Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20747 - pubb. 08/11/2018

Sulla reviviscenza delle garanzie a servizio del credito il cui pagamento sia stato revocato

Cassazione civile, sez. VI, 05 Ottobre 2018, n. 24627. Est. Dolmetta.


Fallimento - Insinuazione al passivo - Diritto ad insinuarsi al passivo per quanto restituito a seguito della revoca - Reviviscenza delle garanzie che assistono il credito - Esclusione



Non esiste un principio generale di reviviscenza delle garanzie a servizio del credito il cui pagamento sia stato revocato; la norma dell'art. 70, comma 2, l. fall. è, infatti, chiara nell'indicare che il diritto di insinuarsi del creditore che abbia subito l'azione revocatoria nasce dall'effettiva restituzione di quanto revocato, nella misura del restituito trovando pure il suo limite invalicabile; si tratta dunque di un credito nuovo, che ha direttamente fonte nella legge (e che, seppur successivo alla sentenza dichiarativa, per ragioni di equità distributiva viene eccezionalmente ammesso al concorso). Sul piano sistematico, del resto, la detta ricostruzione risulta confermata, altresì, dal testo dell'art. 2902 c.c., comma 2, che, in materia di revocatoria ordinaria, discorre senz'altro di soggetto "che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria". (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro - Presidente -

Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere -

Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -

Dott. FERRO Massimo - Consigliere -

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

1.- Subita azione revocatoria L. Fall., ex art. 67, in relazione all'incameramento del prezzo della vendita di titoli datile in pegno dalla società poi fallita, la Banca Patavina ha chiesto l'ammissione al passivo L. Fall., ex art. 70, comma 2, con prelazione pignoratizia sul denaro restituito.

Il giudice delegato ha invece ammesso il credito al chirografo, poggiando la decisione, da un lato, sul "principio per cui "la prelazione non può farsi valere se la cosa data in pegno non è rimasta in possesso del creditore" di cui all'art. 2787 c.c., comma 2"; dall'altro, sulla pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite, 28 marzo 2016 n. 7028, "che ha confermato la natura "distributiva" dell'azione revocatoria fallimentare che mira a ristabilire la par condicio creditorum violata con atti di disposizione dei beni del fallito, quand'anche fossero destinati a soddisfare creditori privilegiati".

3.- Con decreto del 20 febbraio 2017, il Tribunale di Padova ha confermato la decisione del giudice delegato, respingendo i motivi di opposizione formulati dalla Banca.

In particolare, il Tribunale ha escluso l'applicabilità alla fattispecie concreta del D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 5, come inerente alle c.d. garanzie finanziarie; e pure ha escluso l'applicabilità alla fattispecie del principio espresso dalla sentenza a Sezioni Unite n. 7028/2006, che la Banca aveva invocato a conforto della propria tesi.

3.- La Banca Patavina ricorre adesso per cassazione, articolando due motivi di cassazione nei confronti del richiamato decreto del Tribunale di Padova.

Resiste il Fallimento della s.r.l. (OMISSIS) con controricorso.

Entrambe le parti hanno anche depositato memoria.

4.- Il primo motivo di ricorso è intestato "error in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 3 - Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 70, comma 2, art. 2787 c.c., comma 2 e D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 5".

Con questo motivo, la Banca ricorrente sostiene l'applicazione alla fattispecie concreta della normativa della legge sulle c.d. garanzie finanziarie, di cui ricorrono - così si precisa - "i presupposti sia oggettivi sia soggettivi". Assunta l'applicazione di tale normativa, il motivo si sviluppa richiamando in particolare l'art. 5 della stessa, per cui il creditore pignoratizio "può disporre anche mediante alienazione delle attività finanziarie", essendo tenuto in tal caso a "ricostituire la garanzia equivalente in sostituzione di quella originaria". Ad avviso della Banca, tale norma dimostra la "ontologica possibilità della garanzia finanziaria di trasferirsi sul denaro ricavato dalla vendita dei titoli che ne formavano originariamente l'oggetto".

Ora, prosegue ancora il motivo, tale norma - seppur di per sè riguardante l'ipotesi di sostituzione dei titoli originariamente dati in pegno con altri - risulta "applicabile in via analogica" alla fattispecie concretamente in oggetto, proprio in ragione di detta "ontologica possibilità".

In via ulteriore, e distinta, il motivo aggiunge anche che "nel nostro ordinamento" sussiste un "principio generale della reviviscenza della garanzia prestata dal debitore, unitamente alla reviviscenza del credito a seguito dell'esercizio della revocatoria fallimentare". La L. Fall., art. 70, comma 2, "prevede infatti la reviviscenza del credito verso la massa del soggetto che abbia dovuto restituire un pagamento ricevuto a seguito di azione revocatoria. Corollario di tale norma è la reviviscenza delle garanzie accessorie a tale credito, purchè prestate dallo stesso debitore".

5.- Il motivo non può essere accolto.

Del tutto correttamente la pronuncia impugnata ha messo in evidenza la differenza strutturale tra l'ipotesi di sostituzione "rotativa" dei beni dati in pegno, di cui al D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 5 e l'ipotesi qui rilevante, nella quale "si è verificata... una escussione della garanzia, che in quanto tale è incompatibile con la prosecuzione della garanzia medesima: l'escussione è invero l'atto finale della garanzia che pone un termine alla stessa esistenza della garanzia pignoratizia". Tant'è vero - pare opportuno aggiungere - che, nel caso di vendita dei titoli con incameramento del ricavato, non ha proprio senso ipotizzare un obbligo del creditore di ricostituire la garanzia, secondo quanto è invece intimo all'ipotesi contemplata dal citato art. 5, dato appunto che questa concerne il caso di sostituzione "rotativa" dei beni ottenuti in garanzia.

Neppure risulta condivisibile l'idea che la norma della L. Fall., art. 70, comma 2, esprima un principio generale di reviviscenza delle garanzie a servizio del credito il cui pagamento è stato revocato. A non convincere è, prima di ogni altra cosa, proprio la base dell'idea, secondo cui a "rivivere" è il credito revocato.

In realtà, la norma dell'art. 70, comma 2, è chiara nell'indicare che il diritto di insinuarsi del creditore revocato nasce dall'effettiva restituzione di quanto revocato, nella misura del restituito trovando pure il suo limite invalicabile. Si tratta dunque di un credito nuovo, che ha direttamente fonte nella legge (e che, seppur successivo alla sentenza dichiarativa, per ragioni di equità distributiva viene eccezionalmente ammesso al concorso). Sul piano sistematico, del resto, la detta ricostruzione risulta confermata, altresì, dal testo dell'art. 2902 c.c., comma 2, che, in materia di revocatoria ordinaria, discorre senz'altro di soggetto "che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria".

Resta da aggiungere, sotto il profilo funzionale, che a ritenere diversamente - ad assegnare, cioè, la prelazione sul restituito al creditore in precedenza garantito da pegno -, in questa ipotesi lo stesso esercizio dell'azione revocatoria verrebbe, in buona sostanza, a perdere quasi del tutto significato (su questo punto v. pure nel n. 7).

6.- Il secondo motivo di ricorso è intestato "errores in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 3 - Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 70, comma 2, in relazione alla L. Fall., artt. 111 bis e 111".

Rileva dunque la ricorrente che la natura della revocatoria fallimentare è "ridistributiva" dell'attivo fallimentare: nel senso che è ""come se" l'atto revocato non fosse stato posto in essere. Nel caso di specie l'atto revocato è una escussione di pegno consolidato. E' evidente che, se tale atto non fosse stato posto in essere, sul maggiore attivo da distribuire avrebbe dovuto essere riconosciuta la prelazione prelatizia spettante alla Banca".

"L'unico effetto di una distribuzione, come ben chiarito da Cass. SS.UU. n. 7028 del 28 marzo 2006 dovrebbe essere quello di destinare la somma alla soddisfazione dei creditori aventi ragioni di prelazione poziore o pari rispetto a quelle del creditore che subisce la revocatoria". Altrimenti, puntualizza il motivo, si crea una ingiustificata disparità di trattamento tra il creditore pignoratizio che ha escusso la garanzia e i creditori pignoratizi, che hanno ritenuto di assumere un "atteggiamento attendista".

7.- Il motivo non può essere accolto.

Lo stesso non si confronta con l'effettiva ratio della decisione adottata dal Tribunale di Padova. Che consiste nel rilevare che la sentenza di Cass. SS.UU. n. 7028/2006 è relativa a una fattispecie in cui il creditore, che ha subito la revoca, era assistito da un "privilegio generale" e non già da "un privilegio speciale" (non diverso da quest'ultimo - può essere utile puntualizzare - il caso della prelazione di ordine pignoratizio). Solo nel primo caso è "ipotizzabile il concorso di altri creditori concorsuali o prededucibili privilegiati sul ricavato di uno specifico bene", non anche nel secondo, dove il privilegio tornerebbe utile, in definitiva, solo al creditore che ha subito la revoca.

La Banca ricorrente fa sostanziale riferimento, quindi, a un sistema diverso da quello attuale: a un sistema, cioè, in cui il pagamento di crediti assistiti da garanzia specifica è in buona sostanza ipotesi sottratta, pressochè ex se, all'azione revocatoria fallimentare. Nel sistema vigente, riscontra la pronuncia del Tribunale veneto (facendo proprio lo sviluppo argomentativo della pronuncia di Cass., 26 febbraio 2010, n. 4785), invece, rimane basico, "di fondo", il rilievo che "l'effetto pernicioso resta eziologicamente imputabile al mancato rispetto delle regole di protezione della par condicio creditorum; e prima ancora, all'emissione di un'iniziativa giudiziale per l'estromissione dell'imprenditore dal mercato, su iniziativa del creditore (tanto più se, a sua volta, imprenditore qualificato, come un istituto bancario) consapevole della sua insolvenza, per evitare l'aggravamento del danno collettivo".

8.- In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 5.000,00 (di cui Euro 100 per esborsi).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, in ragione dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 20 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2018.