Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22434 - pubb. 02/10/2019

Inammissibilità dell'appello, ulteriore esame del merito e ricorso per cassazione

Cassazione civile, sez. II, 20 Agosto 2019, n. 21514. Pres. Oricchio. Est. Scarpa.


Dichiarazione di inammissibilità dell'appello - Ulteriore esame del merito - Affermazione di infondatezza - Omessa impugnazione in cassazione della dichiarazione di inammissibilità - Formazione del giudicato - Configurabilità - Impugnazione della sola statuizione di infondatezza - Interesse a ricorrere - Esclusione



Ove il giudice d'appello abbia dichiarato inammissibile uno dei motivi di gravame per difetto di specificità, affermandone poi comunque nel merito l'infondatezza, la parte rimasta soccombente che ricorra in cassazione contro tale sentenza, ove intenda impedirne il passaggio in giudicato, ha l'onere di impugnare la relativa statuizione, da sola sufficiente a sorreggere la decisione, dato che il passaggio in giudicato della pronuncia di inammissibilità priverebbe la medesima parte dell'interesse a far valere in sede di legittimità l'erroneità delle ulteriori statuizioni della decisione impugnata. (massima ufficiale)


 


Svolgimento del processo -

Motivi della decisione

B.A. ha proposto ricorso, articolato in due motivi, avverso la sentenza n. 3700/2014 della Corte d'Appello di Napoli, depositata il 17 settembre 2014.

Rimane intimato, senza svolgere attività difensive, V.G..

Il giudizio in esame venne intrapreso con citazione davanti al Tribunale di Nola dell'8 marzo 2000 da V.L. nei confronti di B.A., E. ed Ag., ed era volto ad ottenere il pagamento del corrispettivo di un appalto. A seguito della morte di B.E. e di V.L., il giudizio venne proseguito, rispettivamente, da Bo.An. e V.G.. Il Tribunale di Nola rigettò la domanda e propose appello V.G., mentre B.A., oltre a contestare nel merito la pretesa di pagamento, formulò altresì appello incidentale, deducendo la nullità del processo di primo grado perchè, dopo l'interruzione dichiarata all'udienza del 30 settembre 2003 per la morte di B.E., l'atto di riassunzione era stato proposto quando già era morto altresì l'attore V.L., mentre i successivi "atti riassuntivi erano stati notificati al di fuori dei termini concessi dal giudice". La Corte d'Appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale di B.A., avendo il Tribunale motivato il rigetto dell'eccepita estinzione sulla base della circostanza che il procuratore non aveva dichiarato la morte del proprio assistito V.L., con conseguente ultrattività del mandato difensivo, ed altresì rimarcato la tempestività delle riassunzioni operate, mentre il gravame incidentale si era limitato a ribadire la carenza del potere rappresentativo del difensore, nè alcunchè aveva dedotto sulla pretesa tardività della riassunzione. I giudici di secondo grado, accogliendo l'appello principale di V.G., hanno poi condannato B.A. (nei cui soli confronti risultava notificato il gravame) al pagamento in favore del primo della somma di Euro 58.144,73, oltre accessori.

I. Il primo motivo di ricorso di B.A. denuncia la violazione degli artt. 307 e 291 c.p.c.. Si assume che il Tribunale di Nola avrebbe dovuto dichiarare l'estinzione del giudizio per il mancato rispetto del termine perentorio di rinnovazione della notifica dell'atto di riassunzione agli eredi di B.E. (dopo l'interruzione per la morte di quest'ultimo dichiarata all'udienza del 30 settembre 2003), termine concesso all'udienza del 14 settembre 2004, fissandosi per il prosieguo l'udienza del 24 marzo 2005. A tale udienza del 24 marzo 2005, pertanto, il giudice avrebbe errato nell'interrompere nuovamente il processo per la morte di V.L., dovendosi piuttosto in quella data dichiarare l'estinzione per la mancata notifica agli eredi di B.E.. Sulla tardività della riassunzione la Corte d'Appello avrebbe così omesso di pronunciarsi.

I.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, o comunque del tutto infondato.

Quando, come fatto dalla Corte di Napoli nel caso in esame, il giudice d'appello abbia dichiarato inammissibile uno dei motivi di gravame, ritenendolo privo di specificità, il ricorrente per cassazione contro tale sentenza, ove intenda impedirne il passaggio in giudicato nella parte relativa alla dichiarata inammissibilità, ha l'onere di denunziare l'errore in cui è incorsa la sentenza gravata e di dimostrare che il motivo d'appello, ritenuto non specifico, aveva invece i requisiti richiesti dell'art. 342 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 3, 09/03/1995, n. 2749; Cass. Sez. L, 14/05/2004, n. 9243). La ricorrente, invece, non ha formulato una specifica censura in ordine alla predetta statuizione di inammissibilità, ma ha denunziato la violazione degli artt. 307 e 291 c.p.c., nonchè contraddittoriamente l'omessa pronuncia, avendo, in realtà, la Corte d'Appello pronunciato sul motivo di gravame afferente all'estinzione, dichiarandone l'inammissibilità per genericità.

Peraltro, come viene riportato nello stesso ricorso, il motivo del proposto appello incidentale di B.A. si era limitato a dedurre la "nullità dei successivi atti riassuntivi, anche perchè notificati al di fuori dei termini concessi dal giudice". La Corte d'Appello ha risposto in proposito che, poichè il Tribunale di Nola aveva sostenuto che il ricorso in riassunzione era stato depositato nei termini, l'appellante incidentale non aveva ben illustrato la pretesa tardività della riassunzione, non avendo "dedotto alcunchè riguardo, solo per esemplificare, a ragioni di radicale inefficacia delle notificazioni tale da incidere sul perfezionamento del successivo iter che ha condotto alla riassunzione del processo".

Va in proposito invece riaffermato che l'art. 342 c.p.c. (nella specie operante ratione temporis nel testo antecedente alla riformulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012) postula che il motivo di appello contenga, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Al contrario, l'appellante incidentale, avendo la sentenza del Tribunale di Nola affermato che il ricorso in riassunzione era stato tempestivo, non aveva contrapposto alcuna argomentazione logico-giuridica contraria alla statuizione del primo giudice, avendo piuttosto obiettato che la "notifica" era stata fuori termine.

La ricorrente, deducendo genericamente l'estinzione del giudizio per intempestività della notificazione degli atti di riassunzione, non tiene comunque conto del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, verificatasi una causa d'interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, il termine perentorio previsto dall'art. 305 c.p.c. è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde. Ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza, che è quello che ipotizza la ricorrente, non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice di ordinare, anche qualora sia già decorso il (diverso) termine di cui all'art. 305 c.p.c., la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell'art. 291 c.p.c., entro un ulteriore termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determina l'eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, comma 3, e del successivo art. 307 c.p.c., comma 3, (Cass. Sez. U, 28/06/2006, n. 14854). Anche sotto tale profilo, il primo motivo di ricorso è carente sia dei necessari riferimenti alle differenze tra termini per la riassunzione e termini per le rinnovazioni della notifica (art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.), sia della specifica indicazione degli atti del processo di merito su cui fonda la censura (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), indicazione essenziale pur quando col ricorso per cassazione venga denunciato un error in procedendo (Cass. Sez. U, 22/05/2012, n. 8077).

La manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso discende tuttavia in maniera decisiva da altra motivazione in diritto.

B.A. si duole ancora in cassazione della intempestiva riassunzione, ovvero della mancata tempestiva notificazione della riassunzione, con riferimento agli eredi di B.E., ovvero anche con riferimento ad Bo.Ag. ed Bo.An..

Sennonchè, poichè si verte, nella specie, in tema di obbligazione solidale, quale quella relativa al corrispettivo di lavori conferiti in appalto da più committenti, ai sensi dell'art. 1294 c.c., occorre considerare che la domanda proposta dall'attore V.L. nei confronti di ciascuno dei committenti B.A., E. ed Ag. dava luogo ad una fattispecie di litisconsorzio facoltativo. Ne consegue che, verificatasi una causa d'interruzione del processo con riguardo ad uno dei coobbligati solidali ritualmente citati "ab origine" e riassunto tempestivamente il giudizio, pur dopo che lo stesso era stato integralmente dichiarato interrotto, il vizio da cui sia colpita la notifica dell'atto di riassunzione nei confronti di uno o di alcuni soltanto dei litisconsorti facoltativi, ed il mancato rispetto del termine per la rinnovazione della notificazione, non impediscono comunque l'ulteriore prosecuzione del processo nei confronti dei restanti litisconsorti ritualmente citati, non potendosi estendere a costoro l'eventuale estinzione del processo ex art. 307 c.p.c. relativa ad uno dei convenuti originari (arg. da Cass. Sez. 1, 16/03/1999, n. 2317; Cass. Sez. U, 22/04/2013, n. 9686).

II. Il secondo motivo di ricorso di B.A. denuncia la violazione dell'art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1. Si contesta l'erroneo o mancato esame della documentazione delle spese tecniche e per competenze professionali, da detrarre dal corrispettivo d'appalto, versate all'ingegnere Iovino, direttore dei lavori, ed ammontanti ad importo ben superiore alla somma di Euro 23.199,12.

II.1. E' altresì infondato il secondo motivo di ricorso.

Non c'è nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4, e dell'art. 118 disp. att. c.p.c., perchè non è affatto totalmente omessa, per materiale mancanza, la parte della motivazione riferibile alle argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione. La Corte d'Appello di Napoli ha fatto rinvio alle previsioni contrattuali degli artt. 3 e 6 per affermare che si dovessero detrarre dalla somma richiesta dal V. le spese tecniche e per competenze professionali della direzione lavori, ritenute ammontanti ad Euro 23.199,12, "per come documentate dall'appellata con ricevuta a firma del tecnico non espressamente contestata". A tale argomentazione della Corte d'Appello, la ricorrente contrappone un elenco di ventidue documenti, recanti cifre la cui somma ammonterebbe ad un importo superiore a quello calcolato in detrazione nella sentenza impugnata.

Il motivo di ricorso non è coerente nemmeno con il parametro dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, in quanto non denuncia l'omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Il secondo motivo di ricorso si riduce ad un elenco numerato di documenti, che si assumono genericamente offerti in produzione nelle pregresse fasi di merito, dei quali non viene precisato il "come" e il "quando" siano stati allegati, senza quindi rispettare la previsione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e pure senza specificare quali istanze la parte avesse rivolto al Tribunale ed alla Corte d'Appello nei propri scritti difensivi, prima della maturazione delle preclusioni assertive, per chiarire gli scopi dell'esibizione di quei documenti (arg. da Cass. Sez. 1, 24/12/2004, n. 23976). Il giudice ha, infatti, il potere - dovere di esaminare i documenti prodotti solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri atti introduttivi, ovvero nelle memorie di definizione del "thema decidendum", quali siano gli elementi di fatto e la ragioni di diritto comprovate dall'allegata documentazione (Cass. Sez. 2, 16/08/1990, n. 8304; Cass. Sez. 3, 07/04/2009, n. 8377). La ricorrente, nel secondo motivo, auspica, in definitiva, che la Corte di Cassazione tragga dai richiamati documenti un apprezzamento di fatto difforme da quello espresso dai giudici del merito, circa l'esatto importo delle somme da detrarre al residuo corrispettivo contrattuale dovuto, rivalutando le risultanze probatorie nel senso più favorevole alle sue tesi difensive, il che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, attività non consentita in sede di legittimità.

III. Consegue il rigetto del ricorso. Non occorre regolare le spese del giudizio di cassazione, in quanto l'intimato V.G. non ha svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall'art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019.