Deontologia


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20951 - pubb. 18/12/2018

Responsabilità disciplinare del P.M. che non sollecita il deposito della relazione tecnica del consulente

Cassazione Sez. Un. Civili, 19 Ottobre 2018, n. 26373. Est. Bronzini.


Magistrato del P.M. - Ritardo del consulente nominato nel deposito della relazione - Mancata adozione di provvedimenti di sollecito - Illecito disciplinare - Sussistenza - Fattispecie



In tema di responsabilità disciplinare del magistrato, incorre nella grave violazione di legge di cui all'art. 2, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 109 del 2006 il magistrato del P.M. che, in spregio al combinato disposto di cui agli artt. 359 c.p.p., 321 c.p.p. e 70 disp. att. c.p.p., nonché in violazione dei doveri di diligenza di cui all'art. 1 del citato decreto legislativo, ometta di adottare qualsiasi provvedimento inteso a sollecitare, in caso di ritardo, il deposito della relazione tecnica da parte del consulente nominato, anche al fine di valutare l'opportunità della sua sostituzione.(Principio affermato in relazione al comportamento di un P.M. che aveva omesso di adottare qualsiasi provvedimento inteso a sollecitare il deposito della relazione da parte del consulente, incaricato di una perizia autoptica, in un procedimento per omicidio con imputato in stato di detenzione, con la conseguenza che il ritardo, protrattosi per tredici mesi, aveva reso necessaria la richiesta di proroga dei termini custodiali di fase, il cui rigetto, in sede di riesame, aveva poi determinato la scarcerazione della persona sottoposta ad indagine). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro - Primo Presidente f.f. -

Dott. TIRELLI Francesco - Presidente di Sez. -

Dott. BRONZINI Giuseppe - rel. Consigliere -

Dott. CIRILLO Ettore - Consigliere -

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere -

Dott. D’ASCOLA Pasquale - Consigliere -

Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -

Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -

Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

1. La dott.ssa G.N. veniva incolpata dell'illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a) e g) perchè, come sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di A., nel procedimento nei confronti di M.P. imputato per l'omicidio di una persona, in grave violazione del combinato disposto di cui agli artt. 359 e 321 c.p.p. e dell'art. 70 disp. att. c.p.p. e dei doveri di diligenza di cui all'art. 1 D.Lgs. citato conferiva incarico autoptico ad un consulente tecnico e concedeva 90 giorni per il deposito della relazione, ma ometteva di assumere iniziative nonostante l'ingiustificabile ritardo nel deposito della stessa. Tale ritardo era motivo per la richiesta della proroga dei termini custodiali di fase, concessa dal GIP ma poi annullata dal Tribunale del riesame con conseguente scarcerazione della persona sottoposta ad indagine.

2. La Sezione disciplinare del C.S.M. con sentenza del 16 maggio 2016 rilevava che al consulente era stato concesso un termine di 90 giorni ritenuto esplicitamente sufficiente per il deposito, che non erano adottate iniziative di sorta per ottenere tale deposito e che il ritardo si era protratto per ben 13 mesi, che proprio il mancato deposito aveva indotto l'incolpata a chiedere una proroga al GIP che l'aveva concessa ma che il Riesame e aveva annullato tale decisione con conseguente scarcerazione della persona indagata. La Sezione disciplinare sottolineava ancora che la consulente dott.ssa F. aveva dichiarato di essersi dimenticata del caso e che mancava agli atti qualsiasi sollecito al consulente, per cui doveva ritenersi che anche l'incolpata si fosse dimenticata dell'incombente: risultavano violate le prescrizioni di cui gli artt. 359 e 231 c.p.p. e art. 70 disp. att. c.p.p.. L'inerzia si era prolungata per 13 mesi, nel corso di indagini per un reato grave come l'omicidio, senza che l'incolpata mettesse in mora la consulente ed attivasse, in caso di risposta negativa, i meccanismi di cui all'art. 321 c.p.; sussistevano quindi i presupposti delle grave violazione di legge determinata da ignoranza inescusabile di cui all'art. 2, lett. g) di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006. La Sezione disciplinare invece assolveva la dott.ssa G. dall'incolpazione di cui alla D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. a) in quanto non poteva dirsi che il comportamento tenuto avesse recato un ingiusto vantaggio all'imputato detenuto che era stato scarcerato in ragione dell'avvenuto annullamento della proroga dei termini custodiali di fase, provvedimento che non poteva essere sindacato nel merito in sede disciplinare. Infine, in relazione alla dichiarata responsabilità come prima precisata la Sezione disciplinare escludeva l'applicabilità dell'art. 3 bis perchè la condotta come ricostruita era indicativa dell'avvenuta violazione dei fondamentali doveri del magistrato per cui vi era stata un'effettiva lesione dei beni giuridici protetti dalla norma, tenuto conto che il reato per cui si procedeva era quello di omicidio.

3. Per la cassazione di tale provvedimento propone ricorso la G. con tre motivi.

 

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo si allega la violazione di legge e segnatamente dell'art. 231 c.p.p. e art. 70 disp. att. c.p.p.. Illegittimo sindacato sull'attività giurisdizionale del magistrato. Carenza assoluta di motivazione sul punto relativo alla pretesa violazione delle norme citate. La difesa aveva osservato che l'unica norma con certezza applicabile era l'art. 359 c.p.p. ma, anche a voler ritenere, applicabile l'art. 231 c.p.p., non sussisteva la grave violazione di legge in quanto la sostituzione del consulente è comunque facoltativa e non era stata adottata in quanto decisione inopportuna per ragioni di ordine processuale; in ogni caso la scelta per la revoca rientrava nella discrezionalità del giudice e non era sindacabile da parte della Sezione disciplinare nel merito.

Il motivo appare infondato in quanto la sentenza impugnata non ha ritenuto la responsabilità dell'incolpata, nei limiti prima indicati, in relazione alla mancata sostituzione del consulente tecnico, ma per avere omesso qualsiasi tipo di provvedimento mirato al tempestivo deposito da parte del consulente della relazione. La sentenza infatti ha ritenuto, sulla base delle dichiarazioni rese dalla consulente e dalla mancanza in atti di qualsiasi sollecito allo stesso, che la G. si fosse dimenticata del procedimento nonostante la gravissima imputazione e lo stato di detenzione dell'indagato e, quindi, il decorso obiettivo dei termini di custodia cautelare di fase durante questo periodo di inazione. Come si dice chiaramente a pag. 4 della sentenza impugnata se l'incolpata avesse attivato i suoi poteri di verifica sulla puntuale consegna dell'elaborato peritale (per il deposito del quale erano stati assegnati 90 giorni) avrebbe potuto valutare l'opportunità (o la necessità) di disporre, in caso di risposta negativa, la sua sostituzione. Non vi è stata quindi alcun sindacato di merito sulle scelte giudiziarie dell'incolpata.

5. Con il secondo motivo si allega l'illogicità della motivazione sul punto ritenuto decisivo della pretesa mancanza di solleciti alla consulente per il deposito della relazione. Pur risultando agli atti la mancanza di atti di sollecito formali (inopportuni visto che si trattava di una nota professionista) a livello verbale la consulente era stata sollecitata e si era contraddetta nelle dichiarazioni in quanto era emerso che aveva scritto al Procuratore capo una relazione nella quale aveva allegato una particolare difficoltà di indagine. Non era logico che l'incolpata non avesse fatto solleciti verbali ed era del tutto razionale e conforme a ragioni di opportunità processuale che poi si fosse orientata per la richiesta di proroga.

Il motivo appare infondato in quanto diretto ad una rivisitazione del "fatto" come tale inammissibile in quanto tale in questa sede posto che la sentenza impugnata ha ritenuto che l'incolpata si fosse dimenticata dell'incombente del deposito della relazione sulla base delle dichiarazioni rese dalla stessa consulente e dell'assenza di qualsiasi sollecito negli atti di causa nonostante l'inerzia si sia prolungata per ben 13 mesi. Ora la motivazione appare congrua e coerente sul piano logico e non presenta alcuna contraddizione perchè gli elementi offerti nella motivazione sono tutti univoci e concordanti nell'avvalorare la ricostruzione adottata dalla Sezione disciplinare: il lungo periodo di tempo per depositare una relazione stimata "fattibile" in 90 giorni in un procedimento con un'imputazione molto grave e con l'imputato in stato di detenzione (con il conseguente decorso dei termini custodiali di fase), le dichiarazioni rese dal consulente riportate in sentenza, la mancanza di solleciti riscontrabili documentalmente alla consulente.

6. Con l'ultimo motivo si allega l'omessa motivazione, sostanzialmente apparente, in ordine alla mancata applicazione della L. n. 109 del 2006, art. 3 bis. La motivazione era apparente sull'effettiva lesione dell'immagine del magistrato posto che la scarcerazione non era dipesa da scelte del magistrato, ma dalla decisione del Tribunale del riesame che aveva annullato la richiesta di proroga.

Il motivo appare infondato in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto che il comportamento tenuto dall'incolpata abbia violato i doveri fondamentali del magistrato in relazione al procedimento nel quale la vicenda si inserisce per un reato gravissimo come l'omicidio e con un imputato in stato di detenzione. In un caso del genere appare evidente come, sia pure sinteticamente, indicato in sentenza, l'omissione dei controlli e delle verifiche dovuti sulla tempistica prevista nella consegna della relazione peritale per ben 13 mesi con conseguente necessità di richiesta di una proroga (la cui esclusione ha poi determinato la scarcerazione dell'imputato di un gravissimo delitto) compromettano inevitabilmente l'immagine e la reputazione del magistrato e, quindi, dell'organizzazione della giustizia trasmettendo l'impressione di una carenza di correttezza e di rigore nel rispetto dei tempi processuali anche in presenza di reati di estrema rilevanza e di esigenze cautelari già riscontrate dall'autorità giudiziaria procedente, sicchè appare corretto e idoneamente motivato l'accertamento per cui i beni giuridici protetti sono stati effettivamente lesi e che il fatto non possa ritenersi, in virtù di quanto supra osservato, di scarsa rilevanza. Va ricordato l'insegnamento di questa Corte secondo il quale "in materia di procedimento disciplinare a carico di magistrati, l'esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis si applica - sia per il suo tenore letterale che per la sua collocazione sistematica - a tutte le ipotesi di illecito disciplinare, allorchè la fattispecie tipica sia stata realizzata ma il fatto, per particolari circostanze anche non riferibili all'incolpato, non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico tutelato, secondo una valutazione che costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, soggetta a sindacato di legittimità soltanto ove viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente o illogico" (Cass. Sez. un. 13 Luglio 2017 n, 17327): nel caso in esame la lesione per la sentenza impugnata si è verificata e la Sezione disciplinare ha spiegato le ragioni di tale convinzione in modo idoneo e plausibile sul piano logico- argomentativo.

Si deve quindi rigettare il ricorso.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018.