Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20270 - pubb. 26/07/2018

Rientrano tra gli atti di frode anche i fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta concordataria o nei suoi allegati

Cassazione civile, sez. I, 14 Giugno 2018, n. 15695. Est. Fichera.


Concordato preventivo - Revoca dell’ammissione - Atti di frode - Fatti non adeguatamente e compiutamente esposti - Inclusione - Voto espresso dai creditori - Rilevanza - Esclusione - Fattispecie



In tema di concordato preventivo, rientrano tra gli atti di frode, rilevanti ai fini della revoca dell'ammissione alla predetta procedura ai sensi dell'art. 173 l.fall., anche i fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta concordataria o nei suoi allegati, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza. (Nella specie, la S.C. ha affermato che, l'avere la società proponente omesso di fornire una plausibile spiegazione circa il rilevante scostamento di valore delle rimanenze di magazzino riportato nella proposta di concordato rispetto a quello indicato nell'ultimo bilancio, costituisce atto di frode). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio - Presidente -

Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -

Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -

Dott. PAZZI Alberto - Consigliere -

Dott. FICHERA Giuseppe - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

F. Cart s.r.l., in liquidazione, propose ai creditori un concordato preventivo; ammessa alla procedura e ottenuto il voto favorevole della maggioranza dei creditori, il Tribunale di Lucca, sull'opposizione dei creditori dissenzienti Cartiera Giusta s.r.l. (di seguito anche CG), HB Transport und Lagerhaus GmbH (di seguito breviter HB) e Unipol Banca s.p.a., omologò il concordato.

Proposti da CG e HB separati reclami, la Corte d'appello di Firenze, riuniti i ricorsi, con decreto depositato il 14 aprile 2016, revocò il provvedimento di omologa del concordato.

Ritenne la corte d'appello che la società proponente avesse posto in essere taluni atti di frode ai creditori, essendo stata accertata la mancanza di un ingente quantità di merce che dall'ultimo bilancio sociale approvato risultava detenuta in magazzino; inoltre, i rami d'azienda erano stati liquidati nel corso della procedura ad un prezzo assai inferiore a quello di stima, configurandosi, infine, un abuso dello strumento concordatario nell'acquisto di uno dei detti rami d'azienda da parte di una società, di cui erano soci i medesimi soggetti che avevano rivestito incarichi amministrativi in quella ammessa al concordato.

Avverso il detto decreto della corte d'appello di Firenze, F. Cart s.r.l., in liquidazione e in concordato preventivo, ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resistono con controricorso CG e HB. Non hanno spiegato difese il commissario giudiziale della F. Cart s.r.l., in liquidazione, Unipol Banca s.p.a. e il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Firenze.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la corte d'appello omesso di esaminare taluni fatti storici decisivi per il giudizio e, in particolare, la circostanza che le rimanenze di magazzino dichiarate nella proposta di concordato erano state effettivamente rinvenute e che nessuna condotta di dissipazione o distrazione dei beni della società in concordato, risultava essere stata posta in essere dai suoi organi amministrativi.

Con il secondo motivo assume violazione dell'art. 2729 c.c., poichè il giudice di merito ha tratto in via presuntiva una serie di conclusioni, esclusivamente sulla scorta di indagini eseguite dalla Guardia di Finanza, dalle quali sarebbe emersa l'esistenza di merci in magazzino poi non più rinvenute.

Con il terzo motivo lamenta violazione della L. Fall., art. 173, avendo la corte d'appello ritenuto l'esistenza di atti di frode ai danni dei creditori, nonostante nella proposta e nel piano concordatario non fosse stata occultato alcun dato concernente il reale patrimonio della società proponente, mentre la cessione dei due rami d'azienda era intervenuta dopo l'omologa del concordato e previa autorizzazione degli organi della procedura.

Con il quarto motivo si duole della violazione della L. Fall., artt. 160, 161, 162, 163, 173, 177, 178 e 180, avendo il giudice di merito effettuato un sindacato sulla fattibilità economica della proposta di concordato, che invece restava ad esso precluso.

Con il quinto motivo eccepisce ancora la violazione della L. Fall., artt. 160, 161, 162, 163, 173, 177, 178 e 180, nonchè degli artt. 873, 1175 e 2740 c.c., poichè erroneamente nel provvedimento impugnato si è sostenuta l'esistenza di un abuso dello strumento concordatario, attraverso la cessione di un ramo d'azienda in favore di una società i cui soci erano stati amministratori della proponente, trattandosi di atto in precedenza autorizzato dagli organi della procedura, stipulato dopo l'omologa del concordato e in esecuzione del medesimo piano approvato dai creditori.

2. I primi tre motivi, meritevoli di esame congiunto stante la loro stretta connessione, sono complessivamente privi di fondamento.

Com'è noto, in tema di concordato preventivo secondo l'orientamento di questa Corte che sempre più si va consolidando, rientrano tra gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell'ammissione alla predetta procedura, ai sensi della L. Fall., art. 173, anche tutti quei fatti che non siano stati adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta concordataria o nei suoi allegati, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza, e, quindi, anche ove questi ultimi siano stati resi edotti di quell'accertamento (Cass. 07/12/2016, n. 25165).

Ancora, gli atti di frode vanno intesi, sul piano oggettivo, come le condotte volte ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l'idoneità a pregiudicare il consenso informato degli stessi sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza ed integrale rilevanza, a fronte di una precedente rappresentazione del tutto inadeguata, purchè caratterizzati, sul piano soggettivo, dalla consapevole volontarietà della condotta, di cui, invece, non è necessaria la dolosa preordinazione (Cass. 29/07/2014, n. 17191; Cass. 04/06/2014, n. 12533).

Orbene, nella vicenda all'esame di questa Corte, il giudice di merito ha accertato - con valutazione in fatto che si sottrae ad inammissibili tentativi di rivisitazione in questa sede - l'esistenza, sulla base delle appostazioni risultanti nei bilanci sociali della F. Cart s.r.l. regolarmente approvati dai soci, di rimanenze di magazzino per importi rilevantissimi (pari a circa 6 milioni di Euro), poi non più rinvenute al momento del deposito della proposta di concordato preventivo (dove dette rimanenze vennero stimate in complessivi 220 mila Euro).

Alla stregua di quanto sopra, allora, è del tutto irrilevante la circostanza che nella proposta di concordato depositata dalla F. Cart s.r.l., le effettive rimanenze mobiliari fossero già state drasticamente svalutate, in modo tale da corrispondere esattamente al dato reale poi riscontrato in sede di inventario dagli organi della procedura, essendo invece decisivo - al fine di configurare uno di quegli atti di frode elencati dalla L. Fall., art. 173, che la proponente, nè in seno al ricorso per l'ammissione al concordato preventivo e neppure successivamente, abbia inteso fornire una plausibile spiegazione dello scostamento riscontrato, per vero assai considerevole, tra i valori del patrimonio riportati nel bilancio al 31.12.2012 e la situazione economico patrimoniale della società alla data, davvero ravvicinata, del deposito del ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo (12.07.2013).

Non vale certo ad escludere la decettività della condotta omissiva serbata in seno alla proposta di concordato dalla società proponente, poi, il fatto che la medesima abbia costituito in seno alla medesima proposta un "fondo rischi", finalizzato a fare fronte all'eventuale accertamento fiscale - poi puntualmente intervenuto - in relazione all'IVA non versata (e alle conseguenti sanzioni) sulle rimanenze di magazzino inopinatamente venute meno, ovvero che gli amministratori della proponente siano stati condannati in sede penale per il reato di bancarotta fraudolenta, L. Fall., ex art. 216, n. 2), per avere falsificato le scritture contabili della società e non anche per avere sottratto o occultato parte dell'attivo.

Entrambi i detti fatti storici, invero, esattamente al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, concorrono a suffragare le conclusioni cui è giunta la corte d'appello, in ordine alla fraudolenta sottrazione di una parte cospicua dell'attivo in epoca precedente al deposito della proposta di concordato - di cui gli amministratori della F. Cart s.r.l. dovevano essere esattamente consapevoli, avendo falsificato i libri sociali e finanche paventato in seno alla proposta concordataria i "rischi" sotto il piano meramente fiscale discendenti da siffatte falsità -, realizzata nelle forme, l'una alternativa all'altra, dell'occultamento di una parte cospicua delle rimanenze di magazzino, ovvero della precedente distrazione delle somme che dovevano essere impiegate per l'acquisto delle stesse.

3. Restano inammissibili per carenza di interesse al loro accoglimento, il quarto e il quinto motivo di ricorso, tesi a censurare le ulteriori autonome rationes decidendi esposte nel decreto impugnato, essendo l'eventuale accoglimento di tutte le censure ivi formulate inidoneo a determinare la sua cassazione.

4. Le spese seguono la soccombenza tra le parti costituite. Sussistono le condizioni per l'applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuno di essi in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2018