Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21102 - pubb. 22/01/2019

Il reclamo ex art. 739 c.p.c. non può risolversi nella mera riproposizione delle questioni già affrontate e risolte dal primo giudice

Cassazione civile, sez. I, 14 Dicembre 2018, n. 32525. Est. Laura Tricomi.


Procedure camerali - Reclamo ex art. 739 cod. proc. civ. - Contenuto - Specifiche critiche al provvedimento impugnato - Necessità



Il reclamo ex art. 739 cod. proc. civ., non può risolversi nella mera riproposizione delle questioni già affrontate e risolte dal primo giudice, ma deve contenere specifiche critiche al provvedimento impugnato ed esporre le ragioni per le quali se ne chiede la riforma. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Presidente -

Dott. MELONI Marina - Consigliere -

Dott. TRICOMI Laura - rel. Consigliere -

Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere -

Dott. PAZZI Alberto - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

che:

La Corte di appello di Ancona, sezione minorenni, con il provvedimento impugnato ha respinto il reclamo proposto da S.M. avverso il decreto del Tribunale per i Minorenni delle Marche che lo aveva dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale sulla figlia S.V. (n. il (*)) affidandola in via esclusiva alla madre R.R., avendo accertato all'esito dell'attività istruttoria il disinteresse del S. nei confronti della figlia, tradottosi nell'interruzione di ogni rapporto con la stessa per la ragione espressa di non voler sottostare alla regolamentazione limitativa degli incontri disposta dall'A.G..

Il S. propone ricorso per cassazione con tre mezzi, corroborato da memoria; la R. replica con controricorso e ricorso incidentale con un mezzo, corredato da memoria.

Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale.

 

che:

1. Preliminarmente va confermata l'ammissibilità del ricorso, in applicazione del principio secondo il quale "Il provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale, emesso dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 336 c.c., ha attitudine al giudicato "rebus sic stantibus", in quanto non revocabile o modificabile salva la sopravvenienza di fatti nuovi, sicchè, il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica il predetto provvedimento, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7" (Cass. n. 23633/2016; da ultimo Cass. n. 4099/2018).

2.1. Il ricorso principale è articolato nei seguenti motivi: 1) "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 330 c.c., sotto il profilo della mancata esplicitazione del pregiudizio per il figlio";

2) "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 330 c.c., sotto il profilo della mancata verifica delle ragioni addotte dal padre e dell'attuale capacità genitoriale di quest'ultimo al fine della ripresa del rapporto con la figlia nell'interesse della stessa. Assenza o comunque insufficiente motivazione"; 3) "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 250 c.c., comma 4, sotto il profilo della errata applicazione della norma nella parte in cui dispone l'audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni o anche di età inferiore, ove capace di discernimento".

2.2. Quanto al primo motivo, si osserva che la Corte di appello nel rigetto del reclamo non si è soffermata sul "grave pregiudizio per la minore", che viene soltanto richiamato (e quindi implicitamente confermato) in quanto posto a fondamento del provvedimento adottato dal Tribunale per i minorenni (cfr. ultima pagina del decreto della Corte di appello).

Tuttavia, condividendo le conclusioni del PG, il motivo appare inammissibile.

Nel rito camerale adottato dal legislatore in determinate materie, anche quando trattasi di procedimenti concernenti l'interesse del minore e quindi comportanti indiscussi poteri d'ufficio, al giudizio di secondo grado nascente dal reclamo è applicabile, pur in difetto di un espresso richiamo all'art. 342 c.p.c., il principio della specificità dei motivi di impugnazione, da tale norma sancito per il giudizio di appello (cfr. Cass. n. 6671/2006), non essendo bastevole neppure la "mera riproposizione delle questioni già affrontate e risolte dal primo giudice", dovendo invece tale forma di gravame "contenere specifiche critiche al provvedimento impugnato ed esporre le ragioni per le quali se ne chiede la riforma" (Cass. n. 4719/2008), giacchè il reclamo "costituisce un mezzo di impugnazione, ancorchè devolutivo, e come tale ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del devolutum e delle censure formulate" (Cass. n. 3924/2012).

Non emergono ragioni perchè tale orientamento interpretativo non debba essere confermato anche con riferimento al procedimento in esame, anche tenuto conto della ormai affermata idoneità dei provvedimenti ivi adottati ad acquisire autorità di giudicato, sia pure rebus sic stantibus (cfr. sub 1).

Orbene, dalla stessa narrativa del ricorso si evidenzia come i motivi di reclamo avverso il provvedimento di decadenza dalla potestà genitoriale pronunciato dal Tribunale dei minorenni fossero incentrati esclusivamente sulle asserite ragioni del S. poste a giustificazione dell'interruzione dei rapporti padre-figlia (oggetto del secondo motivo del ricorso per cassazione).

Nessun motivo di reclamo venne quindi addotto con riferimento alle valutazioni compiute dal Tribunale sulle conseguenze pregiudizievoli, per la minore, derivanti dal comportamento del padre (nel decreto della Corte di appello si fa riferimento a relazioni dei servizi sociali e a CTU).

Pertanto, la Corte di appello non è incorsa nella lamentata "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 330 c.c., sotto il profilo della mancata esplicitazione del pregiudizio per il figlio", in quanto non sollecitata da specifica censura, nè evidentemente ravvisando d'ufficio ragioni per un approfondimento - istruttorio od anche meramente valutativo, in aggiunta rispetto a quanto già ritenuto dal Tribunale - sulla sussistenza del pregiudizio della minore.

2.3. Il secondo motivo è infondato.

La Corte di appello ha ampiamente motivato sul punto, concludendo che le ragioni addotte dal S. a giustificazione dell'interruzione degli incontri con la figlia (incontri che erano all'epoca consentiti solo alla presenza di terzi) dovevano considerarsi "incentrate sulla volontà di voler salvaguardare la propria dignità di uomo e di padre, o meramente pretestuose ovvero, se sincere, tali da manifestare, con orgogliosa anteposizione della propria dignità di uomo e di padre alla necessità di coltivare i rapporti con la figlia, una palese sottovalutazione del ruolo genitoriale, con grave pregiudizio per la minore" (cfr. ultima pagina del decreto della Corte di appello).

Quanto alla dedotta carenza motivazionale sull'attuale capacità genitoriale del padre ai fini della ripresa del rapporto con la figlia nell'interesse della stessa, valgono i principi già richiamati (sub 2.2) in merito alla genericità della doglianza rispetto al devolutum in sede di reclamo.

2.4. Quanto al terzo motivo di ricorso, il ricorrente in questa sede ha fatto valere il vizio di omessa audizione della minore che sarebbe stato commesso nel giudizio svoltosi presso la Corte di appello, esplicitando, in particolare, che " V. alla data dell'udienza avanti alla Corte di appello aveva quasi 12 anni, precisamente 11 anni e mezzo" (cfr. fol. 13 del ricorso).

Anche il terzo motivo è infondato.

Giova ricordare che, in tema di audizione dei minori (anche infradodicenni, come nel caso di specie, ove capaci di discernimento) in realtà l'art. 336 c.c., comma 2, prevede tale incombente per il Tribunale, mentre nel ricorso nulla si dice sull'adempimento o meno di tale incombente. da parte del Tribunale dei minori - nè conseguentemente sul fatto che ciò ebbe a costituire motivo di reclamo -, nè comunque sul fatto che la Corte di appello venne sollecitata allo svolgimento di detto incombente (per quanto previsto per il Tribunale). Va altresì considerato che la prevista audizione del minore da parte del Tribunale è "un atto processuale del giudice, il quale può stabilire, nell'interesse del minore, modalità particolari per il suo espletamento, comprendenti anche la delega specifica ad esperti" anche a mezzo di consulenza tecnica (Cass. n. 15365/2015, n. 5097/2014).

In definitiva è infondata la doglianza il cui presupposto è l'affermazione dell'esistenza di un obbligo, previsto dalla legge, per la Corte di appello (in sede di reclamo) di procedere comunque all'audizione del minore (a prescindere dal fatto che tale audizione sia stata effettuata o meno dal Tribunale, in via diretta ovvero tramite CTU).

3. Il ricorso incidentale è fondato su un unico motivo con il quale si denuncia la violazione dell'art. 92 c.p.c., comma 2, in ragione della compensazione delle spese del giudizio per entrambi i gradi di giudizio: a parere della ricorrente incidentale erroneamente sarebbe stata disposta la compensazione delle spese, pur in presenza di una duplice piena soccombenza e senza una esplicita e convincente motivazione, tale non ritenendo l'affermazione "In considerazione della natura della controversia, non vi è luogo a provvedere sulle spese di lite" (fol. 4).

Il motivo è infondato atteso che il procedimento è iniziato il 4/6/2008, anteriormente alla modifica apportata all'art. 92 c.p.c., comma 2, apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11, di guisa che trova applicazione il seguente principio "In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi" (Cass. n. 24502 del 17/10/2017) al quale la Corte di appello si è attenuta.

4. In conclusione il ricorso principale va rigettato e così anche il ricorso incidentale; in ragione della reciproca soccombenza le spese del giudizio di legittimità vanno compensate.

Poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 10, comma 3, non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1 bis, del cit. D.P.R..

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

 

P.Q.M.

- Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale;

- Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti;

- Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2018.