Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20307 - pubb. 01/08/2018

Ricorso per cassazione, esposizione sommaria dei fatti di causa e autonoma partizione del ricorso

Cassazione civile, sez. III, 28 Giugno 2018, n. 17036. Est. Rossetti.


Ricorso per cassazione - Esposizione sommaria dei fatti di causa - Autonoma partizione del ricorso - Necessità - Esclusione - Ragioni



In tema di giudizio di legittimità, per soddisfare il requisito dell'esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dal n. 3 dell'art. 366 c.p.c., non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sé stante del ricorso ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell'atto, attraverso lo svolgimento dei motivi. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano - Presidente -

Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere -

Dott. ROSSETTI Marco - rel. Consigliere -

Dott. PORRECA Paolo - Consigliere -

Dott. ROSSI Raffaele - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

1. Nel 2006 V.C., con due separati atti di citazione, convenne dinanzi al Tribunale di Milano la società Telecom Italia s.p.a. (d'ora innanzi, per brevità, "la Telecom") e la società Internazionale Milano F.C. s.p.a. (d'ora innanzi, per brevità, "l'Internazionale"), esponendo che persone dipendenti o comunque incaricate dalla prima, su incarico di persone dirigenti della seconda, avevano illecitamente intercettato per molto tempo le sue utenze telefoniche, fisse e mobili, senza il suo consenso.

Chiese perciò in ciascun giudizio la condanna della convenuta al risarcimento del danno.

I due giudizi vennero riuniti.

2. Con sentenza n. 9749 del 2012 il Tribunale di Milano accolse la domanda, e condannò le convenute in solido al pagamento in favore dell'attore di 1.000.000 di Euro.

La sentenza venne appellata in via principale dall'Internazionale, ed in via incidentale dalle altre parti.

3. Con sentenza 22 luglio 2015 n. 3205 la Corte d'appello di Milano confermò l'affermazione della responsabilità delle due società convenute, ma ridusse l'importo del quantum debeatur, condannando la società Telecom Italia al pagamento in favore dell'attore della somma di 80.000 Euro, in solido con la società internazionale Milano fino alla concorrenza di Euro 40.000.

4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da V.C., con ricorso fondato su nove motivi (tale indicazione prescinde dalla numerazione adottata dal ricorrente, non coerente con le censure effettivamente mosse alla sentenza impugnata); hanno resistito con controricorso la Telecom e l'Internazionale.

Il ricorrente e la Telecom hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

1. Questioni preliminari:

1.1. Il ricorrente dedusse, nel ricorso per cassazione, che avverso la sentenza d'appello qui impugnata aveva proposto anche ricorso per revocazione dinanzi la Corte d'appello di Milano, ed in quella sede aveva chiesto la sospensione del procedimento di legittimità.

La questione resta superata dalla circostanza che, come dedotto dallo stesso ricorrente con la memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c., il procedimento di impugnazione per revocazione si è ormai concluso, ed è stato deciso con una sentenza di rigetto (Corte d'appello di Milano, 8.1.2018 n. 31).

1.2. Ambedue le società intimate hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, in quanto privo della illustrazione del "fatto".

1.3. L'eccezione è infondata.

Il ricorso proposto da V.C. obiettivamente non presenta la struttura richiesta dall'art. 366 c.p.c., struttura che comunque anche se tale norma mancasse - sarebbe lecito attendersi secondo le regole della logica formale: ovvero leggere nel ricorso, prima d'ogni deduzione, cosa sia stato chiesto dal ricorrente al giudice di merito; quale decisione abbia adottato il giudice di merito; come quest'ultimo abbia motivato la propria sentenza.

Nel ricorso per cassazione proposto da V.C. invece, nelle cinque pagine che precedono l'illustrazione dei motivi (pp. 1-5) non si dice quali condotte l'attore ascrisse ai convenuti negli atti di citazione; non si dice quali domande formulò e per quali ragioni; non si riassumono i motivi d'appello; non si riassumono le ragioni della sentenza impugnata.

L'effettivo contenuto delle domande proposte, delle condotte ascritte alle convenute, dei danni lamentati, e delle motivazioni della sentenza impugnata sono state dal ricorrente sparse, sì come membra disiecta, nella illustrazione delle nove censure nelle quali si articola il ricorso. Sicchè solo con molta pazienza e buona volontà è stato possibile ricostruire, a ritroso, come si sia svolto il processo cui ha messo capo la sentenza oggi impugnata.

Occorre dunque stabilire se un ricorso redatto con tale tecnica scrittoria possa dirsi rispettoso dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e quindi ammissibile.

1.4. Su tale questione la giurisprudenza di questa Corte ha fornito risposte non sempre univoche.

1.5. Secondo un primo orientamento maggioritario e risalente, condiviso da autorevole dottrina:

(a) l'art 366 c.p.c. "non stabilisce un ordine formale di sequenza per la indicazione dei requisiti richiesti dalla norma stessa per il ricorso per Cassazione a pena di inammissibilità";

(b) l'art. 366 c.p.c. consiglia, ma non impone, che i contenuti ivi previsti abbiano un ordine piuttosto che un altro;

(c) di conseguenza, "i fatti che il ricorrente è tenuto ad esporre, al fine della ammissibilità del ricorso (...) possono risultare anche dal contesto del ricorso e dagli argomenti addotti a giustificazione dei motivi".

La sentenza capostipite in questo senso fu Cass. 18.3.1952 n. 720, la quale (richiamando l'identico principio già affermato nella vigenza del codice di procedura civile del 1865 da Cass. 6.2.1939 n. 384) espressamente affermò che gli "opportuni cenni" sullo svolgimento del processo potessero ricavarsi anche "dalla motivazione in diritto del ricorso".

Questo principio dominò incontrastato per mezzo secolo (venne ribadito da Sez. 3, Sentenza n. 429 del 06/03/1962, Rv. 250677 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 990 del 14/05/1962, Rv. 251637 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 1526 del 16/06/1962, Rv. 252436 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 2586 del 14/08/1962, Rv. 253843 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 3087 del 08/11/1962, Rv. 254561 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 560 del 08/03/1963, Rv. 260746 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 1265 del 17/05/1963, Rv. 261873 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 1717 del 25/06/1963, Rv. 262629 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 1824 del 06/07/1963, Rv. 262810 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 1982 del 20/07/1963, Rv. 263066 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 2401 del 29/08/1963, Rv. 263702 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 2658 del 05/10/1963, Rv. 264096 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 785 del 08/04/1964, Rv. 301115 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 1194 del 16/05/1964, Rv. 301709 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 1939 del 16/07/1964, Rv. 302762 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 2647 del 23/10/1964, Rv. 303978 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 590 del 05/04/1965, Rv. 311095 - 01; Sez. 2, Sentenza n. 842 del 07/05/1965, Rv. 311621 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 845 del 08/05/1965, Rv. 311639 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 1558 del 15/07/1965, Rv. 312964 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 1734 del 24/07/1965, Rv. 313286 - 01). Divenne, così, jus receptum la massima secondo cui per soddisfare il requisito dell'esposizione sommaria dei fatti e delle vicende processuali "non occorre un'apposita premessa a sè stante, essendo sufficiente che dall'illustrazione dei motivi del ricorso sia desumibile il quadro delle circostanze di fatto da cui trae origine la controversia" (così Sez. 2, Sentenza n. 1974 del 24/02/1988, Rv. 457863 - 01; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 2967 del - 01; - 01; - 01; - 01; 25/03/1999, Rv. 524542 - 01).

Questo orientamento si è conservato sino ai giorni nostri: ancora di recente questa Corte ha infatti ribadito che "per soddisfare il requisito dell'esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall'art. 366 cod. proc. civ., n. 3 non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso, ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell'atto, attraverso lo svolgimento dei motivi" (Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014; Sez. 3, Ordinanza n. 20395 del 22/09/2009, Rv. 609345 - 01; Sez. 3, Ordinanza n. 20393 del 22/09/2009, Rv. 609346 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 4403 del 28/02/2006, Rv. 587592 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 16360 del 20/08/2004, Rv. 577244- 01; Sez. L, Sentenza n. 7392 del 19/04/2004, Rv. 572162 - 01; Sez. L, Sentenza n. 1959 del 03/02/2004, Rv. 569848 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 8154 del 23/05/2003, Rv. 563460 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 14728 del 21/11/2001,Rv. 550470 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 12681 del 17/10/2001, Rv. 549700 - 01).

1.6. V'è ancora da aggiungere che questo orientamento risalente e "liberale" è stato condiviso dalle Sezioni Unite di questa Corte in sei diverse occasioni, ovvero:

(-) da Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012, Rv. 621813 - 01, nella cui motivazione si legge che "il ricorso non può dirsi inammissibile quand'anche difetti una parte formalmente dedicata all'esposizione sommaria del fatto, se l'esposizione dei motivi sia di per sè autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso";

(-) da Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 01, ove si afferma che per soddisfare il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non è necessario che il ricorso contenga "una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi";

(-) da Sez. U, Sentenza n. 2598 del 29/04/1981, Rv. 413375 - 01, ove si afferma che il precetto di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3, risulta inadempiuto solo quando, oltre a mancare del tutto nel ricorso per Cassazione la esposizione sommaria dei fatti di causa, "questi non siano desumibili neppure dai motivi dedotti";

(-) da Sez. U, Sentenza n. 2708 del 23/08/1972, Rv. 360363 - 01, ove si afferma che il precetto di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3, "deve ritenersi osservato allorchè i fatti di causa, anzichè essere esposti in modo autonomo quale premessa ai motivi, risultino dal contenuto del ricorso";

(-) da Sez. U, Sentenza n. 2700 del 22/08/1972, Rv. 360348 - 01, e Sez. U, Sentenza n. 763 del 10/03/1969, Rv. 339075 - 01, di identico contenuto, ove si afferma che "ai fini del requisito di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 "non è necessario che la esposizione dei fatti di causa costituisca una premessa distinta a se stante rispetto ai motivi di annullamento dedotti dal ricorrente, ma e sufficiente che i presupposti di fatto possano essere desunti dalla enunciazione dei motivi".

1.7. Vi è tuttavia anche un diverso e minoritario orientamento, sviluppatosi in epoca relativamente recente, il quale reputa che la deficitaria esposizione dei fatti della causa nel ricorso per cassazione non possa essere sanata dalla circostanza che quei fatti siano esposti in modo sufficientemente chiaro nella illustrazione dei motivi, almeno nei casi in cui il ricorrente abbia formalmente dichiarato di volere dedicare una parte del proprio ricorso all'esposizione dei fatti della causa, senza poi riuscirvi in modo compiuto.

La sentenza capostipite di questo minoritario orientamento parrebbe essere Sez. 3, Sentenza n. 19756 del 11/10/2005.

Tale decisione ebbe ad oggetto il caso d'un ricorrente incidentale che, dopo avere confutato nel controricorso i motivi dell'impugnazione principale, passò ad esporre i propri, senza esporre lo svolgimento del processo.

La sentenza appena ricordata ritenne inammissibile (giustamente) tale ricorso incidentale, ma dopo avere affermato che anche il ricorso incidentale deve contenere, a pena di inammissibilità, l'esposizione sommaria dei fatti della causa, ritenne di aggiungere che i fatti di causa debbano "indicarsi separatamente dai motivi di ricorso", e ritenne altresì di precisare che in tal senso si erano già pronunciate Cass. 16 settembre 2000 n. 12256 e 5 ottobre 1998 n. 9862.

Si trattò di affermazione nuova ed inusitata: sia perchè mai compiuta prima; sia perchè non venne altrimenti giustificata che col richiamo ai due precedenti appena menzionati; sia, soprattutto, perchè nè Cass. 12256/00, nè Cass. 9862/98 avevano mai affermato che l'esposizione dei fatti di causa debba avvenire a pena di inammissibilità "separatamente dai motivi di ricorso". In ambedue quelle decisioni, infatti, si affermò un principio ben diverso, ovvero che l'esposizione dei fatti di causa deve essere contenuta nel ricorso, e non in fonti ad esso esterne e da esso richiamate, quali la sentenza impugnata o gli atti del giudizio di merito.

1.8. Il contrasto larvatamente inaugurato da Cass. 19756/05, cit., germinò ed ebbe seguito negli anni seguenti.

Un ristretto numero di decisioni, infatti, prese ad affermare che, quando l'esposizione sommaria dei fatti di causa nel ricorso manchi o, secondo taluni, sia insufficiente (le due ipotesi, come si dirà, non sono affatto parificate da questo più recente orientamento), il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, senza possibilità per la Corte di cassazione di ricavare i fatti di causa dall'esposizione dei motivi di ricorso (Sez. 6 - 3, Sentenza n. 19047 del 28/09/2016, Rv. 642129 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 22860 del 28/10/2014, Rv. 633187 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21260 del 08/10/2014, Rv. 632869 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 784 del 16/01/2014, Rv. 629757 - 01).

Le ragioni addotte dall'orientamento più recente a sostegno di questa più rigorosa interpretazione dell'art. 366 c.p.c., n. 3, sono illustrate meglio che altrove nell'ampia motivazione di Cass. 784/14, cit..

Nel caso deciso da tale ordinanza il ricorrente aveva ritenuto di assolvere l'onere di esposizione sommaria dei fatti della causa collazionando in sequenza le copie integrali degli atti del giudizio di merito: e questa Corte, ritenendo inammissibile tale modalità, ritenne che avendo il ricorrente dedicato una parte ad hoc del ricorso all'esposizione dei fatti di causa (malamente compiuta), non le fosse consentito esaminare anche i motivi, per valutare se da essi potesse trarsi quella chiara esposizione che il ricorrente non seppe svolgere nella parte del ricorso a tal fine da lui stesso deputata.

Per giungere a tale conclusione Cass. 785/14 spese quattro argomenti, così riassumibili:

(a) l'impossibilità di integrare la carente esposizione dei fatti con l'illustrazione dei motivi sarebbe stata negata dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5698 del 2012 (sopra ricordata);

(b) se la Corte di cassazione dovesse, anche dinanzi ad un ricorso "assemblato", spingersi ad esaminare i motivi per trarne l'esposizione dei fatti della causa, si vanificherebbe il divieto di redigere ricorsi con la tecnica dell'assemblaggio, divieto imposto dalla ricordata decisione delle Sezioni Unite n. 5698 del 2012, perchè altrimenti l'inammissibile ricorso alla suddetta tecnica resterebbe senza conseguenze;

(c) se fu il ricorrente stesso a indicare una parte del ricorso come destinata all'esposizione dei fatti di causa, ma l'esposizione ivi contenuta risulti insufficiente, la Corte di cassazione non potrebbe cercarla in altre parti del ricorso, "contro la scelta formale fatta dal ricorrente"; l'ordinanza precisa tuttavia che, se invece una parte del ricorso destinata all'esposizione del fatto manchi del tutto, "è consentito ricercare se lo scopo cui avrebbe dovuto assolvere una parte apposita del ricorso dedicata all'esposizione risulti raggiunto per il modo in cui sono esposti i motivi";

(d) il ricorso per cassazione deve essere redatto in modo tale che la Corte di cassazione sia messa in grado di percepire l'origine ed il dipanarsi della vicenda di cui è processo "prima di esaminare i motivi".

1.9. Ritiene questo Collegio che, tra i due orientamenti, quello più antico e maggioritario meriti di essere condiviso. Ostano infatti all'accoglimento dell'altro orientamento ragioni giuridiche, logiche e sistematiche.

1.9.1 Dal punto di vista dell'interpretazione letterale, l'art. 366 c.p.c., comma 1, esige a pena di inammissibilità quali debbano essere i contenuti del ricorso, ma non prescrive alcuna sanzione di inammissibilità quanto all'ordine con cui i contenuti del ricorso debbano essere esposti.

Va da sè che è sommamente auspicabile che l'esposizione dei fatti di causa preceda l'esposizione dei motivi; ma in difetto di espresse previsioni normative, un ricorso non potrà dirsi inammissibile sol perchè l'esposizione dei fatti - a condizione che sia chiara ed inequivoca - anzichè precedere, sia inclusa nell'illustrazione dei motivi.

1.9.2. Dal punto di vista dell'interpretazione sistematica, è principio risalente e di antica civiltà giuridica che tutti gli atti processuali vadano qualificati, interpretati e giudicati non segmentandone i contenuti, ma apprezzandoli nel loro complesso, e valutando ciascuna parte in relazione a tutte le altre parti (c.d. principio di globalità o circolarità dell'interpretazione). E questo principio verrebbe frustrato, se si ritenesse che il giudice di legittimità, al cospetto d'un ricorso contenente una esposizione dei fatti carente o lacunosa, dovesse per questo solo motivo sospendere la lettura del ricorso, e dichiararne l'inammissibilità.

1.9.3. Dal punto di vista della logica formale, non sembra poi potersi condividere l'assunto (posto, come si è detto, a fondamento dell'orientamento più rigoroso) secondo cui se l'esposizione dei fatti della causa manchi totalmente, la Corte di cassazione potrebbe ricavarla dai motivi; ma se esista e sia incompleta o sovrabbondante, tale integrazione non potrebbe compiersi. Una simile lettura dell'art. 366 c.p.c. condurrebbe al paradosso di riservare un trattamento meno rigoroso al ricorrente che trascuri completamente di assolvere l'onere di esposizione dei fatti; e per contro di adottare una decisione assai più rigorosa nei confronti di quegli che, volendo assolvere quell'onere, non vi riesca. Un esito interpretativo, dunque, collidente con il basilare principio della giustizia distributiva e dell'unicuique suum.

1.9.4. Nè sembra che l'orientamento maggioritario corra il rischio di vanificare (come paventato da Cass. 784/14) il dictum di Sez. Un. 5698/12, cit., in tema di inammissibilità del ricorso redatto con la tecnica c.d. dell'assemblaggio, ovvero riunendo uno via l'altro gli atti del giudizio di merito e le sentenze ivi pronunciate.

Come già detto, infatti, fu proprio quella decisione delle Sezioni Unite ad affermare che "il ricorso non può dirsi inammissibile quand'anche difetti una parte formalmente dedicata all'esposizione sommaria del fatto, se l'esposizione dei motivi sia di per sè autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso". Deve ora aggiungersi che il principio secondo cui l'esposizione dei fatti della causa non può compiersi con la tecnica dell'assemblaggio non ha nulla a che vedere col principio qui in esame (se, cioè, sia possibile sanare la carente esposizione dei fatti di causa quando questa risulti dall'illustrazione dei motivi).

Se si ammette che la carente esposizione dei fatti di causa possa essere sanata se quei fatti sono chiaramente esposti nella illustrazione dei motivi, tale principio troverà infatti applicazione sia quando l'esposizione manchi, sia quando sia incompleta, sia quando sia redatta con la tecnica dell'assemblaggio. Il dictum delle Sezioni Unite non viene affatto vanificato, perchè il principio da esse affermato continuerà ad applicarsi in tutti i casi in cui il ricorso sia assemblato, ed i motivi nulla chiariscano circa lo svolgimento del processo.

1.9.5. Nè può tacersi che l'orientamento minoritario appare difficilmente compatibile con l'ordinamento comunitario e con i princìpi stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, che come noto del diritto comunitario formano parte integrante, ai sensi dell'art. 6, comma 3, del Trattato sull'Unione Europea (nel testo consolidato risultante dalle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona del 13.12.2007, ratificato e reso esecutivo con L. 2 agosto 2008, n. 130).

Tra i principi della CEDU "comunitarizzati" viene in rilievo ai nostri fini l'art. 6, p. 1, CEDU, ovvero il diritto di accesso alla giustizia.

L'interpretazione che di tale norma ha dato la giurisprudenza della Corte di Strasburgo appare ostativa alla continuazione dell'orientamento minoritario, sotto due profili.

In primo luogo, la corte EDU ha stabilito che le sentenze le quali dichiarino inammissibile una impugnazione per ragioni formali possano dirsi coerenti con l'art. 6, p. 1, della CEDU, solo quando la causa di inammissibilità sia prevista dalla legge, possa essere prevista ex ante, e non sia di derivazione giurisprudenziale ovvero, se lo sia:

(-) non sia frutto di una interpretazione "troppo formalistica"; (-) risulti comunque da un orientamento consolidato;

(-) sia chiara ed univoca (così Corte EDU, sez. 1, 15.9.2016, Trevisanato c. Italia, in causa n. 32610/07, p.p. 42-44).

E, per quanto detto, l'art. 366 c.p.c. impone che il ricorso debba contenere l'esposizione dei fatti, non che debba anteporre l'esposizione dei fatti alla illustrazione dei motivi: sicchè l'interpretazione qui contestata appare nello stesso tempo irrispettosa del divieto di interpretazioni troppo formalistiche, non derivante da un orientamento consolidato, e comunque non univoca.

In secondo luogo, la Corte EDU ha stabilito che viola l'art. 6, p. 1, CEDU, l'organo giudiziario che dichiari inammissibile un'impugnazione perchè priva di talune indicazioni, quando quelle indicazioni siano comunque agevolmente desumibili dagli atti sottoposti al giudice (Corte EDU, sez. 2, 18.10.2016, Miessen c. Belgio, in causa n. 31517/12, p.p. 71-73).

Nè, ha soggiunto la Corte EDU, a tali princìpi può derogarsi sol perchè a decidere l'impugnazione sia una Corte Suprema, invece che un giudice di merito: ha stabilito, infatti, Corte EDU, sez. 2, 29.3.2011, RTBF c. Belgio, in causa n. 50084/06, che l'art. 6, p. 1, CEDU, non consente agli organi giudiziari degli Stati membri di dichiarare inammissibile un ricorso per cassazione, quando la Corte di cassazione sia comunque "messa dal ricorrente in condizione di determinare la base giuridica sulla quale deve procedere al controllo della decisione (impugnata)".

1.9.6. Infine, non sarà superfluo aggiungere che, anche a volere ammettere per ipotesi che l'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, possa dirsi una norma di incerta interpretazione, dovrebbe in tal caso applicarsi il principio - ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui allorchè il testo d'una norma processuale sia suscettibile di più interpretazioni, tutte teoricamente plausibili, il giudice ha l'obbligo di adottare l'interpretazione che favorisca una decisione piena sul merito della causa, piuttosto che un'interpretazione la quale conduca ad un giudizio di inammissibilità in rito (ex multis, in tal senso, Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268 - 01).

1.10. Alla luce dei princìpi che precedono, può ora tornarsi ad esaminare l'eccezione di inammissibilità sollevata dalle convenute.

Le società resistenti sono nel vero allorchè deducono che l'illustrazione dei motivi di ricorso non è preceduta dalla sintesi dei fatti della causa.

Tuttavia tali fatti, nelle loro linee essenziali, sono sufficientemente desumibili dalla illustrazione dei motivi, per quanto si dirà: e ciò rende infondata l'eccezione, alla luce del tradizionale principio, che va qui ribadito, secondo cui:

"per soddisfare il requisito dell'esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall'art. 366 cod. proc. civ., n. 3 non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso, ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell'atto, anche se contenuta nella illustrazione dei motivi".

2. Il primo motivo di ricorso.

2.1. Col primo motivo il ricorrente, senza inquadrare la propria censura in alcuno dei vizi di cui all'art. 360 c.p.c., denuncia il "vizio attinente la durata delle indagini illecite cui è stato sottoposto il signor V.". Sostiene che la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto che l'attività illecita commessa dalle convenute in suo danno si protrasse per sei mesi, laddove le prove raccolte dimostravano che era durata quattro anni.

2.2. Il motivo è manifestamente inammissibile, in quanto contesta la valutazione delle prove e la ricostruzione del fatto.

Una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant'anni: e cioè che "la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione").

3. Il secondo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo motivo il ricorrente, anche in questo caso senza inquadrare la prova censura in alcuno dei vizi di cui all'art. 360 c.p.c., denuncia il "vizio attinente la riferita omessa indicazione nella sentenza di primo grado dei criteri adottati ai fini della quantificazione del danno".

Nella illustrazione del motivo si sostiene che erroneamente la Corte d'appello avrebbe ritenuto "immotivata" la liquidazione equitativa del danno compiuta dal Tribunale, il quale aveva inveceampiamente esposto le ragioni della propria decisione.

3.2. Il motivo è manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza.

Il giudizio di appello è infatti un giudizio sul rapporto, non sulla sentenza di primo grado.

Pertanto nulla rileva che la Corte d'appello abbia sbagliato nel ritenere "immotivata" la sentenza di primo grado; quel che unicamente rileva ai fini della eventuale cassazione della sentenza d'appello è se essa abbia correttamente applicato la legge e motivato la propria decisione.

4. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

4.1. Col terzo e col quarto motivo - che possono essere esaminati congiuntamente - il ricorrente, senza inquadrare la propria censura in alcuno dei vizi di cui all'art. 360 c.p.c., denuncia "la viziata applicazione del principio costituzionale dell'uguaglianza ex art. 3 Cost.", e l'"omesso esame di elementi di fatto decisivi ai fini dell'individuazione del quantum risarcitorio".

Sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere eccessiva la liquidazione del danno compiuta dal primo giudice.

4.2. Ambedue i motivi sono manifestamente inammissibili, in quanto censurano la ricostruzione dei fatti e la stima del danno, l'una e l'altra tipici accertamento di merito insindacabili in sede di legittimità.

5. Il quinto motivo di ricorso.

5.1. Col quinto motivo di ricorso (contraddistinto col numero romano 2, ed illustrato a pag. 33 del ricorso) il ricorrente, senza inquadrare la propria censura in alcuno dei motivi di cui all'art. 360 c.p.c., sostiene che la Corte d'appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno alla salute da lui proposta.

Deduce che la sentenza sarebbe erronea sia perchè la Corte d'appello ha privilegiato i risultati dell'una piuttosto che dell'altra delle due consulenze tecniche d'ufficio eseguite in corso di causa, sia perchè la Corte d'appello avrebbe erroneamente trascurato di approfondire le indagini peritali.

5.2. Il motivo è manifestamente inammissibile sia nella parte in cui lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno alla salute, perchè censura un apprezzamento di fatto (ovvero stabilire se esistesse o meno un danno biologico); sia nella parte in cui lamenta l'omessa rinnovazione delle operazioni peritali, perchè censura una facoltà discrezionale riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità.

6. Il sesto motivo di ricorso.

6.1. Col sesto motivo di ricorso (contraddistinto col numero romano 3, pag. 39 del ricorso) il ricorrente, senza inquadrare la propria censura in alcuno dei motivi di cui all'art. 360 c.p.c., denuncia "il vizio di motivazione attinente l'omesso esame d'un fatto decisivo".

Nell'illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d'appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda attorea di risarcimento del danno patrimoniale.

Si sostiene nell'illustrazione del motivo una tesi così riassumibile:

-) la Corte d'appello ha rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale sul presupposto che, non essendovi una lesione della salute, nemmeno poteva esservi un danno patrimoniale;

-) tale valutazione è tuttavia erronea, perchè il danno patrimoniale "ben può essere conseguenza del mero stato di disagio, malessere, ansia e sofferenza psicofisica".

6.2. Il motivo è manifestamente inammissibile.

Il ricorrente, in violazione degli oneri di allegazione ed indicazione richiesti dall'art. 366 c.p.c., n. 6, non espone:

-) quando ed in che termini formulò la domanda di risarcimento del danno patrimoniale;

-) come sia stata decisa tale domanda dal giudice di primo grado;

-) come sia stata impugnata e se sia stata impugnata la relativa statuizione in grado di appello;

-) quel che più rileva, donde risultasse l'effettiva sussistenza di un pregiudizio patrimoniale (indicazione in assenza della quale è impossibile stabilire la rilevanza e decisività di questo motivo di impugnazione).

7. Il settimo motivo di ricorso.

7.1. Col settimo motivo (contraddistinto dal numero romano 4, pag. 41 del ricorso) il ricorrente, senza inquadrare la propria censura in alcuno dei vizi di cui all'art. 360 c.p.c., lamenta "il mancato riconoscimento della responsabilità in capo alla internazionale Milano in relazione al cosiddetto secondo periodo".

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nell'escludere la responsabilità della società internazionale Milano per le illecite intercettazioni avvenute in danno dell'attore nel periodo di tempo compreso tra il 2002 e il 2004.

Deduce che dalle prove raccolte nel corso dell'istruttoria, invece, emergeva la responsabilità della società Internazionale anche per i fatti avvenuti in quel periodo.

7.2. Il motivo è manifestamente inammissibile perchè censura la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti.

8. L'ottavo motivo di ricorso.

8.1. Con l'ottavo motivo (contraddistinto dal numero romano 5, pag. 44 del ricorso) il ricorrente, senza inquadrare la propria censura in alcuno dei vizi di cui all'art. 360 c.p.c., censura la stima del danno non patrimoniale patito dall'attore in conseguenza della lesione del suo diritto all'immagine.

Sostiene che un risarcimento di Euro 10.000 per questo tipo di danno non fu adeguato, e che più adeguata sarebbe stata la somma da lui richiesta, pari ad Euro 4.000.000.

8.2. Il motivo è manifestamente inammissibile perchè censura una valutazione di merito.

9. Il nono motivo di ricorso.

9.1. Col nono motivo di ricorso (contraddistinto dal numero romano 6, pag. 49 del ricorso) il ricorrente lamenta l'erronea liquidazione delle spese del giudizio di primo grado.

Sostiene che la Corte d'appello avrebbe sottostimato tali spese, liquidando solo 7.700 Euro per un grado di giudizio protrattosi per sei anni.

9.2. Il motivo è manifestamente inammissibile, perchè si limita a sostenere che "è stata violata la normativa in materia" senza precisare quale norma, quale parametro, quale criterio, quale principio giurisprudenziale, abbia violato la Corte d'appello.

10. Le spese.

10.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo, avuto riguardo al petitum.

10.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

 

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna V.C. alla rifusione in favore di Telecom Italia s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 25.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna V.C. alla rifusione in favore di Internazionale Milano F.C. s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 25.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di V.C. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 9 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2018.