Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21405 - pubb. 21/03/2019

Divorzio con facoltà del marito di ripudiare la moglie

Cassazione civile, sez. I, 01 Marzo 2019, n. 6161. Est. Iofrida.


Divorzio – Legge straniera – Ripudio della moglie



Rinvio a nuovo ruolo disponendo l’acquisizione, tramite il Ministero della Giustizia, di informativa sulla legge processuale straniera (palestinese) applicabile al divorzio per cui è causa e quindi in relazione al testo, corredato da debita traduzione in lingua italiana, della legge palestinese "n. 3/2011", indicata dal ricorrente nel presente giudizio, o di altra legge vigente in Palestina al 2012, disciplinante il divorzio tra i coniugi, con specifico riguardo ai profili relativi:
a) alla natura giurisdizionale o non del Tribunale Sciaraitico;
b) ai presupposti del ripudio ad opera del marito;
c) alla sussistenza di corrispondente facoltà di ripudio per la moglie;
d) alla garanzia del rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa nel procedimento;
e) all’oggetto dell’accertamento riservato al Tribunale Sciaraitico; si richiede altresì all’Ufficio del Massimario di questa Corte Suprema di Cassazione una relazione sullo stato della dottrina e della giurisprudenza, nazionale Europea e comparata, sul tema del riconoscimento, nell’ordinamento nazionale, degli effetti di un provvedimento, giurisdizionale e non, di divorzio ottenuto da uno dei coniugi dinanzi ad un Tribunale civile o religioso straniero in base all’istituto del talaq o ad altri istituti analoghi. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Premesso che:

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 7464/2016, pronunciata in un giudizio promosso, nel 2015, da E.A.K., cittadina giordana ed italiana, al fine di sentire ordinare la cancellazione della trascrizione, nei registri dello stato civile italiano, dell’aprile 2013, della sentenza non definitiva del 29/7/2012, emessa dal Tribunale Sciaraitico di Nablus Occidentale (Palestina), in sua assenza, di scioglimento del matrimonio sciaraitico celebrato, nel 1992, in (*), con Z.F. , pure cittadino giordano ed italiano (unione dalla quale erano nati due figli), avendo quest’ultimo esercitato il c.d. ripudio unilaterale, ha statuito che la sentenza del Tribunale palestinese del luglio 2012, non definitiva, come pure la successiva sentenza definitiva, del novembre 2012 (con la quale il Tribunale di Nablus rilasciava il nulla osta al F. per un nuovo matrimonio, essendo decorso il periodo di tempo legale senza ricostituzione della pregressa unione), non hanno i requisiti di legge per il riconoscimento in Italia della loro efficacia, con ordine all’Ufficiale di Stato civile di procedere alla cancellazione della trascrizione a margine dell’atto di matrimonio;

- in particolare, la Corte d’appello, ritenuta la giurisdizione del Tribunale palestinese a conoscere la causa di divorzio, stante la celebrazione del matrimonio in (*), ha ravvisato una violazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g), non avendo il giudice straniero effettuato alcun accertamento sul venir meno in concreto della comunione di vita dei coniugi, e dell’art. 64, lett. b, della stessa legge, stante la lesione del diritto di difesa, in quanto "il procedimento giudiziale in questione è basato unicamente sulla manifestazione di volontà del marito, senza che lo stesso debba addurre motivazione..., senza possibilità di opposizione da parte della moglie, senza alcun contraddittorio reale (non essendo la mera notizia del procedimento avuta dalla ricorrente utile in tal senso) e senza che per la moglie sia previsto analogo diritto (ripudio senza motivazione)"; l’affermazione dello Z. , in ordine al consenso della moglie, costituiva una mera asserzione, non risultando la verbalizzazione, nel procedimento in questione, di una dichiarazione del coniuge dal quale potesse evincersi un tale consenso, mentre altri comportamenti della moglie, successivi alla sentenza non definitiva di divorzio (in particolare, l’essere la stessa rientrata in Italia ed avere la stessa prelevato, dal conto corrente del marito importo, che le spettava a titolo di restituzione della dote) dimostravano solo la consapevolezza della irrevocabilità, in base alla legge islamica, del ripudio;

- avverso la suddetta sentenza, Z.F. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di E.A.K. (che resiste con controricorso);

- il ricorso è stato rimesso dalla sezione Sesta - Prima alla Sezione Semplice ed è stato chiamato all’udienza pubblica del 14 dicembre 2018;

- il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso, ritenendo che non sarebbe stata efficacemente censurata la statuizione in ordine alla contrarietà all’ordine pubblico della pronuncia straniera sia per la mancanza dell’accertamento giudiziale sulla cessazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi sia per la lesione del diritto di difesa della moglie (resa edotta del procedimento solo dopo che il marito aveva ottenuto la pronuncia, sia pure non definitiva, di divorzio sulla base della mera registrazione della sua volontà di ripudio del coniuge);

- il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del combinato disposto di cui alla L. n. 218 del 1995, art. 67, comma 1, art. 14, comma 1, e art. 64, lett. g), per omessa indagine, da parte del giudice nazionale, sulla sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della sentenza straniera ed omesso accertamento della portata della legge straniera applicabile, non avendo la Corte d’appello compiuto un accertamento, avvalendosi dei mezzi previsti dalla L. n. 218 del 1995, artt. 14 e 15, per la conoscenza della legge straniera, sulle modalità di svolgimento del processo di divorzio dinanzi al Tribunale di Nablus, e risultando comunque, dal certificato rilasciato nel dicembre 2014 dal Tribunale sciaraitico di Nablus, prodotto in giudizio, che, a seguito della richiesta del Z.F. (il talaq pronunciato: "mia moglie è divorziata da me"), era stata "richiamata la sposa", al fine dunque di vagliare l’effettivo venire meno dell’unione materiale e spirituale dei coniugi, e che il talaq del marito, sulla base del quale è stata pronunciata la sentenza non definitiva di divorzio, è revocabile e comporta gli stessi effetti della separazione personale dei coniugi nel mondo occidentale, permanendo il matrimonio palestinese e rimanendone sospesi gli effetti per un periodo di tre mesi, al fine di assicurare l’eventuale riconciliazione tra i coniugi; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del combinato disposto di cui alla L. n. 218 del 1995, art. 67, comma 1, art. 14, comma 1, e art. 64, lett. b), sempre per omessa indagine relativa alla sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della sentenza straniera ed omesso accertamento della portata della legge straniera applicabile, non avendo la Corte d’appello rilevato che, come da documentazione prodotta, la K. aveva partecipato al giudizio dinanzi al Tribunale, essendosi presentata dinanzi al Tribunale palestinese, accompagnata dalla di lei madre; 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della legge straniera, sostanziale e processuale, applicata dal Tribunale palestinese, avendo la Corte d’appello trascurato di rilevare che, in base all’attuale normativa straniera, vi è parificazione del diritto di agire e resistere in giudizio per marito e moglie, il divorzio è preceduto dall’esperimento di un tentativo di conciliazione e viene pronunciato solo all’esito dell’accertamento circa l’effettivo venir meno dell’unione materiale spirituale tra i coniugi;

- in particolare, il ricorrente, nel dedurre la violazione di legge, anche con riferimento all’art. 14, della legge di diritto internazionale privato, n. 218/1995, richiama "la L. n. 3 del 2011, vigente in (*)" (senza tuttavia allegarne il testo), assumendo che vi è stato, nell’ordinamento straniero, un superamento del vecchio istituto del ripudio islamico del marito, unilaterale e stragiudiziale, e che, a seguito del talaq pronunciato dal marito ("Mia moglie è divorziata da me"), l’attuale procedura di divorzio palestinese, applicabile alla fattispecie, comporta, ai fini della pronuncia definitiva di divorzio, la verifica, ad opera di organo giurisdizionale, dell’effettivo venir meno della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, previo rituale contraddittorio tra le parti, all’esito di un periodo temporale di tre mesi senza riconciliazione, e consente altresì alla moglie di agire e resistere in giudizio, per la tutela dei suoi diritti, essendovi oggi (e nel 2012) "una totale parificazione... del marito e della moglie, in applicazione del principio di eguaglianza tra i generi";

- risulta, dalla documentazione prodotta, sin dal giudizio di merito (in lingua araba, con traduzione in italiano, con visto di conformità dell’assistente amministrativo del consolato Generale d’Italia, Gerusalemme), che: a) il Z.F. , persona avente cittadinanza giordana ed italiana, alla fine di luglio 2012, è comparso dinanzi al Tribunale Sciaraitico di Nablus (Palestina), perché venisse "registrato il divorzio di primo grado" dalla moglie E.A.K. , del pari cittadina giordana ed italiana, la cui unione era stata celebrata, con rito sciaraitico, in (*), nel 1992; b) il divorzio è consistito nella registrazione, effettuata in data 29/7/2012, di una domanda formulata dal marito alla presenza di due testimoni; c) a seguito di successiva informativa alla moglie, la stessa si sarebbe presentata, l’1/8/2012, accompagnata dalla madre, e le sarebbe stata personalmente notificata la richiesta del marito; d) quindi decorsi tre mesi, il divorzio è divenuto definitivo ed è stato rilasciato, nel novembre 2012, dal medesimo Tribunale Sciaraitico il nulla osta a nuovo matrimonio;

 

Ritenuto che:

- quanto al riconoscimento del provvedimento straniero nel nostro ordinamento italiano, la L. n. 218 del 1995, art. 64 ss., disciplinano la materia, contemplando il filtro, all’ingresso nel nostro ordinamento, rappresentato dal controllo del rispetto dell’ordine pubblico (in particolare: art. 64 (Riconoscimento di sentenze straniere): "La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando: a) il giudice che l’ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano; b) l’atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa; c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge: d) essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata; e) essa non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato; f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero; g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all’ordine pubblico"; art. 65 (Riconoscimento di provvedimenti stranieri): "1. Hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell’ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa");

- va anche evidenziato che la Corte di Giustizia, con una pronuncia del 20 dicembre 2017, resa nel procedimento Soha Sahyouni contro Raja Mamisch (una coppia con doppia cittadinanza sia siriana che tedesca), ha affrontato un caso che riguardava una dichiarazione unilaterale di divorzio resa davanti a un tribunale religioso di uno Stato terzo ed il suo riconoscimento nell’ordinamento tedesco; la Corte di Giustizia soffermandosi sul tema generale dei cd. divorzi privati ossia di quelle ipotesi di scioglimento del matrimonio non derivanti da pronunce emesse da una autorità pubblica, ha affermato che "alla luce della definizione della nozione di divorzio di cui al regolamento n. 2201/2003, risulta dagli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1259/2010 che esso ricomprende unicamente i divorzi pronunciati da un’autorità giurisdizionale statale, da un’autorità pubblica o con il suo controllo", con la conseguenza che le pronunzie rese dai tribunali religiosi restano escluse dalla sfera di applicazione delle norme Europee di conflitto;

- in ordine all’operatività della L. n. 218 del 1995, artt. 14 e 15, questa Corte ha chiarito che "relativamente alle fattispecie interamente regolate dalla L. n. 218 del 1995, art. 14, l’obbligo del giudice di ricercare, d’ufficio, le fonti del diritto va riferito anche alle norme giuridiche degli ordinamenti stranieri, per la cui individuazione è possibile ricorrere a qualsiasi mezzo, anche informale e valorizzando il ruolo attivo delle parti, come strumento utile per l’acquisizione della normativa volta a disciplinare il caso concreto, senza che, pertanto, sussista, in capo alla parte che la invochi, alcun onere di indicazione né di allegazione documentale della legge straniera ritenuta applicabile" (Cass. 27365/2016);

- nella specie, dunque, alla luce di quanto allegato dal ricorrente, sin dal giudizio di merito, e tenuto conto della L. n. 218 del 1995, art. 14, risulta opportuno, ai fini del necessario vaglio del riconoscimento nel nostro ordinamento degli effetti del divorzio ottenuto all’estero dal coniuge straniero e quindi al fine di vagliare l’effettiva contrarietà all’ordine pubblico internazionale del provvedimento di divorzio reso dal Tribunale sciaraitico palestinese, affermata dalla Corte d’appello nella sentenza qui impugnata e contestata, anche in questa sede, dal sig. Z.F. , acquisire informativa, tramite il Ministero della Giustizia, sulla legge processuale straniera (palestinese) applicabile al divorzio per cui è causa, di cui occorre tener conto nel presente giudizio di legittimità, dato che la relativa conoscenza attiene al giudizio riservato a questo giudice di legittimità;

- ritenuto, in particolare, necessario richiedere al Ministero competente il testo, corredato da debita traduzione in lingua italiana, della legge palestinese "n. 3/2011", indicata dal ricorrente nel presente giudizio, o di altra legge vigente in Palestina al 2012, disciplinante il divorzio tra i coniugi, con specifico riguardo ai profili relativi: a) alla natura giurisdizionale o non del Tribunale Sciaraitico e all’efficacia delle sue pronunce nell’ordinamento giuridico palestinese; b) ai presupposti del ripudio ad opera del marito; c) alla sussistenza di corrispondente facoltà di ripudio per la moglie; d) alla garanzia del rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa nel procedimento; e) all’oggetto dell’accertamento riservato al Tribunale Sciaraitico e allo spazio riservato nel procedimento alla verifica di una possibilità di riconciliazione dei coniugi;

- risulta altresì opportuno richiedere contestualmente, atteso il rilievo nomofilattico della questione oggetto del presente giudizio, una relazione di studio all’Ufficio del Massimario, per acquisire un quadro sistematico dei contributi offerti, sul tema, dalla giurisprudenza, anche euro-unitaria e della Corte Europea dei diritti dell’uomo, e dalla dottrina nonché per acquisire informazioni rilevanti sulla giurisprudenza dei paesi in cui si è posta la questione del riconoscimento del talaq o di istituti analoghi.

 

P.Q.M.

La Corte rinvia la causa a Nuovo Ruolo in pubblica udienza, disponendo l’acquisizione, tramite il Ministero della Giustizia, di informativa sulla legge processuale straniera (palestinese) applicabile al divorzio per cui è causa e quindi in relazione al testo, corredato da debita traduzione in lingua italiana, della legge palestinese "n. 3/2011", indicata dal ricorrente nel presente giudizio, o di altra legge vigente in Palestina al 2012, disciplinante il divorzio tra i coniugi, con specifico riguardo ai profili relativi:

a) alla natura giurisdizionale o non del Tribunale Sciaraitico;

b) ai presupposti del ripudio ad opera del marito;

c) alla sussistenza di corrispondente facoltà di ripudio per la moglie;

d) alla garanzia del rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa nel procedimento;

e) all’oggetto dell’accertamento riservato al Tribunale Sciaraitico; si richiede altresì all’Ufficio del Massimario di questa Corte Suprema di Cassazione una relazione sullo stato della dottrina e della giurisprudenza, nazionale Europea e comparata, sul tema del riconoscimento, nell’ordinamento nazionale, degli effetti di un provvedimento, giurisdizionale e non, di divorzio ottenuto da uno dei coniugi dinanzi ad un Tribunale civile o religioso straniero in base all’istituto del talaq o ad altri istituti analoghi.

Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omessi i riferimenti ai nominativi o ad altri dati identificativi delle parti.