Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21142 - pubb. 30/01/2019

Avvocati: liquidazione di onorari e diritti nei confronti del proprio cliente: rito speciale senza possibilità di mutamento di rito

Cassazione civile, sez. VI, 16 Gennaio 2019, n. 1023. Est. Scalisi.


 



Le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, ed a seguito dell’abrogazione della L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30, per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente da parte dell’avvocato devono essere trattate con la procedura prevista dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14 del anche in ipotesi che la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Con ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo D.Lgs. n. 150 del 2011, ex artt. 14, artt. 645 e 702-702 bis c.c. depositato il 22.9.2015, dinanzi al Tribunale di Taranto, Enel Distribuzione S.p.A. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 1160/2015 e, dopo aver riportato i fatti che avevano contraddistinto la vicenda, eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilità e/o l’improcedibilità dell’azione monitoria di controparte per parcellizzazione del credito e, nel merito, la sua infondatezza, insistendo per la revoca del D.I. opposto.

L’opponente esponeva che essa, nel corso dei rapporti di natura professionale che avevano legato Enel e l’avv. G. per circa trent’anni, durante i quali quest’ultimo aveva ricevuto dalla prima numerosissimi incarichi al fine di tutelare gli interessi della società in svariate controversie, nell’anno 2000 aveva incaricato il professionista di difendere la società in un giudizio civile in cui era stata chiamata in causa dal Comune di Sava, convenuto da M.C. dinanzi alla Pretura di Taranto-Sezione Distaccata di Manduria.

L’opponente eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilità, improcedibilità della domanda, poiché l’avv. G. aveva instaurato numerose azioni giudiziarie nei confronti di Enel per le medesime ragioni, realizzando quella parcellizzazione ritenuta illegittima dalle Sezioni Unite di Codesta Suprema Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 23726/2007, che ha stigmatizzato il comportamento del creditore teso alla frammentazione in plurime distinte domande dell’azione giudiziaria volta all’adempimento di un’obbligazione pecuniaria che possa essere preteso unitariamente. Nel merito, contestava l’avversa pretesa, evidenziando i motivi per i quali l’avv. G. quantificava i suoi compensi in modo esorbitante sproporzionato, soprattutto, rispetto al valore, all’importanza all’esito della causa, nonché alla complessità (non rilevante) dell’attività espletata, senza considerare neppure natura continuativa dei rapporti professionali che legavano le parti.

Il ricorso, iscritto al n. 6458/2015 R.G., veniva notificato, unitamente al provvedimento di fissazione di udienza, in data 14.10.2015 all’avv. G. , il quale si costituiva in giudizio con memoria difensiva del 12.2.2016.

Il Tribunale di Taranto, "rilevato che, ai sensi del D.M. n. 150 del 2011, art. 14, la competenza di decidere la presente opposizione era del Collegio", rimetteva la causa dinanzi - appunto - al Collegio della Terza Sezione Civile del Tribunale di Taranto, che il 22.6.2016 emetteva l’ordinanza, depositata il 29.6.2016, con cui dichiarava "l’inammissibilità dell’opposizione per tardività, in considerazione del fatto che il decreto ingiuntivo era stato notificato il 14.7.2015 ed il termine di giorni quaranta per proporre l’opposizione scadeva il 23.09.2015, epperò il ricorso unitamente al decreto di fissazione di udienza è stato notificato il 14 ottobre 2015.

Secondo il Tribunale, in materia di rito applicabile alle controversie aventi ad oggetto i compensi professionali di avvocato, riteneva applicabile ad esse il rito sommario di cognizione solo quando fosse controverso unicamente il quantum, mentre nel caso di specie, avrebbe dovuto applicarsi il rito ordinario - dunque introdotto con citazione – avendo l’opponente sollevato anche questioni relative all’an della pretesa (in particolare, l’eccezione di parcellizzazione del credito), cosicché, l’opposizione proposta da Enel doveva ritenersi inammissibile perché tardiva, essendo stata notificata all’avv. G. il 14.10.2015, dopo il quarantesimo giorno dalla ricezione della notifica del decreto ingiuntivo.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Enel Distribuzione spa. con ricorso affidato ad un motivo. L’avv. G.V. ha resistito con controricorso. In prossimità della Camera di consiglio la ricorrente ha depositato memoria.

1.= Con l’unico motivo di ricorso, l’Enel Distribuzione spa lamenta Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3), in relazione al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 e art. 702-bis c.p.c.. Il ricorrente sostiene il Tribunale abbia errato nel ritenere che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 “laddove prevede contro il decreto riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali il rito sommario di cognizione” fosse applicabile solo nell’ipotesi in cui fosse controverso il quantum della pretesa del professionista, ma, non anche se controverso l’an della pretesa.

Su proposta del relatore, il quale riteneva che il motivo formulato con il ricorso era fondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il Presidente ha fissato l’adunanza della Camera di Consiglio.

Rileva il collegio che il ricorso, deve essere ritenuto fondato, in tal senso trovando conferma la proposta già formulata dal relatore, ai sensi del citato art. 380-bis c.p.c..

1.1.= In via preliminare vanno rigettate le eccezioni avanzate dall’avv. G.V. .

a) Infondata è l’eccezione con la quale l’avv. G. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso posto che la procura speciale rilasciata ai difensori della società ricorrente oltre ad essere priva di data non sarebbe stata allegata alla copia notificata del ricorso, perché:

a.1) Risulta in calce all’originale del ricorso la procura speciale rilasciata dalla parte al proprio difensore. Quanto poi alla sua mancata trascrizione nella copia notificata, va rilevato che nell’ipotesi, come quella in esame, in cui la procura risulti dall’originale del ricorso, una tale omissione non determina l’inammissibilità del ricorso medesimo allorché la copia contenga elementi idonei a dimostrare la provenienza dell’atto dal difensore munito di procura, come la semplice indicazione della procura nella copia notificata (Cass. 9206/01; Cass. 6766/01; Cass. 3733/01 Cass. n. 3971 del 2003). Orbene, nel caso in esame dalla copia notificata del ricorso l’indicazione dell’avvenuto rilascio della procura speciale in calce risulta non solo dall’intestazione dell’atto, ma, anche, dall’annotazione firmata dal difensore con cui si fa testualmente presente che "vi è procura nell’originale". Essendo implicito dalla relata, ai sensi dell’art. 137 c.p.c., comma 2, che la notifica è avvenuta mediante consegna di copia conforme all’originale, deve ritenersi che di dette attestazioni l’ufficiale giudiziario abbia preso atto e che la procura non può non essere stata, quindi, rilasciata anteriormente.

a.2) Come è stato già affermato da questa Corte (Sent. n. 24422 del 2016) la procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita in epoca anteriore alla notificazione dello stesso, investire, espressamente, il difensore del potere di proporre il ricorso suddetto ed essere rilasciata in data successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione. Pertanto, se apposta a margine del ricorso, tali requisiti si desumono, rispettivamente, quanto al primo, dall’essere stata la procura trascritta nella copia notificata del ricorso, e, quanto agli altri due, dalla menzione che, nell’atto a margine del quale essa è apposta, si fa della sentenza gravata, restando, invece, irrilevante che la stessa sia stata conferita in data anteriore a quella della redazione del ricorso e che non sia stata indicata la data del suo rilascio, non essendo tale requisito previsto a pena di nullità.

b) Infondata è, anche, l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché nella pronuncia impugnata il Tribunale di Taranto farebbe riferimento al sistema del doppio grado di giudizio e posto che questa parte di pronuncia non sarebbe stata oggetto di impugnazione il relativo passaggio in giudicato impedirebbe a questa Corte di Cassazione di tornare sul punto.

b.1) Come ha evidenziato anche il ricorrente, il riferimento contenuto nella pronuncia del Tribunale di Taranto al doppio grado del giudizio nelle liti in cui è controverso l’an della pretesa di un avvocato e non solo il quantum, non costituisce un autonomo giudicato ma era argomento interpretativo a favore della tesi della non applicabilità del rito speciale forense. Pertanto, con il ricorso per cassazione, diretto a criticare la mancata applicazione del D.Lgs n. 150 del 2011, art. 14, proponendo la questione di quale fosse il rito applicabile, deve ritenersi censurata ogni valutazione sottesa alla decisione del Tribunale di Taranto e dunque anche l’affermazione di cui si dice.

1.2. = Avuto riguardo al motivo di ricorso, va qui premesso che secondo la previgente L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, ed i successivi artt. 29 e 30, l’avvocato che voleva recuperare giudizialmente un credito professionale per prestazioni giudiziali poteva optare per tre strade: 1) il procedimento speciale di cui alla L. n. 794 del 1942, artt. 28 e segg. (limitatamente ai crediti relativi a procedimenti civili); 2) il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo; 3) il giudizio ordinario di cognizione. Secondo la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza, il giudizio ordinario di cognizione era ammissibile, visto che il presupposto dell’esperibilità del procedimento speciale era la natura non contestata del credito e l’esigenza soltanto di una sua determinazione quantitativa (ossia di una sua "liquidazione). Il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, ha abrogato la L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30 ed ha così modificato l’art. 28: "Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti c.p.c., procede ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14".

1.2.= A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011 si è posto il problema se la nuova disciplina debba ritenersi o meno inderogabile. Ai fini di interpretare la nuova normativa è utile ripercorrere gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità formatisi in relazione alla previgente L. 13 giugno 1942, n. 794 in materia di "Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile. Ora, secondo la tesi prevalente, il giudizio ordinario di cognizione era ammissibile visto che il presupposto dell’esperibilità del procedimento speciale era la natura non contestata del credito e l’esigenza soltanto di una sua determinazione quantitativa. Infatti, secondo l’orientamento della Suprema Corte, lo speciale procedimento camerale di liquidazione di onorari e diritti dell’avvocato previsto dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28 e segg. della era limitato alla determinazione del quantum dovuto al professionista e non si estendeva anche all’an della pretesa, ossia ai suoi ai presupposti (Cass., 23 gennaio 2012, n. 876; Cass., 15 marzo2010, n. 6225; Cass. 29 marzo 2005, n. 6578; Cass. 21 aprile 2004, n. 7652). Nella ipotesi in cui l’indagine si estendeva all’an della prestazione secondo la Cassazione, "trattandosi di indagine incompatibile con la trattazione nelle forme del rito speciale, vengono meno le ragioni che giustificano la deroga al principio generale del doppio grado di giudizio ed il procedimento deve svolgersi secondo il rito ordinario" (Cass. 14 ottobre 2010, n. 21261; Cass. 09 settembre 2008, n. 23344). Non vi era univocità sulla natura del provvedimento che doveva essere pronunciato dal Giudice erroneamente adito. Infatti una parte della giurisprudenza di legittimità, in ipotesi di non applicabilità della speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, regolata dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28 e ss., riteneva che era necessaria la trasformazione del rito, ossia la prosecuzione del procedimento con l’ordinario rito di cognizione: (Cass., 24 febbraio 2004, n. 3637: Cass., 30 agosto 2001, n. 11346). Se la mancanza del presupposto emergeva in occasione della comparizione delle parti in camera di consiglio, il giudice adito doveva limitarsi a dichiarare l’inammissibilità del ricorso e, nell’ipotesi di regolare instaurazione del contraddittorio, doveva ordinare che il procedimento proseguisse secondo l’ordinario rito di cognizione avanti all’autorità giudiziaria competente. (Cass. 27 marzo 2001, n. 4419, Cass. 5 agosto 2011, n. 17053 Cass. civile, 09 settembre 2008, n. 23344). Pertanto, qualora il Giudice adito, a conclusione di un procedimento instaurato ai sensi della L. n. 794 del 1942, artt. 28 e ss., non si fosse limitato a decidere sulla controversia tra avvocato e cliente circa la determinazione della misura dei compensi, ma si fosse pronunciato anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all’esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, l’intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma di ordinanza, aveva valore di sentenza e, dunque, poteva essere impugnato con il solo mezzo dell’appello (Cass. 03 febbraio 2012, n. 1666). Analogamente, nel caso inverso, l’intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma di sentenza, aveva valore di Ordinanza, in quanto tale sottratta all’appello ed impugnabile solo con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost..

1.3.= La Cassazione civile, Sezioni Unite, 11 gennaio 2011, n. 390 (seguita da Cass. civile, sez. 2, 19 maggio 2011, n. 11024) ha temperato il predetto criterio della prevalenza della sostanza sulla forma del provvedimento, facendo applicazione del principio dell’apparenza, affermando che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari e altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento.

Secondo la dottrina prevalente e parte della giurisprudenza di merito nulla sarebbe sostanzialmente cambiato rispetto al passato, avendo il procedimento D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14, mantenuto le medesime caratteristiche che aveva quello disciplinato dalla L. n. 794 del 1942, art. 29, tenuto anche conto che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, si limita a prevedere che il rito sommario di cognizione regola le "controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28", senza prevedere alcuna modifica riguardo all’ambito di applicazione di tale ultima disposizione. Nel caso di contestazioni sull’an del rapporto professionale la gran parte della dottrina, in aderenza alla giurisprudenza di legittimità formatasi nella vigenza della normativa precedente, ha escluso il mutamento del rito sul presupposto che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria ai sensi degli artt. 702 bis e ter, tenuto conto che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3, comma 1, ne prevede espressamente l’inapplicabilità. In presenza di contestazioni sull’an, ed anche quando l’inesistenza dei presupposti per il procedimento speciale emerga all’esito della comparizione delle parti, il giudice del procedimento speciale deve limitarsi ad una pronuncia di inammissibilità.

A sostegno di questa tesi, è stata richiamata la previsione di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, comma 3, (mutuata dalla L. n. 794 del 1942, art. 29, comma 3), relativa alla possibilità per le parti di stare in giudizio personalmente, da cui è possibile evincere che, allorquando le eccezioni del convenuto comportino un ampliamento del thema decidendum alla sussistenza della pretesa del ricorrente, il giudizio non possa proseguire perché, nell’ipotesi in cui il resistente non si sia avvalso dell’assistenza tecnica, egli si troverebbe in posizione di inferiorità rispetto alla controparte proprio nel momento in cui il giudizio diviene più complesso.

1.3.1. = In senso contrario, alla tesi in esame, si è peraltro osservato che il rito sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c. ss., garantisce, comunque, una cognizione piena della posizione soggettiva dedotta in giudizio, seppur con una trattazione ed un’istruzione semplificate e mette in crisi la premessa da cui muoveva il predetto orientamento giurisprudenziale. È stato richiamato il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3, comma 1, nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’art. 702 ter c.c., comma 2, ai sensi del quale il Giudice, se "rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’art. 702 bis, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale". La predetta norma precluderebbe, infatti, al Giudice, adito D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14, di dichiarare inammissibile la domanda anche qualora l’oggetto del procedimento si estenda all’accertamento dei presupposti del diritto dell’avvocato al compenso professionale, così superando il precedente orientamento giurisprudenziale della Cassazione di cui si è sopra dato conto. Inoltre, il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, consente il mutamento del rito in ipotesi di controversia promossa con forme diverse da quelle previste, così sembrando riferirsi all’ipotesi dell’errore sul rito compiuto ab origine, e non alla opportunità/necessità, non derivante da errore iniziale, che la controversia, per effetto delle argomentazioni difensive del convenuto, proceda con rito diverso.

I sostenitori di questa tesi rilevano che la norma potrebbe essere letta estensivamente ed applicata anche nelle ipotesi in cui la scelta del rito "incongruo" non sia dipesa da un errore del ricorrente (ossia dell’avvocato) ma dalle difese del convenuto, che hanno determinato l’inapplicabilità del rito sommario, con le contestazioni relative all’an e non solo al quantum debeatur.

In sintesi, secondo la tesi in esame, il ricorso sommario proposto dall’avvocato sarebbe suscettibile di evolvere, previa conversione del rito D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 4, in rito ordinario, allorché il convenuto contesti anche l’an o proponga domanda riconvenzionale.

1.4.= Infine, secondo una terza tesi, l’intero giudizio di liquidazione dei compensi, comprensivo dei temi sull’an debeatur, dovrebbe essere trattato con il "nuovo" rito sommario. Conseguentemente, nel caso in cui il giudizio in tale materia venga introdotto con rito ordinario e, dunque, con atto di citazione (o con atto di citazione in opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato), il Presidente del Tribunale o della Sezione tabellarmente competente dovrebbe: disporre il mutamento del rito da ordinario in sommario ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4; nominare il Giudice relatore; fissare l’udienza di comparizione partì avanti al Collegio per la trattazione.

La Corte ritiene di aderire a questa ultima tesi tenendo conto della pienezza della cognizione che, secondo la maggioranza della dottrina e la stessa relazione di accompagnamento, sarebbe assicurata da questo procedimento e nel rispetto dell’impianto generale del D.Lgs. n. 150 del 2011, in cui la tipologia del rito è il frutto di una decisione legislativa senza possibilità di scelte discrezionali della parte o del giudice. Infatti, in tal modo è rispettata la ratio che ha guidato il legislatore delegato secondo cui il controllo di concreta compatibilità della singola lite con le forme semplificate del rito, che nel procedimento sommario di cognizione facoltativo di cui agli artt. 702 bis ss. è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, è sostituito, nel procedimento sommario obbligatorio disciplinato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3, da una verifica, astratta ed irrevocabile, compiuta a monte dal legislatore sulla base delle caratteristiche riscontrate in alcune specie di controversie che hanno ad oggetto determinate specifiche materie. Una tale soluzione ha evidenti vantaggi di economia processuale e sarebbe conforme al principio di conservazione degli atti processuali, evitando la declaratoria di inammissibilità che è espressamente esclusa dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3, comma 1, nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’art. 702 ter c.p.c., comma 2. Sarebbe rispettato D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, che disciplina in via diretta soltanto l’ipotesi dell’instaurazione, mediante forme errate, di una controversia che dovrebbe essere trattata secondo uno dei riti semplificati dal D.Lgs. n. 150 del 2011; in altri termini, la disposizione non regola espressamente il caso in cui venga instaurata, mediante uno dei riti semplificati, una controversia che non rientra nell’ambito di applicazione dello stesso decreto. Tale soluzione: a) è confermata dal recente intervento delle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4485 del 2018, la quale esplicitamente afferma che la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, introdotta sia ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, del anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all’”an debeatur". b) è in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n 26-4-2014 n.65 che, con riferimento alla dedotta violazione dei principi della legge delega, riferita al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3, comma 1, ed in particolare, all’esclusione della convertibilità del rito sommario, ha rilevato che la norma in esame costituisce immediata applicazione del criterio direttivo di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 54, comma 4, lett. b), n. 2), il quale - nel ricondurre al modello del procedimento sommario quei procedimenti nei quali sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa - afferma che resta "esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario".

La non convertibilità del rito sommario discende quindi dalla espressa prescrizione impartita dalla legge delega (L. n. 69 del 2009, art. 54, comma 4, lett. b, n. 2) e corrisponde, altresì, alla inammissibilità - ripetutamente affermata anche prima della riforma del 2009 - del procedimento speciale previsto dalla L. n. 794 del 1942 nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso. Il divieto di conversione del rito è stabilito dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 3, comma 1, per le controversie regolate dal rito sommario di cognizione, conseguentemente la richiesta caducazione di tale divieto, riferita ai soli procedimenti di liquidazione degli onorari forensi, costituirebbe un’eccezione rispetto al modello procedimentale prescelto dal medesimo D.Lgs. n. 150 del 2011. Siffatta eccezione risulterebbe incompatibile con le finalità, perseguite dalla riforma del 2011, di riduzione e semplificazione dei riti civili, introducendo un’ulteriore particolarità ad un sistema processuale, che - pur essendo ispirato alla finalità di riportare una molteplicità di procedimenti speciali ad una (almeno tendenziale) uniformità - conserva tuttora elementi di innegabile eccentricità.

Si osserva che il giudizio conclusosi con il provvedimento oggetto oggi di impugnazione era stato iniziato correttamente con ricorso davanti al Tribunale competente in composizione collegiale.

Di conseguenza, ha errato il Tribunale a non proseguire il procedimento nelle forme del rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.c. e ss, ed ha errato nel dichiarare l’inammissibilità in presenza di contestazione sull’an della pretesa. Il Tribunale era tenuto a provvedere sulla domanda e sulle contestazioni sull’an proposte dalla parte convenuta. Di qui l’ulteriore conseguenza e cioè: considerato che il ricorso è stato depositato il 22 settembre doveva ritenersi tempestivo perché il termine scadeva il 23 settembre così come evidenzia la stessa ordinanza del Tribunale di Taranto.

In definitiva, il ricorso deve essere accolto e la ordinanza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Taranto che si atterrà al seguente principio di diritto: Le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, ed a seguito dell’abrogazione della L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30, per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente da parte dell’avvocato devono essere trattate con la procedura prevista dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14 del anche in ipotesi che la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda.

Il Tribunale provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Taranto in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.