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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22634 - pubb. 05/11/2019.

Risoluzione e annullamento del concordato preventivo e litisconsorzio necessario con il garante


Cassazione civile, sez. I, 30 Settembre 2019, n. 24441. Pres. Didone. Est. Terrusi.

Concordato preventivo - Annullamento e risoluzione - Procedimento - Attuale testo dell’art. 137 l.fall. - Garante - Litisconsorzio necessario -  Sussistenza - Fondamento


In tema di risoluzione e annullamento del concordato preventivo, l'attuale testo dell'art. 137 l.fall. (conseguente alle modifiche apportate dall'art. 9, comma 10, d.lgs. n. 169 del 2007), cui rinvia l'art. 186 stessa l., postulando che al procedimento sia chiamato a partecipare anche l'eventuale garante, include quest'ultimo accanto al debitore tra i soggetti del processo, così da concretizzare una fattispecie di litisconsorzio necessario processuale. (massima ufficiale)

 

FATTI DI CAUSA

Con decreto in data 1-7-2009 il tribunale di Arezzo omologava il concordato preventivo chiesto il 13-11-2008 da (*) s.r.l. in liquidazione.

Con distinti ricorsi depositati nel dicembre 2012 la Ge Capital Interbanca s.p.a. e la Basf Construction Chemicals Italia s.p.a. proponevano azione di risoluzione del concordato e chiedevano il fallimento della società debitrice per asserita impossibilità di dare esecuzione al piano concordatario.

Riunite le procedure, interveniva nel giudizio T.P. (sindaco e creditore), opponendosi alla risoluzione.

Con sentenza del 24-6-2013 il tribunale di Arezzo dichiarava risolto il concordato e pronunciava il fallimento della società.

Proponevano reclamo il T. e la Casentino Trasporti & Spedizioni s.r.l. (hinc solo Casentino Trasporti), nella spiegata qualità di creditori, eccependo, tra l'altro, la nullità della sentenza per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei fideiussori To.Si. e M.A..

La corte d'appello di Firenze, con sentenza depositata il 19-3-2014, dichiarava estinto per rinuncia il reclamo proposto da T. e rigettava il reclamo della Casentino Trasporti.

Onde motivare il suo convincimento la corte in sintesi (e per quanto interessa) affermava: (i) che agli asseriti garanti, in base alla giurisprudenza di questa Corte formatasi sul vecchio testo della legge fallimentare, non poteva essere attribuita la qualifica di litisconsorti necessari nel procedimento di risoluzione del concordato; (ii) che la deduzione relativa alla nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità era stata dedotta in base al valore attuale del bene ipotecato, mentre il superamento del detto limite (80 % del valore) avrebbe dovuto essere diversamente comprovata in riferimento all'epoca del finanziamento; (iii) che i ribassi d'asta del bene ipotecato a favore della creditrice Ge Capital Interbanca erano arrivati quasi alla metà dell'ammontare del credito privilegiato (superiore a 10 mil. EUR), così da supportare la fattispecie di inadempimento significativo dell'impegno concordatario di pagare integralmente il detto credito; (iv) che non era stata specificamente e direttamente censurata l'affermazione del tribunale secondo la quale le stime del liquidatore, anche nella più ottimistica ipotesi, avevano delineato una situazione tale da non far prevedere neppure in misura minima la possibilità di soddisfacimento dei creditori chirografari (promessa, invece, al 15,25 %), e da impedire persino il soddisfacimento di parte dei privilegiati (tra cui Ge Capita Interbanca); (v) che la reclamante Casentino Trasporti non aveva chianto come la asseritamente omessa considerazione di una posta attiva di soli 1,7 milioni EUR, costituita dalla concorrenza complessiva delle fideiussioni, a prescindere dalla loro effettiva sussistenza, sopravvenuta inefficacia e comunque effettiva affidabilità, potesse ribaltare la previsione totalmente negativa circa i crediti chirografari e parzialmente negativa circa i crediti privilegiati.

La società Casentino Trasporti ricorre adesso per cassazione sulla base di quattro motivi.

Ha replicato con controricorso la sola Ge Capital Interbanca.

Con memoria ex art. 378 c.p.c. si è costituita Banca Ifis s.p.a., incorporante la suddetta Ge Capital Interbanca, eccependo l'improcedibilità del ricorso o l'inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse, essendo stato chiuso, medio tempore, il fallimento (*) a seguito della liquidazione dell'attivo.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. - La costituzione in giudizio di Banca Ifis è avvenuta mediante il deposito della memoria ex art. 378 c.p.c..

Tale costituzione è però inammissibile, perchè in allegato alla memoria risulta prodotto soltanto l'atto di fusione per incorporazione, non anche, invece, la procura speciale ai difensori.

A scopo di chiarificazione può in ogni caso osservarsi che la chiusura del fallimento non rende improcedibile l'impugnazione (nella forma dell'attuale reclamo come pure in quella della vecchia opposizione) della sentenza dichiarativa di fallimento. In vero il relativo giudizio deve continuare in contraddittorio del curatore, la cui legittimazione non deflette in quanto pur sempre si discute se il debitore dovesse essere dichiarato fallito o meno, e perciò se lo stesso curatore dovesse essere nominato al suo ufficio (Cass. n. 24540-13, Cass. n. 2399-16, Cass. n. 15782-18).

L'eccezione prospettata in memoria sarebbe stata quindi infondata.

II. - Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., artt. 137 e 186 L. Fall., con riguardo alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei fideiussori del concordato, da considerare, diversamente da quanto ritenuto dalla corte d'appello, litisconsorti necessari.

Allo scrutinio del motivo deve essere premesso che è contestata - e lo è stato anche nelle anteriori fasi di merito - la circostanza che in effetti i richiamati terzi ( To. e M.) si fossero costituiti fideiussori della società ai fini del concordato.

La stessa corte d'appello ha dato atto della riferita contestazione (a pag. 4 della sentenza), e tuttavia in modo sorprendente ha poi mancato di svolgere su di essa qualsivoglia accertamento, affrontando direttamente il nodo giuridico del litisconsorzio.

In questa prospettiva la corte fiorentina ha in linea generale escluso, in consonanza con la giurisprudenza di questa Suprema Corte formatasi sul vecchio testo della L. Fall., art. 137 (è citata Cass. n. 10195-08, a cui può aggiungersi Cass. n. 5350-94 e Cass. n. 7942-10), il possibile acquisto, da parte del fideiussore, della qualità di parte necessaria nel giudizio di reclamo alla sentenza dichiarativa di fallimento seguita alla risoluzione del concordato, e dunque ha ritenuto che i fideiussori allusi nel motivo non fossero comunque litisconsorti necessari nel giudizio de quo.

Tanto ha affermato sul rilievo che anche ai sensi dell'anteriore testo dell'art. 137 i fideiussori dovevano comparire per partecipare al procedimento di risoluzione, sicchè nella nuova formulazione della norma, secondo cui "al procedimento è chiamato a partecipare anche l'eventuale garante", niente di sostanziale dovrebbe considerarsi mutato.

Proprio tale consequenzialità è invece contrastata dalla ricorrente, in quanto - si dice - la diversa portata letterale dell'inciso che compare nel nuovo testo della previsione, a fronte del vecchio, incentrato sulla mera necessità del tribunale di ordinare la loro comparizione, andrebbe ritenuta sintomatica della volontà di imprimere un maggior rilievo alla necessaria partecipazione al procedimento, in associazione all'art. 102 c.p.c..

III. - La critica in iure della ricorrente è da condividere sul piano generale, ma il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, visto che non è dato di comprendere - in base al ricorso, nel quale i pertinenti atti non sono punto riportati - se in effetti i citati terzi si fossero costituiti fideiussori della società ovvero se avessero assunto (come ancora eccepito nel controricorso) un semplice impegno a prestare le garanzie.

Non essendovi precedenti di questa Corte sul tema inciso dalle nuove previsioni conseguenti al D.Lgs. n. 5 del 2006 e al D.Lgs. n. correttivo n. 169 del 2007, il nodo giuridico posto a base del mezzo merita di essere affrontato egualmente nella prospettiva dell'art. 363 c.p.c..

IV. - In effetti la L. Fall., art. 186, in tema di risoluzione e annullamento del concordato preventivo, richiama per quanto compatibile l'art. 137 stessa legge.

L'art. 137, in relazione alle fattispecie successive al 1-1-2008 (come la presente), stabilisce che al procedimento di risoluzione "è chiamato a partecipare anche l'eventuale garante". Ciò a fronte dell'anteriore testo della norma che stabiliva, invece, prima della riforma, un semplice onere di convocazione da parte del tribunale.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla corte fiorentina, l'innovazione conseguente al decreto correttivo n. 169 del 2007 assume una specifica rilevanza anche rispetto al testo del D.Lgs. n. 5 del 2006, giacchè si sostanzia nel prevedere che vi sia una obbligatoria "chiamata" del terzo garante.

Come tale deve essere intesa nel senso di un rafforzamento del diritto del garante a partecipare al procedimento di risoluzione del concordato, in coerenza con l'orientamento secondo il quale (v. Cass. Sez. U n. 1482-97, e poi Cass. n. 17254-02, Cass. n. 2961-03, Cass. n. 28878-05) le garanzie prestate per l'attuazione del concordato preventivo non perdono efficacia in caso di risoluzione.

E' vero - come rilevato in udienza dal procuratore generale - che l'orientamento da ultimo menzionato già caratterizzava l'istituto nel vecchio testo della legge fallimentare; ed è anche vero che - ciò nonostante questa Corte si era determinata a ritenere che, nel procedimento volto alla dichiarazione di fallimento a seguito della pronuncia di risoluzione del concordato preventivo, il terzo garante, avendo diritto di opporsi alla pronuncia di risoluzione quale soggetto interessato ai sensi della L. Fall., artt. 18 e 186, e di essere perciò previamente sentito a norma dell'art. 137 della medesima legge, non potesse considerarsi parte (in senso formale) del procedimento. Da simile punto di vista la giurisprudenza allora formatasi aveva avuto buon gioco nell'evidenziare come gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento fossero, nei confronti del fideiussore, diversi da quelli prodotti nei confronti dell'imprenditore in stato di insolvenza, consistendo giustappunto nel rendere permanente la garanzia offerta per l'ammissione alla procedura di concordato (v. in particolare la citata Cass. n. 7942-10).

A questa considerazione si affida la tesi che ancora oggi nega, in fattispecie del genere, la qualifica di litisconsorti ai garanti. E a quella tesi si è nella sostanza uniformata la corte d'appello di Firenze.

V. - Tuttavia non può negarsi che il riferito buon gioco di quella giurisprudenza era mantenuto saldo proprio dalla formulazione del precetto normativo (L. Fall., artt. 137 e 186), poichè nel precetto si traduceva il semplice dovere del tribunale di assicurare la possibile comparizione dei fideiussori nel procedimento di risoluzione del concordato preventivo al fine di consentir loro l'esercizio del diritto di difesa.

La formulazione difatti non comportava, nè implicava, l'acquisto, da parte del fideiussore, della qualità di parte necessaria nel giudizio (allora) di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento seguita alla risoluzione del concordato, nè il conseguente obbligo di disporre l'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti.

Di contro l'innovazione conseguente al D.Lgs. n. 169 del 2007 (cd. decreto correttivo) come detto fa leva su ben altra indicazione, che concretizza l'esercizio di un dovere di chiamata in giudizio. E la chiamata è sempre funzionale a consentire al soggetto di divenire parte (vera e propria) del giudizio.

Consegue che la citata innovazione non può dirsi annoverabile nei limiti di una diversità solo lessicale, essendo sintomatica invece della scelta di rafforzare le guarentigie del garante, predisponendone la necessaria partecipazione al procedimento.

VI. - E' abbastanza logico inferire che tanto sia stato fatto proprio perchè i garanti sono destinati a subire in ogni caso gli effetti della decisione, rimanendo tenuti, anche a seguito della risoluzione, a eseguire la prestazione a favore dei creditori concordatari. Ma va chiarito che ciò neppure è decisivo ai fini dell'interpretazione, poichè è il legislatore ad aver direttamente stabilito che i garanti sono da annoverare tra le parti necessarie del processo di risoluzione del concordato preventivo. Il che rende inattuale il diverso assunto giurisprudenziale sopra citato, dal momento che la formulazione qui oggi impiegata è identica a quella di altre previsioni identificative - nell'ordinamento - di fattispecie litisconsortili.

Così, nel disporre che "al procedimento è chiamato a partecipare anche l'eventuale garante", il legislatore ha corretto la formulazione conseguita al D.Lgs. n. 5 del 2006 (per cui "al procedimento partecipa anche il garante") usando la stessa locuzione caratterizzante i processi interessati dall'azione diretta di danni contro l'assicuratore per la r.c.a., secondo il concordante testo dell'attuale art. 144 del codice delle assicurazioni private e dell'anteriore L. n. 990 del 1969, art. 23 ("Nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione è chiamato anche il responsabile del danno").

E non può dirsi casuale la circostanza che in quel testo da sempre si ritenga proclamata un'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale tra le parti: l'assicuratore appunto, verso il quale si ha l'azione diretta, e il responsabile del danno che pure deve essere chiamato (Cass. n. 21896-17, Cass. n. 18772-16 e molte altre).

La lettera della legge dunque rende non seriamente contestabile che il decreto correttivo del 2007 abbia inteso trasporre l'applicazione dell'istituto del litisconsorzio necessario al procedimento de quo, coinvolgendo in questo, oltre al debitore, anche i garanti.

VII. - Per quanto di diverso affermato l'impugnata sentenza è errata in diritto. Essa va corretta peraltro solo nella motivazione, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., fermo che il primo motivo di ricorso resta inammissibile per difetto di autosufficienza a proposito della questione dell'esistenza o meno, in fatto, delle allegate fideiussioni.

Ai sensi dell'art. 363 c.p.c. può essere affermato il principio che segue: "in tema di risoluzione e annullamento del concordato preventivo, l'attuale testo della L. Fall., art. 137, cui rinvia l'art. 186 stessa legge, postulando che al procedimento sia chiamato a partecipare anche l'eventuale garante, include il garante accanto al debitore tra i soggetti del processo, così da concretizzare una fattispecie di litisconsorzio necessario processuale".

VIII. - Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1421 c.c. e art. 38 del T.u.b. con riguardo al mancato rilievo della nullità del mutuo ipotecario stipulato tra la fallita e la Ge Capital Interbanca.

Il motivo è inammissibile, poichè la corte d'appello di Firenze ha nella concreta fattispecie escluso che vi fosse stato il superamento del limite di finanziabilità, di cui alla citata norma del T.u.b., con riferimento all'epoca del finanziamento.

In tale prospettiva la sentenza si basa su un apprezzamento di fatto ben coerente con la natura del vizio di nullità del contratto (v. Cass. n. 17352-17, Cass. n. 19016-17, Cass. n. 13286-18), e in sè neppure censurato.

IX. - Col terzo mezzo è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 160, 161, 177 e 186, nonchè dell'art. 1455 c.c., con riferimento alla dichiarata risoluzione del concordato per inadempimento del debitore.

Anche il terzo motivo è inammissibile.

E' sufficiente rilevare che la corte d'appello ha ritenuto non decisiva la questione del trasferimento contrattuale dell'alea del possibile declassamento al chirografo del creditore privilegiato, poichè non era stata specificamente censurata la specifica statuizione del primo giudice circa la carenza del piano estimativo nel suo complesso.

In sostanza, le stime del liquidatore, anche nella più ottimistica ipotesi, avevano delineato una situazione tale da non far prevedere neppure in misura minima la possibilità di soddisfacimento dei creditori chirografari, che invece era stata promessa al 15,25 %, e tale da impedire persino il soddisfacimento di parte dei privilegiati (tra cui Ge Capital Interbanca).

Siffatta affermazione della corte territoriale sorregge in sè la decisione, poichè rende palesi le ragioni del ritenuto grave inadempimento della proposta concordataria. Nè la stessa appare censurata sul piano motivazionale, quanto ai presupposti dell'accertamento in fatto, nei limiti in cui il vizio di motivazione è ancora denunziabile in cassazione.

X. - Col quarto mezzo infine la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. Fall. art. 5 e art. 2730 c.c. con riguardo all'affermata esistenza dei presupposti d'insolvenza e al presunto valore confessorio delle dichiarazioni rese dalla debitrice nel contesto della domanda di concordato.

Il motivo è inammissibile in quanto la corte d'appello ha desunto l'insolvenza da elementi specifici, puntualmente enumerati.

In particolare ha messo in luce la rilevante esposizione debitoria della società (il solo debito verso la banca essendo stato pari a oltre 10 mil. EUR) e la sostanziale irrilevanza dei valori patrimoniali rappresentativi dell'attivo (per come emergente dalla relazione di stima del liquidatore).

Nel resto ha osservato che la reclamante non aveva chiarito come la asseritamente omessa considerazione di una posta attiva di soli 1,7 milioni EUR, costituita dalla concorrenza complessiva delle asserite fideiussioni, a prescindere dalla loro effettiva sussistenza sopravvenuta inefficacia e comunque effettiva affidabilità, potesse ribaltare la previsione totalmente negativa circa i crediti chirografari e parzialmente negativa circa i crediti privilegiati.

E' dunque agevole considerare che la censura svolta nel quarto motivo non intercetta la ratio decisionale, non avendo la corte d'appello postulato esistente una confessione in capo alla debitrice, quanto piuttosto avendo accertato l'insolvenza della società in liquidazione mediante un autonomo giudizio con base nelle risultanze documentali.

XI. - Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate in favore della controricorrente Ge Capital Interbanca, attesa la nullità, come all'inizio specificato, della costituzione in giudizio dell'incorporante Banca Ifis.

 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 7.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019.