Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21620 - pubb. 11/05/2019

Il dies a quo della prescrizione del diritto all’indennizzo

Cassazione civile, sez. II, 31 Gennaio 2019, n. 2971. Est. Oliva.


Diritto all’indennizzo - Prescrizione - Dies a quo



L’art. 2952, terzo comma, c.c. va interpretato restrittivamente: la prescrizione del diritto all’indennizzo decorre dal giorno in cui l’assicurato riceve una richiesta risarcitoria dal significato univoco ed idonea a prospettare una concreta iniziativa del danneggiato, di modo che l’assicurato avverta l’urgenza di darne comunicazione all’assicuratore.

Tale non è il ricorso ex art. 696 e art. 696 bis c.p.c., il quale non introduce alcuna domanda risarcitoria, risolvendosi in una mera richiesta di anticipazione dell’attività istruttoria. (Paola Merli) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio - Presidente -

Dott. BELLINI Ubaldo - Consigliere -

Dott. FALASCHI Milena - Consigliere -

Dott. SABATO Raffaele - Consigliere -

Dott. OLIVA Stefano - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

Con ricorso ex art. 702 c.p.c., gli odierni controricorrenti evocavano in giudizio la Gruppo Immobiliare Srl, esponendo di aver acquistato da tale società tra febbraio 2006 e settembre 2008 alcuni immobili siti in (*), che erano stati realizzati dalla convenuta; di aver subito danni da infiltrazioni causati da gravi difetti nell'edificazione; di aver inutilmente invitato la società a provvedere al ripristino; di aver promosso - prima di intraprendere il giudizio - procedimento ex art. 696 bis c.p.c., all'esito del quale il danno era stato quantificato in complessivi Euro 616.326,58 (importo derivante dalla sommatoria dei singoli danni individuali degli istanti).

Si costituiva la Gruppo Immobiliare Srl contestando la domanda e chiamando in garanzia la compagnia Generali Assicurazioni Spa. Quest'ultima a sua volta si costituiva eccependo la prescrizione del diritto all'indennizzo ex art. 2952 c.c. e invocando comunque il rigetto della domanda principale. Il Tribunale di Taranto acquisiva il fascicolo della consulenza preventiva, disponeva un'ulteriore C.T.U., della quale ordinava poi la rinnovazione a seguito delle eccezioni della società convenuta ed infine accoglieva la domanda, condannando Gruppo Immobiliare Srl al risarcimento del danno, rideterminato in complessivi Euro 342.302,00 (anche in questo caso, l'importo derivava dalla sommatoria dei singoli danni individuali).

Interponeva appello avverso detta decisione la Gruppo Immobiliare Srl; si costituiva Generali Assicurazioni Spa svolgendo appello incidentale; si costituivano infine gli odierni controricorrenti, resistendo al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata n. 41/2017 la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, accoglieva in parte l'appello principale rideterminando le somme dovute agli appellati a titolo di risarcimento del danno e condannava la società appellante principale alla refusione dei 2/3 delle spese di ambo i gradi di giudizio.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza la Gruppo Immobiliare Srl affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso la Generali Assicurazioni Spa, spiegando ricorso incidentale articolato a sua volta in quattro motivi. Resistono con controricorso i proprietari degli immobili, parti istanti in prime cure.

La ricorrente principale e quella incidentale hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente principale lamenta la violazione delle norme in materia di I.V.A. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe liquidato il danno scegliendo, tra i due calcoli proposti dall'ultimo dei diversi C.T.U. incaricati dal primo giudice (l'uno dei quali eseguito con aliquota I.V.A. al 10% e l'altro invece con aliquota I.V.A. al 22%) il secondo. La Corte di Appello, in parziale accoglimento della censura proposta dalla ricorrente principale sul punto, avrebbe correttamente rilevato che il C.T.U. non aveva distinto le opere di recupero edilizio, per le quali l'aliquota I.V.A. è del 10%, dalle forniture di materie prime e semilavorati, per le quali invece l'aliquota I.V.A. è del 22%; ma avrebbe erroneamente fatto riferimento alla quantificazione operata dal C.T.U. con il calcolo eseguito con I.V.A. al 10%, applicando al risultato finale una maggiorazione dell'8% sul presupposto che la gran parte del costo fosse costituito da fornitura di materie prime e semilavorati (sui quali l'aliquota I.V.A. è pari, come detto, al 22%). Secondo la società ricorrente principale, l'operazione svolta dalla Corte di Appello sarebbe scorretta perchè la maggiorazione sarebbe stata applicata sull'intero importo del danno liquidato in favore di ciascun soggetto danneggiato, e non invece soltanto sulla parte di detto danno costituita dalle opere di recupero edilizio. In tal modo, la Corte tarantina avrebbe - ad avviso della società ricorrente - di fatto applicato a tutte le lavorazioni, indistintamente, uno scaglione I.V.A. al 18% non previsto da alcuna norma fiscale.

La doglianza va rigettata. E' infatti chiaro, dalla lettura della sentenza impugnata, che la Corte territoriale ha liquidato in danno in modo equitativo, determinando l'importo delle somme dovute a titolo di risarcimento a partire dalle proposte del C.T.U. Ing. B., ritenute "le più idonee ad eliminare i danni con esborsi ragionevoli" (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). Tra i due calcoli proposti dal predetto C.T.U., rispettivamente con applicazione dell'aliquota I.V.A. al 10% e al 22%, la Corte pugliese ha optato per il primo, operando tuttavia una correzione in aumento delle somme determinate dall'ausiliario, nella misura dell'8% del totale indicato per ciascun soggetto danneggiato, sul duplice presupposto che nel calcolo non si potessero distinguere le singole lavorazioni soggette ad I.V.A. al 10% o al 22% e che "la maggior parte dei lavori individuati prevede l'acquisto di materie prime e semilavorati, cui va applicata l'I.V.A. al 22%" (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Trattasi evidentemente di liquidazione equitativa del danno, peraltro determinato dalla Corte di Appello in termini assoluti per ciascun soggetto danneggiato (cfr. sempre pag.9, a seguire) che si sottrae al sindacato di questa Corte e che non configura alcuna erronea interpretazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto, dovendosi ritenere che la maggiorazione applicata dal giudice di merito sia diretta non già - come ritiene la ricorrente - ad introdurre un'aliquota I.V.A. intermedia tra quelle al 10% e al 22% previste dalla legge, ma piuttosto ad adeguare il calcolo dell'ausiliario al danno in concreto subito dai controricorrenti.

Va anche evidenziato, sul punto, che la decisione del giudice di seconda istanza è sostanzialmente favorevole alla ricorrente principale, posto che - a fronte della rilevata circostanza che la maggior parte delle opere individuate dall'ausiliario era soggetta all'aliquota maggiore - la Corte territoriale ha comunque ritenuto di correggere in diminuzione la statuizione del Tribunale, che aveva invece applicato il calcolo proposto dall'ausiliario con aliquota al 22%.

Con il secondo motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1669 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto non sussisterebbe, alla luce delle risultanze della C.T.U., un'apprezzabile limitazione della funzionalità dell'immobile oggetto di causa.

Con il terzo motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1667, 1669, 2934 e 2935 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe dovuto applicare nel caso di specie, alternativamente, l'art. 1667 c.c., ove si fosse privilegiato l'aspetto del facere, o l'art. 1490 c.c., ove si fosse privilegiato invece il profilo del dare. Di conseguenza, l'azione avrebbe dovuto essere comunque ritenuta prescritta, posto che i danneggiati avrebbero avuto contezza del danno all'esito del deposito della relazione tecnica eseguita a seguito dell'A.T.P., avvenuto il 27.7.2009, ma avrebbero proposto la domanda soltanto il 22.11.2010 e quindi oltre un anno più tardi.

Le due censure, che per la loro intima connessione meritano un esame congiunto, vanno dichiarate inammissibili.

Con esse, infatti, la ricorrente principale invoca una rivalutazione della decisione di merito operata dalla Corte territoriale: in continuità con l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, il motivo di ricorso non può mai risolversi in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013 (Rv. 627790).

E' in particolare pacifico che "In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima - consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti - è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., mentre la seconda - concernente l'inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente - risolvendosi nell'applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo" (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 420 del 12/01/2006, Rv. 586972). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha condotto un apprezzamento di fatto circa la rilevanza dei vizi riscontrati sull'immobile di cui è causa ed ha ritenuto che, sulla base di tale valutazione, la fattispecie fosse inquadrabile nell'ambito dell'art. 1669 c.c.. L'operazione logico-argomentativa del giudice di appello è corretta e condivisibile, posto che, in concreto, sono state riscontrate "ammaloramento ed umidità sulle murature (e sui lastrici solari n.d.a.) derivanti da alcuni differenti difetti costruttivi, oltre che dalla non perfetta e non specifica applicazione dei materiali (c.t.u. B. fl. 141), vizi tutti analiticamente individuati e descritti nelle corpose relazioni tecniche" (cfr. quanto riportato a pag. 4 della sentenza impugnata) Per costante giurisprudenza di questa Corte, "In tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 c.c., non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell'ipotesi di infiltrazioni d'acqua e umidità nelle murature" (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27315 del 17/11/2017, Rv. 646078; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 84 del 03/01/2013, Rv. 624395 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21351 del 04/11/2005, Rv. 584684). Dal che deriva che l'operazione ricostruttiva del fatto condotta dal giudice di merito è pienamente condivisibile.

Con il quarto motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto quantomeno compensare le spese di lite, posto che a seguito del parziale accoglimento del gravame la pretesa risarcitoria degli odierni controricorrenti era stata ridotta di circa la metà La doglianza va rigettata, posto che la sentenza non viola il divieto di accollo delle spese a carico della parte vittoriosa ma esegue, correttamente, una valutazione globale dell'esito del giudizio, tenendo conto della sostanziale soccombenza della società ricorrente rispetto alla domanda risarcitoria introdotta in prime cure dagli odierni controricorrenti.

Passando all'esame del ricorso incidentale proposto da Generali S.p.a., con il primo motivo si deduce l'omesso esame del contenuto degli atti di istruzione preventiva in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5. Ad avviso della ricorrente incidentale, la Corte di Appello non avrebbe considerato che i danneggiati non avevano proposto ricorso per A.T.P. ex art. 696 c.p.c., ma ricorso per consulenza tecnica preventiva ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c.. Di conseguenza, il termine di prescrizione della domanda di manleva spiegata da Gruppo Immobiliare S.r.l. nei riguardi di Generali S.p.a. avrebbe dovuto essere computato a decorrere dalla notifica del ricorso per l'istruzione preventiva e non invece dal successivo ricorso ex art. 702 bis c.p.c., con il quale i danneggiati, odierni controricorrenti, avevano poi introdotto il giudizio. La domanda avrebbe quindi dovuto essere ritenuta prescritta ai sensi di quanto previsto dall'art. 2952 c.c..

Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 696, 696-bis c.p.c. e art. 2952 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, proponendo, sotto il profilo della violazione di legge, la medesima doglianza di cui al primo motivo Le due censure, da trattare insieme per la loro intima connessione, sono da rigettare.

Con riferimento alla prima di esse, non sussiste alcun omesso esame, posto che la questione della prescrizione è stata diffusamente affrontata dalla Corte di Appello alle pagg. 9 e s. della sentenza impugnata. Il fatto che la Corte territoriale non abbia espressamente affrontato la questione della differente natura (ipotizzata dalla ricorrente incidentale) del ricorso ex art. 696-bis c.p.c., rispetto a quello ex art. 696 c.p.c., non comporta alcuna omissione, potendosi evidentemente configurare un rigetto implicito della relativa doglianza. Peraltro la censura appare anche inammissibile per carenza di specificità, posto che la ricorrente incidentale non indica neppure quali sarebbero gli atti della fase preliminare non esaminati dalla Corte di Appello.

Il secondo motivo è da rigettare a sua volta in quanto proprio il precedente indicato dalla ricorrente incidentale a pag. 13 del controricorso (Cass. sez. 3, Sentenza n. 289 del 13/01/2015, non massimata) afferma, in un passaggio della motivazione, che "Il testo dell'art. 2952 c.c., deve essere interpretato in termini rigorosi, anche in considerazione del fatto che il termine di prescrizione ivi previsto è straordinariamente breve... e che sono sconsigliabili interpretazioni della lettera della legge che, ancorando la decorrenza del termine a date e a comportamenti non identificabili in modo certo, possano pregiudicare ulteriormente la certezza dei rapporti e l'esercizio dei diritti spettanti all'assicurato. In questa linea si muove da tempo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. civ. 28 novembre 2007 n. 24733, che ha ritenuto irrilevante una lettera del danneggiato meramente allusiva alla possibilità di richiesta di un risarcimento; Cass. civ. Sez. 3, 19 novembre 2013 n. 25897 che - in un caso in cui la richiesta risarcitoria era effettivamente pervenuta all'assicurato, ma era stata inviata non dal diretto danneggiato, ma da altro soggetto, interessato a che il danneggiato venisse risarcito - ha ritenuto irrilevante la richiesta del terzo, ribadendo che l'art. 2952 c.c., va interpretato in termini rigorosi, cioè nel senso che il termine di prescrizione decorre dalla data in cui pervenga dal danneggiato una richiesta risarcitoria dal significato univoco, tale per cui l'assicurato veda minacciato il suo patrimonio da una concreta iniziativa del danneggiato, quindi percepisca l'urgenza di darne comunicazione all'assicuratore".

Del tutto correttamente, quindi, la Corte territoriale ha fatto riferimento per il computo dei termini di prescrizione, tanto dell'azione principale proposta dagli odierni controricorrenti nei confronti della Gruppo Immobiliare S.r.l., che di quella di manleva relativa ai rapporti interni tra assicurato e assicuratore, al momento in cui è stato introdotto il giudizio di merito ed articolata la pretesa risarcitoria. Gli atti anteriori, proprio in quanto finalizzati a conseguire un accertamento tecnico preventivo rispetto alla proposizione del vero e proprio giudizio, non contengono alcuna formulazione di una vera e propria richiesta di risarcimento. Sotto questo profilo, appare irrilevante la distinzione - proposta dalla ricorrente incidentale - tra il ricorso per accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c., che si sostanzierebbe in "una mera istanza di acquisizione a finalità conservative dello stato e della condizione degli immobili" e il ricorso per consulenza tecnica preventiva ex art. 696 c.p.c., che invece conterrebbe la denuncia dei "vizi e difetti costruttivi specifici, facendosene quantificazione, dei quali si chiedeva accertarsi le cause e quindi la responsabilità, conformemente alla natura e alla funzione del secondo istituto" (cfr. pagg. 10 e 11 del controricorso con ricorso incidentale). Al contrario, ambedue gli istituti si sostanziano nella richiesta di anticipare alcune attività istruttorie, come - nel caso di specie - la consulenza tecnica, rispetto all'introduzione del giudizio di merito, a fini evidentemente deflattivi del contenzioso e per promuovere la conciliazione della lite: ne discende che sia con il ricorso ex art. 696 c.p.c., che con quello ex art. 696-bis c.p.c., non si introduce una domanda giudiziale di merito, ma si invoca soltanto l'anticipazione di talune attività istruttorie; in ambedue i casi, quindi, non si configura alcuna domanda risarcitoria e non scatta, di conseguenza, il termine di prescrizione dell'azione di manleva nei confronti dell'assicuratore previsto dall'art. 2952 c.c..

Ulteriore conferma di quanto sopra si ritrae dal rilievo che l'art. 696-bis c.p.c., è titolato "Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite", il che rende evidente il fatto che non si tratta di un procedimento di natura contenziosa.

Va in definitiva ribadito il principio per cui, alla luce del criterio rigoroso imposto dalla sentenza di questa Corte n. 289/2015 poc'anzi richiamata, non può farsi decorrere dalla presentazione del ricorso ex art. 696 c.p.c. o ex art. 696-bis c.p.c., il termine di prescrizione dell'azione di manleva nei confronti dell'assicuratore di cui all'art. 2952 c.c..

Con il terzo motivo, la ricorrente incidentale lamenta l'omesso esame delle clausole contrattuali comportanti l'esclusione della garanzia per determinati eventi, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che la Corte di Appello avrebbe dovuto tener conto del fatto che il contratto di assicurazione escludeva la copertura per alcune categorie di vizi, nelle quali rientrerebbero quelli in concreto accertati dal C.T.U..

Con il quarto motivo, la ricorrente incidentale denuncia infine la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., artt. 1322, 1343, 1882 e 1917 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere nulla, per illiceità della causa, la clausola delle condizioni di contratto che prevede l'esclusione della garanzia per i fatti causati con dolo dal costruttore.

Le due doglianze, da trattare insieme in ragione della loro intima connessione, sono da respingere.

Con riferimento al terzo motivo, non si configura alcun omesso esame, posto che la Corte di Appello ha ritenuto nulla la clausola limitativa della responsabilità, affermando che "... è impossibile configurare un difetto di costruzione accidentale, giacchè ogni difetto di costruzione, per sua natura, presuppone una colpa. La clausola di polizza appare, pertanto, priva di causa intesa come funzione economico-sociale, con la precisazione che la semplice ed unilaterale attribuzione patrimoniale non può in alcun caso assurgere al ruolo di causa del negozio, perchè non consente di indentificarne lo scopo e di conseguenza la rilevanza socio-economica e la stessa liceità" (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).

Le clausole di polizza, ed in particolare quella limitativa della responsabilità, sono quindi state compiutamente esaminate dal giudice di appello.

Il quarto motivo è a sua volta da respingere perchè nasconde una richiesta di riesame della valutazione di merito operata dalla Corte territoriale. Valutazione che peraltro appare pienamente convincente, posto che la Corte di Appello ha correttamente applicato il criterio della causa in concreto, osservando (come appena visto) che il difetto di costruzione non è per definizione "accidentale" in quanto è sempre collegato ad una colpa (se non addirittura al dolo) del costruttore.

La soluzione adottata dalla Corte territoriale è conforme ai precedenti di questa Corte, la quale ha affermato che "L'assicurazione della responsabilità civile, mentre non può concernere fatti meramente accidentali, dovuti, cioè, a caso fortuito o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità, per la sua stessa natura importa necessariamente l'estensione ai fatti colposi, restando escluso, in mancanza di espresse clausole limitative del rischio, che la garanzia assicurativa non copra alcune forme di colpa. Pertanto la clausola della polizza stipulata da un condominio, la quale preveda la copertura dei danni "involontariamente cagionati a terzi in conseguenza di un fatto accidentale" senza contenere alcuna limitazione con riguardo a determinati gradi di colpa, fa ritenere operante la garanzia anche in ipotesi di comportamento gravemente colposo dell'assicurato, con la sola eccezione delle condotte dolose" (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 20070 del 11/08/2017, Rv. 645341 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4799 del 26/02/2013, Rv. 625316).

La clausola che limita la responsabilità ai soli difetti costruttivi "accidentali" è stata quindi correttamente ritenuta nulla dalla Corte pugliese perchè essa azzera il rischio per l'assicuratore. In definitiva, tanto il ricorso principale che quello incidentale vanno rigettati.

Le spese del presente giudizio vanno interamente compensate quanto al rapporto tra ricorrente principale e ricorrente incidentale, in ragione del rigetto di ambedue i ricorsi, mentre seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo relativamente alla posizione dei controricorrenti.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto dopo il 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater, dell'obbligo di versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

 

P.Q.M.

la Corte rigetta tanto il ricorso principale che quello incidentale. Compensa per intero le spese del presente giudizio tra ricorrente principale e ricorrente incidentale.

Condanna il ricorrente principale e quello incidentale, tra loro in solido, al pagamento in favore dei controricorrenti L.V., Ca.Lo., c.l., M.F., Mo.Lu., S.T., I.F., C.M., Ro.Fr., A.G., Ma.La. e R.E. delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento tanto da parte del ricorrente principale che di quello incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2019.