Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20378 - pubb. 11/01/2018

Continenza tra giudizio pendente in grado d'appello per credito iscritto a ruolo fra l'Inps e curatela di un fallimento e procedimento di ammissione al passivo

Cassazione civile, sez. VI, 08 Maggio 2012, n. 7025. Est. Didone.


Credito Inps nei confronti di società fallita - Azione davanti al giudice del lavoro - Domanda di ammissione al passivo di Equitalia - Spostamento della competenza della causa ordinaria al giudice fallimentare - Continenza - Esclusione - Conseguenze - Continuazione del giudizio davanti al giudice del lavoro - Necessità – Fattispecie



Non sussiste rapporto di continenza tra il giudizio pendente in grado d'appello per un credito iscritto a ruolo fra l'Inps e la curatela di un fallimento ed il procedimento di ammissione al passivo in seguito a domanda proposta da Equitalia relativa al medesimo credito, alla luce dell'interpretazione estensiva dell'art. 96, secondo comma, n. 3, della legge fallimentare, nella sua nuova formulazione, che sia costituzionalmente coerente con il canone della ragionevole durata del processo. Il medesimo principio trova applicazione tanto più ove sia sopraggiunta una pronuncia di primo grado del giudice del lavoro, dovendo il procedimento nei gradi successivi continuare davanti a tale organo giudiziario. (Nella specie, la Corte ha cassato la sentenza dichiarativa della continenza emessa dalla corte d'appello, spogliatasi della controversia in favore del tribunale fallimentare, disponendo la continuazione del giudizio davanti alla stessa corte d'appello).


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME' Giuseppe - Presidente

Dott. MACIOCE Luigi - Consigliere

Dott. DIDONE Antonio - rel. Consigliere

Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

 

ordinanza

1.- La relazione depositata ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: 1. - Il giudice delegato del fallimento della s.r.l. Eco Salento, aperto presso il Tribunale di Lecce, ha sollevato conflitto negativo di competenza ex art. 45 c.p.c. nei confronti della sentenza della Corte di appello di Lecce del 23.4.2009 con la quale è stata ritenuta la continenza tra il giudizio pendente in grado di appello tra l'INPS e la curatela fallimentare, avendo l'Istituto previdenziale impugnato la sentenza n. 8031/2006 con la quale il giudice del lavoro aveva annullato il ruolo emesso nei confronti della società fallita, e il procedimento di ammissione al passivo del predetto fallimento relativo alla domanda proposta da Equitalia il 23.7.2008.

La causa è stata riassunta dall'INPS con ricorso del 4.11.2009, qualificato dal Tribunale come domanda di ammissione al passivo e come tale trasmessa al giudice delegato.

Il giudice delegato ha rilevato che, all'udienza del 9.2.2009, provvedendo sulla domanda di ammissione al passivo presentata da Equitalia, aveva ammesso il credito dell'INPS per Euro 554.102,50, oltre la "quota proporzionale delle spese di ammissione", con riserva perchè in relazione a quel credito era intervenuta sentenza di primo grado del giudice del lavoro che aveva annullato il ruolo. L'INPS aveva proposto appello e il curatore era stato autorizzato a resistere al gravame in data 11.12.2008.

Il giudice configgente ha, tra l'altro, osservato che la declaratoria di continenza - peraltro pronunciata in relazione a giudizi pendenti in diverso grado - ha prodotto una situazione di "stallo", stante anche la mancata proposizione di regolamento necessario da parte dell'INPS che aveva, invece, tempestivamente riassunto la causa dinanzi al tribunale fallimentare.

La curatela fallimentare ha depositato scrittura difensiva.

2.- La richiesta di regolamento di competenza d'ufficio dovrebbe essere decisa nel senso della inesistenza della ritenuta competenza per continenza del tribunale fallimentare. Il giudice configgente richiama anche la giurisprudenza consolidata che nega che si possa ipotizzare una litispendenza fra due cause fra le stesse parti quando esse pendano in gradi diversi. Sennonchè, potendo in tal caso ricorrere, eventualmente, un'ipotesi di sospensione del processo "ex" art. 295 cod. proc. civ. (v., per tutte, Sez. 3, Ordinanza n. 8833 del 18/06/2002), sospensione che produrrebbe analogo "stallo" in ordine alla tutela giurisdizionale richiesta da una parte, la regola da applicare nella concreta fattispecie è diversa.

La L. Fall., art. 96, nel testo introdotto dalla riforma, prevede che, oltre che nei casi stabiliti dalla legge, sono ammessi al passivo con riserva:

1) i crediti condizionati e quelli indicati nell'art. 55, u.c.;

2) i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al creditore, salvo che la produzione avvenga nel termine assegnato dal giudice;

3) i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento. Il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione.

La disciplina dettata dal n. 3 della disposizione sostituisce quella di cui al previgente L. Fall., art. 95, comma 3, in forza della quale, in sede di accertamento del passivo, se il credito risulta da sentenza non passata in giudicato, è necessaria l'impugnazione se non si vuole ammettere il credito medesimo.

Il nuovo L. Fall., art. 113-bis, introdotto dalla riforma, prevede che quando si verifica l'evento che ha determinato l'accoglimento di una domanda con riserva, su istanza del curatore o della parte interessata, il giudice delegato modifica lo stato passivo, con decreto, disponendo che la domanda deve intendersi accolta definitivamente.

3.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte la norma della L. Fall., art. 95, comma 3 - nel testo applicabile "ratione temporis", anteriore alla sostituzione disposta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 80 - va interpretata estensivamente e trova applicazione, pertanto, anche nel caso in cui il fallimento sopravvenga alla sentenza di rigetto, anche solo parziale, della domanda proposta da un creditore, il quale deve, quindi, impugnarla, onde evitarne il passaggio in giudicato; tale interpretazione estensiva è coerente con il principio di durata ragionevole del processo, ex art. 111 Cost., e trova conforto nella più recente formulazione della L. Fall., art. 96, comma 2, n. 3. Ne consegue, che ove a seguito dell'impugnazione della sentenza di rigetto (anche parziale) della domanda da parte del creditore, il giudizio, interrottosi per la dichiarazione di fallimento del debitore, sia perseguito dal curatore o nei confronti dello stesso, la sentenza di accertamento del credito eventualmente emessa in riforma di quella di primo grado spiega efficacia nei confronti del fallimento, allo stesso modo di quella di rigetto dell'impugnazione proposta o proseguita dal curatore, in caso di accoglimento della domanda in primo grado (Sez. 1, Sentenza n. 26041 del 23/12/2010).

Tali conclusioni, cui la giurisprudenza di legittimità è pervenuta in epoca anteriore alle recenti modifiche della legge fallimentare, trovano oggi ulteriore conforto, oltre che nel canone di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., comma 2, (nel testo introdotto dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) , il quale impone di privilegiare soluzioni idonee ad evitare inutili duplicazioni di attività processuali, anche nella nuova formulazione della L. Fall., art. 96, che al comma 2, n. 3, prevede espressamente l'ammissione al passivo con riserva dei crediti accertati con sentenza non ancora passata in giudicato pronunziata prima della dichiarazione di fallimento, imponendo nel contempo al curatore di proporre o proseguire il giudizio d'impugnazione (Sez. 1, Sentenza n. 26041 del 23/12/2010, in motivazione). Il principio sopra enunciato, pertanto, è applicabile anche alla luce del nuovo L. Fall., art. 96. 4.- Il rapporto tra la norma di cui alla L. Fall., art. 96, n. 3, e la L. Fall., art. 113 bis, sarebbe stravolto qualora il giudice del gravame, la cui decisione è considerata alla stregua di una condizione al cui verificarsi è collegato lo scioglimento della riserva, dovesse sospendere il processo ex art. 295 c.p.c. ovvero ritenesse la continenza con il procedimento di verifica del passivo che, in relazione al credito oggetto del giudizio di gravame, si è, in realtà, già concluso con un provvedimento di ammissione condizionato, ossia l'ammissione con riserva.

La disciplina dettata dalla L. Fall., art. 96, per contro, è proprio nel senso di favorire la continuazione del giudizio ordinario già pendente nel quale sia stata pronunciata già una sentenza, di accoglimento o di rigetto della pretesa del creditore della parte poi dichiarata fallita.

L'istanza di regolamento, dunque, può essere decisa in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. nel senso che il giudizio deve riprendere dinanzi alla Corte di appello. p. 2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano.

La decisione di dichiarazione della continenza deve essere cassata e la causa deve essere rimessa per la continuazione dinanzi alla Corte di appello di Lecce.

Le spese processuali del presente procedimento possono essere compensate.

 

P.Q.M.

La Corte cassa la sentenza dichiarativa di continenza e rimette la causa per la continuazione dinanzi alla Corte di appello di Lecce.

Dichiara compensate le spese del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2012.