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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21612 - pubb. 10/05/2019.

Il riconoscimento di debito posto in essere dal fallito non esonera dalla prova il creditore


Cassazione civile, sez. I, 11 Aprile 2019, n. 10215. Est. Dolmetta.

Fallimento - Accertamento del passivo - Riconoscimento di debito posto in essere dall'imprenditore fallito - Libero apprezzamento del giudice - Confessione stragiudiziale

Fallimento - Accertamento del passivo - Riconoscimento di debito posto in essere dall'imprenditore fallito - Libero apprezzamento del giudice - Onere della prova in capo al creditore - Permanenza


Nell'ambito del procedimento di verifica del passivo fallimentare, il riconoscimento di debito, posto in essere dall'imprenditore poi fallito, è liberamente apprezzabile dal giudice, al pari di quanto accade per la confessione stragiudiziale. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Nel procedimento di verifica fallimentare, il creditore rimane comunque onerato di fornire la prova della propria pretesa, pur in presenza di un riconoscimento di debito emesso dall'imprenditore di poi fallito. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio - Presidente -

Dott. FEDERICO Guido - Consigliere -

Dott. VELLA Paola - Consigliere -

Dott. FIDANZIA Andrea - Consigliere -

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

1.- La s.p.a. Banca Nazionale del Lavoro ha presentato domanda di insinuazione al passivo fallimentare della s.r.l. (*), chiedendo, tra le altre cose, l'ammissione in via di privilegio ipotecario di un credito derivante da saldo di conto corrente, in forza di "atto unilaterale di costituzione di ipoteca volontaria" con autentica notarile del 22 dicembre 2011.

Il giudice delegato ha escluso la richiesta per tale credito dallo stato passivo, rilevando che "la documentazione inerente ai contratti è incompleta e priva di data certa anteriore al fallimento e a tal fine risulta insufficiente la certificazione di cui all'art. 50 TUB, valida solo per la fase monitoria. A tale mancanza non può sopperire il riconoscimento del debito di cui all'atto di concessione di ipoteca volontaria del 22.12.2011 poichè tale riconoscimento non è opponibile al fallimento".

2.- La Banca Nazionale del Lavoro ha proposto opposizione nei confronti di questa esclusione avanti al Tribunale di Fermo. Che, con decreto depositato il 3 maggio 2017, la ha accolta.

3.- Il Tribunale ha rilevato in proposito che il credito in discorso risultava provato - nonostante l'"intempestività della produzione degli estratti conto" - dall'atto di ricognizione contenuto nella scrittura privata autenticata confezionata nel dicembre 2011.

Richiamando la sentenza di questa Corte del 18 novembre 2008, n. 27406, il decreto ha osservato, in particolare, che la "ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo il più limitato effetto di sollevare il creditore dall'onere di provare il proprio diritto. Essa, tuttavia diviene inefficace, siccome priva di causa, ove il debitore (sul quale incombe la relativa prova) deduca e dimostri in giudizio la nullità o l'inesistenza del rapporto obbligatorio". Per altresì riscontrare, poi, che la "prova della inesistenza o nullità del rapporto obbligatorio, nel caso di specie, non è stata fornita dal fallimento".

Al riguardo, ancora ha aggiunto che "è appena il caso di evidenziare che l'autentica di firma, apposta sull'atto in questione, attesta non solo che il contenuto dell'atto di riconoscimento di debito è riconducibile a S.S. nella sua veste di legale rappresentante della società fallita, ma attribuisce anche al detto atto data certa".

4.- Con distinto e ulteriore ordine di rilievi, il decreto ha altresì preso in considerazione l'eccezione revocatoria formulata dal fallimento in relazione al negozio di ipoteca posto a garanzia del credito.

In merito, il Tribunale ha affermato di non potere vagliare "la sussistenza dei requisiti, pure prospettati dal fallimento, di cui all'art. 2901 c.c., rispetto ai quali è necessario, semmai, un accertamento nella opportuna sede di cognizione ordinaria (si rileva incidentalmente che il fallimento non ha allegato di avere esperito alcuna azione revocatoria volta alla declaratoria di inefficacia della costituzione dell'ipoteca in oggetto)".

5.- Avverso il provvedimento del Tribunale di Fermo ricorre il fallimento della s.r.l. (*), affidandosi a tre motivi di cassazione.

La Banca Nazionale del Lavoro non ha svolto difese nell'ambito del giudizio di legittimità 6.- La controversia è stata chiamata all'adunanza non partecipata tenuta dalla Sesta Sezione civile del 22 maggio 2018. In esito alla quale, il Collegio, con ordinanza interlocutoria pubblicata il 4 ottobre 2018, n. 24383, ha disposto la "rimessione del ricorso alla pubblica udienza della Sezione Prima".

 

Motivi della decisione

7.- I motivi di ricorso sono intestati nei termini che qui di seguito vengono riportati.

Il primo motivo assume "violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 1988 c.c., in relazione all'art. 2697 c.c. e alla L. Fall., art. 93, per avere il Tribunale di Fermo ritenuto efficace il contenuto dell'atto di ricognizione di debito (scrittura privata autenticata 22.11.2011) nei confronti del curatore fallimentare, in base all'art. 1988 c.c., anzichè applicare l'art. 2697 c.c. e la L. Fall., art. 93, dichiarando erroneamente che, in difetto di prova contraria, l'opponente ha provato il proprio credito mediante detta scrittura, con conseguente illegittima ammissione al passivo fallimentare" della Banca in via privilegiata.

Il secondo motivo assume, a sua volta, "violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 2697 c.c. e della L. Fall., artt. 93 e 99, anche in riferimento all'art. 1988 c.c., per avere il Tribunale di Fermo ritenuto provato il credito di Euro 501.868,51, in difetto di produzione degli estratti conto, sulla sola base della scrittura privata unilaterale autenticata del 22.11.2011 con conseguente illegittima ammissione al passivo fallimentare" della Banca in via privilegiata.

Il terzo motivo assume, poi, "violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, L. Fall., art. 95, per avere il Tribunale di Fermo, in riferimento all'eccezione di inefficacia dell'atto di concessione di ipoteca volontaria 22.11.2011 formulata dal Curatore, affermato l'impossibilità di vagliare in sede di giudizio di opposizione allo stato passivo la sussistenza dei requisiti dell'art. 2901 c.c., con conseguente esclusione della facoltà attribuita al curatore dalla L. Fall., art. 95, comma 1, di eccepire l'inefficacia del titolo su cui è fondato il credito e il diritto di prelazione, con conseguente illegittima ammissione in via privilegiata al passivo fallimentare della Banca".

8.- Il primo motivo di ricorso pone la questione del valore da assegnare al riconoscimento di debito, effettuato dall'imprenditore poi fallito, in relazione alla prova del credito da parte del beneficiario che faccia domanda di insinuazione nel passivo fallimentare di quegli. Se anche in quest'ambito - e quindi pure nei confronti del curatore fallimentare -, cioè, valga la regola dell'inversione dell'onere della prova stabilita dalla norma dell'art. 1988 c.c. o se, per contro, la peculiare posizione, che sia da riconoscere al curatore, comporti la non applicazione di questa norma.

A tale proposito il ricorrente segnala che l'efficacia della norma dell'art. 1988 c.c., "è circoscritta al rapporto tra l'autore del riconoscimento e il beneficiario e non si estende fintanto a coinvolgere" un soggetto estraneo alla scrittura di ricognizione. Tanto meno un'estensione potrebbe accadere nella "specifica sede dell'accertamento dello stato passivo", posto che il curatore, "rappresentando gli interessi dei creditori, svolge una funzione di gestione del patrimonio del fallito e non può che considerarsi soggetto terzo".

9.- Il decreto del Tribunale di Fermo poggia - in punto di rilievo probatorio della scrittura di riconoscimento di debito - la sua decisione su un precedente di questa Corte che, per la verità, risulta del tutto estraneo alle specifiche problematiche del diritto fallimentare: la sentenza di Cass. n. 27406/2008, che viene ivi richiamata, riguarda, infatti, una controversia relativa al compenso per prestazioni professionali inerenti a uno studio geomorfologico del territorio per incarico di un Comune.

E' dunque senz'altro opportuno rilevare che l'orientamento tradizionale, e attuale, della giurisprudenza di questa Corte ritiene che il curatore sia da considerare come "terzo" qualificato di fronte al tema della prova del credito in sede di accertamento del passivo (cfr., per tutte, Cass., 22 novembre 2007, n. 24320), avendo in tal modo superato un indirizzo assai risalente che tendeva a circoscrivere la posizione di terzietà del curatore a specifiche e sporadiche ipotesi (su quest'ultima linea v. Cass. 17 novembre 1976, n. 4272, incline ad ammettere l'opponibilità di un riconoscimento di debito privo di data certa).

Tra le più importanti espressioni del detto, attuale orientamento va annoverata, in particolare, la tesi - senz'altro consolidata - che ritiene il curatore soggetto terzo nei confronti della confessione stragiudiziale emessa dall'imprenditore in epoca precedente alla dichiarazione del suo fallimento. Si vedano in questa prospettiva, tra le altre pronunce, quelle di Cass., 19 ottobre 2017, n. 24690; Cass., 18 dicembre 2012, n. 23318; Cass., 1 marzo 2005, n. 4288; Cass., 2 aprile 1996, n. 3055; Cass., 10 marzo 1994, n. 2339; Cass., 10 dicembre 1992, n. 13095; Cass., 28 gennaio 1986, n. 544.

10.- Alla dichiarazione confessoria resa dall'imprenditore avanti al suo fallimento viene dunque negato - in ragione della presenza del curatore, soggetto considerato terzo - il valore di "piena prova", consegnatagli invece dall'art. 2730 c.c. e art. 2735 c.c., comma 1, primo periodo.

A ciò tuttavia non segue - nell'ambito dell'indirizzo sviluppato dalle pronunce appena sopra richiamate - la deprivazione di ogni utilizzabilità probatoria della dichiarazione dell'imprenditore nella sede del procedimento di accertamento del passivo fallimentare.

Sfruttando anche il disposto dell'art. 2735 c.c., comma 1, secondo periodo, il detto filone ritiene piuttosto che la dichiarazione dell'imprenditore, "priva degli effetti propri della confessione", rimanga, peraltro, liberamente "apprezzabile dal giudice al pari di ogni altra prova desumibile dal processo" (Cass., n. 24690/2017).

La considerazione del curatore terzo di fronte alla prova del credito sembra dunque portare - almeno in relazione alla confessione stragiudiziale - al rifiuto di soluzioni rigide e "totalizzanti", per volgersi invece verso soluzioni elastiche, sensibili alle specifiche particolarità dei contesti concretamente esaminati e alle peculiari connotazioni delle prove che siano state prodotte.

11.- All'interno delle linee guida appena richiamate può ancora essere ricondotta, a ben guardare, pure la recente pronuncia di Cass., 20 aprile 2018, n. 9929. Questa, in effetti, pur richiamandosi direttamente alla regola di diritto comune del riconoscimento di debito, è venuta altresì a valorizzare in modo particolare - per ritenere provato il credito vantato dal soggetto istante l'ammissione al passivo - sia il fatto che si trattava di riconoscimenti di debiti resi nel contesto di atti pubblici, sia pure il fatto che l'oggetto della prova risultava limitato al solo punto dell'"intervenuta erogazione dei mutui alla società poi fallita".

Non sembra per contro coordinabile con le linee proprie dell'orientamento tradizionale la pronuncia di Cass., 14 novembre 2017, n. 26924. Questa, infatti, si è limitata a constatare la mera sussistenza di un riconoscimento di debito (e del tipo c.d. puro, senza indicazione della causale del credito cioè), per applicare in modo meccanico la regola di diritto comune, di cui all'art. 1988 c.c. (a monte prescindendo, quindi, dalle specifiche caratteristiche proprie del diritto fallimentare).

12.- La soluzione adottata da quest'ultima pronuncia non risulta condivisibile.

La stessa si pone - lo si è appena constatato - in contrasto con il tradizionale orientamento della giurisprudenza di questa Corte, che assegna al curatore fallimentare la posizione di terzo nell'ambito del procedimento di verifica del passivo.

Soprattutto, essa trascura di prendere in considerazione il fatto che l'atto di ricognizione del debito configura (e non solo sotto il profilo effettuale) un negozio di inversione dell'onere della prova (in ragione dell'art. 1324 c.c., soggetto - è rilevante anche precisare - al limite posto dalla norma dell'art. 2698 c.c.). Come pure che tale inversione tendenzialmente opera, di per sè, solo nei confronti di colui nei cui confronti la dichiarazione è diretta - quale negozio a destinatario individuato -, non anche nei confronti dei terzi in genere che con la dichiarazione vengano in contatto (v. di recente, in materia, Cass., 20 dicembre 2016, n. 26334).

Oltretutto, una meccanicistica trasposizione in sede fallimentare dell'inversione dell'onere probatorio, per il diritto comune conseguente all'emissione di un riconoscimento di debito, verrebbe a produrre un inaccettabile effetto di dissonanza sotto il profilo sistematico.

In effetti, stante il richiamato orientamento in tema di confessione stragiudiziale (liberamente apprezzabile dal giudice: sopra, nn. 9 e 10), in una simile prospettiva si verrebbe ad assistere, nella sede del procedimento di verifica, a un paradossale capovolgimento di strutture e di funzioni: il riconoscimento di debito venendo ad assumere una forza probatoria addirittura maggiore di quella riconducile alla confessione.

L'insieme delle considerazioni sin qui svolte non può, allora, che condurre, in positivo, alla conclusione per cui, nell'ambito del procedimento di verifica del passivo fallimentare, il riconoscimento di debito, posto in essere dall'imprenditore poi fallito, è liberamente apprezzabile dal giudice, al pari di quanto accade per la confessione stragiudiziale.

13.- Venendo ora alla fattispecie concreta qui in giudizio, quale relativa a una richiesta di credito titolata nello svolgimento di un rapporto di conto corrente di corrispondenza, va rilevato che il Tribunale di Fermo - oltre a esprimere un'acritica applicazione della regola di diritto comune del riconoscimento, di inversione dell'onere della prova (sopra, n. 9, all'inizio) - su tale meccanismo di inversione ha propriamente fondato la sua decisione.

Così trascurando di considerare la posizione di terzo che il curatore viene ad assumere nell'ambito del procedimento di verifica dello stato passivo fallimentare; e così pure non facendo corretta applicazione della regola per cui, in tale contesto, il creditore rimane in ogni caso onerato di dare la prova del proprio diritto; in punto di quantum, non meno che in punto di an.

14.- In ragione delle considerazioni svolte, il primo motivo di ricorso deve ritenersi fondato.

Di conseguenza, il Tribunale di Fermo dovrà procedere alla valutazione della domanda di insinuazione formulata dalla Banca attenendosi al principio per cui, nel procedimento di verifica fallimentare, il creditore rimane comunque onerato di fornire la prova della propria pretesa, pur in presenza di un riconoscimento di debito emesso dall'imprenditore di poi fallito.

15.- Il secondo motivo di ricorso assume nella sostanza che, per essere ammessa al passivo fallimentare, la Banca avrebbe dovuto produrre "il contratto di apertura di credito di conto corrente con data certa e copia degli estratti conto con le annotazioni di tutte le movimentazioni del rapporto e dei relativi titoli".

L'avvenuto accoglimento del primo motivo comporta assorbimento di questo motivo.

16.- Il terzo motivo di ricorso rileva che il Tribunale ha errato nel respingere l'eccezione revocatoria formulata dal curatore in sede di giudizio di opposizione.

Tale statuizione viola - così si precisa - la prescrizione dellA L. Fall., art. 95, il comma 1 di tale disposizione stabilendo in modo espresso che il "curatore può eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonchè l'inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione".

17.- Il motivo merita di essere accolto.

Secondo l'orientamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, "nel giudizio di verifica dei crediti, il curatore, a norma della L. Fall., art. 95 comma 1, può eccepire l'inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione,... senza essere tenuto, per escludere il credito o la garanzia, a proporre l'azione revocatoria fallimentare, nè ad agire in via riconvenzionale nel giudizio di opposizione allo stato passivo promosso dal creditore ai sensi della L. Fall., art. 98" (Cass., 27 novembre 2013, n. 26504).

Non può revocarsi in dubbio, d'altra parte, che l'inefficacia, a cui fa riferimento la norma della L. Fall., art. 95, comma 1, ricomprenda anche l'ipotesi della revocatoria ordinaria, di cui alla norma dell'art. 2901 c.c..

18.- In conclusione, vanno accolti il primo motivo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Di conseguenza va cassato il decreto impugnato e la controversia rinviata al Tribunale di Fermo che la esaminerà in diversa composizione, attenendosi ai principi di diritto che sopra sono stati enunciati.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa il decreto impugnato e rinvia la controversia al Tribunale di Fermo, che la esaminerà in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2019.