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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20263 - pubb. 25/07/2018.

Non è necessaria la successiva notifica della cartella esattoriale al curatore


Cassazione civile, sez. V, tributaria, 15 Giugno 2018. Est. Maria Angelina Perrino.

Ammissione del credito impositivo al passivo fallimentare - Successiva notifica della cartella al curatore - Necessità - Esclusione - Fondamento


In tema di riscossione delle imposte, ove l'iscrizione a ruolo sia avvenuta a seguito della dichiarazione di fallimento del contribuente, ai sensi dell'art. 33 del d.lgs. n. 112 del 1999, ed il credito impositivo sia stato ammesso al passivo, non è necessaria la successiva notifica della cartella esattoriale al curatore, essendo questa prodromica all'esecuzione individuale, che non può essere iniziata o proseguita sui beni del fallito ai sensi dell'art. 51 l.fall. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio - Presidente -

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe - Consigliere -

Dott. PERRINO Angelina Maria - rel. Consigliere -

Dott. CATALLOZZI Paolo - Consigliere -

Dott. TRISCARI Giancarlo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

Svolgimento del processo

Il curatore del fallimento della società di fatto esistente tra B.G. e R.F. ricevette notificazione di una cartella di pagamento avente a oggetto somme per mancato pagamento dell'iva concernente gli anni 1988, 1990 e 1992, iscritte a ruolo straordinario, reso esecutivo nel 2003.

Ne seguì l'impugnazione della cartella, perchè l'Agenzia aveva già ottenuto l'ammissione del credito vantato allo stato passivo del fallimento.

La Commissione tributaria provinciale di Messina accolse il ricorso e quella regionale della Sicilia, sede di Messina, respinse l'appello dell'Ufficio, in base alla considerazione che spetta al giudice del fallimento la verifica dell'esistenza e della validità del titolo per l'esercizio del diritto di credito, ossia del ruolo, nonchè la valutazione della validità di esso a consentire l'ammissione allO stato passivo; sicchè la cartella, ritenne quel giudice, benchè inutiliter data, va comunque annullata, perchè produce effetti nella sfera giuridica del destinatario.

Contro questa sentenza propone ricorso l'Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui il curatore replica con controricorso e ricorso incidentale, articolato in un unico mezzo.

 

Motivi della decisione

1. - Col primo motivo del ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l'Agenzia lamenta la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10, 18 e 19. Sostiene che, vertendosi in tema d'impugnazione di cartella, sussista litisconsorzio necessario nei confronti del concessionario, di modo che va dichiarata la nullità del giudizio di primo grado.

La censura è infondata.

La giurisprudenza di questa Corte è difatti ferma nell'affermare che in nessun caso si può individuare un litisconsorzio necessario tra ente impositore e agente della riscossione (tra varie, Cass. ord. 28 aprile 2017, n. 10528; ord. 8 gennaio 2015, n. 197; ord. 2 dicembre 2014, n. 25523 e, in motivazione, sez. un., 25 luglio 2007, n. 26412).

1.1.- Nè tale soluzione contrasta con la giurisprudenza secondo la quale nel caso in cui il contribuente impugni una cartella di pagamento deducendo tanto l'esistenza di vizi propri della stessa quanto l'insussistenza del credito da essa recato sussiste litisconsorzio necessario processuale tra agente della riscossione ed ente impositore, poichè la pretesa del contribuente deve essere accertata tanto nei confronti del primo, essendo impugnato un atto che si assume viziato da un'omissione ad esso direttamente imputabile, quanto nei confronti del secondo, tendendo l'impugnazione alla rideterminazione della pretesa erariale (da ultimo, in questo senso, Cass., ord. 8 novembre 2017, n. 26433).

Ciò perchè il principio si riferisce all'ipotesi in cui l'ente impositore o l'agente della riscossione sia stato pretermesso in grado di appello, dopo che entrambi detti soggetti abbiano partecipato al giudizio di primo grado.

Il motivo va quindi respinto.

2. Col secondo motivo del ricorso principale, anch'esso proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l'Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 33, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, e del D.M. 28 dicembre 1989, art. 19, come modificato dal D.M. 11 maggio 1990. Reputa che, nonostante l'ammissione al passivo, l'Amministrazione dovesse procedere all'iscrizione a ruolo dal quale la cartella è scaturita, che, anzi, costituirebbe la sostanza, l'oggetto della pretesa erariale. E ciò perchè, aggiunge, per il periodo antecedente alla riforma della riscossione del 1999, ratione temporis applicabile, in materia d'imposte indirette il ruolo a carico dei soggetti sottoposti a procedura concorsuale doveva essere formato soltanto dopo la definitiva ammissione al passivo del credito tributario.

Il motivo è infondato.

2.1. - Nella disciplina della riscossione delle imposte vigente in epoca anteriore alla riforma introdotta dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, la cartella di pagamento svolge la funzione di portare a conoscenza dell'interessato la pretesa tributaria iscritta nei ruoli, entro un termine stabilito a pena di decadenza della pretesa tributaria e funge da presupposto per la notificazione dell'avviso di mora, meramente eventuale, poichè è prevista per il caso in cui il contribuente, reso edotto dell'imposta dovuta, non ne abbia eseguito spontaneamente il pagamento nei termini indicati dalla legge (Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412; sez. un., 4 marzo 2008, n. 5191).

Le esigenze cui risponde questa sequenza procedimentale sono incompatibili con la procedura fallimentare.

La procedura non è difatti finalizzata alla diretta realizzazione dell'adempimento dell'obbligazione di pagamento, della sostanza della pretesa erariale quindi, bensì ad assicurare il conseguimento della par condicio creditorum nel rispetto della disciplina pecificamente indicata a tal fine (L.Fall. artt. 92 e seguenti), nell'ambito della quale i compiti di accertamento del giudice delegato e la connessa fase assumono rilievo preminente rispetto alla fase della liquidazione, che è al contrario prevalente nell'esecuzione individuale (in questi termini, Cass., sez. un., 15 marzo 2012, n. 4126; conf., tra varie, 17 marzo 2014, n. 6126).

2.2. - Nè la notificazione della cartella è idonea a incidere sull'accertamento della spettanza del credito erariale, che compete al giudice tributario.

Ciò in quanto a rilevare sarebbe stata la contestazione del credito da parte del debitore, la quale avrebbe avuto come effetto il differimento dell'ammissione definitiva del credito all'inutile decorso del termine "per la proposizione della controversia davanti -al giudice competente", ossia alla data di definizione del giudizio -intrapreso davanti alle commissioni tributarie (giusta il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 88, e successive modifiche).

Laddove, nel caso in esame, è la stessa Agenzia a riferire che nessuna contestazione è stata sollevata.

2.3. - La notificazione della cartella al curatore, in definitiva, (essendo prodromica a un'esecuzione individuale, è preclusa a dalla L.Fall., art. 51, che fissa il canone dell'universalità soggettiva del fallimento (tra varie, Cass. 20 maggio 2011, n. 11234).

Il motivo va in conseguenza respinto.

3. - Inammissibile è poi il ricorso incidentale, col quale il curatore lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, là dove il giudice d'appello, nel compensare le spese, non ha indicato le ragioni della compensazione.

La censura non è difatti congruente col contenuto della decisione, in quanto la Commissione tributaria regionale ha sia pure laconicamente motivato l'esistenza dei giusti motivi di compensazione, nelle "peculiarità delle contestazioni di parte e della questione".

3.1. - Non di violazione di legge si tratta, dunque, ma, nella prospettazione della parte, di carenza della motivazione posta a sostegno della compensazione.

3.2. - A tanto va comunque aggiunto che, al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, i "giusti motivi" di compensazione totale o parziale delle spese (prima della modifica applicabile ai procedimenti instaurati, come quello in esame, dopo il 10 marzo 2006, che ne impone la esplicita indicazione in motivazione) sono evincibili anche dal complessivo tenore della sentenza, con riguardo sia agli aspetti sostanziali che processuali.

Si deve ritenere assolto l'obbligo del giudice anche allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata; sicchè è corretta, si è già ritenuto, la motivazione che faccia riferimento all'esito complessivo del giudizio e alle peculiarità delle questioni trattate (Cass. 27 gennaio 2015, n. 1443).

4. - La reciproca soccombenza determina la compensazione di un terzo delle spese.

L'Agenzia va condannata alla rifusione del residuo terzo, giusta la liquidazione in dispositivo.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale, compensa un terzo delle spese e condanna l'Agenzia a rifondere i residui due terzi, che liquida, nella parte da corrispondere, in Euro 6000,00 per compensi, oltre a Euro 200,00 per esborsi e al 15% a titolo di spese forfettarie.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2018.