Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22130 - pubb. 11/01/2019

Inventariazione del marchio

Cassazione civile, sez. I, 06 Marzo 1998, n. 2493. Pres., est. Sgroi.


Marchio commerciale - Natura di bene mobile - Acquisizione al fallimento - Terzo cessionario del marchio in epoca antecedente all'apertura della procedura concorsuale - Tutela esperibile



In tema di fallimento, il terzo che affermi la titolarità di diritti reali su di un bene (nella specie, proprietà di un marchio commerciale) oggetto di disposizione da parte del curatore (previo decreto autorizzativo del giudice delegato) è tutelato attraverso il rimedio endofallimentare di cui all'art. 103 legge fall. (domanda di separazione della cosa), a prescindere da qualsiasi vizio del decreto - emesso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 106 legge cit. - contro il quale il reclamo al tribunale, ex art. 26 legge fall., ed il conseguente ricorso per cassazione avverso il provvedimento di quest'ultimo organo, deve ritenersi "iter" processuale esperibile nel solo caso in cui la doglianza (id est, l'opposizione) ricalchi la tipologia delle fattispecie di cui agli art. 615 e 617 cod. proc. civ., e non anche quando si faccia valere, come terzo, un diritto (che, nell'esecuzione singolare, sarebbe tutelabile ex artt. 619 - 620 cod. proc. civ.), per il quale la legge abbia predisposto altro, apposito e peculiare strumento di tutela (stabilendo, tra l'altro, che il giudice delegato possa sospendere la vendita delle cose rivendicate: art. 103, comma terzo, legge fall.). Nè può assumere rilevanza la (eventuale) circostanza della non inventariazione del marchio tra i beni del fallito, riguardando tale questione il merito della vicenda (e, cioè, la stessa legittimità, rispettivamente, del decreto del giudice delegato autorizzativo alla vendita, e della vendita stessa disposta dal curatore), mentre, parallelamente, in relazione al negozio di alienazione stipulato dal curatore è legittimamente esperibile il rimedio extrafallimentare della ordinaria azione di cognizione, tesa alla invalidazione del contratto nei confronti del terzo acquirente (parte necessaria dell'instaurato giudizio), senza che possa assumere rilievo, in contrario, giusto disposto degli artt. 2919 - 2920 cod. civ., la circostanza che si tratti di negozio stipulato in sede di liquidazione dell'attività fallimentare. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Renato SGROI - Presidente Estensore -
Dott. Giuseppe BORRÈ - Consigliere -
Dott. Giovanni OLLA - Consigliere -
Dott. Gian Carlo BIBOLINI - Rel. Consigliere -
Dott. Mario CICALA - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:
S.A. MAKEDONIKI ETERIA KATASKEVIS ENDIMATON, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DI SAN VALENTINO 21, presso l'avvocato PORCACCHIA GIAN GUIDO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PARIS NIFLIS, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO RINOMATE JENSERIE Srl;

- intimato -

e sul 2 ricorso n. 11758/94 proposto da.
FALLIMENTO RINOMATE JENSERIE Srl ROVERETO già AMERICANINO SpA, in persona del Curatore pro tempore, MELEGA PAOLO, in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA VIA ANAPO 29, presso l'avvocato DARIO DI GRAVIO, che li rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -

contro

MAKEDONIKI ETERIA KATASKEVIS ENDIMATON S.A.;

- intimata -

avverso il provvedimento del Tribunale di ROVERETO, depositato il 29/7/94;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'11/3/97 dal Relatore Consigliere Dott. Gian Carlo BIBOLINI;
uditi per il ricorrente, gli Avvocati Niflis e Porcacchia, che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per i resistenti e ricorrenti incidentali, l'Avvocato Di Gravio, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Domenico NARDI che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso principale; assorbimento del ricorso incidentale;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il fallimento della S.r.l. RINOMATE JENSERIE - IN SIGLA R.J. - (già S.p.A. AMERICANINO), era dichiarato dal Tribunale di Rovereto con sentenza del 22 ottobre 1992. Con decreto in data 21 marzo 1994 il giudice delegato alla procedura autorizzava il curatore a cedere a terzi il marchio "AMERICANINO". Con ricorso depositato il 9 giugno 1994 l'avvocato Paris Niflis, dichiarando la sua qualità di difensore della società MEKE, enunciava che con contratto del 22 luglio 1983 la società stessa aveva acquisito dalla R.J. il diritto di uso del marchio "AMERICANINO" in esclusiva per tutta la Grecia e per la durata di un decennio e, quindi, fino al 22 luglio 1993; di avere, inoltre, in data 1 agosto 1992 convenuto con la società Kinghino (che aveva acquisito il relativo diritto dalla R.J.), il diritto all'uso del predetto marchio per tutta la Grecia fino al 2002. Aggiungeva la ricorrente che essa aveva fatto alla curatela un'offerta di acquisto del marchio "AMERICANINO" che non era stata portata a conoscenza del giudice delegato. Chiedeva, di conseguenza, l'annullamento del contratto di cessione del marchio stipulato dal curatore, in tutto o almeno per quanto esso invadeva il diritto all'uso esclusivo della MEKE, impedendo che detto contratto passasse alla registrazione ed alla trascrizione; chiedeva, inoltre, la revoca del decreto autorizzativo del giudice delegato in data 21 marzo 1994, con l'assunzione anche d'ufficio di tutte le misure urgenti e provvisorie a tutela dei diritti della istante.
Il giudice delegato, provvedendo con decreto datato 17.6.94, pur ritenendo la legittimazione della società di diritto greco in quanto il reclamo ex art. 36 L.F. può essere proposto da "chiunque vi abbia interesse", rigettava il reclamo. Riteneva, infatti, il giudice delegato che la sua autorizzazione alla vendita fosse stata sostanzialmente rispettata, pur essendosi il curatore in parte discostato dalle direttive impartite, perché erano stati rigorosamente osservati gli interessi dei creditori ed i limiti della discrezionalità comunque concessa al curatore. Riteneva in particolare il giudice delegato che l'attività della curatela, svolta in prevalenza con atti esterni negoziali, implica una sfera di autonomia del curatore che non può essere compressa ne' dal giudice delegato, ne' dal collegio il quale non può annullare, riformare o revocare gli atti del curatore, ne' ordinare al curatore l'annullamento di un negozio giuridico già posto in essere;
l'annullamento di un contratto può avvenire solo in una causa ordinaria di cui sia parte necessaria l'altro soggetto negoziale. Con ricorso depositato il 24 giugno 1994 la MEKE proponeva reclamo al tribunale di Rovereto contro il decreto del giudice delegato, insistendo sulle istanze originarie, sostenendo che l'atto negoziale compiuto dal curatore privo di legittimazione esterna potrebbe essere revocato anche se in pregiudizio di terzi. Il Tribunale, disposta la comparizione delle parti, respingeva il reclamo con provvedimento del 29 luglio 1994. Anche detto organo riteneva che il curatore godesse di una autonomia non suscettibile di compressione nè da parte del giudice delegato, ne' da parte del tribunale, organi che comunque non potrebbero annullare gli atti dal curatore posti in essere. Entrando nel merito del reclamo riteneva il tribunale che il curatore, pur essendosi discostato per qualche aspetto dalle indicazioni dell'autorizzazione alla vendita, tuttavia nella sostanza aveva posto in essere una cessione che rispondeva all'interesse dei creditori, ma anche conforme a quanto autorizzato. Il mancato rispetto del termine di sessanta giorni, posti per la vendita dell'autorizzazione, non poteva considerarsi perentorio non essendo in tal senso stato qualificato dal giudice ne' derivando detta qualifica da norma alcuna. Infine riteneva il collegio che il diritto parziale vantato dalla società greca non influiva sulla facoltà del curatore di cedere la proprietà del marchio al migliore offerente.
Contro tale decreto proponeva ricorso per cassazione la società MEKE sulla base di quattro motivi; depositava controricorso e ricorso incidentale la curatela del fallimento; entrambe le parti depositavano memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi devono riunirsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c. 1) Il Fallimento resistente ha eccepito l'improcedibilità ed inammissibilità del ricorso principale perché nella procura (senza data) rilasciata a margine del ricorso con una firma illeggibile si nota la sottoscrizione illeggibile dell'avv. Paris Niflis, con studio in Thessaloniki (Grecia), dimodoché la procura è inficiata da nullità non solo per inosservanza della normativa di cui all'art. 15 legge 4 gennaio 1968 n. 15, ma anche per il fatto che
l'autenticazione della firma è stata fatta anche dall'avv. Niflis che risiede ed esercita all'estero, e non ha quindi le facoltà di cui all'art. 83 c.p.c.. L'avv. G.G. Porcacchia non ha sottoscritto per autentica la firma illeggibile della persona che, attribuendosi la qualità di legale rappresentante della MEKE, ha inteso rilasciare la procura, che pertanto è inesistente; ne' risultano osservate da parte dell'avv. Paris Niflis le norme della legge 9 febbraio 1982 n.31. Le eccezioni sono infondate:
a) La mancanza della data nella procura è irrilevante, atteso il richiamo della stessa nell'intestazione del ricorso notificato (anche nella copia notificata, in cui è trascritta detta procura);
b) l'illeggibilità della firma del legale rappresentante della MEKE è irrilevante, posto che il suo nome risulta indicato con nome e cognome nell'intestazione del ricorso (sez. un. 1167/94). c) l'obbligo della legalizzazione non esiste, perché la procura si presume rilasciata in Italia non essendo stata data la prova contraria (Cass. n. 9662/1991);
d) Il ricorso è sottoscritto dall'avv. italiano (cassazionista G.G. Porcacchia), che, quindi, sottoscrivendo l'atto in cui è incorporata, ha certificato anche l'autenticità della firma;
e) il mandato è stato conferito anche al predetto avvocato italiano, per cui la legge 31 del 1982 è stata rispettata. 2) All'eccezione di inammissibilità del ricorso principale dal punto di vista oggettivo (non ricorribilità ex art. 111 cost.) si reputa opportuno far precedere l'esposizione del suo contenuto. Col primo motivo si fa valere l'omessa pronuncia su due capi del reclamo e dell'istanza iniziale (art. 112, 161 c.p.c.) ai sensi dell'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., lamentando che tanto nel decreto del giudice delegato che nel decreto del Tribunale si è pronunciato unicamente sulla richiesta di annullamento dell'atto del curatore, mentre sono state ignorate la richiesta di revoca del decreto di autorizzazione della vendita del marchio Americanino e quella della protezione dei diritti della ricorrente (d'ufficio) entrambe comprese nell'atto introduttivo del 9 giugno 1994.
Col secondo motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione di norme relative ai poteri del G.D. e del Tribunale rispetto agli atti del curatore, nonché contraddittorietà ed insufficienza della motivazione, ai sensi degli artt. 23,25,31,36 e 106 legge fall., in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., osservando che - anche supposto che il G.D. ed il Tribunale non abbiano il potere di revocare gli atti del curatore - non può negarsi il potere di revocare l'autorizzazione del G.D. alla quale sono conseguiti gli atti del curatore.
Inoltre il G.D. ed il Tribunale hanno poteri che non possono essere svuotati da una pretesa autonomia del curatore (art. 36 legge fall.). Il decreto impugnato non analizza in che consista detta pretesa autonomia e lo stesso Tribunale ha riconosciuto che i suoi atti sono impugnabili ex art. 36 legge fall. Col terzo motivo, si denuncia l'omessa delibazione di punti decisivi e la totale carenza di motivazione su capi del reclamo, l'omesso esame delle prove, nonché la carenza di motivazione su fatti (art. 360 n. 4 e n. 5 c.p.c.) perché:
A) Il Tribunale ha ignorato che nessuna caparra ne' garanzia fu consegnata al curatore, che il prezzo non fu pagato, che il marchio Americanino fu ceduto alla ICI non solo per la Grecia, ma per tutti i paesi del mondo, con l'eccezione dei paesi della CEE (meno la Grecia) e dei paesi centro e sudamericani; che non fu venduta insieme l'impresa; che il marchio non appartiene al Fallimento Rinomate Jenserie, bensì al fallimento Kinghino.
B) Il Tribunale ha ignorato gli elementi di prova citati dalla MEKE. C) Il decreto non si riferisce ad alcun elemento a sostegno della decisione.
Col quarto motivo, si denuncia la violazione dell'art. 106 legge fall., secondo il quale il giudice stabilisce il tempo della
vendita.
Tanto premesso, la Corte osserva che il ricorso è oggettivamente inammissibile, perché non ricorrono gli estremi dell'applicabilità dell'art. 111 cost. (ricorso per cassazione contro tutte le sentenze e gli altri provvedimenti che, non avendo la forma di sentenza, ne contengano il contenuto sostanziale: vedi infra).
Come chiaramente esposto nella memoria della MEKE, la controversia trae origine dall'asserito compimento da parte del Curatore del fallimento resistente di atti di disposizione su un bene mai acquisito alla massa attiva e irregolarmente dedotto in atti negoziali, non solo illegittimamente posti in essere dall'attuale resistente, ma preordinati al fine di ledere gli interessi della MEKE, perché il marchio "AMERICANINO" non apparteneva, all'epoca della sua negoziazione, al cedente perché già alienato - prima del fallimento - alla Soc. KINGHINO che, per quanto concerne lo sfruttamento in Grecia, aveva ceduto tutti i diritti alla MEKE (omissis). Si sosteneva, pertanto, da parte della MEKE, che qualsiasi atto di disposizione sul marchio, come qualsiasi provvedimento di autorizzazione a venderlo, erano illegittimi, perché assunti nell'ambito di una procedura esecutiva concorsuale in difetto dei necessari presupposti, il primo dei quali era rappresentato dell'acquisizione del bene (alienato, invece, in precedenza), con conseguente incidenza degli illegittimi provvedimenti sui diritti della MEKE, avendo questa derivato la disponibilità del marchio dalla soc. KINGHINO.
Osserva il Collegio che esattamente, nella stessa memoria, si osserva che la controversia esorbitava l'ambito delle doglianze avverso gli atti di amministrazione del curatore. Ed invero, se effettivamente il decreto del Tribunale avesse provveduto (o "dovesse" provvedere, per esaurire tutte le censure della MEKE) soltanto su un reclamo avverso gli atti di amministrazione del curatore, ai sensi dell'art. 36 legge fallimentare, sarebbe assai facile la risposta negativa in ordine all'applicabilità dell'art.111 cost., alla stregua di una costante giurisprudenza, che è
addirittura superfluo rammentare.
Ma tale profilo non esaurisce l'esame del caso; infatti, quando si tratta di applicare l'art. 111 Cost., la nozione di sentenza va intesa in senso sostanziale (e cioè in base alla presenza di un primo requisito, la decisorietà su diritti, intendendosi per decisorio il provvedimento che ha risolto una controversia in atto fra contrapposte posizioni di diritto soggettivo o in materia di status, assumendo il contenuto tipico, di accertamento, di condanna o costitutivo, della sentenza, suscettibile di condurre al giudicato sostanziale;
nonché di un secondo requisito, la definitività, intendendosi per definitivo il provvedimento avverso il quale non siano previsti rimedi diversi da quello previsto dall'art. 111).
In altri termini, quando si tratta di applicare o meno l'art. 111 Cost. non può richiamarsi quella ferma giurisprudenza secondo cui il
mezzo di impugnazione esperibile è quello che è previsto per il "tipo" di provvedimento, come qualificata dal giudice a quo, sicché nella specie è irrilevante che il Tribunale di Rovereto abbia qualificato il provvedimento come emesso su un reclamo ex art. 36 legge fall. (pacificamente non ricorribile per cassazione).
Ma l'indagine su due requisiti sopra citati (da compiere in modo autonomo da parte di questa Corte) porta ad un risultato egualmente negativo. Infatti, la MEKE si presenta come un terzo, titolare di diritti su un bene su cui ha inciso un decreto del giudice delegato nonché un conseguente negozio del curatore e, come tale, aveva un diverso mezzo che doveva percorrere: la domanda di separazione delle cose mobili (marchio), ai sensi dell'art. 103 legge fallimentare. Non conta la circostanza che le censure della MEKE riguardassero anche il decreto emesso dal G.D.
ai sensi dell'art. 106 legge fall. (e, dunque non un mero atto di amministrazione del curatore, ma un provvedimento emesso nell'ambito della liquidazione dell'attivo. È vero che contro detti decreti è ammesso il reclamo ex art 26 legge fall. e che il decreto del Tribunale che ha deciso il reclamo è ricorribile per cassazione, ma questa procedura può seguirsi quando la opposizione esperibile ricalca la tipologia degli articoli 615 e 617 dell'esecuzione singolare; non quando si fa valere un diritto del terzo ( che nell'esecuzione singolare sarebbe esperibile ai sensi degli articoli 619 - 620 c.p.c.), che necessariamente deve seguire la strada
descritta dall'art. 103 (che, non a caso, prevede che il giudice delegato possa sospendere la vendita delle cose rivendicate). Nè ha importanza che la MEKE sostenesse che il marchio non era inventariato fra i beni del fallito, perché questo punto riguardava il merito della questione, e cioè la stessa legittimità del decreto del giudice delegato e della seguente vendita. Infine, contro la vendita si poteva e doveva proporre un'azione normale di cognizione allo scopo di invalidare il negozio, anche nei confronti del terzo acquirente (che doveva essere chiamato in giudizio). Concludendo, il decreto originario che autorizzava il curatore a vendere, nonché il decreto del Tribunale di Rovereto, hanno inciso su un diritto soggettivo fatto valere dalla MEKE, ma non hanno avuto la valenza di decidere su di esso, non potendo assolutamente accertare i diritti contrapposti con forza di giudicato; ed inoltre l'interessato aveva un altro mezzo per far valere i suoi diritti. Avverso il negozio del curatore, poi (mentre il reclamo endofallimentare non decide sui diritti che possono essere oggetto del negozio o essere lesi dallo stesso, avendo il limitato raggio d'azione di cui all'art. 36 legge fall.) è evidente che dovrebbe proporsi, per ottenere una decisione capace di acquisire la forza del giudicato, e quindi ricorribile per cassazione, un'azione in via di cognizione ordinaria. Nè ha rilievo la circostanza che si tratti di un negozio stipulato in sede di liquidazione delle attività fallimentari (argomento ex art. 2919 - 2920 codice civile). L'inammissibilità del ricorso principale comporta l'assorbimento di quello incidentale, che è espressamente condizionato (vedi pag. 32). Ricorrono giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

La Corte di cassazione riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara assorbito quello incidentale;
compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso il dì 11 marzo 1997.