Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21927 - pubb. 22/06/2019

Nel piano attestato di risanamento l’adesione dei creditori non può essere acquisita successivamente

Tribunale Catania, 11 Gennaio 2019. Est. De Bernardin.


Piano attestato di risanamento - Adesione dei creditori - Presupposto



La semplice offerta ai creditori della sottoscrizione di un piano attestato di risanamento non è sufficiente per configurare la fattispecie di cui all’art. 67 co. 3 lett. d) l. fall., in quanto il consenso dei creditori costituisce un presupposto che deve essere presente sin dall’inizio, non potendo essere acquisito successivamente. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Segnalazione del Dott. Amedeo Siciliano


omissis

2. Questioni giuridiche poste a fondamento dell’invocata esenzione dall’eccezione revocatoria ritenuto, in via preliminare, che - come ricordato da parte opponente nelle sue note ex art. 99 co. 11 l.fall - il piano attestato è atto di formazione unilaterale del debitore che prescinde per il suo perfezionamento dall’accordo dei creditori;

ritenuto che anche la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come i piani attestati siano caratterizzati dalla loro la natura di: “convenzione stragiudiziale”, esulanti dalla nozione di procedura concorsuale perché sottratti a valutazione o controllo giurisdizionale e perché scevri da partecipazione del ceto creditorio (cfr. sul punto: Cassazione civile sez. I, 25/01/2018, n. 1895);

ritenuto, poi, che alla fattispecie in esame si applica la disciplina di cui all’art. 67 co. 3 lett d l.fall. sì come modificata a seguito della novella apportata dal d.l. 83/ 2012 (convertito dalla l. 134/2012) ai termini della quale gli atti e le garanzie concesse in esecuzione del piano attestato sono esenti da azione revocatoria (ovvero da eccezione revocatoria) quando ricorrono i seguenti presupposti: a) siano posti in essere in attuazione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria e assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria; b) un professionista indipendente attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano;

ritenuto che - in conformità a quanto ritenuto dalla dottrina maggioritaria sin dall’introduzione della disposizione in commento ad opera del d.l. 35/2005 (convertito dalla l. 80/2005) - con riferimento al primo dei suddetti requisiti, la circostanza che il legislatore utilizzi la locuzione: “appaia idoneo” (e non espressioni quali: “volto” ovvero “finalizzato”) disvela la possibilità di un margine di apprezzamento e valutazione circa l’idoneità - appunto - del piano a perseguire quell’obiettivo di risanamento e riequilibrio che lo stesso si prefigge;

ritenuto che una siffatta interpretazione appare coerente: da un lato, con la natura non concorsuale dei piani attestati; dall’altro, con l’esigenza di evitare che un uso distorto dell’istituto lo trasformi da strumento per il superamento della crisi dell’impresa a grimaldello per l’indebita violazione della par condicio creditorum;

ritenuto che la lettura proposta è avallata anche dalla giurisprudenza di legittimità che, in materia, ha ritenuto invocabili i principi già espressi in tema di controllo giurisdizionale sul piano di concordato preventivo (Cassazione civile sez. VI, 05/07/2016, n. 13719);

ritenuto che, in particolare, - secondo la menzionata pronuncia - spetta al Tribunale - oltre che il controllo sulla fattibilità giuridica, come già chiaramente affermato dalla pronuncia delle Sezioni unite della Corte di Cassazione n. 1521/2013 - anche un controllo sulla fattibilità economica intesa come: “verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole (causa in astratto). Di fronte alla manifesta irrealizzabilità del piano, invero, non c’è da effettuare valutazioni o da assumere rischi di sorta” (Cassazione civile sez. I, 23/05/2014, n. 11497; cfr. nello stesso senso, sempre in tema di concordato preventivo: Cassazione civile, sez. I, 04/05/2016, n. 8804, par. 3 della motivazione in diritto; Cassazione civile sez. I, 28/03/ 2017, n. 7959, par. 18 del ritenuto in diritto);

ritenuto che per le ragioni che precedono e in difetto peraltro di pronunce di senso contrario nella giurisprudenza di merito edita ovvero di contestazioni in punto di diritto ad opera delle parti nella presente sede può affermarsi la sindacabilità ex ante del piano attestato ad opera del Tribunale;

ritenuto, tuttavia, che in parziale difformità da quanto ritenuto dalla menzionata pronuncia di legittimità il controllo del piano da parte dell’organo giurisdizionale debba essere circoscritto alla sua: “eventuale manifesta inidoneità” al perseguimento dei fini previsti per legge, il cui onere probatorio ricade su cui eccepisce l’inoperatività dell’esenzione;

ritenuto, infatti, che il più limitato controllo così demandato al Tribunale sia maggiormente in linea: da un lato, con la più ampia giurisprudenza di legittimità in tema di controllo sul piano di concordato preventivo (e in relazione a cui la stessa pronuncia della Corte di Cassazione citata afferma espressamente la sussistenza di una identità di ratio legis); dall’altro, evita che un vaglio eccessivamente esteso da parte dell’organo giurisdizionale possa svuotare a posteriori le potenzialità dei piani attestati scoraggiando il ricorso all’istituto;

ritenuto che, per analoghe ragioni circa l’opportunità di un controllo sulle ragioni di alterazione della par condicio creditorum, deve considerarsi rimesso al Tribunale un vaglio sulla relazione del professionista incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali (cfr. in questo senso, sebbene in via di obiter dictum perché non rilevante nel caso concreto: Cassazione civile sez. VI, 05/07/2016, n. 13719), oltre che la fattibilità del piano;

ritenuto che - anche in questo caso - il controllo da parte dell’autorità giudiziaria pare potersi espletare in maniera analoga a quello sull’attestazione a corredo del piano di concordato preventivo stante l’identità di funzione dell’attestazione , ossia quella di offrire ai creditori dell’imprenditore garanzie circa l’affidabilità della situazione contabile del loro debitore e circa l’efficacia della soluzione prospettata per il superamento della crisi dell’impresa;

ritenuto quindi che, coerentemente, il controllo sull’adeguatezza dell’informazione resa dall’attestazione (cfr. Cassazione civile sez. I, 28/03/2017, n. 7959) andrà effettuato in termini di completezza dei dati e di comprensibilità dei criteri di giudizio (cfr. sul punto: Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2018, n. 5825), restando invece precluso un sindacato sui criteri di valutazione impiegati, salvi i caso di manifesta incongruenza o illogicità (sul punto: Cassazione civile sez. I, 04/05/2017, n. 10819);

ritenuto, pertanto, che incombe sull’attestatore una verifica dei singoli dati contabili ed extracontabili su cui il piano si fonda (cfr. Tribunale S. Maria Capua V. sez. fallimentare, 12/06/2013, in Redazione Giuffrè, 2013), non potendosi limitare all’accertamento dell’esistenza di documenti formali, ma dovendo di contro effettuare una verifica e un riscontro dei dati aziendali, eventualmente anche tramite controllo a campione (Corte appello Firenze, 21/06/2013, n. 1003; Tribunale Novara, 14/06/2013) e i dovuti riscontri esterni (Tribunale Rovigo, 20/03/ 2015,) per giungere a uno scrutinio sostanziale della sua attendibilità (Cassazione civile sez. I, 15/06/2018, n. 15791, par. 2.3 della motivazione) dando puntuale conto della metodologia ed i criteri seguiti per pervenire all’attestazione di veridicità dei dati aziendali e alla conclusione di fattibilità del piano (Tribunale Padova sez. fer., 20/12/2012, n. 97);

3. Non ricorrenza dell’esenzione da revocatoria ex art. 67 co. 3 lett. d l.fall. nel caso di specie ritenuto, in primo luogo, che non appare condivisibile la tesi della Curatela opposta secondo cui il piano attestato di cui si discute sarebbe affetto da non fattibilità giuridica a causa dello stato di liquidazione di fatto in cui sarebbe versata la società stante l’integrale perdita del capitale sociale al momento della predisposizione del piano;

ritenuto, infatti, che anche a prescindere da approfondimenti circa la fondatezza o meno dell’assunto secondo cui una riclassificazione dei bilanci secondo corretti parametri contabili avrebbe evidenziato l’integrale erosione del capitale sociale - comunque la violazione delle disposizioni poste a presidio dell’integrità del capitale sociale costituisce eventuale causa di responsabilità dell’organo amministrativo per le conseguenze derivanti dagli atti non aventi natura meramente conservativa, ma non inficia in sé la validità dell’attività di amministrazione eventualmente posta in essere;

ritenuto che - quanto al dedotto profilo di non fattibilità economica - deve evidenziarsi che il piano proposto dall’imprenditore in bonis era incentrato - oltre che su una riduzione dei costi e su un auspicato più efficiente recupero dei crediti - sull’accettazione di una rimodulazione delle scadenze dei debiti coi fornitori e una rivisitazione per il futuro delle condizioni contrattuali con gli istituti di credito;

ritenuto che la possibilità per il piano di trovare attuazione presupponeva l’acquisizione del consenso dei creditori interessati al prospettato riscadenzamento dei pagamenti e revisione delle condizioni contrattuali non potendo lo stesso essere fondato su auspicate successive adesioni, piuttosto che su accordi già raggiunti;

ritenuto, invero, che - per come articolato il piano e per le caratteristiche della soluzione individuata - l’adesione dei creditori all’idea imprenditoriale sottesa al piano di risanamento non costituiva un mero accidente, bensì un presupposto indefettibile per la sua realizzazione;

ritenuto, infatti, che - a differenza di quanto accade col concordato preventivo o con gli accordi ex artt. 182 bis e 182 septies l. fall. - col ricorso al piano di risanamento l’imprenditore sceglie di non sottoporre all’approvazione del ceto creditorio la propria soluzione per il superamento della crisi;

ritenuto, quindi, che anche se il piano di risanamento è impiegato prevalentemente per strutturare un diverso pagamento dei debiti pregressi (invece che, per esempio, per effettuare un nuovo investimento) il consenso del ceto creditorio coinvolto deve costituire un presupposto sussistente a monte e non, invece, da acquisirsi a valle successivamente alla predisposizione del piano;

ritenuto che, nella specie, - come dedotto dalla curatela fra le altre cose nell’ambito del progetto di stato passivo e ribadito nella memoria di costituzione - non vi era evidenza nel piano, né nell’attestazione dell’adesione dei creditori, dato di cui - peraltro - l’odierna opponente era a consapevole per avere, se non altro, riportato la circostanza del mancato deposito dell’attestazione definitiva in attesa dell’adesione del ceto bancario nella lettera del 30/ 11/2015 (cfr. doc. 15 fasc. opponente);

ritenuto che non osta alle considerazioni che precedono la circostanza che l’imprenditore avesse offerto ai creditori la sottoscrizione di documento denominato: “accordo ex art. 67 co. 3 lett. d l. fall.” (doc. 7 fasc. opponente) trattandosi - nella ricostruzione offerta nella presente sede - di un atto in esecuzione del piano predisposto dall’imprenditore e non, in sé, dell’atto/negozio posto a fondamento dell’eventuale esenzione da revocatoria;

ritenuto - peraltro - che anche la dottrina che si è occupata del tema ha rilevato come la condivisione del piano da parte dei creditori (o comunque dei terzi) potrebbe eventualmente rilevare per l’individuazione dei soggetti che possono invocare l’esenzione da revocatoria, senza che, tuttavia, una siffatta condivisione elida la natura unilaterale del piano che rimane: “un programma di attività da compiersi, uno dei cui tasselli è l’eventuale accordo coi creditori”;

ritenuto, in conclusione, che il piano di risanamento si prospettava ab origine - oltre anche al momento dell’esecuzione degli atti asseritamente posti in essere in esecuzione dello stesso - non idoneo al raggiungimento del fine individuato dalla legge;

ritenuto, pertanto, che il piano in esame non regge al vaglio critico demandato al Tribunale ai fini dell’esonero da azioni revocatorie;

ritenuto, poi, con appaiono condivisibili le considerazioni della curatela in ordine all’inidoneità della relazione di attestazione del piano ad assolvere la funzione demandata e ciò segnatamente in ragione: i) dell’esame meramente documentale della posta più rilevante di attivo e relativa ai crediti verso clienti (euro 5.532.633,32): la circostanza che siano state esaminate a campione le fatture emesse di importo superiore agli euro 10.000,00 non esimeva comunque dall’indicazione della quantità dei riscontri effettuati e, comunque, dalla verifica - anche eventualmente a campione - della reale esistenza dei crediti recati dalle fatture; ii) della mancata illustrazione delle ragioni che hanno condotto a un recepimento acritico: 1. del valore delle partecipazioni nella Chisari immobiliare s.r.l. di euro 5.691.000,00 fondato su perizia di perito nominato dell’imprenditore ; 2. del valore del magazzino indicato da perito nominato dall’imprenditore in euro 4.447.869,00, e ciò tenuto peraltro conto che trattavasi - unitamente al valore dei crediti verso clienti- degli importi maggiormente rilevanti di un attivo indicato dall’imprenditore in euro 22.350.183,21 (cfr. pag. 4. della relazione a firma dott.ssa Uccellatore riportante i dati di bilancio al 30/06/ 2015); iii) la mancata verifica della corretta individuazione delle cause dello stato di crisi -e ciò in difformità con quanto richiesto dal par. 5 dei: “Principi di attestazione dei piani di risanamento” del 06 giugno 2014 stilato dal CNDCEC, cui medesimo il professionista aveva affermato di conformarsi nella propria relazione-: circostanza rilevante se si considera l’impatto che una corretta diagnosi della causa della crisi ha, in generale, nella formulazione del giudizio di fattibilità del piano (condivisibilmente, si legge infatti nei citati principi che ciò è necessario al fine di: “appurare se e in quale misura le ipotesi di intervento previste siano ragionevolmente in grado di rimuovere le criticità che hanno provocato la crisi stessa”) e, in particolare, nei piani che prevedono una continuità aziendale, come nella specie; iv) prescindendo da approfondimenti su cosa debba intendersi per: “fattibilità” nell’ambito dei piani di risanamento, deve rilevarsi che la relazione posta a corredo del piano di risanamento non contiene valutazioni critiche in merito alle proprie apodittiche affermazioni circa la condivisione delle previsioni del piano. A titolo di esempio si riporta: i.l’affermazione circa la ragionevolezza della durata del piano senza che siano espresse considerazioni sulla compatibilità dello stesso con caratteristiche specifiche dell’attività d’impresa espletata e della tipologia di interventi immaginati nel piano; ii. non vi è spiegazione sul perché l’indagine circa la coerenza fra i dati previsionali e i dati storici sia stata condotta tramite sviluppo meramente numerico dei dati di bilancio e senza accenno allo scenario imprenditoriale futuro in cui il piano dovrebbe essere trovare attuazione (dato che appare rilevante se si considera che proprio il piano attribuisce la propria crisi alle mutate esigenze del mercato e all’avvento delle nuove tecnologie); iii. l’esigibilità dei crediti è infragruppo nei confronti di Infoparts s.r.l. è assiomaticamente affermata senza indagine circa la solvibilità del debitore);

ritenuto, in conclusione, che - stante l’inidoneità del piano e dell’attestazione - le garanzie offerte in esecuzione del piano non possono considerarsi esentate dalla revocatoria di cui all’art. 67 co. 3 lett. d l.fall. eccepita dalla Curatela; 4. Sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’eccezione revocatoria rilevato che tanto in sede di verifica dello stato passivo, quanto nell’ambito del presente procedimento, la Curatela ha dedotto la sussistenza dei presupposti per far valere in via di eccezione la revocabilità della garanzia fatta valere da parte opponente: in via principale, ex art. 67 co. l.fall. e, comunque, ex art. 2901 c.c. (cfr. in ordine alla possibilità di far valere la revocabilità dell’atto in via riconvenzionale nell’ambito del giudizio di opposizione: Cassazione 04 aprile 2013, n. 8246; Cassazione 23 gennaio 2013, n. 1533); rilevato, sotto il profilo oggettivo: i. che il fallimento della Chisari s.p.a. in liquidazione è stato dichiarato il 26/05/ 2016; ii. i crediti in relazione a cui viene chiesta l’ammissione in via prelatizia attengono a forniture avvenute successivamente alla data di costituzione del pegno del 01/12/2015 (doc. 16 fasc. opponente); rilevato, sotto il profilo soggettivo, che la Curatela deduce la conoscenza dello stato di insolvenza in capo all’odierna opponente in ragione: a) dell’intervenuta proposizione del piano di risanamento che non si sarebbe reso necessario ove la società allora in bonis fosse stata in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni; b) della concessione di garanzie ai fornitori per la prosecuzione del rapporto e ciò in difformità della prassi commerciale;

ritenuto, come correttamente rilevato da parte opponente nelle proprie note ex art. 99 co. 11 l.fall., che la mera predisposizione di un piano attestato non costituisce - di per sé - dato sintomatico dell’insolvenza;

ritenuto, infatti, che - pur essendo l’istituto prefigurato quale strumento per il superamento della crisi d’impresa - non si rinvengono dati sistematici o letterali per identificare - in quest’ambito - l’eventuale stato di crisi con un’insolvenza;

ritenuto - tuttavia - che, nella specie, nel piano di risanamento presentato ai propri creditori l’imprenditore: a) ammetteva di trovarsi in stato di crisi finanziaria; b) prospettava la possibilità di un risanamento a condizione della ripresa delle forniture da parte dei fornitori strategici; c) chiedeva ai propri fornitori-creditori una rinegoziazione dei termini di pagamento dei debiti scaduti sino a 24 mesi; d) offriva a questi ultimi la costituzione di garanzie reali;

ritenuto che le indicate caratteristiche del piano integrano gli estremi dell’insolvenza e ciò, segnatamente, con riferimento all’ammissione dell’impossibilità di poter onorare con regolarità al pagamento dei debiti scaduti nei confronti dei fornitori;

ritenuto che, sul punto, appaiono significativi i dati di bilancio riportati nella relazione dell’attestatore da cui risulta un indebitamente complessivo di quasi 17 milioni di euro di cui euro 8.201.348,89 nei confronti dei fornitori ed euro 4.092.403,85 nei confronti delle banche;

ritenuto, infatti, che con la presentazione del piano l’imprenditore ha ammesso di non poter regolarmente pagare quasi la metà di un debito di importi assai rilevanti;

ritenuto, poi, che - nell’esperienza delle prassi commerciali - la concessione di garanzie reali è assolutamente inusuale e la circostanza che le predette - peraltro - siano state prospettate in concomitanza con la prospettazione di un piano di risanamento costituisce indice significativo del fatto che senza la loro concessione le controparti contrattuali non avrebbero ripreso le forniture perché convinte dell’irreversibilità dello stato di crisi in corso;

ritenuto, in conclusione, che sussistono i presupposti per accogliere l’eccezione riconvenzionale di revocatoria fallimentare e che l’opposizione va rigettata; (*).

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