ilcaso.it
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20255 - pubb. 24/07/2018.

Revocatoria di rimesse in conto corrente bancario e legittimazione passiva in caso di cessione di azienda bancaria


Cassazione civile, sez. I, 28 Maggio 2018, n. 13308. Est. Pazzi.

Revocatoria fallimentare - Inefficacia di versamenti su conto corrente di azienda bancaria - Cessione ad altra banca delle attività e passività aziendali - Azione revocatoria - Legittimazione passiva della cessionaria - Condizioni


In tema di azione revocatoria fallimentare, avente ad oggetto le rimesse su conto corrente a favore di una banca, la cui azienda sia poi stata ceduta ad altra banca, la legittimazione passiva sussiste in capo alla cessionaria soltanto ove risulti che con l'azienda bancaria siano state trasferite tutte le attività e passività aziendali, dunque anche i debiti futuri derivanti dall'azione revocatoria, in quanto obbligazioni ad oggetto determinabile, perché all'atto della convenzione erano identificabili gli eventuali debiti, risultanti dalla contabilità, in relazione ai pagamenti eseguiti dai debitori poi falliti. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio - Presidente -

Dott. FERRO Massimo - Consigliere -

Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -

Dott. PAZZI Alberto - rel. Consigliere -

Dott. CENICCOLA Aldo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

che:

1. con sentenza in data 16 marzo 2009 il Tribunale di Monza rigettava la domanda proposta dal fallimento (*) s.p.a. in liquidazione nei confronti di Capitalia s.p.a. (già vecchia Banca di Roma s.p.a. e divenuta poi Unicredit s.p.a.) perchè venissero dichiarate inefficaci ex art. 67 legge fall. rimesse per complessivi Euro 735.670,25 effettuate su un conto corrente ordinario aperto presso la vecchia Banca di Roma s.p.a.; il Tribunale, dopo aver qualificato l'eccezione sollevata dall'interveniente volontaria nuova Banca di Roma s.p.a. (divenuta poi Unicredit Banca di Roma s.p.a.) quale eccezione di difetto nel merito di titolarità dal lato passivo del rapporto azionato, riteneva la stessa fondata in quanto in caso di cessione di azienda bancaria l'azione revocatoria fallimentare, una volta trascorsi tre mesi dalla pubblicità prevista dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58 doveva essere proposta nei confronti della cessionaria; ciò nonostante il Tribunale, pur individuando un consistente numero di rimesse aventi carattere astrattamente solutorio, rigettava la domanda non ritenendo dimostrato il presupposto soggettivo della scientia decoctionis.

2. La Corte d'Appello di Milano, con sentenza in data 27 febbraio 2013, rigettava l'impugnazione proposta dal fallimento (*) s.p.a. in liquidazione condividendo i rilievi del primo giudice sia rispetto alla sussistenza della legittimazione passiva di nuova Banca di Roma s.p.a., sia in merito al fatto che non vi era prova della conoscenza da parte della banca dello stato di insolvenza della società poi fallita.

3. Ha proposto ricorso per cassazione contro questa pronuncia il fallimento (*) s.p.a. in liquidazione, affidandosi a tre motivi di impugnazione.

Ha resistito con controricorso Unicredit Credit Management Bank s.p.a. per Aspra Finance s.p.a., quale successore a titolo particolare di Unicredit Banca di Roma s.p.a. a seguito della conclusione di un'operazione di cessione di crediti in blocco ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58 già costituitasi in grado di appello.

L'intimata Unicredit s.p.a., compagine in cui sono confluite Capitalia s.p.a. (già vecchia Banca di Roma s.p.a.) e Unicredit Banca di Roma s.p.a (già nuova Banca di Roma s.p.a.), non ha svolto alcuna difesa.

Il fallimento ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., comma 1.

 

che:

4. il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58, artt. 1346, 1325 e 1418 cod. civ., art. 100 cod. proc. civ. e art. 67 legge fall.: in tesi di parte ricorrente non può condividersi la statuizione della corte territoriale secondo cui il cessionario dell'azienda bancaria ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58 risponde in via esclusiva dei debiti relativi all'azienda ceduta, ivi compresi quelli derivanti dall'esperimento di azione revocatoria, sia perchè nel caso di specie non è possibile ritenere che tali obbligazioni future avessero un oggetto determinabile, posto che alla data della cessione il fallimento di (*) non era ancora intervenuto, sia perchè un simile assunto contrasta con il mantenimento in capo a Capitalia del credito vantato rispetto al medesimo rapporto di conto corrente nei confronti della fallita, per il quale la stessa cedente aveva presentato istanza di insinuazione al passivo.

Il secondo mezzo lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 67, comma 2, legge fall., artt. 2697 e 2729 cod. civ. e art. 116 cod. proc. civ.: la corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto che, una volta raggiunta la piena prova della scientia decoctionis del convenuto, la stessa potesse essere superata in via presuntiva valorizzando condotte tenute in contraddizione con l'acquisita consapevolezza, quali l'apertura di un conto corrente o l'intervenuta negoziazione di assegni fino a un mese prima della dichiarazione di fallimento.

Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: secondo il ricorrente la Corte d'Appello avrebbe trascurato l'esito delle prove testimoniali raccolte, ingiustamente escluso la rilevanza sia della concessione di un nuovo e pesante mutuo con iscrizione di una rilevante garanzia ipotecaria, sia delle azioni giudiziarie di recupero del credito avviate contro (*) (e ciò malgrado i registri delle ingiunzioni e delle procedure esecutive mobiliari fossero liberamente consultabili), ed erroneamente omesso di considerare il fattore ambientale e in questo modo, pur riconoscendo che la banca era stata messa a conoscenza dei bilanci sociali, avrebbe finito per condividere le conclusioni del giudice di primo grado.

5. Il primo motivo di ricorso è fondato.

La corte territoriale infatti, nel ritenere che nel caso di specie il cessionario dell'azienda bancaria rispondesse, decorsi tre mesi, in via esclusiva dei debiti relativi all'azienda ceduta, ivi compresi quelli derivanti in conseguenza della successiva introduzione di un'azione revocatoria, si è limitata a fare richiamo ai principi stabiliti dalla costante giurisprudenza di questa Corte - secondo cui possono essere oggetto di trasferimento anche i debiti futuri derivanti dall'esercizio di un'azione revocatoria, trattandosi di obbligazioni ad oggetto determinabile, in quanto all'atto della stipula della convenzione gli eventuali debiti sono identificabili sulla base dei pagamenti eseguiti dai debitori poi falliti, risultanti dalla contabilità dell'azienda ceduta (si vedano in proposito Cass. 28/7/2010 n. 17668, Cass. 23/9/1994 n. 7831) - trascurando però di verificarne i presupposti in fatto.

In vero una simile interpretazione trova la sua giustificazione solo ove sia preceduta da un accertamento in fatto da parte del giudice di merito rispetto all'avvenuto trasferimento, unitamente all'azienda bancaria, di tutte le attività e le passività aziendali e così anche dei debiti futuri derivanti dall'azione revocatoria, in quanto obbligazioni ad oggetto determinabile.

Dunque l'adesione da parte della corte di merito all'orientamento giurisprudenziale citato presupponeva l'accertamento dell'avvenuta cessione in blocco di attività e passività aziendali, mentre nel caso di specie risultava pacificamente fra le parti la conservazione in capo a Capitalia del credito derivante dallo stesso conto corrente su cui erano state effettuate le rimesse dedotte in revoca, stante la sua avvenuta insinuazione al passivo, circostanza all'evidenza incompatibile con un trasferimento indistinto di tutte le passività e le attività aziendali.

Si impone perciò la cassazione della statuizione impugnata perchè la corte distrettuale verifichi la sussistenza in fatto del presupposto indispensabile per l'applicazione dell'orientamento giurisprudenziale a cui ha inteso aderire.

La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese di questo grado di giudizio.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, a cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2018.