Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20753 - pubb. 09/11/2018

Prova del riconoscimento di debito effettuato dall’imprenditore poi fallito e posizione di terzo del curatore

Cassazione civile, sez. VI, 04 Ottobre 2018, n. 24383. Est. Dolmetta.


Fallimento - Riconoscimento di debito effettuato dall'imprenditore poi fallito - Prova del credito da parte del beneficiario che faccia domanda di insinuazione nel passivo - Inversione dell'onere della prova ex art. 1988 c.c.



Rimessa alla discussione in pubblica udienza la questione del valore da assegnare al riconoscimento di debito effettuato dall'imprenditore poi fallito, in relazione alla prova del credito da parte del beneficiario che faccia domanda di insinuazione nel passivo fallimentare di quegli. Se anche in quest'ambito - e quindi pure nei confronti del curatore fallimentare -, cioè, valga la regola dell'inversione dell'onere della prova stabilita dalla norma dell'art. 1988 c.c., o se, per contro, la peculiare posizione, che sia da riconoscere al curatore, comporti l'inapplicazione della detta norma.

L'orientamento, che può senz'altro definirsi tradizionale, muove dall'assunto che - nell'ambito del processo di verifica del passivo - il curatore riveste la posizione di terzo qualificato, con la conseguente disapplicazione delle regole propriamente dettate per le parti dirette del rapporto (cfr., tra le altre, la decisione 22 novembre 2007, n. 24320). In questa prospettiva, più in particolare, è stata più volte ritenuta l'inopponibilità al curatore della confessione resa dall'imprenditore di poi fallito (cfr., così, Cass., 18 dicembre 2012, n. 23318; Cass., 19 ottobre 2017, n. 24690). Ora, a considerare riferibile all'ipotesi della confessione la regola della terzietà del curatore, l'inopponibilità allo stesso del riconoscimento di debito sembrerebbe, a ben vedere, soluzione pressochè obbligata, in quanto frutto diretto di un argomento a fortiori (nella variante a malori ad minus).

A fronte di questo orientamento si pone, nella recente giurisprudenza di questa Corte, la pronuncia di Cass., 20 aprile 2018, n. 9929. Questa, infatti, ha diversamente stabilito che "non v'è ragione per ritenere, in caso di fallimento dell'autore della ricognizione" di debito, senz'altro inopponibile al curatore fallimentare l'effetto giuridico discendente dalla medesima, dovendosi affermare, invece, che l'esistenza del rapporto fondamentale si dovrà presumere salva la prova, di cui è ovviamente onerato proprio il curatore, dell'inesistenza o dell'invalidità dello stesso". Si tratta di un'impostazione che, a quanto parrebbe almeno, viene a superare la consueta concezione del curatore fallimentare in termini di terzo. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro - Presidente -

Dott. CRISTIANO Magda - Consigliere -

Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -

Dott. MARULLI Marco - Consigliere -

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

 

1.- Il Fallimento della s.r.l. (*) ricorre per cassazione nei confronti della s.p.a. Banca Nazionale del Lavoro, articolando tre motivi avverso il decreto emesso dal Tribunale di Fermo in data 3 maggio 2017.

L'intimata Banca non ha svolto difese nel presente grado del giudizio.

Il Fallimento ricorrente ha presentato memoria ex art. 380 bis c.p.c.

2.- In sede di giudizio di opposizione all'esclusione dallo stato passivo, il Tribunale di Fermo ha ritenuto fondata l'impugnazione proposta dalla Banca in relazione a una richiesta di ammissione in via di prelazione ipotecaria per un credito di Euro 501.868,51 derivante da saldo debitore di conto corrente e di conto prefinanziamento.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto che tale credito risultasse provato - pur nel difetto di tempestiva produzione degli estratti conto - dall'atto di ricognizione di debito "di cui alla scrittura autenticata del 13 marzo 2012", posto in essere dalla società di poi fallita nei confronti della Banca. A tale atto il giudice ha assegnato il valore probatorio di cui all'art. 1988 c.c., altresì constatando che "la prova della inesistenza o nullità del rapporto obbligatorio, nella specie, non è stata fornita dal Fallimento".

Il Tribunale ha inoltre ritenuto che - in relazione al negozio di ipoteca posto a garanzia del credito in discorso - non era possibile vagliare "la sussistenza dei requisiti, pure prospettati dal Fallimento, di cui all'art. 2901 c.c., rispetto ai quali è necessario, semmai, un accertamento nell'opportuna sede di cognizione ordinaria (si rileva incidentalmente che il Fallimento non ha allegato di avere esperito alcuna azione revocatoria volta alla declaratoria di inefficacia della costituzione dell'ipoteca in oggetto)".

3.- I motivi di ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.

Il primo motivo assume "violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 1988 c.c., in relazione all'art. 2697 c.c. e alla L. Fall., art. 93, per avere il Tribunale di Fermo ritenuto efficace il contenuto dell'atto di ricognizione di debito (scrittura privata autenticata 22.11.2011) nei confronti del curatore fallimentare, in base all'art. 1988 c.c., anzichè applicare l'art. 2697 c.c. e la L. Fall., art. 93, dichiarando erroneamente che, in difetto di prova contraria, l'opponente ha provato il proprio credito mediante detta scrittura, con conseguente illegittima ammissione a passivo fallimentare" della Banca in via privilegiata.

Il secondo motivo assume, a sua volta, "violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 2697 c.c. e della L. Fall., artt. 93 e 99, anche in riferimento all'art. 1988 c.c., per avere il Tribunale di Fermo ritenuto provato il credito di Euro 501.868,51, in difetto di produzione degli estratti conto, sulla sola base della scrittura privata unilaterale autenticata del 22.11.2011 con conseguente illegittima ammissione al passivo Fallimentare" della Banca in via privilegiata.

Il terzo motivo assume, poi, "violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, della L. Fall., art. 95, per avere il Tribunale di Fermo, in riferimento all'eccezione di inefficacia dell'atto di concessione di ipoteca volontaria 22.11.2011 formulata dal Curatore, affermato l'impossibilità di vagliare in sede di giudizio di opposizione allo stato passivo la sussistenza dei requisiti dell'art. 2901 c.c., con conseguente esclusione della facoltà attribuita al curatore dalla L. Fall., art. 95, comma 1, di eccepire l'inefficacia del titolo su cui è fondato il credito e il diritto di prelazione, con conseguente illegittima ammissione in via privilegiata al passivo fallimentare della Banca".

4.- Il primo motivo di ricorso pone la questione del valore da assegnare al riconoscimento di debito, effettuato dall'imprenditore poi fallito, in relazione alla prova del credito da parte del beneficiario che faccia domanda di insinuazione nel passivo fallimentare di quegli. Se anche in quest'ambito - e quindi pure nei confronti del curatore fallimentare -, cioè, valga la regola dell'inversione dell'onere della prova stabilita dalla norma dell'art. 1988 c.c., o se, per contro, la peculiare posizione, che sia da riconoscere al curatore, comporti l'inapplicazione della detta norma.

Con riferimento a tale specifica questione, il Collegio rileva che, nell'attuale, la giurisprudenza di questa Corte non risulta mostrare un panorama compatto.

L'orientamento, che può senz'altro definirsi tradizionale, muove dall'assunto che - nell'ambito del processo di verifica del passivo - il curatore riveste la posizione di terzo qualificato, con la conseguente disapplicazione delle regole propriamente dettate per le parti dirette del rapporto (cfr., tra le altre, la decisione 22 novembre 2007, n. 24320). In questa prospettiva, più in particolare, è stata più volte ritenuta l'inopponibilità al curatore della confessione resa dall'imprenditore di poi fallito (cfr., così, Cass., 18 dicembre 2012, n. 23318; Cass., 19 ottobre 2017, n. 24690). Ora, a considerare riferibile all'ipotesi della confessione la regola della terzietà del curatore, l'inopponibilità allo stesso del riconoscimento di debito sembrerebbe, a ben vedere, soluzione pressochè obbligata, in quanto frutto diretto di un argomento a fortiori (nella variante a malori ad minus).

A fronte di questo orientamento si pone, nella recente giurisprudenza di questa Corte, la pronuncia di Cass., 20 aprile 2018, n. 9929. Questa, infatti, ha diversamente stabilito che "non v'è ragione per ritenere, in caso di fallimento dell'autore della ricognizione" di debito, senz'altro inopponibile al curatore fallimentare l'effetto giuridico discendente dalla medesima, dovendosi affermare, invece, che l'esistenza del rapporto fondamentale si dovrà presumere salva la prova, di cui è ovviamente onerato proprio il curatore, dell'inesistenza o dell'invalidità dello stesso". Si tratta di un'impostazione che, a quanto parrebbe almeno, viene a superare la consueta concezione del curatore fallimentare in termini di terzo.

5.- Posto questo insieme di rilievi, il Collegio ritiene di non ravvisare evidenze decisorie tali da consentire la definizione del ricorso presso la c.d. sezione filtro, sicchè lo stesso deve essere avviato, a norma dell'art. 380 bis c.p.c., comma 3, alla discussione in pubblica udienza presso la sezione che è tabellarmente competente.

 

P.Q.M.

La Corte dispone la rimessione del ricorso alla pubblica udienza della Sezione Prima.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 22 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018.