Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21791 - pubb. 04/06/2019

La Cassazione ricostruisce il sistema delle cause di chiusura del fallimento

Cassazione civile, sez. I, 16 Maggio 2019, n. 13270. Est. Terrusi.


Fallimento – Chiusura – Ricostruzione del sistema



L’art. 118, n. 1, L. Fall. prevede come motivo di chiusura del fallimento il solo caso della mancata presentazione di domande nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa, e non è consentita di tale norma un’interpretazione diversa da quella letterale che finisca per precludere, anche in caso di rinuncia alla domanda tempestiva, il diritto all’insinuazione tardiva assicurato dall’art. 101; viceversa l’eventualità del ritiro della domanda tempestivamente presentata, ovvero l’eventualità della sua rinuncia prima dell’adunanza di verifica dei crediti, può rilevare nel distinto contesto di un’interpretazione estensiva della L. Fall., art. 118, n. 2, nell’ampia categoria dell’accertamento in ordine all’inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare.


[…La ricostruzione del sistema va peraltro completata secondo la coordinazione delle cause di chiusura del fallimento di cui alla L. Fall., art. 118, nn. 1 e 2.

Il fallimento si chiude (naturalmente nei limiti di quanto interessa): "1) se nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al passivo" e "2) quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione".
Anche ai sensi dell’art. 118, n. 2, la procedura non ha ragione di proseguire, solo che qui la causa è proprio costituita dal fatto che non ci sono (più) creditori da soddisfare.
Essendo al centro della norma il caso dell’accertata inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare, è naturale inferire che non rileva in sé la circostanza della modalità estintiva del debito già ammesso al passivo, sebbene la circostanza (oggettiva) che i debiti - ammessi al passivo o solo postulati mediante la domanda di insinuazione - siano risultati estinti. Il che collima con le conclusioni alle quali era a suo tempo giunta la dottrina classica, la quale in relazione al testo originario dell’art. 118 aveva giustappunto osservato come la modalità con la quale il debito fosse venuto meno neppure doveva interessare ai fini indicati, ben potendo essa conseguire anche al ritiro della domanda da parte del creditore o alla rinuncia all’ammissione del credito.
I precitati elementi che concorrono all’esegesi inducono ad affermare il principio per cui l’art. 118, n. 1, L. Fall. prevede come motivo di chiusura del fallimento il solo caso della mancata presentazione di domande nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa, e non è consentita di tale norma un’interpretazione diversa da quella letterale che finisca per precludere, anche in caso di rinuncia alla domanda tempestiva, il diritto all’insinuazione tardiva assicurato dall’art. 101; viceversa l’eventualità del ritiro della domanda tempestivamente presentata, ovvero l’eventualità della sua rinuncia prima dell’adunanza di verifica dei crediti, può rilevare nel distinto contesto di un’interpretazione estensiva della L. Fall., art. 118, n. 2, nell’ampia categoria dell’accertamento in ordine all’inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare. …] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



 


Fatti di causa

La corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da (*) s.r.l. in liquidazione contro l’ordinanza con la quale il tribunale di Roma ne aveva a sua volta rigettato l’istanza di chiusura del fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 118, n. 1.

La corte ha premesso che erano state presentate 32 domande di ammissione, tra tempestive e tardive, ancorché rinunciate, ma ha ritenuto che il caso concreto esulasse dall’ambito applicativo della norma, non essendo caratterizzato dal "presupposto negativo dell’assenza di domande".

Ha affermato che non era da condividere l’assunto della reclamante circa l’irrilevanza delle domande tardive ai fini della prosecuzione della procedura fallimentare, non essendo i relativi creditori suscettibili di esser considerati estranei alla procedura medesima; che invero si trattava di creditori della massa, per quanto la loro posizione non fosse stata ancora definitivamente accertata.

Ha aggiunto che in ogni caso la decisione del tribunale era da ritenere corretta in quanto l’istanza di chiusura era stata disattesa anche sul presupposto dell’avvenuta fissazione dell’udienza per la verifica della regolarità delle desistenze dei creditori tardivi, e per lo meno fino a tale udienza non poteva ritenersi formalmente accertata l’assenza del ceto creditorio.

Per la cassazione del provvedimento la società ha proposto ricorso affidato a due motivi.

La curatela del fallimento e gli altri soggetti intimati non hanno svolto difese.

 

Ragioni della decisione

I. - Col primo mezzo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 118, comma 1, e dei principi regolatori desunti dalla legge fallimentare, con riferimento alla ritenuta inapplicabilità della citata norma per la sussistenza di domande di insinuazione, seppur rinunciate prima del loro esame.

Col secondo mezzo ulteriormente denunzia la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 101 e art. 118, n. 1, con riferimento alla ritenuta inapplicabilità del regime di chiusura del fallimento in ragione dell’asserita rilevanza delle eventuali future domande tardive.

II. - Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione, non è fondato.

In punto di fatto la ricorrente espone che nel termine indicato dalla L. Fall., art. 16, n. 5, erano state nel caso concreto presentate 29 domande di ammissione al passivo, le quali domande erano state tuttavia rinunciate prima dell’adunanza di verifica. Peraltro, la curatela aveva chiesto al giudice delegato la fissazione di una successiva adunanza, essendo nel frattempo intervenute altre domande tardive. Poiché anche queste domande erano state rinunciate, il giudice delegato aveva fissato un’apposita ulteriore adunanza per la verifica della regolarità delle relative desistenze.

Nel ricorso è riportato il contenuto del provvedimento assunto dal tribunale fallimentare sull’istanza di chiusura del fallimento costì immediatamente presentata ai sensi della L. Fall., art. 118, n. 1; e si apprende che il tribunale aveva ritenuto che la chiusura non potesse esser dichiarata perché, considerato l’andamento appena riferito, vi era la concreta possibilità che venissero proposte ulteriori domande entro l’anno, atteso l’elevato numero di creditori emergente dall’elenco fornito dalla stessa società debitrice in sede concordataria.

La decisione, gravata da reclamo, è stata confermata dalla corte d’appello di Roma sulla base dei rilievi menzionati in narrativa, a fronte dei quali la ricorrente sottolinea invece che l’avvenuta rinuncia alle domande tempestive avrebbe dovuto comportare automaticamente, e senza alcuna discrezionalità per il giudice, la chiusura del fallimento, stante l’equiparazione della rinuncia al caso della mancata presentazione di domande.

III. - Osserva il collegio che la tesi della ricorrente, che riecheggia talune note posizioni dottrinali sul tema, non può essere condivisa.

Giova premettere che la ratio della norma (che impone la chiusura per mancata presentazione di domande tempestive) deve essere coordinata con l’attuale regime dell’insinuazione tardiva, sempre ammissibile entro il termine generale di dodici mesi (salvo proroga da parte del tribunale) dal deposito del decreto di esecutorietà dello stato passivo (L. Fall., art. 101).

Da questo punto di vista occorre considerare che la legge reputa "tempestive" soltanto le domande presentate entro il termine di trenta giorni prima dell’udienza di verifica del passivo, e che tutte le altre vengono automaticamente ritenute "tardive" sebbene de plano ammissibili entro il sopra citato termine, decorrente dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, e scrutinabili in base alla stessa identica disciplina delle domande tempestive, nell’ambito di un procedimento attivabile con cadenza quadrimestrale analoga (oltre tutto) alla cadenza prevista per la ripartizione dell’attivo; ciò a testimonianza della sentita necessità di evitare che si faccia luogo a ripartizioni parziali senza il previo esame di domande sì tardive (nel senso appena detto), ma in ogni caso già depositate.

In sostanza, l’ammissione tardiva del credito al passivo non si differenzia dalla tempestiva se non per il rischio di parziale incapienza (L. Fall., art. 112 e art. 101, comma 3). E questo è tanto vero che, seppure anomalo rispetto al fisiologico andamento delle operazioni quadrimestrali di verifica, è stato da questa Corte considerato legittimo finanche il provvedimento del giudice delegato che disponga l’inserimento immediato nello stato passivo di una domanda di ammissione tardiva, alla stessa maniera di quelle tempestive - visto che la fissazione di una nuova adunanza, pur in mancanza di particolari ragioni ostative alla decisione nell’adunanza già fissata, contrasterebbe - si è detto - con l’obbiettivo del sollecito espletamento delle operazioni di verifica dei crediti perseguito dalla legge (v. Cass. n. 4792-12).

IV. - Ora giova dire che la ratio della L. Fall., art. 118, n. 1, è legata alla funzione del processo di fallimento.

Si dice: poiché tale processo è finalizzato a liquidare il patrimonio del debitore col fine di soddisfare i creditori, se nessun creditore presenta domanda vuol dire che nessuno ha intenzione di profittare del titolo costituito dalla sentenza dichiarativa, onde partecipare al riparto del ricavato della liquidazione del patrimonio; quindi non v’è ragione di procedere alla liquidazione stessa e il fallimento deve esser chiuso.

Da questo punto di vista si ritiene anzi comunemente che il fallito sia titolare di un diritto soggettivo a ottenere la chiusura del fallimento quando questo non sia più necessario per i creditori, anche a prescindere dal principio di ragionevole durata.

Sulle citate enunciazioni può convenirsi.

L’anzidetta spiegazione implica, però, l’inesistenza di una razionale causa di prosecuzione del fallimento ove non risultino presentate affatto le domande tempestive, sintomo dell’assenza di creditori da soddisfare; e dunque non può essere estesa (per ermeneusi) al caso (diverso) in cui domande tempestive siano state presentate e successivamente siano state rinunciate, e in cui oltre a quelle siano state altresì presentate, prima dell’adunanza di verifica e comunque prima dell’adozione di un qualunque provvedimento sull’istanza di chiusura, domande tardive de plano ammissibili.

Se, come pure si dice, vi è sotteso il tema della cd. mancanza di passivo, non può sostenersi che, una volta che le tempestive siano state presentate, il loro ritiro rilevi di per sé. Ove si rispondesse affermativamente, la procedura dovrebbe giungere all’epilogo della chiusura L. Fall., ex art. 118, n. 1, ancorché in presenza di domande tardive ammissibili, già presentate e da scrutinare nel modo appena visto; conclusione - questa - che per quanto sostenuta da una parte della dottrina, sul rilievo che il profilo della eventuale presentazione di domande tardive non sarebbe previsto dall’art. 118, n. 1, come evento impeditivo, contrasta proprio con la leva dell’irragionevolezza della procedura liquidatoria.

V. - Va tuttavia in parte corretta anche l’argomentazione che si rinviene nell’unico precedente di questa Corte sul tema (Cass. n. 4021-17), secondo cui, a seguito della riforma della legge fallimentare di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006 e al D.Lgs. n. 169 del 2007, la L. Fall., art. 118, n. 1, andrebbe interpretato "nel senso che il fallimento non può essere chiuso in presenza di domande, tempestive o tardive, che, una volta presentate, siano destinate ad un’utile collocazione".

L’art. 118, n. 1, è riferito alla non avvenuta presentazione di domande nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento: id est, di domande tempestive.

Se ne desume che la presenza di domande tempestive poi rinunciate non consente di chiudere il fallimento, ma non perché (come affermato dalla ripetuta Cass. n. 4021-17) tali domande - tempestive o tardive debbano poi essere valutate nel segno dell’eventuale loro utile collocazione, quanto piuttosto e semplicemente perché il testo della disposizione afferisce solo al caso della mancata presentazione di domande tempestive, che è motivo di chiusura nell’ottica acceleratoria sottesa alla norma.

E una tale ottica non rileva di per sé ove domande tempestive siano state presentate, a prescindere dall’eventuale loro successiva rinuncia, giacché la circostanza che ci siano state domande tempestive implica in ogni eventuale diverso creditore la possibilità di fare affidamento sull’utile prosecuzione della procedura ai fini dell’insinuazione anche tardiva.

VI. - La ricostruzione del sistema va peraltro completata secondo la coordinazione delle cause di chiusura del fallimento di cui alla L. Fall., art. 118, nn. 1 e 2.

Il fallimento si chiude (naturalmente nei limiti di quanto interessa): "1) se nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al passivo" e "2) quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione".

Anche ai sensi dell’art. 118, n. 2, la procedura non ha ragione di proseguire, solo che qui la causa è proprio costituita dal fatto che non ci sono (più) creditori da soddisfare.

Essendo al centro della norma il caso dell’accertata inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare, è naturale inferire che non rileva in sé la circostanza della modalità estintiva del debito già ammesso al passivo, sebbene la circostanza (oggettiva) che i debiti - ammessi al passivo o solo postulati mediante la domanda di insinuazione - siano risultati estinti. Il che collima con le conclusioni alle quali era a suo tempo giunta la dottrina classica, la quale in relazione al testo originario dell’art. 118 aveva giustappunto osservato come la modalità con la quale il debito fosse venuto meno neppure doveva interessare ai fini indicati, ben potendo essa conseguire anche al ritiro della domanda da parte del creditore o alla rinuncia all’ammissione del credito.

I precitati elementi che concorrono all’esegesi inducono ad affermare il principio per cui l’art. 118, n. 1, L. Fall. prevede come motivo di chiusura del fallimento il solo caso della mancata presentazione di domande nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa, e non è consentita di tale norma un’interpretazione diversa da quella letterale che finisca per precludere, anche in caso di rinuncia alla domanda tempestiva, il diritto all’insinuazione tardiva assicurato dall’art. 101; viceversa l’eventualità del ritiro della domanda tempestivamente presentata, ovvero l’eventualità della sua rinuncia prima dell’adunanza di verifica dei crediti, può rilevare nel distinto contesto di un’interpretazione estensiva della L. Fall., art. 118, n. 2, nell’ampia categoria dell’accertamento in ordine all’inesistenza di debiti a carico del patrimonio fallimentare.

È dunque corretta la decisione della corte d’appello di Roma che, come del resto il tribunale, ha negato la chiusura essendo stata nella specie fissata un’apposita adunanza per la verifica dell’effettività delle desistenze a fronte delle domande presentate, tempestive e tardive.

Il ricorso è rigettato.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.