla successiva iscrizione. Con conseguente estraneità, in ogni caso, dell'atto di pegno, di cui concretamente si discute, nei riguardi dei confini temporali del periodo sospetto.

9.- Il secondo e il terzo motivo di ricorso non sono fondati.

In proposito, appare opportuno puntualizzare, prima di tutto, che il tema, che viene sollevato dal ricorrente, concerne il compimento prima dell'avvio del periodo sospetto o, per contro, all'interno di quest'ultimo - degli atti costitutivi di un diritto di pegno che abbia a proprio oggetto delle quote di s.r.l. E dunque riguarda, in via correlata, l'individuazione di quali siano i passi effettivamente necessari a tale fine.

Attesa questa prospettiva, si deve osservare che la regolamentazione di legge non si esaurisce - come afferma invece il ricorrente - nella norma dell'art. 2787 c.c., comma 3, (con l'annesso corredo della data certa, la cui regola viene espressamente richiamata in tale disposizione). Che del resto è disposizione sì generale al pegno (e trasversale, per sè concernendo tutte le ipotesi di pegno, indipendentemente dall'oggetto che di questo risulti volta a volta specifico), ma pure concernente il solo profilo della prelazione: come tale essa suppone, per potere nel caso entrare in applicazione, che il relativo diritto (di pegno, appunto) sia stato costituito (se è ben ipotizzabile un pegno senza prelazione, di sicuro non vale la reciproca); e pure che sia stato costituito prima dell'inizio del periodo sospetto, sì da non risultare passibile di revocatoria.

10. - Segnala correttamente il ricorrente che la norma dell'art. 2471 bis c.c., pur riguardando specificamente il pegno di quote di s.r.l., non fa cenno delle modalità costitutive del relativo diritto.

Peraltro, se è vero che talora il sistema vigente si preoccupa di dettare discipline particolari e distinte di costituzione del pegno di peculiari diritti e beni (classico, al riguardo, il richiamo all'art. 2026 c.c., per il pegno su titoli di credito nominativi), è anche vero che la normativa generale del pegno, di cui agli artt. 2784 ss. c.c., contiene tre distinte serie normative, che risultano intese a regolare - senza lasciare residui spazi di vuoto - le modalità costitutive di questo diritto: con riferimento ai beni mobili (art. 2786 ss. c.c.), ai crediti (art. 2800 ss. c.c.), nonchè ai "diritti diversi dai crediti" (art. 2806 c.c.).

Posto questo assetto normativo, la mancata previsione di una disciplina ad hoc per la costituzione del pegno sulle quote della s.r.l. altro non importa, perciò, se non che, per la determinazione delle relative modalità, occorre fare riferimento alla disciplina generale del diritto di pegno.

11.- Le quote della s.r.l. non possono essere formate da titoli azionari: non possono assumere, perciò, la veste di beni mobili; in positivo, rappresentano la "partecipazione" dei soci al contratto sociale e allo svolgimento dell'impresa che da questo promana (cfr. gli artt. 2463 e 2468 c.c.) Le stesse fanno dunque riferimento alla "posizione contrattuale" dei soci, con conseguente esclusione della loro riconducibilità all'ambito dei semplici diritti di credito (fuor che in relazione al punto - marginale rispetto alla conformazione complessiva della quota di partecipazione, se non da questa già distinto - attinente agli utili che i soci abbiano ormai deciso di distribuire, ai sensi dell'art. 2478 bis c.c., commi 3 e 4).

Ne deriva pianamente che le modalità di costituzione del pegno sulle quote di s.r.l. ricadono sotto l'applicazione dell'art. 2806 c.c., (per la diversa qualificazione della quota di s.r.l. "quale bene mobile immateriale, non capace di possesso", v. Cass., 18 agosto 2017, n. 20170, peraltro al circoscritto fine di affermare l'applicabilità alla quota della norma dell'art. 2914 c.c., comma 1, n. 1; e senza comunque che una simile qualificazione venga a in alcun modo a incidere sul piano disciplinare che qui specificamente interessa).

Di fronte al tenore testuale della disposizione dell'art. 2806 chiaramente intesa a dettare una regola di residualità - il rilievo del ricorrente, per cui la stessa si occuperebbe solo del diritto di autore e delle privative industriali, potrebbe, al più, essere apprezzato come evocazione di una curiosità o di un accidente storico.

Nessun dubbio può nutrirsi, poi, sul fatto che il rinvio effettuato dall'art. 2806 alle "forme" volta a volta "richieste per il trasferimento del diritto" vada inteso con riguardo non all'efficacia inter partes di questo (nelle s.r.l. basato sul semplice consenso: Cass., 27 ottobre 2017, n. 25626), bensì alla sua efficacia nei confronti dei terzi: secondo quanto assicura (se non altro) il coordinamento sistematico di questa norma con quelle dell'art. 2786, comma 1, da un lato, e dell'art. 2800 (parte finale) c.c., dall'altro.

12. - Segue a quanto detto che la ravvisata applicazione della norma dell'art. 2806 c.c., finisce per riportare il tema della costituzione del pegno di quote alla normativa specificamente dettata per la s.r.l.: in particolare, a quella dell'art. 2470 c.c. (a cui, del resto, fa specifico riferimento il terzo motivo di ricorso: sopra, n. 8.3.).

Rispetto alla quale norma va osservato adesso come non sia possibile assegnare peso determinante all'avvenuto "deposito" presso il registro delle imprese - secondo quanto recita la lettera del suo comma 1 - per l'effettivo completamento della fattispecie costitutiva del pegno su quote. Così come invece vorrebbe intendere il ricorrente (sopra, nel n. 8.3.).

13.- In effetti, sul piano testuale la disposizione del comma 1 - che è dettata per l'efficacia del trasferimento nei confronti della società risulta (ben più che controbilanciata) sul piano sistematico superata dalla norma dell'art. 2470 c.c., comma 3, che in termini espressi fissa come criterio di risoluzione dei conflitti tra acquirenti di una medesima quota quello della preventiva iscrizione nel registro delle imprese.

Anche perchè alla disposizione appena citata pure si aggiunge quella dell'art. 2471, che non diversamente ferma l'esecuzione del pignoramento della quota all'avvenuta iscrizione nel registro delle imprese (in relazione al conflitto regolato dall'art. 2914 c.c., dà rilievo al momento dell'iscrizione anche la citata pronuncia di Cass. n. 25626/2017); nonchè la norma dell'art. 2472 c.c. ("nel caso di cessione della partecipazione, l'alienante è obbligato solidalmente con l'acquirente per il periodo di tre anni decorrente dall'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese").

Per altro verso (seppur in via sostanzialmente correlata a quanto si è appena osservato), è stato puntualmente rilevato nell'ambito della dottrina che, "se si ritenesse decisivo il dato testuale, ne risulterebbe inspiegabilmente rovesciata la sequenza procedimentale stabilita dalla disciplina anteriore" alla riforma del 2008 (D.L. n. 185 del 2008, conv. in L. 28 gennaio 2009, n. 2), "poichè l'efficacia del trasferimento nei confronti della società, ove dipendesse dal mero deposito dell'atto, precederebbe l'efficacia nei confronti dei terzi, conseguente alla successiva iscrizione": "potrebbe così essere ammesso a esercitare i diritti sociali anche chi abbia acquistato le quote sulla base di un atto non iscrivibile nel registro delle imprese e di cui successivamente il Conservatore rifiuti l'iscrizione", in tal modo compromettendosi, fra l'altro, "gli interessi generali alla stabilità degli atti sociali e alla trasparenza nella circolazione dei capitali".

Con la conseguenza che "anche ai fini dell'efficacia del trasferimento nei confronti della società, la formalità rilevante è la vera e propria iscrizione nel registro delle imprese, non il mero deposito dell'atto di trasferimento": formalità che si pone dunque come criterio generale di efficacia (e opponibilità) delle vicende (in senso ampio) circolatorie delle quote di s.r.l..

14. - Ciò posto, deve in conclusione essere affermato il seguente principio di diritto:

"la costituzione in pegno delle quote di società a responsabilità limitata è soggetta al disposto della norma dell'art. 2806 c.c., sicchè il diritto di pegno risulta costituito con l'iscrizione del relativo atto nel registro delle imprese".

15. - Il quarto e il quinto motivo di ricorso - essi pure riferiti alla decisione sulla revoca L.Fall., ex art. 67, comma 2, - vanno esaminati in modo congiunto, in ragione della loro complementarietà.

Col quarto motivo il ricorrente rileva, in particolare, che nel giudizio di opposizione il fallimento ha fermato l'eccezione revocatoria rispetto agli "atti costitutivi di un diritto di prelazione per debiti anche di terzi contestualmente creati"; diversamente, il decreto ha ritenuto la revocabilità di tali pegni quali "atti a titolo oneroso". A giudizio del ricorrente, a questa diversa espressiva fa riscontro una differenza di causa petendi tra quanto richiesto e quanto riconosciuto, con connessa violazione della norma dell'art. 112 c.p.c..

Col quinto motivo, il ricorrente assume, inoltre, violazione della L.Fall., art. 99, comma 12, e art. 135 c.p.c., comma 4: il "Tribunale, dopo aver lungamente illustrato perchè ritenga che i pegni, che considera "effettuati a titolo gratuito", siano inefficaci ai sensi della L.Fall., art. 64, si limita invece alla mera enunciazione del fatto che essi siano comunque revocabili ai sensi della L.Fall., art. 67, comma 2, perchè atti a titolo oneroso".

16. - Il quarto e quinto motivo non sono fondati.

In effetti, il contesto motivazionale del decreto non lascia spazi di ombra in proposito. La revoca, che riguarda i pegni, avviene "ai sensi della L.Fall., art. 67, comma 2".

Fa diretto e preciso riferimento, perciò, agli "atti... costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati" (così il testo della disposizione normativa). Tra la formula adoperata dal fallimento e quella scelta dal Tribunale corre, dunque, una mera differenza terminologica: di inapprezzabile valore giuridico, nell'ambito dato.

Che le garanzie contestuali, poi, rientrino nel genere degli atti "normali", detti pure "onerosi", è fatto palese dal vigente plesso normativo che, nell'ambito della legge fallimentare, disciplina la revocatoria: si tratta, insomma, di una semplificazione linguistica. Del resto, la motivazione svolta dal Tribunale reggiano in punto di revocatoria L.Fall., ex art. 67, comma 2, è sì autonoma rispetto a quella dell'inefficacia L. Fall., ex art. 64, ma pure dichiaratamente ulteriore rispetto alla stessa ("quand'anche si volesse ritenere (com'è invece escluso...)); nè la fattispecie concreta propone, com'è di tutta evidenza, alcun problema in punto di atto modale, quale categoria ipoteticamente intermedio cioè tra la nozione di atto gratuito e quella di atto oneroso.

17. - il sesto e settimo motivo di ricorso gravitano entrambi sul requisito della scientia decoctionis, che il Tribunale reggiano, nel rilevare la revoca dei pegni L.Fall., ex art. 67, comma 2, ha ritenuto senz'altro presente nella s.p.a. Valtellina, soggetto che della relativa garanzia era destinato ad avvantaggiarsi.

In questa prospettiva, il sesto motivo denunzia violazione della norma del L.Fall., art. 67: il decreto "ha errato nel ritenere che la prova dello stato di insolvenza debba concernere la situazione del garante e non del debitore".

Il settimo motivo assume, a sua volta, violazione della norma dell'art. 2727 c.c.: "i dati di fatto che emergono dalla lettura dell'accordo del 1.6.2012 non soddisfano i requisiti di gravità, precisione e concordanza come richiesti dall'art. 2729 c.c. e dunque non possono essere sussunti nella fattispecie di cui alla norma".

18. - Il sesto e il settimo motivo sono inammissibili.

In particolare, il sesto motivo non si confronta con la motivazione addotta dal Tribunale, posto che questa ha tenuto presente, nell'ambito della valutazione relativa alla sussistenza della scientia, tanto la posizione del datore del pegno (*), quanto quella del debitore principale (*) (cfr. sopra, n. 4.3.).

D'altro canto, il motivo si limita a dichiarare che "la norma pone espressamente come riferimento da indagare la situazione del debitore e non del terzo garante", senza enunciare le ragioni sostanziali per cui a contare dovrebbe essere, nella specie, lo stato di decozione del debitore e non già del terzo datore: dato, per l'appunto, che il presente giudizio fa riferimento al fallimento del datore e concerne un atto depauperatorio del patrimonio del datore.

19.- Il settimo motivo, poi, chiede una nuova valutazione del materiale probatorio, così instando per lo svolgimento di un giudizio per contro precluso all'analisi di questa Corte.

Del resto, le considerazioni svolte dal Tribunale al riguardo (sopra, sempre nel n. 4.3.) si manifestano senz'altro ragionevoli e appropriate. In effetti, lo stesso ricorrente riconosce che l'accordo del giugno 2012, senz'altro noto a Valtellina, richiama uno stato di "temporanea tensione finanziaria" del Gruppo (*), di un piano industriale "finalizzato al risanamento della posizione debitoria", di "un accordo di ristrutturazione con le banche". Nè può essere dubbio che l'insieme di questi dati può, al più, far sorgere la speranza di una futura uscita del gruppo del debitore e del garante dallo stato di crisi che lo attanaglia, non certo fondare un giudizio di attuale inesistenza dello stato di crisi.

20. - L'ottavo motivo di ricorso, che riguarda la dichiarazione di inefficacia L.Fall., ex art. 64, è assorbito dal rigetto dei primi sette motivi.

21. - In conclusione, il ricorso dev'essere rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 25.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell'art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019.