Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22685 - pubb. 14/11/2019

Riconoscimento del figlio nato da genitori non uniti in matrimonio

Cassazione civile, sez. I, 17 Aprile 2019, n. 10775. Pres. Valitutti. Est. Clotilde Parise.


Figlio nato da genitori non coniugati - Riconoscimento del figlio da parte di entrambi i genitori - Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità da parte di uno solo - Litisconsortio necessario nei confronti dell’altro genitore - Sussiste - Fondamento



Nell'azione di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, l'altro genitore, che pure abbia operato il riconoscimento, è litisconsorte necessario nel giudizio, secondo la regola dettata all'art. 250 c.c. che pone un principio di natura generale da applicarsi, pertanto, anche nell'ipotesi disciplinata dall'art. 263 c.c., perché l'acquisizione di un nuovo "status" da parte del minore è idonea a determinare una rilevante modifica della situazione familiare, della quale resta in ogni caso partecipe l'altro genitore. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio - Presidente -

Dott. MELONI Marina - Consigliere -

Dott. PARISE Clotilde - rel. Consigliere -

Dott. MARULLI Marco - Consigliere -

Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

sul ricorso 14918/2018 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via *, presso lo studio dell'avvocato B. B., che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati R. A., R. C., R. F., giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

B.L., nella qualità di curatore speciale di C.M.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via *, presso lo studio dell'avvocato D. E., rappresentata e difesa da se medesimo;

- controricorrente -

contro

E.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via *, presso lo studio dell'avvocato D. E., rappresentato e difeso dall'avvocato B. A., giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 555/2018 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 3/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2019 dal cons. PARISE CLOTILDE;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha chiesto che la Corte di Cassazione rigetti il ricorso con le conseguenze previste dalla legge.

 

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 2/8 ottobre 2012 n. 3240, il Tribunale di Genova rigettava la domanda proposta, ai sensi dell'art. 263 c.c. (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. n. 154 del 2013), da E.G. nei confronti di G.R. e del minore C.G.A.M., rappresentato dal curatore speciale avv. B.L., e per l'effetto riteneva non dimostrata dall'attore l'assoluta impossibilità che il convenuto G.R. fosse il padre biologico del minore.

2. L'appello proposto da E.G. è stato accolto dalla Corte di appello di Genova con la sentenza del 15 marzo 2018 n. 555, notificata in data 11-4-2018. La Corte territoriale, in totale riforma della sentenza appellata, ha dichiarato invalido ed inefficace per difetto di veridicità il riconoscimento del minore C.G.A.M., nato a (OMISSIS), posto in essere dal sig. G.R. all'Ufficiale dello Stato Civile di Genova in data 21 dicembre 2006, ordinando la relativa annotazione nei registri anagrafici. Preliminarmente la Corte d'appello ha disatteso le eccezioni sollevate da G.R. circa l'inutilizzabilità e la nullità della consulenza tecnica esperita nel procedimento penale R.G. n. 4987/12/21 avanti al Tribunale di Genova, ancora in corso all'epoca della conclusione del giudizio di secondo grado. I Giudici d'appello, rilevato che i vizi denunciati concernevano la violazione del contraddittorio e l'irritualità di espletamento del suddetto accertamento istruttorio, hanno ritenuto utilizzabile la suddetta consulenza tecnica immunogenetica, di cui hanno autorizzato la produzione da parte di E.G., richiamando l'orientamento di legittimità secondo il quale le prove acquisite in altro giudizio, svoltosi anche tra soggetti diversi, possono porsi a fondamento della decisione, in applicazione del principio del libero convincimento desumibile dall'art. 116 c.p.c.. La Corte d'appello ha quindi esaminato le risultanze della consulenza tecnica prodotta da E.G. ed espletata dalla Dott.ssa V.S., dando atto dell'esaustività dell'indagine e delle particolari cautele adottate per evitare rischi di contaminazione, e ne ha condiviso le conclusioni, in base alle quali era risultata la non compatibilità tra le caratteristiche genetiche di G.R. e quelle del minore C.G.A.M. ed era altresì risultata la compatibilità, con probabilità di paternità approssimata al 99,99%, tra le caratteristiche genetiche del minore e quelle di E.G..

3. Avverso questa sentenza G.R. propone ricorso, affidato a tre motivi, resistiti con controricorso da E.G. e da C.G.A.M., rappresentato dal curatore.

4. La Procura Generale della Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. Le parti non hanno depositato memorie.

 

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso G.R., denunciando la violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli artt. 102 e 354 c.p.c., lamenta l'omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della madre del minore C.L., da ritenersi litisconsorte necessario nel procedimento avente ad oggetto il difetto di veridicità del riconoscimento ex art. 263 c.c.. Ad avviso del ricorrente la C. ha diritto a partecipare al giudizio sia in considerazione degli effetti della decisione riguardante l'effettiva paternità del minore sulla stessa ricadenti, ad esempio ai fini del concorso nel mantenimento del minore ed in generale con riferimento ad obblighi e diritti correlati alla responsabilità genitoriale, sia per evitare l'allungamento dei tempi processuali.

2. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando la violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli artt. 116 e 191 c.p.p., censura la sentenza impugnata per illegittimo utilizzo della prova immunogenetica disposta nel procedimento penale a carico dello stesso ricorrente G.R. e dichiarata nulla dal G.U.P. del Tribunale di Genova, come da documentazione che produce nel presente giudizio (doc. 1 ordinanza del 3-11-2018). Rileva il ricorrente che solo le prove indirette raccolte legittimamente, nel contraddittorio tra le parti ed in un processo concluso con sentenza, possono essere utilizzate in altro giudizio. Osserva che nel caso di specie la prova era stata dichiarata nulla e la Corte territoriale non aveva affrontato la specifica problematica, mentre la giurisprudenza richiamata nella sentenza impugnata si riferisce, genericamente, all'utilizzabilità della prova raccolta in un processo tra le stesse parti. La Corte genovese aveva deciso di portare a rapido compimento il processo, senza che potesse essere acquisita e depositata l'ordinanza del G.U.P., atto giudiziario che, ad avviso del ricorrente, può essere depositato nel processo di legittimità.

3. Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando la violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5, lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione, fatto consistito nell'inutilizzabilità della prova del DNA, eccepita anche all'udienza di precisazione delle conclusioni. Deduce che la Corte d'appello avrebbe dovuto acquisire d'ufficio informazioni sui provvedimenti adottati da parte del G.U.P. a riguardo della denunciata nullità della prova immunogenetica. Ad avviso del ricorrente il deposito nel processo di legittimità dell'ordinanza adottata dal G.U.P. "costituisce prova sicura che la decisione della Corte d'appello di Genova si è fondata su una prova raccolta illegittimamente, nulla e adeguatamente contestata dall'appellato". Aggiunge che il procedimento penale si era concluso con la dichiarazione di prescrizione del reato ascrittogli e che nessuna valutazione della prova raccolta era stata effettuata in sede dibattimentale.

4. Preliminarmente deve osservarsi che il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di alcuni dei litisconsorti necessari, non costituendo un'eccezione in senso proprio, può essere dedotto per la prima volta anche nel giudizio di legittimità (tra le tante Cass. n. 20260 del 2006 e n. 3024 del 2012). Tuttavia, tale eccezione può essere formulata solo alla duplice condizione che gli elementi posti a fondamento emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito, senza quindi la necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriori attività vietate in sede di legittimità - e che sulla questione non si sia formato il giudicato.

Nel caso di specie ricorre la duplice condizione suindicata, in quanto sulla questione non si è formato giudicato ed emerge dagli atti già ritualmente acquisiti nei giudizi di merito, oltre ad essere incontestato dai controricorrenti, che la madre del minore C.L. non sia stata citata.

5. Il primo motivo di ricorso è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte, nell'affrontare la generale tematica del conflitto di interessi nelle azioni di stato e della tutela del minore legittimato passivo, ha di recente affermato, sia pure come obiter dictum, che la madre è litisconsorte necessario nel giudizio promosso ai sensi dell'art. 263 c.c., dall'altro genitore (Cass. n. 1957 del 2016).

Ritiene il Collegio che si tratti di un orientamento meritevole di essere approfondito e condiviso.

Mentre la disciplina codicistica individua espressamente la madre quale litisconsorte necessario dal lato passivo nell'azione di disconoscimento di paternità, manca una corrispondente e specifica norma per l'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in relazione alla posizione soggettiva del genitore il cui riconoscimento non sia oggetto del contendere.

Dirimente diventa stabilire se detto genitore sia portatore di un proprio interesse, considerato dalla legge tipologicamente distinto da quello del figlio, e se si instauri un rapporto inscindibile, avente ad oggetto lo status del minore, ogni qual volta sia posta in discussione la genitorialità, o perchè al riconoscimento del primo genitore si chieda di aggiungerne il secondo, o perchè sia contestato, per difetto di veridicità, uno dei due riconoscimenti, già ritualmente effettuato.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il riconoscimento del figlio naturale dà luogo ad un rapporto nel quale il genitore che per primo abbia operato il riconoscimento riveste un ruolo rilevante, in quanto al medesimo compete, ai sensi dell'art. 250 c.c., di esprimere il consenso al successivo riconoscimento da parte dell'altro genitore. Tale potere è corollario della maternità o della paternità e comporta che il genitore che per primo ha riconosciuto il minore sia litisconsorte necessario con quest'ultimo nell'eventuale azione ai sensi dell'art. 250 c.c., comma 4, promossa dall'altro genitore per ottenere la sentenza sostitutiva del consenso del primo (così Cass. n. 17277 del 2014).

Significativa, sotto il profilo esegetico, è la distinzione tra il "consenso", la cui prestazione compete al genitore del figlio infraquattordicenne, e l'"assenso" richiesto al figlio ultraquattordicenne, come rimarcato nella pronuncia di questa Corte da ultimo richiamata. Infatti "l'etimologia del termine "assenso" suggerisce una manifestazione che "si aggiunge", con il secondo termine "consenso" una espressione che converge a produrre lo stesso effetto dell'atto che gli è omogeneo, perchè proveniente da soggetto titolare dello stesso diritto".

Se il "consenso" che il primo genitore esprime ai sensi dell'art. 250 c.c., è espressione di un diritto distinto ma omogeneo figlio infraquattordicenne e rende il primo genitore litisconsorte necessario in quel giudizio, in base all'indirizzo affermato con la pronuncia appena citata e a cui si intende dare continuità, deve conseguentemente e coerentemente ritenersi che il medesimo diritto sussista anche nel giudizio instaurato ai sensi dell'art. 263 c.c., che, peraltro, è assimilabile sotto molteplici aspetti a quello di disconoscimento di paternità (così Cass. n. 1957 del 2016).

La ratio dell'attribuzione di quel diritto risiede sempre nel fatto che il genitore il cui riconoscimento non sia oggetto del contendere ha un rapporto consolidato non solo sotto il profilo giuridico ma, almeno tendenzialmente e di regola, anche sotto quello affettivo con il minore, in ragione della consuetudine di vita fino a quel momento osservata. L'acquisizione di un nuovo status del minore è idonea a determinare una rilevante modifica della situazione familiare, della quale resta in ogni caso partecipe l'altro genitore, alla cui posizione soggettiva può ricondursi, a seconda dei casi, l'interesse o la mancanza di interesse alla bi-genitorialità con il soggetto che impugna il riconoscimento, con tutto ciò che ne consegue in termini di obblighi morali e materiali verso il figlio. A ciò si aggiunga che può assumere concreta incidenza sul favor veritatis la cooperazione dell'altro genitore, che ha prestato consenso o non si è opposto al riconoscimento impugnato ed al quale sarà, ragionevolmente, nota l'assenza o la presenza di un rapporto biologico tra il figlio e il soggetto che agisce contestando la veridicità del medesimo riconoscimento. Infine e all'evidenza, il diritto del genitore resta configurato come "misura ed elemento di definizione" dell'interesse del minore (così Cass. n. 17277 del 2014 citata), che è sempre e assolutamente preminente.

Al quesito iniziale circa la sussistenza del rapporto inscindibile deve, dunque, darsi risposta positiva, in base all'esegesi e alla ratio della disciplina dettata dall'art. 250 c.c., dato che se ne deve inferire un principio generale, valevole a disciplinare in modo necessariamente simmetrico ed omologo le posizioni soggettive genitoriali, in modo che possano valutarsi con i medesimi parametri tutte le ipotesi in cui si controverta della genitorialità, non essendovi motivo alcuno di differenziare la tutela, e di conseguenza la platea dei contraddittori necessari dal lato passivo, nei casi di impugnazione del riconoscimento ai sensi dell'art. 263 c.c..

6. I rimanenti due motivi devono ritenersi assorbiti dall'accoglimento del primo e dalla conseguente necessità di rimettere le parti, ai sensi dell'art. 383 c.p.c., comma 3, davanti al giudice di primo grado (Cass. 19790 del 2014) perchè si provveda all'integrale rinnovazione del giudizio con la costituzione completa del contraddittorio, da realizzarsi mediante la citazione della madre del minore, C.L..

 

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata ai sensi dell'art. 383 c.p.c., comma 3, e rimette la composizione anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Omissione dei dati in caso di diffusione dell'ordinanza.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2019