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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22794 - pubb. 11/01/2019.

Derogabilità della responsabilità del cessionario per debiti ex art. 90 TUB. Accollo esterno di un debito futuro derivante dal vittorioso esercizio dell'azione revocatoria


Cassazione civile, sez. I, 07 Dicembre 2012, n. 22253. Pres. Plenteda. Est. Di Amato.

Cessione di azienda bancaria – Cessione in blocco – Responsabilità del cessionario ex art. 90mTUB – Derogabilità – Cessione da possibile soccombenza da azione revocatoria


Il limite alla responsabilità posto dall’art. 90 TUB risponde non solo all'evidente interesse del cessionario, ma anche all'interesse pubblico a circoscrivere la responsabilità dell'acquirente (o del cessionario) per rendere più agevole la collocazione dell'azienda dell'impresa bancaria in liquidazione coatta amministrativa, o di sue porzioni o dei beni o rapporti che ad essa fanno capo, interesse pubblico che é già pienamente soddisfatto da una disciplina legale derogabile. Non vi sono, pertanto, ragioni per escludere, in difetto di contrarie disposizioni normative, che il contratto di cessione possa derogare il limite di responsabilità previsto dall'art. 90 citato. In particolare, non osta alla ritenuta derogabilità la lettera dell'art. 90 laddove, al secondo comma, dispone che "il cessionario risponde comunque delle sole passività risultanti dallo stato passivo"; tale disposizione, infatti, segue la previsione della possibilità che i commissari liquidatori procedano alla cessione anche prima del deposito dello stato passivo e in relazione a tale eventualità si spiega chiaramente l'uso dell'avverbio "comunque".

Per ciò che concerne la possibilità che la deroga abbia ad oggetto il debito derivante da una revocatoria ancora non esperita, é vero che il debito non esiste ancora al momento della cessione; ciò tuttavia, secondo l'insegnamento di Cass. n. 7831/1994 cit. non rappresenta un ostacolo a che la convenzione di cessione dell'azienda possa prevedere a carico del cessionario l'accollo esterno di un debito futuro derivante dal vittorioso esercizio dell'azione revocatoria, poiché tale debito benché non ancora sorto ha, tuttavia, un oggetto determinabile; infatti, già al momento della convenzione, la contabilità della banca, dalla quale risulta il pagamento ricevuto dal soggetto poi fallito, consente di individuare tutti gli elementi del rapporto giuridico dal quale può derivare l'eventuale debito; pertanto, l'accollo in questione ha, come richiesto dall'art. 1346 c.c., un oggetto possibile, lecito e determinabile. Si deve, pertanto, ritenere che nel caso in cui la cessione delle passività (rectius l'accollo delle passività in conseguenza del trasferimento dell'azienda) sia stata estesa, in deroga al disposto del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, ai debiti derivanti dal vittorioso esperimento di azioni revocatorie, l'azienda di credito cessionaria é legittimata passivamente nelle indicate azioni revocatorie. (massima ufficiale)

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato - Presidente -

Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -

Dott. DI AMATO Sergio - rel. Consigliere -

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -

Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


Svolgimento del processo

Il fallimento della S.p.A. Vinicola Magna conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Palermo, il Banco di Sicilia S.p.A., quale cessionario delle passività ed attività della S.p.A. Sicilcassa, posta in liquidazione coatta amministrativa con D.M. 5 settembre 1997. In particolare, l'attore chiedeva la revoca, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, di due pagamenti, per complessive L. 130.000.000=, che, nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (19 luglio 1997), la fallita aveva eseguito mediante rimesse solutorie sul conto corrente intrattenuto con l'agenzia di Partinico della Sicilcassa. Il Tribunale, con sentenza del 4 settembre 2001, accoglieva la domanda.

Il Banco di Sicilia proponeva appello che la Corte di Palermo rigettava, con sentenza del 26 ottobre 2005, osservando, per quanto ancora interessa, che: 1) in caso di liquidazione coatta amministrativa di un istituto di credito, la banca cessionaria, se non vi é stata liberazione del cedente, é obbligata in via solidale al pagamento dei debiti mentre, se vi é stata liberazione, é obbligata in via principale, a titolo di successione nel rapporto;

pertanto, l'azione del fallimento, in quanto diretta nei confronti di un soggetto diverso da quello posto in liquidazione amministrativa, si sottraeva alle norme che regolano l'accertamento dei crediti in detta procedura; 2) l'atto di cessione intervenuto tra la Sicilcassa ed il Banco di Sicilia integrava gli estremi di un trasferimento di azienda, secondo quanto già accertato in altro giudizio; inoltre, l'atto di cessione prevedeva espressamente che la stessa fosse estesa oltre che alle attività e passività esistenti anche ad "ogni altro rapporto o sopravvenienza attiva o passiva ... riconducibile alle attività e passività trasferite"; ciò consentiva di ritenere che la cessionaria era subentrata in ogni sopravvenienza passiva riconducibile all'attività trasferita, comprese quelle conseguenti al vittorioso esercizio di un'azione revocatoria; 3) ciò, inoltre, consentiva di non attribuire rilievo né allo scioglimento del rapporto di conto corrente prima della cessione, per effetto dell'intervenuta dichiarazione di fallimento della Vinicola Magna, né alla natura costitutiva dell'azione revocatoria in quanto le parti avevano fatto riferimento alle sopravvenienze attive o passive riconducibili alle attività trasferite, indipendentemente da un qualsiasi riferimento alla attualità e vigenza del rapporto giuridico; 4) la scientia decoctionis doveva riferirsi alla Sicilcassa in quanto il cessionario Banco di Sicilia era subentrato nella posizione del cedente; 5) quanto al requisito temporale si doveva avere riguardo al saldo disponibile, che nella specie, trattandosi di rimessa tramite versamento di assegno bancario fuori piazza, coincideva con il saldo per valuta, non essendo stata offerta dal convenuto la prova di una anteriore disponibilità Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il Banco di Sicilia S.p.A. (soggetto diverso, pur nell'identità della ragione sociale, rispetto all'originario convenuto e ad esso succeduto in virtù di operazioni di fusione e di conferimento), deducendo tre motivi. Il fallimento resiste con controricorso illustrato anche con memoria.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, comma 2, nonché della L. Fall., art. 67, comma 2, e art. 78, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva affermato la sua legittimazione passiva, ritenendo che nella specie ricorresse una ipotesi di sopravvenienza passiva, mentre tale natura doveva attribuirsi soltanto alle posizioni non contabilizzate, ma fondate su situazioni giuridiche già perfezionatesi, e non a passività non esistenti alla data della cessione. Inoltre, secondo il ricorrente, il fallimento della S.p.A. Vinicola Magna (anteriore alla data della liquidazione coatta amministrativa della S.p.A.

Sicilcassa) ed il conseguente scioglimento del rapporto di conto corrente in data anteriore a quella della cessione escludevano che quest'ultima potesse riferirsi anche al rapporto di conto corrente già intrattenuto dalla fallita.

Occorre premettere che la Corte territoriale, interpretando il contratto, ha affermato che la cessione intervenuta tra Sicilcassa e Banco di Sicilia integrava gli estremi di un trasferimento di azienda. Da tale presupposto, e soprattutto dal significato attribuito a specifica clausola del contratto di cessione, la Corte ha fatto discendere la responsabilità del Banco di Sicilia per le sopravvenienze passive, "svincolate da un qualsiasi riferimento all'attualità e vigenza del rapporto giuridico", ed ha compreso in esse le conseguenze del vittorioso esperimento di azioni revocatorie.

Il ricorrente con il primo motivo non censura l'interpretazione della convenzione, ma assume che la normativa vigente escluda la configurabilità di una legittimazione passiva del cessionario di azienda di credito rispetto alle azioni revocatorie di pagamenti ricevuti dalla banca cedente.

Il tema della esperibilità dell'azione revocatoria nei confronti dell'istituto di credito cessionario dell'azienda di altro istituto posto in liquidazione coatta amministrativa é stato più volte affrontato da questa Corte. Sul presupposto della derogabilità della disposizione dettata dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, comma 2, secondo cui, quando i commissari liquidatori cedono "le attività e le passività, l'azienda, rami d'azienda nonché beni e rapporti giuridici individuabili in blocco", "il cessionario risponde comunque delle sole passività risultanti dallo stato passivo", un primo orientamento ha ritenuto che oggetto del trasferimento possano essere anche i debiti futuri derivanti dall'esercizio di azioni revocatorie fallimentari, in quanto si tratta di obbligazioni a oggetto determinabile, visto che all'atto della stipula della convenzione gli eventuali debiti sono identificabili sulla base dei pagamenti eseguiti dai debitori poi falliti, risultanti dalla contabilità dell'azienda ceduta (Cass. 28 luglio 2010, n. 17668; Cass. 23 settembre 1994, n. 7831).

Tuttavia, un secondo orientamento - pur ammettendo, sia pure dubitativamente, la possibilità di una deroga al disposto del D.Lgs. n. 285 del 1993, art. 90, comma 2 - ritiene che la deroga possa concernere soltanto debiti di massa, non compresi nello stato passivo della liquidazione coatta in quanto non necessitano di verifica in sede concorsuale, e non anche il "credito fatto valere con l'azione revocatoria" in quanto "il debito scaturente dal vittorioso esperimento dell'azione revocatoria fallimentare non é né esistente, perciò né liquido né esigibile, ma nasce dall'accoglimento della domanda il che vuoi dire che prima del fallimento non esiste il diritto ad ottenere la restituzione del pagamento, cui corrisponderebbe la passività della banca ceduta, ma il solo diritto potestativo a formulare la domanda di revoca" (Cass. 3 maggio 2010, n. 10655).

Tanto premesso il Collegio ritiene di dare continuità al primo orientamento. In primo luogo, per ciò che concerne la possibilità di derogare alla previsione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, si deve osservare che il limite alla responsabilità, posto dal citato art. 90, risponde non solo all'evidente interesse del cessionario, ma anche all'interesse pubblico a circoscrivere la responsabilità dell'acquirente (o del cessionario) per rendere più agevole la collocazione dell'azienda dell'impresa bancaria in liquidazione coatta amministrativa, o di sue porzioni o dei beni o rapporti che ad essa fanno capo; tuttavia, tale interesse pubblico é già pienamente soddisfatto da una disciplina legale derogabile. Non vi sono, pertanto, ragioni per escludere, in difetto di contrarie disposizioni normative, che il contratto di cessione possa derogare il limite di responsabilità previsto dall'art. 90 citato. In particolare, non osta alla ritenuta derogabilità la lettera dell'art. 90 laddove, al secondo comma, dispone che "il cessionario risponde comunque delle sole passività risultanti dallo stato passivo"; tale disposizione, infatti, segue la previsione della possibilità che i commissari liquidatori procedano alla cessione anche prima del deposito dello stato passivo e in relazione a tale eventualità si spiega chiaramente l'uso dell'avverbio "comunque".

In secondo luogo, per ciò che concerne la possibilità che la deroga abbia ad oggetto il debito derivante da una revocatoria ancora non esperita, é vero che il debito non esiste ancora al momento della cessione; ciò tuttavia, secondo l'insegnamento di Cass. n. 7831/1994 cit. non rappresenta un ostacolo a che la convenzione di cessione dell'azienda possa prevedere a carico del cessionario l'accollo esterno di un debito futuro derivante dal vittorioso esercizio dell'azione revocatoria, poiché tale debito benché non ancora sorto ha, tuttavia, un oggetto determinabile; infatti, già al momento della convenzione, la contabilità della banca, dalla quale risulta il pagamento ricevuto dal soggetto poi fallito, consente di individuare tutti gli elementi del rapporto giuridico dal quale può derivare l'eventuale debito; pertanto, l'accollo in questione ha, come richiesto dall'art. 1346 c.c., un oggetto possibile, lecito e determinabile. Si deve, pertanto, ritenere che nel caso in cui la cessione delle passività (rectius l'accollo delle passività in conseguenza del trasferimento dell'azienda) sia stata estesa, in deroga al disposto del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, ai debiti derivanti dal vittorioso esperimento di azioni revocatorie, l'azienda di credito cessionaria é legittimata passivamente nelle indicate azioni revocatorie.

Tale conclusione non può mutare, ma anzi é rafforzata dal rilievo che nel caso in esame, al momento della stipula della convenzione di cessione, il fallimento della Vinicola Magna era già stato dichiarato e, conseguentemente, ai sensi della L. Fall., art. 78, si era sciolto il contratto di conto corrente intrattenuto con la Sicilcassa. Tale circostanza, infatti, contribuiva a rendere compiutamente determinabile il debito futuro derivante dal vittorioso esperimento dell'azione revocatoria: al momento del fallimento, con lo scioglimento del rapporto di conto corrente, seppure non poteva dirsi sussistente un debito di importo corrispondente alle rimesse revocabili, e ciò in considerazione della natura costitutiva dell'azione revocatoria, sussisteva già, tuttavia, il diritto del fallimento, sulla base di presupposti di fatto preesistenti, di agire in revocatoria. A tale diritto corrispondeva una situazione di soggezione dell'istituto di credito. Pertanto, nell'ambito della sistemazione del dissesto della Sicilcassa, la soggezione all'azione revocatoria costituiva un elemento valutabile, nel momento in cui i Commissari liquidatori ed il Banco di Sicilia definivano il contenuto dell'accordo.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, lamentando che, in relazione alla allegata natura costitutiva dell'azione revocatoria, la sentenza impugnata si era limitata ad affermarne l'irrilevanza.

Il motivo, ancorché riferito all'art. 360 c.p.c., n. 5, in realtà si risolve in un'argomentazione a sostegno di una interpretazione della disciplina della cessione delle passività diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata ed é, pertanto, inammissibile.

Infatti, il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione, può concernere esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, mentre il vizio di motivazione in diritto non può avere rilievo di per sé, in quanto esso, se il giudice del merito ha deciso correttamente le questioni di diritto sottoposte al suo esame, supportando la sua decisione con argomentazioni inadeguate, illogiche o contraddittorie o senza dare alcuna motivazione, può dare luogo alla correzione della motivazione da parte della Corte di Cassazione (ex multis Cass. 11 maggio 2012, n. 7267; Cass. s.u. 25 novembre 2008, n. 28054; Cass. 6 agosto 2003, n. 11883). Nella specie, come si é detto nell'esame del primo motivo, l'affermazione della natura costitutiva della sentenza revocatoria non interferisce con la possibile estensione della responsabilità a debiti futuri ed é anzi con essa coerente.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione della L. Fall., art. 67, comma 2, e vizio di motivazione, lamentando che, contraddittoriamente e comunque in contrasto con la previsione di legge, la Corte di appello aveva affermato la sussistenza dei presupposti dell'azione nei confronti della S.p.A. Sicilcassa ed aveva ritenuto legittima la proposizione della stessa azione nei confronti del Banco di Sicilia, benché quest'ultimo non fosse successore a titolo universale della S.p.A. Sicilcassa, ma soltanto cessionario di attività e passività. Nell'ambito dello stesso motivo il ricorrente lamenta anche che, ai fini della individuazione delle rimesse revocabili, si sia fatto riferimento al saldo per valuta anziché al saldo contabile e che siano stati ritenuti sussistenti i presupposti del danno, del consilium fraudis e della participatio fraudi.

Il motivo é inammissibile nella parte in cui deduce censure di merito in ordine ai presupposti dell'azione revocatoria. Nel resto il motivo é infondato. Invero, la successione nel rapporto é avvenuta a titolo particolare e non universale, come esattamente deduce il ricorrente; nella specie, tuttavia, non si deve valutare la situazione soggettiva di buona fede o meno del Banco di Sicilia e, quindi, non rileva la natura di tale successione: ciò che conta, infatti, é la situazione soggettiva dell'accipiens Sicilcassa al momento delle rimesse poiché tale situazione rappresenta uno degli elementi della fattispecie costitutiva del debito futuro, oggetto di accollo.

Per ciò che concerne il riferimento al saldo disponibile, al fine di individuare le rimesse revocabili, si tratta di affermazione conforme all'orientamento consolidato di questa Corte (v., da ultimo, Cass. 15 luglio 2010, n. 16608).

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre I.V.A. e C.P.A. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2012