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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20410 - pubb. 01/07/2010.

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Tribunale di Catanzaro, 28 Marzo 2018. .

Azione individuale del socio e del terzo di cui all’art. 2395 c.c. – Presupposti – Fatto illecito – Profilo soggettivo – Dolo – Caratteristiche – Consapevolezza e volontà – Colpa


Con riferimento al primo profilo accennato, merita di essere osservato come la responsabilità non possa essere invocata sulla base delle incidenze negative di scelte gestionali inopportune, dovendosi, al contrario, esigere un fatto illecito, cioè un comportamento (doloso o colposo), che integri la violazione degli obblighi dell’amministratore medesimo, sia di quelli specifici inerenti alla carica, sia di generali stabiliti dall’ordinamento a tutela dei diritti dei terzi (cfr., in questa prospettiva, cass. n. 2394/1997).

In relazione, poi, al profilo soggettivo richiesto dalla norma in argomento, il tribunale rileva come il dolo consiste nella volontà di compiere l’atto illecito senza che sia ulteriormente necessario, ad integrare la fattispecie di responsabilità, che il profilo soggettivo sia concretamente diretto contro un determinato soggetto: il dolo dell’amministratore deve consistere nella consapevolezza dell’obiettiva idoneità dell’atto che si accinge a compiere a cagionare un danno ai naturali destinatari dello stesso e nella volontà di compierlo nonostante la previsione che un tale danno possa concretamente verificarsi.

Parallelamente, la colpa, in armonia con i principi generali elaborati in dottrina ed in giurisprudenza, potrà consistere in un comportamento del pari cosciente, ma in cui l’evento pregiudizievole sia indotto non già da premeditazione, quanto piuttosto da negligenza, imprudenza o imperizia.

L’azione concessa dall’art. 2395 c.c. al socio e al terzo presuppone che i danni a questi derivati siano conseguenza di atti dolosi o colposi degli amministratori, che non possono essere ricondotti al mero inadempimento delle obbligazioni della società.

In altre parole, se la società è inadempiente per non avere rispettato gli obblighi ad essa derivanti da un rapporto contrattuale stipulato con un terzo, di questi danni risponde la società e soltanto la società (qui il rapporto di immedesimazione organica tra la società e le persone che per essa vogliono e agiscono si manifesta in tutta la sua portata, per cui, come incisivamente si è detto, l’atto dell’amministratore non è atto compiuto per conto della società, ma è atto "della" società); se viceversa, accanto a questo inadempimento sociale, vengono dedotti specifici comportamenti degli amministratori, dolosi o colposi, che di per se stessi abbiano cagionato ai terzi un danno diretto, di questo risponderanno gli amministratori, la cui responsabilità potrà eventualmente aggiungersi - senza sostituirla o sopprimerla - a quella della società per l’inadempimento (cfr., in questi termini, cass. n. 5723/1991; cass. n. 3843/2001; cass. n. 2251/1998 e, da ultimo, cass. n. 15220/2010).

La responsabilità ex art. 2395 c.c. dell’amministratore di società, data la sua natura extracontrattuale, non si estende al danno derivato all’altro contraente dall’inadempimento del contratto stipulato all’esito dell’attività suindicata del quale risponde la società, a titolo di responsabilità contrattuale, ma concerne solo il danno direttamente ricollegabile, con nesso di causalità immediata, ai predetti fatti illeciti dell’amministratore, unicamente di questi ultimi potendosi far carico al medesimo, ai fini del risarcimento del danno all’altro contraente danneggiato (cfr. cass. n. 14/1982).

Sotto il profilo del nesso eziologico, deve sin da ora sottolinearsi come l’azione in argomento è data al terzo e al singolo socio esclusivamente nell’ipotesi in cui gli amministratori abbiano cagionato un danno che abbia inciso, in maniera negativa, direttamente sul patrimonio dell’attore. Il nesso di causalità tra l’atto compiuto dall’amministratore ed il danno costituisce elemento indispensabile di cui l’attore, singolo socio o terzo che sia, è onerato di fornire la prova e si sostanza nella riferibilità all’amministratore medesimo dell’atto da cui scaturisce il pregiudizio.

In definitiva, presupposti dell’azione delineata dall’art. 2395 c.c. sono l’evento dannoso, la diretta incidenza di tale evento sul patrimonio del socio o del terzo; la riferibilità dell’evento stesso all’amministratore convenuto o meglio il collegamento causale tra la condotta dell’amministratore e l’evento, il dolo o la colpa dell’amministratore. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)