Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2206 - pubb. 01/07/2007

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Cassazione civile, sez. I, 19 Novembre 2003, n. 17526. Est. Rordorf.


Mezzi di impugnazione – Individuazione – Qualificazione dell'azione da parte del giudice investito della controversia – Principio c.d. dell'"apparenza" – Rilevanza esclusiva – Sussistenza – Fattispecie in tema di termine per l'appello avverso una sentenza resa in esito a domanda definita dal giudice di accertamento negativo, e non di opposizione allo stato passivo della procedura concorsuale.



L'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio c.d. dell'"apparenza", ossia con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione esperita, per come essa sia stata operata dal giudice del provvedimento stesso, e indipendentemente dalla sua esattezza (sindacabile solo dal giudice cui spetta la cognizione dell'impugnazione prescelta secondo il predetto criterio). Pertanto, ove l'azione diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa dell'inesistenza giuridica della condizione cui era stata subordinata l'ammissione di una credito al passivo di una procedura concorsuale, sia stata qualificata dal giudice come un'azione di accertamento negativo (e non come un'opposizione allo stato passivo della procedura, riconducibile entro i parametri dell'art. 98 l. fall.), la sentenza di primo grado assume la configurazione di un'ordinaria sentenza di accertamento e l'appello, contro di essa proposto, non è soggetto agli speciali termini prescritti dalla legge fallimentare per le impugnazioni in materia di opposizione allo stato passivo delle procedure concorsuali. (fonte CED – Corte di Cassazione)


Massimario, art. 98 l. fall.


omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il commissario liquidatore del Consorzio (che in prosieguo verrà indicato solo come "Consorzio"), in liquidazione coatta amministrativa, nel formare lo stato passivo della procedura, vi iscrisse un credito della C. C. s.r.l. (in prosieguo C. C.) per l'importo di L. 775.224.812, risultante dalla parziale compensazione con un contrapposto debito della medesima società. Ammise però il credito al passivo "con riserva perché in corso di acclaramento". L'elenco dei crediti fu depositato nella cancelleria del Tribunale di Perugia e di ciò il commissario liquidatore dette comunicazione alla C. C., con lettera del 2 ottobre 1991 in cui si menzionava l'ammissione al passivo del suddetto credito, ma non anche l'apposizione della riserva.

Sopravvenne alcun tempo dopo il fallimento della C. C., ed il commissario liquidatore del Consorzio, in data 22 dicembre 1995, propose istanza di insinuazione tardiva per far ammettere al passivo di detto fallimento un credito del Consorzio di L. 336.446.486. In tale istanza sostenne che era da considerare ormai azzerato il contrapposto credito della C. C. nei confronti del medesimo Consorzio, giacché non era stata a suo tempo assunta alcuna iniziativa volta a rimuovere la riserva con cui detto credito era stato originariamente iscritto nello stato passivo della procedura di liquidazione coatta.

Il curatore del fallimento C. C., con ricorso depositato il 14 marzo 1996 nella cancelleria del Tribunale di Perugia, propose allora opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta del Consorzio, lamentando l'irritualità della riserva e chiedendo l'ammissione incondizionata del credito della C. C.. Sostenne di essere ancora in termine per tale iniziativa avendo avuto conoscenza legale del provvedimento di ammissione con riserva solo a seguito della notifica della già riferita istanza d'insinuazione tardiva del contrapposto credito vantato dal Consorzio, avvenuta il 1 marzo 1996. Costituitosi in giudizio per resistere all'opposizione, il commissario liquidatore ne eccepì la tardività, sottolineando come la pregressa corrispondenza intercorsa tra le parti dimostrasse che prima la C. C. e poi il curatore del relativo fallimento erano già da gran tempo a conoscenza dell'ammissione con riserva del credito di cui si discute. Chiese pertanto che l'opposizione fosse dichiarata inammissibile e che fosse accertato l'avvenuto azzeramento della posizione creditoria dell'opponente, precariamente collocata nello stato passivo della liquidazione.

Con sentenza del 28 luglio 1997, il tribunale ritenne che l'azione proposta dalla curatela del fallimento C. C. comportasse una domanda di accertamento negativo, svincolata dai termini processuali dell'opposizione allo stato passivo delle procedure concorsuali. Dichiarò quindi che la riserva apposta alla collocazione del credito della C. C. nello stato passivo della liquidazione coatta del Consorzio era da considerare inesistente e che il credito doveva intendersi ammesso al passivo incondizionatamente. Avverso tale sentenza, notificata il 18 marzo 1998, il commissario liquidatore del Consorzio propose appello con atto notificato il successivo 17 aprile.

In accoglimento del proposto gravame, la Corte d'Appello di Perugia, promesso che non è concepibile un'autonoma azione di accertamento negativo volta ad incidere sullo stato passivo di una procedura concorsuale e che l'unico strumento al riguardo ipotizzato dalla legge è quello tipico dell'opposizione allo stato passivo medesimo, da esperirsi però entro i termini di decadenza al riguardo fissati, dichiarò inammissibile la domanda spiegata dal fallimento della C. C. e, per l'effetto, accertò l'intervenuto azzeramento della posizione di credito delle stessa C. C., precariamente collocata nello stato passivo della liquidazione coatta del Consorzio. Per la cassazione di questa pronuncia ricorre il fallimento della C. C., prospettando cinque motivi di censura.

Resiste il Consorzio con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Conviene procedere anzitutto all'esame del quinto motivo di ricorso, che ha carattere logicamente preliminare. Con esso la curatela ricorrente denuncia un "error in procedendo" in cui la Corte d'Appello sarebbe incorsa, violando gli artt. 98, 99 e 209 L. fall. (R.D. n. 267 del 1942), oltre che un vizio di motivazione. In particolare, la curatela si duole che la corte territoriale abbia, per un verso, affermato che la domanda originariamente proposta dal fallimento C. C. dovesse esser ricondotta al parametro dell'opposizione allo stato passivo, soggiacendo perciò al termine di decadenza al riguardo stabilito dall'art. 98 L. fall., ed abbia invece, per altro verso, trascurato di prendere in esame l'eccezione con cui la stessa curatela aveva rilevato la tardività dell'appello di controparte, proposto dal commissario liquidatore del Consorzio ad oltre quindici giorni dalla notifica della sentenza di primo grado e quindi dopo lo spirare del termine enunciato, per tale tipo di gravame, dal successivo art. 99. 1.1. La censura non ha fondamento.

L'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio cosiddetto "dell'apparenza", ossia con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione esperita, per come essa sia stata operata dal giudice del provvedimento stesso, e indipendentemente dalla sua esattezza (sindacabile solo dal giudice cui spetta la cognizione dell'impugnazione prescelta secondo il predetto criterio) e dalla qualificazione dell'azione data dall'opponente o dalla parte che propone l'impugnazione (cfr., in tal senso, tra le altre, Cass. 23 settembre 2002, n. 13831; 20 luglio 2001, n. 9925; 6 luglio 2001, n. 9200; 2 aprile 2001, n. 4787; 12 agosto 2000, n. 10801; 13 maggio 2000, n. 6169).

Se così non fosse, si genererebbero situazioni di grave incertezza e si rischierebbe di confondere lo strumento d'impugnazione con il contenuto dell'impugnazione medesima.

Il mezzo d'impugnazione non può infatti che essere coerente con i caratteri e con il tipo di provvedimento impugnato, così come configurati nel provvedimento medesimo, nulla consentendo di prescindere da siffatta configurazione fin quando una pronuncia di grado successivo non sia eventualmente intervenuta a modificarla. L'impugnazione, ovviamente, può esser volta proprio a provocare una simile pronuncia successiva, ma ciò attiene al suo contenuto, non già al modo ed ai termini della sua proposizione, i quali restano necessariamente ancorati alla configurazione che il provvedimento impugnato ha all'atto dell'impugnazione.

Nel caso in esame, il tribunale ha qualificato l'azione del fallimento C. C., indipendentemente dalla forma in cui la parte la aveva proposta, come azione diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa dell'inesistenza giuridica della condizione cui ara stata subordinata l'ammissione del credito della C. C. al passivo della liquidazione coatta amministrativa del Consorzio: dunque come un'ordinaria azione di accertamento negativo e non come un'opposizione allo stato passivo della procedura, riconducibile entro i parametri dell'art. 98 L. fall. (richiamato dal successivo art. 209, comma 2^). La sentenza di primo grado ha perciò assunto, a propria volta, la configurazione di un'ordinaria sentenza di accertamento. L'appello contro di essa proposto, per quanto sopra detto, non era dunque soggetto agli speciali termini prescritti dalla legge per le impugnazioni in materia di opposizione allo stato passivo delle procedure concorsuali, ed era perciò tempestivo. Non ha quindi errato la corte d'appello nel non dichiarare inammissibile il gravame sotto tale profilo.

2) Passando ora ai rimanenti motivi di ricorso, si può senz'altro cominciare dall'esame del primo, con cui la curatela del fallimento lamenta la violazione degli artt. 95, 98 e 209 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (l. fall.), nonché l'omessa motivazione su un punto decisivo.

In realtà, la doglianza è volta unicamente a denunciare l'errore di diritto in cui la sentenza impugnata sarebbe incorsa. Errore che consisterebbe, anzitutto, nel non aver considerato che l'istituto dell'ammissione di crediti con riserva al passivo del fallimento, contemplato dall'art. 95 L. fall., non trova applicazione nel diverso caso della procedura di liquidazione coatta amministrativa, stante il mancato richiamo dell'anzidetta norma nel successivo art. 209 L. fall. La riserva in questione, essendo stata apposta del tutto al di fuori di qualsiasi configurazione normativa, sarebbe stata dunque da considerarsi "tamquam non esset": un elemento di mero fatto privo di ogni giuridico affetto. Donde la non necessità - contrariamente a quanto affermato dalla corte perugina - di soggiacere al rito ed al termini del procedimento di opposizione allo stato passivo per fare accertare l'inesistenza giuridica di detta riserva. Nè a diversa conclusione si perverrebbe - soggiunge il ricorrente - ove si volesse invece reputare che anche la formazione dello stato passivo di una liquidazione coatta amministrativa tollera l'istituto dell'iscrizione di crediti con riserva, nei limiti consentiti per il fallimento dal citato art. 95, avendo comunque la giurisprudenza da lungo tempo chiarito l'inammissibilità delle cosiddette riserve atipiche, non comprese tra quelle che la legge espressamente contempla, e tale certamente essendo una riserva di futuro accertamento, come quella in questione, che finisce col rimettere l'ammissione del credito alla discrezionale successiva valutazione del commissario liquidatore.

2.1. Il motivo di ricorso così riassunto, nei limiti che saranno di seguito indicati, appare fondato.

2.1.1. Esso pone, anzitutto, l'interrogativo se sia o meno possibile configurare, nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, ed in particolare nella formazione dello stato passivo della società soggetta a tale procedura, l'ammissione di un credito con riserva. Questa peculiare forma di ammissione precaria, suscettibile di ulteriore e definitiva valutazione al momento del successivo scioglimento della riserva, è prevista nella procedura di fallimento, dall'art. 95, comma 2, L. fall., in due specifiche situazioni: per i crediti indicati dall'ultimo comma del precedente art. 55 (crediti condizionali, cui sono equiparati quelli che non possono farai valere contro il fallito, se non previa escussione di un diverso obbligato principale) e per quelli per i quali non sono stati ancora presentati documenti giustificativi, che tuttavia si ha ragione di presumere possano esserlo in seguito (non mette conto qui indagare se ulteriori ipotesi di ammissione con riserva siano consentite da altre leggi speciali). La citata disposizione dell'art. 95 non è però tra quelle espressamente richiamate dall'art. 209 L. fall., che disciplina la formazione dello stato passivo nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, e ciò induce la curatela ricorrente a dubitare che l'istituto dell'ammissione del credito al passivo con riserva sia affatto consentito in quest'ultima procedura.

Il dubbio va fugato.

Il mancato espresso richiamo dell'intero art. 95 L. fall., nell'ambito della successiva disciplina della liquidazione coatta, si spiega con le diverse modalità della formazione dello stato passivo proprie di tale procedura ed, in particolare, con la considerazione che la natura amministrativa di tale attività mal si concilierebbe con l'impianto giurisdizionale chiaramente sotteso al procedimento descritto dal citato art. 95.

Ciò non è tuttavia sufficiente a giustificare la conclusione per cui anche l'istituto dell'ammissione di crediti con riserva sarebbe estraneo alla formazione dello stato passivo nella procedura di liquidazione coatta.

Anzitutto, si deve osservare come non vi sia nulla, nelle suaccennate caratteristiche di tale procedura e nella sua natura amministrativa, che appaia di per sè logicamente incompatibile con la specifica possibilità di ammissione di crediti con riserva. Al contrario, vi sono precise indicazioni normative di segno positivo: l'espresso richiamo operato dal secondo e terzo comma dell'art. 209 L. fall. alla disciplina delle opposizioni allo stato passivo del fallimento, contenute nel precedente art. 98, ove è prevista l'opposizione allo stato passivo anche in caso di ammissione del credito con riserva;

ed, ancora, il richiamo dell'art. 212, ultimo comma, L. fall. all'intera gamma delle disposizioni dettate dal precedente art. 113, in tema di riparti parziali, ivi compresa dunque quella del n. 3, riguardante il deposito delle somme necessarie a soddisfare i crediti condizionali (sull'implicito, quanto ovvio, presupposto che tali crediti siano stati ammessi al passivo con riserva). Benché non richiamata in via diretta, dunque, la disposizione del citato secondo comma dell'art. 95, in tema di ammissione di crediti con riserva al passivo del fallimento, è da ritenersi operante anche nella procedura di liquidazione coatta amministrativa (si veda anche, in argomento, Cass. 3 settembre 1973, n. 2399).

2.1.2. Confermata la configurabilità, in via di principio, dell'ammissione di crediti con riserva anche nello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, resta però fermo che ciò può esser consentito solo entro i medesimi limiti in cui lo si ritiene possibile nella formazione dello stato passivo del fallimento; e che i principi elaborati a tale specifico riguardo per quest'ultima procedura sono destinati a valere anche nell'altra. Tra tali principi giova qui ricordare quello per cui l'ammissione al passivo con riserva è ammessa solo nei casi tassativamente previsti dalla legge, di modo che l'eventuale annotazione di una riserva atipica, che cioè non rientri in uno di quei tassativi casi, è da considerarsi come non apposta. Lo stato passivo, infatti, risponde alle necessità di acquisire nel più breve tempo il quadro completo e possibilmente unitario dei debiti dell'impresa sottoposta a procedura concorsuale, derivando da ciò molte ed importanti conseguenze sull'ulteriore ordinato e (per quanto possibile) celere sviluppo delle ulteriori fasi della procedura. L'ammissione di un credito con riserva, implicando la precarietà del primo accertamento e la necessità di altre e successive attività di verifica, connesse allo scioglimento della riserva, non può non assumere carattere di straordinarietà: donde appunto la possibilità di farvi ricorso solo nei casi tassativamente indicati.

Dal suindicato principio di tassatività delle riserve apponibili allo stato passivo la giurisprudenza di questa corte ha costantemente tratto un corollario, particolarmente rilevante nel caso in esame:

quello per cui, essendo le eventuali riserve atipiche (o comunque anomale) da ritenersi come non apposte, per la loro eliminazione non è necessario proporre opposizione ai sensi dell'art. 98 L. fall. (cfr. Cass. 9 ottobre 1996, n. 8835; 15 dicembre 1983, n. 7400; ed altre precedenti).

Da tale consolidato insegnamento non vi è qui ragione di discostarsi, giacché - come già accennato - esso costituisce una naturale applicazione della radicale inammissibilità di riserve che, in quanto diverse da quelle che solo la legge consente, rischierebbero altrimenti di stravolgere la fisionomia tipica dello stato passivo ponendosi del tutto al di fuori dello schema procedimentale ipotizzato al riguardo dal legislatore. L'ammissione con riserva di cui si discute - riserva di "successivo acclaramento" del credito - si colloca però palesemente al di fuori delle ipotesi tassativamente contemplate dalla citata disposizione dell'art. 95, comma 2, ne' trova appiglio in altra norma di legge. Palese ne è dunque il carattere atipico, e particolarmente evidente l'anomalia, equivalendo essa ad un rinvio della verifica del credito ad un momento posteriore, senza alcuna predefinita indicazione dei criteri, dei tempi e dei modi di tale successiva verifica. Siffatta riserva era dunque da considerarsi sin da principio come non apposta, ed il relativo accertamento non richiedeva il ricorso alla speciale procedura disciplinata dall'art. 98 L. fall., ne' poteva dirai condizionato al rispetto dei rigorosi termini di decadenza da cui quella procedura è caratterizzata. Correttamente, pertanto, il giudice di primo grado aveva equiparato l'azione esperita dalla curatela del fallimento C. C. ad un'azione di accertamento, ammissibile senza limiti di tempo. Nè a tale equiparazione potrebbe esser di ostacolo l'impropria introduzione della lite nelle forme del ricorso previsto dal citato art. 98, non risultando che sia derivata da ciò alcuna compressione del diritto al contraddittorio ed essendosi la causa svolta, per il resto, secondo i canoni dell'ordinario giudizio contenzioso.

Ha errato, quindi, la corte d'appello nel riformare la decisione di primo grado e nel dichiarare inammissibile l'originaria domanda del fallimento, discostandosi dai principi di diritto che sopra si sono richiamati. L'impugnata sentenza deve, di conseguenza, essere cassata.

3) Quanto appena osservato rende palesemente superfluo l'esame degli ulteriori motivi di ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, consente a questa corte di decidere senz'altro la causa nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma 1, c.p.c., e perciò di dichiarare che non vi sono riserve giuridicamente idonee a condizionare l'ammissione del credito della ricorrente al passivo della liquidazione coatta amministrativa del Consorzio resistente. 4) La qualità delle parti, la natura della controversia e l'andamento complessivo della lite inducono a compensare le spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

1) rigetta il quinto motivo di ricorso;

2) accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso;

3) dichiara assorbiti i restanti motivi di ricorso;

4) cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta;

5) pronunciando nel merito, a norma dell'art. 384, comma 1, c.p.c., dichiara che il credito di L. 775.224.812, di cui è titolare la fallita società C. C. s.r.l., deve intendersi ammesso incondizionatamente al passivo della procedura di liquidazione coatta amministrativa del Consorzio;

6) compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio. Così deciso in Roma, il 17 giugno 2003.

Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2003


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