Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22277 - pubb. 07/09/2019

Competenza esclusiva del giudice delegato con limite del giudicato interno o implicito

Cassazione civile, sez. III, 04 Ottobre 2018, n. 24156. Pres., est. Olivieri.


Accertamento del credito nei confronti del debitore fallito - Devoluzione alla competenza esclusiva del giudice delegato - Domanda in sede extrafallimentare - Inammissibilità - Rilevabilità d’ufficio anche nel giudizio di cassazione - Limiti - Giudicato interno - Fondamento



L'accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato ex artt. 52 e 93 l. fall. con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d'ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l'inammissibilità o l'improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione "litis ingressus impedientes", con l'unico limite preclusivo dell'intervenuto giudicato interno, laddove la questione sia stata sottoposta od esaminata dal giudice e questi abbia inteso egualmente pronunciare sulla domanda di condanna rivolta nei confronti del fallimento, e del giudicato implicito, ove l'eventuale nullità derivante da detto vizio procedimentale non sia stata dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza che abbia deciso sulla domanda, ciò in ragione del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione ed in armonia con il principio della ragionevole durata del processo. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano - rel. Presidente -

Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere -

Dott. D’ARRIGO Cosimo - Consigliere -

Dott. PELLECCHIA Antonella - Consigliere -

Dott. SAIJA Salvatore - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

* mentre era ferma sulla propria bicicletta "sul bordo strada, veniva travolta dal motociclo Piaggio condotto dalla minore * - figlia di * e * proprietario del motociclo assicurato per la RCA con Compagnia Italiana Ass.ni s.p.a. -, la quale a sua volta era stata investita dall'auto Mercedes condona da *, di proprietà di (*) s.r.l. ed assicurata per la RCA con Compagnia SAI Ass.ni s.p.a..

* proponeva quindi aziono per il risarcimento del danno chiedendo la condanna in solido dei genitori della minore, di (*) s.r.l. e delle due società assicuratrici: il giudizio, interrotto per sopravvenuta dichiarazione di fallimento di (*) s.r.l. veniva riassunto dall'attrice nei confronti del curatore fallimentare con atto notificalo in data 2.5.2000.

Con atto di citazione notificato il 23.6.2000 * e *, proponevano autonomo giudizio nei confronti di (*) s.r.l. di * e di SAI Ass.ni s.p.a. chiedendo il risarcimento dei danni patiti dalla minore nonchè dei danni subiti jure proprio.

Disposta la riunione dei giudizi il Tribunale di Castrovillari con sentenza 13.7.2007 dichiarava la responsabilità esclusiva di * e condannava SAI Ass.ni s.p.a. ed il Fallimento (*) s.r.l. al risarcimento dei danni subiti da * nonchè dei danni subiti rispettivamente da *, da * e da *.

Solo questi ultimi proponevano appello.

La Corte di appello di Catanzaro con sentenza in data 9.2.2015 n. 161 ritenuta inopponibile ai terzi danneggiati, che esercitavano azione diretta, la eccezione di inoperatività del contratto assicurativo proposta da SAI Ass.ni s.p.a. e ritenuto eziologicamente irrilevante il mancalo uso del casco da pane della conducente dei motociclo investita dall'auto, ha rigettato l'appello proposto da * * e da *, ritenendo corretta la liquidazione del danno biologico, e del danno morale effettuata dal primo giudice, e non ritenendo provata una diminuzione della capacità lavorativa specifica della minore al tempo del sinistro nonchè del "danno esistenziale" lamentato dai genitori e della necessità di spese sanitarie future.

La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione da *, da * e da * con due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. (già Fondiaria-SAI s.p.a. ed in precedenza SAI s.p.a.) eccependo la nullità del processo in relazione al mancato rilievo della inammissibilità ex artt. 51. 52 e 93 L.Fall., della domanda di condanna proposta nei confronti del soggetto dichiarato fallito (*) s.r.l., litisconsorte necessario nella causa intentata con azione diretta nei confronti della predetta società assicurativa della RCA. Non hanno svolto difese gli intimati G.G., *. Compagnia Italiana Ass.ni s.p.a. e Fallimento (*) s.r.l..

I ricorrenti hanno depositato controricorso al ricorso incidentale asseritamente proposto da L'UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a..

 

Motivi della decisione

Questioni pregiudiziali UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. ha depositato controricorso, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità o per il rigetto del ricorso. Nel medesimo atto ha sollecitato i poteri di rilevazione "ex officio" della Corte di legittimità in ordine alla inammissibilità di improcedibilità della domanda di condanna proposta da *, * e * con l'atto di citazione originario notificato il 27.6.2000 anche nei confronti di Fallimento (*) s.r.l. in persona del curatore, dovendo essere accertata la pretesa dal Giudice fallimentare.

Non si è dunque in presenza di una impugnazione incidentale autonoma della sentenza di appello, venendosi piuttosto su questione rilevabile di ufficio anche nel giudizio di legittimità, che prescinde dalla necessaria proposizione di ricorso (nella specie incidentale) per cassazione.

Ed infatti la domanda diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della L.Fall., deve essere dichiarala inammissibile (o improcedibile se era stata formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore) nel giudizio di cognizione ordinaria, e può eventualmente essere proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore (cfr. da ultimo Corte cass. SU 1 Ordinanza n. 28833 del 30/11 2017), in difetto tale inammissibilità/improcedibilità, non integrando una questione di competenza ma una questione attinente al rito configurante una vicenda litis ingressus impediens" (cfr. 1 Sez. Ordinanza n. 16867 del 30/11/2017), e rilevatole d'ufficio in ogni stato e grado (cfr. Corte Cass. 1 Sez. Sentenza n. 5063 del 26/02/2008), anche nel giudizio di cassazione, derivando da norme inderogabilmente dettate a tutela del principio della "par condicio creditorutm" (cfr. Cass. Sez. 1 Sentenza n. 19973 13/08/2008 in motivazioni).

Il rilievo ex officio di tale inammissibilità/improcedibilità non soggiace ad alcun limite preclusivo, fatto salvo il giudicato interno, laddove la questione sia stata sottoposta od esaminala dal Giudice e questi abbia egualmente inteso pronunciare sulla domanda di condanna rivolta nei confronti del fallimento. Ed infatti, sebbene l'accertamento del credito nei confronti del fallimento sia devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato, ai sensi degli artt. 52 e 93 della L. (fallimentare), l'improponibilità della domanda in sede extrafallimentare a rilevabilità d'ufficio in ogni stato e grado di tale vizio deve essere coordinata con il sistema generale delle impugnazioni e con la disciplina del giudicato implicito, e, in particolare, con il principio che impone la conversione delle cause di nullità in cause di impugnazione e in armonia con il principio della ragionevole durata del processo, di talchè l'eventuale nullità derivante dal detto vizio procedimentale non dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza resta coperta dall'intervenuto giudicato interno, con conseguente preclusione tanto della deduzione del vizio nei successivi gradi di giudizio, quanto della suddetta rilevabilità d'ufficio (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5725 19/04/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 1115 del 21/01/2014).

Nella specie l'atto di citazione, introduttivo del giudizio iscritto al RG n. 660/2000 del Tribunale di Castrovillari è stato notificato direttamente al curatore fallimentare di (*) s.r.l.: il giudizio è stato quindi riunito a quello precedentemente proposto da * iscritto al RG. 611/99 interrotto a seguito del deposito della sentenza dichiarativa di fallimento e quindi riassunto nei confronti del curatore fallimentare di (*) s.r.l.. In nessuno dei due giudizi si è costituito il Fallimento, ed il Giudice di prime cure, nonchè quello di secondo grado, ritenendo -erroneamente - correttamente instaurato il contraddittorio anche nei confronti della società fallita, hanno pronunciato la condanna del Fallimento al risarcimento dei danni, in solido con il responsabile del sinistro e la impresa assicurativa della RCA. Non avendo alcuna delle parti costituite (per quanto rileva in questa sede: SAI s.p.a.) eccepito in primo grado la improcedibitità della domanda proposta dalla Serra e La inammissibilità della domanda proposta dalle altre parti Vi.- V., nè avendo dedotto tale vizio processuale come motivo di gravame (Fondiaria-SAI s.p.a.), ogni deduzione e rilievo di ufficio del vizio di nullità del processo rimane preclusa dal giudicalo implicito interno formatosi su punto della ammissibilità della domanda di condanna proposta nei confronti del Fallimento (*) s.r.l..

Esame dei morivi di ricorso per cassazione Venendo all'esame dei motivi del ricorso proposto da V.F., * e *, osserva il Collegio quanto segue.

Primo motivo ("difetto, insufficienza ed illogicità della motivazione; falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., in relazione agli artt. 2 e 32 Cost., - art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omesso esame di fatto decisivo - art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

I ricorrenti lamentano che il Giudice di appello avrebbe liquidato a favore di * il solo "danno biologico omettendo di considerare altre poste di danno quali il danno esistenziale, il danno alla vita di relazione, il danno da sistemazione matrimoniale e sociale, nonchè, a favore dei genitori, il danno esistenziale.

Nella sentenza di appello viene richiamato il precedente Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 687 del 15/01/2014 secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva e cioè tale da coprire l'intero pregiudizio a prescindere dai "nomina iuris" dei vari tipi di danno, i quali non possono essere invocati singolarmente per un aumento della anzidetta liquidazione: tuttavia, sebbene il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria, le tradizionali sottocategorie del "danno biologico" e del "danno morale" continuano a svolgere una funzione, per quanto solo descrittiva, del contenuto pregiudizievole preso in esame dal giudice, al fine di parametrare la liquidazione dei danno risarcibile.

Sulla scorta di tali principi la Corte territoriale: a) ha ritenuto ricomprese nella liquidazione del danno biologico le varie componenti del danno non patrimoniale enunciate in senso meramente descrittivo dalla danneggiata *; b) ha ritenuto sfornito di prova il danno esistenziale lamentato dai genitori.

Il motivo, quanto al dedotto vizio motivazionale, è inammissibile non rispondendo allo schema normativo del vizio di legittimità come definito dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, ed interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Corte cass. Sez. l), Sentenza n. 853 del 07/04/2014 id. Sez. U. Sentenza n. 19S81 del 22/09/2014), essendo stata del tutto omessa la indicazione del fatto storico "decisivo" allegato e dimostrato in giudizio e che il Giudice avrebbe omesso di considerare e che qualora correttamente valutato, avrebbe condotto con sentenza ad una diversa soluzione giuridica della controversia.

I ricorrenti si sono intatti limitati ad allegare nuovamente le medesime circostanze descrittive delle modalità del sinistro, della gravità delle lesioni e delle conseguenze pregiudizievoli derivate, dalle sofferenze e delle preoccupazioni, delle cure mediche resesi necessarie, tutti elementi già sottoposti all'esame dei Giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio, venendo di fatto a risolversi la critica alla sentenza in una inammissibile richiesta di nuova revisione delle risultanze probatorie, preclusa in sede di legittimità.

Quanto alla deduzione del vizio inerente ad "errore di diritto", il motivo deve ritenersi infondato alla stregua dei principi di diritto enunciati dalle sentenze in data 11.11.2008 nn. 26972-26975 delle SS.Un. di questa Corte secondo cui;

- il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perche costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione della vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello cd. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale.

- non e ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria di "danno esistenziale" inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria: ove nel "danno esistenziale" si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del lutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 c.c., (cfr. Corte Cass. Sez. U. Sentenza 26972 del 11/11/2008; id. Sez. 3 Sentenza n. 3290 del 12/02/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 21716 23/09/2013; id. Sez. 3 Sentenza n. 336 del 13/01/2016).

La nozione unitaria del danno non patrimoniale conduce pertanto a ritenere che è solo ai fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute, art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando di danno biologico. Ci si riferisce in tal modo ad una figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo nel D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 138 e 139, recante il Codice delle assicurazioni private, che individuano il danno biologico nella lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito", e ne danno una definizione suscettiva di generali applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Ed è ancora a fini descrittivi che, nel caso di lesione dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), si utilizza la sintetica definizione di danno da perdita del rapporto parentale. In tal senso, e cioè come mera sintesi descrittiva, vanno intese le distinte denominazioni (danno morale, danno filologico, danno da perdita del rapporto parentale) adottate dalle, sentenze gemelle del 2003, e recepite, dalla sentenza, n 233/2003 della Corte Costituzionale. Le menzionate sentenze, d'altra parte, avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all'interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003), e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma come mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003). Considerazioni che le Sezioni unite condividono.......... danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie di riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E' compito de giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo ai siano verificate e provvedendo alla loro integrate riparazione......" (ctr. Carte Cass. n. 26972/2008, in motivazione; id. Sez. 3, Sentenza n. 24864 del 09/12/2010).

A tali principi si è attenuta la Corte d'appello di Catanzaro quando ha ritenuto ricompreso nell'importo liquidino a titolo di risarcimento per il "danno biologico" a favore di * anche le diverse voci attinenti ai pregiudizi allegali al complesso della "vita di relazione della danneggiata, avuto riguardo alla nozione di danno biologico elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza successivamente recepita anche dal Legislatore (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, recante il Codice delle assicurazioni private "lesione temporanea o permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito").

Del tutto priva del requisito di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, è poi la censura, formulata in calce alla pag. 28 del ricorso, volta a denunciare la mancata applicazione delle Tabelle "milanesi", essendo stato liquidato il danno non patrimoniale in base alle Tabelle "romane", posto che:

a) nessuna di tali tabelle - che non rivestono carattere di fonti del diritto - è stata prodotta, e neppure trascritta nel ricorso, in violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, rimanendo pertanto impedito a questa Corte - che non ha accesso agli di merito avuto riguardo al vizio di legittimità denunciato di operare alcuna verifica sulla asserita erroneità di liquidazione ovvero mancata applicazione di differenti criteri di liquidazione del danno;

b) non risulta che la errata applicazione delle Tabelle romane in luogo di quelle milanesi sia stata oggetto di motivo di gravame avanti il Giudice di appello: la questione, dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione, si palesa pertanto nuova e rimane preclusa alla verifica di legittimità;

e) non integra parametro di verifica del vizio di legittimità denunciato la mera ed indimostrata allegazione di parte secondo cui - con una diversa valutazione degli elementi circostanziali - si sarebbe potuto pervenire ad un risultato risarcitorio notevolmente più elevato di quello effettivamente liquidato dai Giudice di merito - Priva del requisito di specificità prescritto dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, è anche la censura volta ad impugnare la statuizione della sentenza di appello che disconosce il danno patrimoniale futuro da "lucro cessante" (per diminuita reddilualilà dovuta ad incapacità lavorativa) ed il danno patrimoniale futuro "emergente (per spese sanitarie necessarie che dovranno essere sostenute dall'infortunata).

Quanto alla censura rivolta alla statuizione che nega il risarcimento del danno per spese sanitarie future, indipendentemente dalla motivazione della sentenza fondata sull'assunto della mera ipoteticità di dette spese, osserva il Collegio che il motivo di ricorso si palesa del tutto carente in ordine alla esposizione del fatto, laddove neppure indica quali siano gli elementi probatori e finanche i meri elementi indiziari (prescrizione di terapie in corso etc.: evoluzione della malattia tale per cui saranno necessari nuove terapie o interventi chirurgici) da cui poter desumere anche in via presuntiva la necessità e la probabilistica certezza che nel futuro la danneggiata dovrà sostenere spese sanitarie, nè peraltro viene illustrato nel ricorso in base a quali allegazioni in fatto, formulate nei precedenti gradi di merito, i Giudici di merito avrebbero dovuto presumere che la danneggiata avrebbe con certezza sostenuto spese sanitarie future, essendo del tutto generico il "riferimento alla documentazione di spese già prodotta" (ricorso pag. 31), non essendo specificalo se tali documenti - come sembra - attengano a spese già sostenute ovvero si riferiscano invece a fatti secondari dai quali inferire la presunzione della necessità di spese sanitarie future; analogamente del tutto generico e privo di specificità è il richiamo alle osservazioni asseritamente raccolte nella c.t.u. medico-legale delle quali viene omessa la dovuta trascrizione.

Relativamente al danno patrimoniale futuro da "incapacità lavorativa", l'argomento posto a fondamento della decisione del Giudice di appello, non è affatto limitato alla sola affermazione - in sè illogica - che ad uno studente di liceo che ha subito gravi lesioni personali non debba "in ogni caso" riconoscersi il danno patrimoniale futuro da perdita reddituale, dovendosi invece riguardare all'intero contesto motivazionale che, se letto unitariamente, tenendo conto dell'espresso richiamo al precedente di Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4493 del 24/02/2011 (secondo cui quando manchino elementi concreti dai quali desumere una incidenza della lesione sulla attività di lavoro attuale o futura del soggetto leso, vanno escluse l'esistenza e la risarcibilità di qualsiasi danno da riduzione della capacità lavorativa, mentre va privilegiato un meccanismo di liquidazione, quello del danno alla salute), consente di individuare fa correità "ratio decidendi fondata sulla insussistenza degli elementi probatori indicativi di una perdita o di una diminuzione della capacità lavorativa specifica, da intendersi riferita come peculiare attitudine al lavoro applicata ad un determinato settore di attività o ad una determinata categoria professionale, essendo pervenuto il Giudice di appello a tale conclusione sulla scorta delle risultanze della C.T.U. medico-legale dell'ausiliario dott. M. dalla quale era emersa la insussistenza di una riduzione della capacità lavorativa specifica (cfr. controricorso pag. 24).

La Corte d'appello non ha ritenuto provato il danno patrimoniale in questione, in ciò non disertandosi dal principio di diritto secondo cui il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica non si traduce automaticamente in una corrisponderne diminuzione della capacità lavorativa specifica e quindi in un riduzione dei guadagni, spettando invece al Giudice del merito valutarne in concreto l'incidenza, sulla scorta delle allegazioni e dei congruenti riscontri forniti dal danneggiato (cfr. Corte Cass. Sez. 3 Sentenza n. 15674 del 15/07/2011; id. Sez. 3 Sentenza n. 16541 del28/09/2012).

Quanto alle domande risarcitorie dei danni subiti jure proprio dai genitori occorre osservare quanto segue.

*, anch'essa con il primo motivo di ricorso, impugna la sentenza nella parte in cui ha disconosciuto il richiesto aumento della liquidazione del "donno morale" ed ha rigettato per mancanza di prova la liquidazione del "danno esistenziale". * ha invece impugnato la sentenza nella parte cui veniva disconosciuta fa sua richiesta di risarcimento dei "danno esistenziale.

Orbene, inammissibili le censure per "error facti" ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che non rispondono al paradigma normativo del vizio di legittimità, va ritenuta inammissibile altresì la censura per vizio di "error in judicando" formulata dalla V. in relazione alla omessa liquidazione del "danno morale", in quanto la critica mossa alla sentenza è diretta esclusivamente ad ottenere un maggiore importo risarcitorio e dunque viene ad involgere non un errore di diritto ma a contestare l'accertamento di merito effettuato dalla Corte territoriale e del quale si chiede una inammissibile revisione alla Corte di legittimità.

Quanto al rigetto del ristoro del "danno esistenziale", per difetto di prova, anche in questo caso la critica svolta dalla V. e dal Vi. non è volta a far valere una erronea interpretazione del contenuto precettivo della norma di diritto od un errore nella individuazione della norma regolatrice del rapporto dedotto in giudizio, ma tende piuttosto ad invadere l'ambito riservato al libero convincimento dei Giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, venendo a collidere la critica con i limiti imposti alla deduzione del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di omesso esame di un fatto decisivo non viene, infatti, indicato dai ricorrenti alcun fatto storico, allegato e dimostrato in giudizio, asseritamente trascurato nella valutazione probatoria compiuta dalla Corte territoriale, risolvendosi la censura nella mera lamentazione del mancato riconoscimento della richiesta risarcitoria.

Osserva il Collegio che, nella esposizione dei motivo, non viene in chiara emersione il discrimine tra il "danno morale soggettivo" ed il "danno esistenziale", dovendo al riguardo precisarsi che, in tema di lesione o di perdita del rapporto parentale, le due voci non costituiscono categorie ontologiche differenti (non essendo riferibili alla violazione di diversi diritti costituzionalmente o rispondenti a categorie di danno diverse rispetto al danno morale risarcibile in conseguenza di fatto illecito integrante reato ex art. 185 c.p.c. e art. 2059 c.c.), atteso che la sofferenza determinata nel parente dalla condizione in cui versa il familiare infortunato viene a costituire una componente dello stesso ed unico danno non patrimoniale determinato dalla violazione dei diritti di rango costituzionale di cui agli artt. 2, 29 e 30 Cost., con la conseguenza che una congiunta attribuzione di importi risanatori per le due voci indicate viene a costituire un inammissibile duplicazione del risarcimento del danno (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 26972 dell' 11/l1/2008; id. Sez. L, Sentenza 1072 del 18/01/2011).

I richiami giurisprudenziali addotti a sostegno del motivo di ricorso non appaiono pertinenti, in quanto nelle fattispecie esaminate in quei casi veniva in rilievo la "definitiva perdita del rapporto parentale per decesso del congiunto (Cass. n. 26590/2014), o il dato obiettivo dello "stravolgimento del precedente menage di vita" essendo il familiare costretto ad accudire con impegno continuativo il soggetto macroleso (Corte Cass. Sez. 3 Sentenza n. 7844 del 6/04/2011), in particolare in quest'ultimo caso si è affermato che grava sull'autore dell'illecito la prova contraria della insussistenza del danno, qualora il familiare abbia provato che "le gravi lesioni subite dai proprio congiunto all'esito del fatto evento lesivo hanno comportato una sofferenza interiore tale da determinare un'alterazione del proprio relazionarsi con il mondo esterno, inducendo ha scelte di vita diverse" e che la propria condotta di vita era "degenerata in termini obiettivamente riscontrabili, e in particolare nella scelta deponente per un radicale cambiamento di vita, di abbandonare il lavoro per potersi dedicare all'esclusiva cura e assistenza dei figlio che ne abbisognava in ragione delle gravi lesioni riportate all'esito del sinistro stradale" (Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7844 del 6/04/2011, in motivazione).

Il motivo di ricorso, quando anche ricondotto nell'alveo del vizio di omesso esame di un fatto decisivo, non assolve comunque al requisito di ammissibilità della indicazione del fatto storico determinante per addivenire ad una diversa decisione, essendosi limitati i ricorrenti a reiterare, a fondamento della censura l'accertamento medico-legale del grado (57%) di invalidità permanente riconosciuto alla figlia, "ex se" inidoneo - non vertendosi in tema di perdita del rapporto familiare, ne di macrolesioni- a dimostrare, oltre all'evidente sofferenza in tenore (danno morale soggettivo), anche la sussistenza di una totale alterazione della condotta di vita dei familiari (danno esistenziale), atteso che, come affermato da questa Corte (con riferimento al caso della morte di un prossimo congiunto), un danno non patrimoniale diverso ed ulteriore rispetto alla sofferenza morale non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell'attore allegare e provare, e tale onere di allegazione va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3677 del 16/02/2009; id. Sez. 3, Sentenza 10527 del 13/05/2011).

Corretta è pertanto la statuizione impugnata che, sul presupposto del mancato assolvimento dell'onere di allegazione e probatorio, ha rigettato le domando risarcitoria del "danno esistenziale" proposte dai genitori, liquidando il risarcimento dovuto per il solo "danno morale soggettivo".

Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza di appello per "difetto di motivazione e violazione o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 1226 c.c., avendo il Giudice di appello rigettato la domanda di risarcimento del "danno emergente" costituito dalle spese mediche, in quanto non documentate.

Il motivo è infondato.

I ricorrenti ammettono di aver depositato soltanto una "specifica contabile, priva di riscontri documentali (fatture, ricevute, etc.) dei pagamenti eseguiti, ritenendo tuttavia che il Giudice di appello illegittimamente non avesse ritenuto provato il danno per presunzione o in via equitativa.

L'assunto difensivo è privo di fondamento giuridico:

a) il Giudice di merito non è vincolato a fare ricorso alla costruzione normativa della prova presuntiva, stante il principio del libero convincimento in ordine alle risultanze probatorie acquisite al giudizio, qualora ritenga inidonei gli indizi torniti a consentire di pervenire alla conoscenza del fatto ignorato, essendo rimesso in via esclusiva al Giudice di merito il giudizio di rilevanza e capacità dimostrativa dei singoli elementi di prova (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza 5748 del 25/05/1995; id. Sez. 3, Sentenza n. 4687 del 12/05/1999; id. Sez. L, Sentenza n. 5526 del 17/04/2002; id. 1, Sentenza n. 10135 14/05/2005; id. Sez. 1, Sentenza 11739 del 18/05/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 4051 21/02/2007; id. Sez. L, Sentenza 6023 del 12/03/2009);

b) è da ritenere consolidato il principio secondo cui la valutazione equitativa prevista dall'art. 2056 c.c., comma 2, non implica una "relevatio ab onere probandi" della concreta esistenza del pregiudizio patrimoniale, riguardando il giudizio di equità solo l'entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell'impossibilità o della grande difficoltà di dimostrare la misura del danno (Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4609 del 04/09/1985; id. Sez. 2, Sentenza n. 11202 del 27/12/1994; id. Sez. 2 Sentenza n. 12256 del 03/12/1997; id. Sez. 3 Sentenza n. 11968 del 16/05/2013), impossibilità nella specie neppure allegata dai ricorrenti.

In conclusione la sentenza impugnata va esente dalle censure di legittimità ed il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10,200.00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200.00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa la identificazione delle generalità e degli altri dati identificativi di * riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018.