Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21780 - pubb. 11/01/2019

Associazione temporanea d'imprese fallimento dell'impresa mandataria capogruppo

Cassazione civile, sez. I, 15 Gennaio 2000, n. 421. Est. Celentano.


Associazione temporanea di due imprese - Stipulazione di appalto di opera pubblica - Impresa capogruppo costituita "ex lege" come mandataria - Fallimento della stessa - Estinzione del mandato - Sussistenza - Fondamento - Conseguenze - Legittimazione alla riscossione del corrispettivo - Da parte dell'impresa mandante - Per la parte proporzionale ai lavori eseguiti - In forza dell'accordo di associazione - Sussistenza - Legittimazione della curatela fallimentare - Esclusione - Ricezione di detta parte di corrispettivo da parte della curatela - Azione della mandante contro la curatela per ottenerne la corresponsione - Proponibilità avanti al giudice ordinario - Sussistenza - Proponibilità in sede concorsuale - Esclusione



In tema di appalto di opere pubbliche stipulato da due imprese riunite in associazione temporanea, qualora intervenga il fallimento della società capogruppo, costituita "ex lege" come mandataria dell'altra, ai sensi dell'art. 23, comma ottavo, del D.Lgs. 19 dicembre 1991 n. 406, il mandato deve reputarsi risolto a norma dell'art. 78 della legge fallimentare, che non trova deroga nella disciplina di detto D.Lgs., e, conseguentemente, l'impresa mandante (essendo l'accettazione dell'opera avvenuta anteriormente alla dichiarazione di fallimento) deve reputarsi direttamente legittimata a riscuotere dall'amministrazione appaltatrice il corrispettivo per l'esecuzione dell'appalto per la quota corrispondente a quella parte dei lavori appaltati, la cui esecuzione, in base all'accordo di associazione temporanea, era di sua spettanza. Correlativamente, detta amministrazione non può eseguire il pagamento di detto corrispettivo alla curatela fallimentare dell'impresa capogruppo, che, per effetto della cessazione del mandato, non è più legittimata ad effettuare incassi in nome e per conto dell'altra associata, dovendosi, inoltre, ritenere che, qualora la curatela riceva detto pagamento, il credito dell'impresa già mandante, che agisca per ottenere dalla curatela la somma pagata dall'amministrazione appaltatrice, non debba essere fatto valere in sede concorsuale, avanti al tribunale fallimentare, ma possa esserlo avanti al giudice ordinario (nella specie l'impresa mandante aveva agito contro la curatela per ottenere l'accertamento della propria legittimazione alla riscossione del suddetto corrispettivo, nel giudizio era intervenuta l'amministrazione appaltante che aveva messo a disposizione la somma ed il giudice di merito, dopo che quello di primo grado aveva reputato improponibile l'azione, in quanto di competenza del tribunale fallimentare, ed aveva dichiarato la debenza di essa alla curatela dell'impresa mandataria, attribuendogliela, il giudice d'appello aveva, invece, in applicazione dei principi affermati dalla Suprema Corte, condannato la curatela a corrisponderla all'impresa già mandante). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo CARBONE - Presidente -
Dott. Vincenzo PROTO - Consigliere -
Dott. Mario ADAMO - Consigliere -
Dott. Walter CELENTANO - rel. Consigliere -
Dott. Giuseppe Maria BERRUTI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO Z. SpA, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA VESCOVIO 21, presso l'avvocato T. M., che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

POSTUMIA STRADE SpA;

- intimata -

e sul 2^ ricorso n. 14793/97 proposto da:

POSTUMIA STRADE SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ANAPO 29, presso l'avvocato D. D., che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato G. M., giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

FALLIMENTO Z. SpA;

- intimato -

avverso la sentenza n. 684/97 della Corte d'Appello di VENEZIA, depositata il 21/05/97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/99 dal Consigliere Dott. Walter CELENTANO;
udito per il ricorrente, l'Avvocato M., che ha chiesto l'accoglimento del proprio ricorso;
udito per il resistente e ricorrente incidentale, l'Avvocato D., che ha chiesto il rigetto del ricorso principale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Domenico NARDI che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione del primo motivo del ricorso principale con l'assorbimento del resto e l'assorbimento del ricorso incidentale.


Svolgimento del processo

La società p.a. Postumia, citando in giudizio, con atto notificato in data 11.04.1995, la curatela del fallimento della s.p.a. Z., dedusse:
a) che entrambe, riunite in associazione temporanea d'imprese con capogruppo e mandataria la seconda, si erano rese aggiudicatarie, dal Comune di Castelfranco Veneto, dei lavori di costruzione di un tronco di collegamento dalla SS n.53. Esse avevano concordato una suddivisione dei lavori nella misura del 40% a carico della Soc. Postumia e del 60% a carico della Soc. Z. e, con contestuale scrittura privata del 27.05.1992, quest'ultima aveva ceduto ad essa Soc. Postumia la sua quota di lavori contro un corrispettivo pari al 10% del compenso che le sarebbe stato dovuto per la quota di lavori ad essa attribuita.
b) che la Soc. Z. aveva trattenuto immediatamente, sui pagamenti ricevuto quale capogruppo una somma superiore a quella che complessivamente le sarebbe spettata;
c) che, intervenuto, con sentenza del 19.09.1994, il fallimento della suddetta capogruppo, sia essa Soc. Postumia che il curatore avevano entrambi richiesto al Comune di Castelfranco, il pagamento del residuo pari a lire 381.635.925.
Su tali premesse, l'attrice richiese che fosse dichiarata la propria legittimazione ad ottenere dall'appaltante il residuo corrispettivo ovvero, in via subordinata, che fosse pronunciata condanna del fallimento alla corresponsione di quanto percepito dal Comune.
In contraddittorio della curatela e del Comune di Castelfranco che intervenuto volontariamente nel giudizio, aveva effettuato il deposito delle somme dovute, nell'importo suindicato, il Tribunale di Treviso, con sentenza in data 16.10.1995, rigettò le domande della società attrice e dispose l'assegnazione al fallimento delle somme depositate avendo ritenuto che il credito per lavori eseguiti in epoca anteriore ai fallimento faceva capo alla società che all'epoca dell'insorgere del credito risultava costituita capogruppo, salvi gli obblighi di ritrasferimento alla Soc. Postumia in forza dell'accordo di suddivisione dei lavori, obbligo che in quanto sorto in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, non poteva gravare sulla massa, dovendo invece essere accertato e soddisfatto nella ripartizione concorsuale.
Appellante la Soc. Postumia, la Corte di Venezia, con sentenza emessa il 21.05.1997, dopo aver puntualizzato che la controversia riguardava le somme già maturate a debito del Comune appaltante per lavori eseguiti (pacificamente dalla sola Soc. Postumia) alla data della dichiarazione del fallimento della soc. Z. per la parte che alla data suddetta risultava non ancora pagata ha riformato la sentenza del tribunale e, accogliendo le domande dell'attrice, ha condannato la curatela (perché in forza della sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva, la stessa aveva intanto fatto proprie le somme depositate) a corrispondere alla società attrice le somme stesse.
La Corte ha distinto tra i crediti della soc. Postumia nascenti direttamente dal contratto, ossia quelli costituenti il corrispettivo del 40% delle opere di sua spettanza, da quegli altri corrispondenti alla quota lavori (il 60%) originariamente attribuita alla soc. Z. e da questa ceduti alla prima in forza della suindicata convenzione inter partes successiva all'aggiudicazione. E mentre per i primi ha ritenuto che il Comune dovesse pagarti direttamente alla soc. Postumia in conseguenza della cessazione del mandato conferito alla soc. Z. per effetto del sopravvenuto fallimento di questa; per i secondi, sul presupposto che l'obbligo di quest'ultima società a ritrasferire alla soc. Postumia le somme incassate trovasse si la sua fonte nella convezione privata ma divenisse attuale soltanto dopo l'esecuzione dei lavori e l'incasso delle somme ad essi relative, ha ritenuto che in quanto dette somme erano state incassate dalla Z. dopo la dichiarazione di fallimento in tal momento divenendo attuale l'obbligo di ritrasferirli, il credito della soc. Postumia non risultava qualificabile come concorsuale. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la curatela del Fallimento.
Resiste l'intimata, costituitasi con controricorso e a sua volta propone un ricorso incidentale condizionato ed un ricorso incidentale autonomo.

Motivi della decisione

Va disposta, preliminarmente, la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Il ricorso principale della curatela è articolato in tre motivi, rubricati e svolti come segue.
1^ Il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt.52 e 93 della legge fallimentare nonché l'omessa motivazione su punto decisivo della controversia.
È svolta la tesi che le due domande proposte dalla soc. Postumia intimamente connesse tra di loro, fossero entrambe "inammissibili ed improcedibili" vigendo il principio dell'esclusività dell'accertamento del passivo nelle forme procedimentali previste dalla legge fallimentare, principio che appunto si poneva ad ostacolo alla proponibilità nella sede ordinaria sia delle azioni dirette ad ottenere una pronuncia strumentale all'esercizio di una pretesa creditoria deducibile nella sede concorsuale, sia, ed a maggior ragione delle azioni di condanna Tali enunciazioni sorreggono, nel motivo, la richiesta di cassazione senza rinvio della sentenza impugnata in quanto contenente, appunto in violazione delle norme degli artt.52 e 93 della l.f., una pronuncia di accertamento e di condanna nei confronti della curatela "senza, peraltro, motivazione alcuna".
Il motivo è contrastato (oltre che nel merito, con l'argomento che nel momento in cui essa aveva introdotto il giudizio il Comune di Castelfranco non aveva ancora provveduto ad alcun pagamento sicché non v'era alcun credito da far valere nei confronti del fallimento della soc. Z. - ciò che rendeva nemmeno configurabiie un obbligo di essa soc. Postumia di svolgere la relativa domanda nella sede endofallimentare) per inammissibilità "in quanto costituente questione nuova sollevata per la prima volta in sede di legittimità".
Il 2^ motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art.22 della legge 8.8.1977 n. 584 e dell'art.78 della l.f., per la ritenuta estinzione dello specifico mandato irrevocabile "in rem propriam" previsto dalla suddetta legge.
Il 3^ motivo denuncia la violazione degli artt. 52, 93 e 111 della l.f. e dei principi generali per l'identificazione dei crediti concorsuali e dei crediti di massa in relazione al credito della soc. Postumia riveniente dalla convenzione privata, stipulata inter partes il 27.05.1992.
Tutti i motivi sono connessi tra di loro, per l'evidente intrecciarsi delle questioni, sicché debbono essere disaminati congiuntamente.
Va detto preliminarmente dell'infondatezza dell'eccezione d'inammissibilità della censura di cui al primo motivo - inammissibilità dedotta dalla resistente sotto il profilo della novità della questione e della sua proposizione per la prima volta in questa sede di legittimità: l'infondatezza discende dalla rilevabilità d'ufficio dell'improponibilità ex art.51 e 52 l.f. delle azioni di accertamento e di condanna.
La disamina del primo motivo di ricorso appare richiedere che in via preliminare sia verificata la correttezza della soluzione giuridica che, sulla base dell'accertamento di fatto esplicitato nella sentenza circa l'indiscussa anteriorità al fallimento della esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto, la Corte di merito ha dato, nel senso della estinzione ex art.78 l.f., alla questione della sorte del mandato a suo tempo conferito alla soc. Z. ai sensi dell'art. 22 del D.Lgs. n. 406 del 1991, in conseguenza del sopravvenuto fallimento della stessa. La soluzione della suddetta questione è stata, infatti, correttamente ritenuta tale da influire sulla individuazione della controparte della società ora ricorrente rispetto alla pretesa di questa di porsi nei confronti del Comune di Castelfranco (non soltanto come titolare del credito da corrispettivo ma altresì) quale legittimata diretta alla riscossione dei corrispettivi per quella parte (il 40%) dei lavori ad essa direttamente attribuiti. Estinto per ipotesi il suddetto mandato al momento del sopravvenuto fallimento della mandataria soc. Z., come la Corte di merito ha ritenuto, ne risulterebbe evidente l'infondatezza del motivo in esame relativamente alla pretesa concernente il suddetto corrispettivo, non essendovi credito derivante dall'esecuzione del mandato che la soc. Postumia sarebbe stata obbligata a far valere nella sede concorsuale a causa del perdurare della legittimazione a riscuoterlo in capo alla mandataria. Deve, conseguentemente essere disaminato il secondo motivo di ricorso.
Le censure proposte si compendiano nell'addebito alla Corte di merito di non essersi fatta carico della specificità - "in rem propriam" - del mandato di che trattasi, e nella riproposizione della tesi della ultrattività del mandato stesso, pur dopo il fallimento dell'impresa mandataria tesi che in verità è svolta, nel motivo, attraverso una inversione logica volendo la ricorrente curatela far discendere la sopravvivenza del mandato al fallimento dal permanere della sua legittimazione all'incasso dei crediti quale "interlocutore unico della P.A. in tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall'appalto" - ciò che evidentemente può essere soltanto la conseguenza del non estinguersi del mandato. Si tratta, com'è noto, di un mandato collettivo, gratuito ed irrevocabile per espresso disposto dell'art.23 comma 8^ del D.Lgs. n.406 del 1991, del quale è previsto il conferimento (art. 22)
all'impresa capogruppo nell'interesse preminente, quando non esclusivo della pubblica amministrazione appaltante. Il contratto esprime il mezzo tecnico-giuridico attraverso il quale le imprese risultano collegate tra di loro ed è poi il conferimento all'impresa capogruppo dei poteri rappresentativi (art. 1704 c.c. anche processuali, che opera a sua volta come strumento di collegamento con l'amministrazione appaltante, ai fini del concreto svolgimento del rapporto negoziale con quest'ultima (dalla presentazione dell'offerta, all'aggiudicazione, alla stipulazione del contratto, a "tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall'appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino alla estinzione di ogni rapporto", secondo il testo del comma 9 dell'art. 23). La Corte di merito ha fatto discendere l'estinzione del mandato dalla norma dell'art.78 della l.f., che in tal senso in effetti espressamente dispone. E la decisione deve ritenersi sostanzialmente corretta anche alla luce di ulteriori argomentazioni desumibili dalle norme del richiamato D.Lgs. n.406/1991, oltre che da precedenti giurisprudenziali di questa Corte, se pur non specifici (è stato ritenuto, infatti, con la pronuncia n. 3578 del 1992 che il fallimento dell'imprenditore, mandatario ex lege della Cassa per integrazione guadagni, estingua il mandato ex art.78 cit. per l'impossibilità del curatore di sostituirsi al fallito nell'esecuzione del mandato).
Può sostenersi, invero, che nella previsione dell'art. 25 del D.Lgs. cit. (fallimento dell'impresa mandataria) la prosecuzione del rapporto di appalto con altra impresa che, in virtù di un nuovo mandato, sia costituita mandataria nei confronti dell'amministrazione appaltante (prevista in alternativa al recesso dell'amministrazione aggiudicatrice) sia il più sicuro indice oltre che dello scioglimento del rapporto di appalto anche dell'estinzione dell'originario mandato con rappresentanza conferito all'impresa fallita. E ancora che, in ciò (nella previsione della possibilità di tale prosecuzione in alternativa al recesso esaurendosi la previsione della legge speciale per l'ipotesi di fallimento dell'impresa capogruppo mandataria, nessuna norma sia dato rinvenire, nella stessa legge n.406, che costituisca deroga alla norma dell'art.78 l.f., ed altresì che in nessun modo appare conciliabile la sopravvivenza del mandato da un lato con la specificità dell'appalto di che trattasi, caratterizzato in funzione dell'interesse generale da un elemento fiduciario quale a sua volta desumibile dai requisiti richiesti all'impresa (v. gli artt. 18-21 del D.Lgs.), dall'altro con le ragioni del fallimento, prima fra tutte quelle connesse alla conservazione del patrimonio acquisito all'attivo.
Può inoltre osservarsi come la norma dell'art. 25 cit., attraverso la implicita ma indubitabile previsione di scioglimento del rapporto di appalto con l'impresa che sia stata costituita mandataria e sia stata dichiarata fallita, sia da ricollegare alla riserva sono salve posta dall'ult. comma dell'art.81 della l.f. in favore delle norme relative al contratto di appalto di opere pubbliche così da superare quest'ultima disposizione, nel senso che ne resti per conseguenza esclusa la possibilità, in essa pure contemplata che il curatore subentri nel rapporto stesso e lo prosegua.
Del resto, e il rilievo appare quanto mai concludente se il fallimento dell'impresa mandataria determina - in forza dell'art.25 del D.Lgs. cit., come si è visto - lo scioglimento del rapporto di appalto che con essa sia venuto a stabilirsi dopo l'aggiudicazione, non appaiono sussistere ragioni - stante l'evidente collegamento funzionale tra i due contratti, per di più caratterizzato da quel profilo di rilevanza esterna del mandato che è costituito dalla rappresentanza delle imprese associate - sulle quali fondare la sopravvivenza di quel mandato che in funzione dell'assunzione dell'appalto e nell'interesse precipuo dell'amministrazione appaltante fu alla stessa conferito dalle altre imprese riunite, secondo l'esplicita previsione della legge (art. 22). Può dirsi che lo stesso interesse dell'amministrazione sia posto alla base prima del conferimento, poi dell'estinzione sia dell'appalto che del mandato.
Il secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente curatela ha inteso fondare la sopravvivenza del mandato al fallimento della mandataria sul rilievo della specificità (in rem propriam) del mandato stesso si rivela dunque privo di fondamento e ne consegue l'infondatezza anche del primo e del terzo in relazione alle domande giudiziali della soc. Postumia per quella parte che riguardava la pretesa di attribuzione diretta, dal Comune di Castelfranco, dei corrispettivi per la quota dei lavori ad essa attribuiti. Resta dunque che correttamente la Corte di merito ha statuito nel senso che "a seguito del fallimento della capogruppo venuta meno la sua veste di mandataria, il debito dell'appaltante per quella parte di corrispettivo che riguardava la quota di lavori originariamente di spettanza della soc. Postumia, non poteva più essere assolto con pagamento alla fallita, non più legittimata ad effettuare incassi in nome e per conto dell'altra associata per effetto, appunto, della estinzione del mandato a ed altresì, può aggiungersi, per effetto della cessazione della rappresentanza che al mandato era connessa. Gli stessi primo e terzo motivo del ricorso segnatamente quest'ultimo, appaiono invece fondati nella denuncia di violazione dell'art.52 della l.f. (esclusività della procedura endofallimentare per l'accertamento dei crediti verso il fallito - inammissibilità nella sede ordinaria delle azioni di condanna o anche di accertamento che tendano all'esercizio di una pretesa creditoria deducibile in sede fallimentare: v., ex multis, la sentenza n. 532 del 1996 di questa Corte per ciò che attiene al credito della soc. Postumia nei confronti della soc. Z. derivante dalla convenzione inter partes del 27.5.1992.
Correttamente il motivo introduce, in premessa, la questione relativa alla qualificazione - se o non concorsuale del credito che alla soc. Postumia derivava dalla suddetta convenzione (interna e sottostante al rapporto di appalto), costituente la fonte negoziale dell'obbligazione assunta nei suoi confronti dalla soc. Z. (di trasferirle i corrispettivi che le sarebbero spettati per la quota dei lavori ad essa attribuiti e che proprio in forza della convenzione la soc. Postumia aveva assunto su di sè). La censura proposta sul punto è fondata.
L'errore dei giudici dell'appello è nell'aver collocato l'insorgere di tale obbligazione della soc. Z., e del corrispondente credito della soc. Postumia, nel momento dell'incasso dei corrispettivi dell'appalto, piuttosto che in quello della compiuta esecuzione dei lavori e dell'accettazione degli stessi da parte del Comune - fatti pacificamente avvenuti prima del fallimento, come la stessa sentenza espone: (pag. 11) - momento, quest'ultimo, che costituiva anche quello in cui la cessione dei suoi crediti verso il Comune stesso, da parte della soc. Z. produceva i suoi effetti traslativi, secondo l'operare tipico dei negozi aventi ad oggetto il trasferimento di cosa futura (art. 1472 cc.; per la cessione dei crediti futuri v. Cass. 1995 n. 3099; 1978 n. 2798; 1977 n. 3421). E dunque, se il credito della soc. Postumia era venuto in esistenza prima del fallimento della sua debitrice ex contractu, al credito stesso non avrebbe potuto non riconoscersi natura concorsuale; e tale natura ne determinava inevitabilmente l'assoggettamento alla procedura di verifica endofallimentare, secondo la regola dell'art.52 l.f.
Di qui l'inammissibiiità dell'azione proposta dinanzi al tribunale ordinario.
La motivazione della sentenza è corretta nel rilievo che non l'esclusa ultrattività del mandato determinava la natura concorsuale del credito in questione, bensì la diversa fonte (la convenzione inter partes, intervenuta prima del fallimento) dalla quale esso derivava; è invece erronea, come si è detto, nella individuazione del momento in cui il credito della soc. Postumia veniva in esistenza sulla base sempre della suddetta convenzione - errore che ha determinato l'altro di negare la natura concorsuale di tale credito per il solo fatto che la soc. Z. non aveva ancora incassato, al momento della dichiarazione del suo fallimento, i corrispettivi per quella parte delle opere che ad essa erano rimaste aggiudicate (il 60%) e che erano state tutte eseguite prima del fallimento ed anche in tale epoca accettate dal Comune.
In parte qua, secondo le precisazioni del dispositivo, la sentenza va dunque cassata senza rinvio ai sensi dell'art.382 c.p.c. perché l'azione, in relazione a tale credito, non avrebbe potuto essere proposta nella sede ordinaria, stante l'esclusività della sede concorsuale di accertamento del credito stesso (art.52 l.fall.). Resta da ciò assorbito il ricorso incidentale condizionato a mezzo del quale è riproposta la questione dell'estinzione del mandato e che ha inammissibilmente introdotto una questione nuova, basata su un elemento di fattò che non risulta dedotto nel giudizio di gravame, allorché a sostegno della pretesa sua esclusiva legittimazione a riscuotere l'intero corrispettivo la società Postumia ha argomentato nel senso dell'avvenuta prosecuzione dell'appalto con essa sola secondo la deliberazione che in tal senso il Comune avrebbe assunto.
La natura delle questioni oggetto del ricorso consiglia la compensazione delle spese dell'intero giudizio, e da ciò resta assorbito il ricorso incidentale autonomo che appunto investe il capo della sentenza relativo al regolamento delle spese.

P.Q.M.

la Corte, riunisce i ricorsi; accoglie per quanto di ragione il primo ed il terzo motivo del ricorso principale e rigetta il secondo;
cassa senza rinvio l'impugnata sentenza limitatamente alla condanna del Fallimento Z. a pagare alla soc. Postumia il 60% della somma di lire 415.938.158 con i relativi interessi. Dichiara assorbiti i ricorsi incidentali. Compensa le spese dell'intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, il 19 maggio 1999. Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2000