Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2022 - pubb. 17/02/2010

Gruppo di società, collegamento funzionale, nozione e requisiti

Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 09 Dicembre 2009, n. 25763. Est. Nobile.


Società – Gruppo – Nozione – Collegamento funzionale tra le società – Irrilevanza – Requisiti.



Il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sè solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all'altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l'esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da quei soggetti, che deve rivelare l'esistenza dei seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori. Trattasi di valutazione di fatto rimessa al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione" (v. fra le altre Cass. 15-5-2006 n. 11107, Cass. 7-9-2007 n. 18843, Cass. 14-11-2005 n. 22927, Cass. 10-4- 2009 n. 8809, vedi anche Cass. 5/9/2006 n. 19036, che ha altresì precisato che "l'art. 2094 cod. civ., nel prevedere il rapporto di lavoro subordinato, non definisce altresì l'impresa quale datrice di lavoro ma ne presuppone la nozione, caratterizzata dalla soggettività giuridica, con la conseguenza che, salve le ipotesi simulatorie, ad una pluralità di soggetti societari esercitanti i poteri del datore corrisponde una pluralità di rapporti").


Segnalazione del Dott. Casimiro A. Nigro




omissis

Fatto

Con ricorso al Tribunale di Ancona del 12/4/2001 S. S. assumeva:

che, definita con i sig.ri Sa. e I. (vice presidente esecutivo e presidente della M. s.r.l.) la propria assunzione come direttore generale della filiale (***), in data (***) aveva siglato un contratto di "consulenza commerciale", al quale era tuttavia sotteso l'effettivo contratto di lavoro quale dirigente della filiale di (***);

che in (***) aveva quindi stipulato un contratto di lavoro subordinato come dirigente, assumendo in effetti veste e funzioni di direttore generale della M. (***), società interamente posseduta e controllata dalla M. di (***);

che tale contratto "(***)" non aveva mai ricevuto concreta attuazione nella sua parte economica, mentre i rapporti economici tra le parti erano stati regolati dal contratto "(***)", con versamento dello stipendio con bonifico della M. di (***) sul suo conto corrente in (***);

che il contratto di natura autonoma era del tutto privo di qualsiasi descrizione delle mansioni, al contrario di quello subordinato stipulato in (***), in cui erano dettagliatamente descritti l'oggetto del rapporto e i suoi compiti;

che aveva avuto alle proprie dipendenze i cinque addetti alla filiale (***), rispondendo e prendendo ordini dai vertici della M., mentre nei rapporti con i terzi, ivi comprese le autorità (***), figurava quale "general manager" e "managing director" della M. (***);

che il contratto "(***)" di durata semestrale, era stato rinnovato due volte e, nel (***), gli era stata promessa una ulteriore proroga, con aumento del compenso;

che egli aveva accettato tale proposta, nel mentre i vertici della M. avevano negato le voci che si erano diffuse circa la possibile cessione della filiale (***);

che agli inizi del (***) il Sa., giunto a (***), gli aveva invece comunicato l'avvenuta cessione della filiale (***) e lo aveva avvertito senza alcun preavviso della risoluzione del rapporto;

che nell'occasione esso ricorrente aveva firmato una rinuncia ad agire verso la società (***) a fronte della corresponsione di 1.000 US e successivamente, aveva impugnato tale risoluzione sia verso la M. (***) che verso la sede (***).

Tutto ciò premesso, e deducendo la natura subordinata del rapporto, la inefficacia del licenziamento e la persistenza del rapporto stesso, il S. conveniva in giudizio la M. s.r.l.

chiedendo che, previa declaratoria della natura subordinata del rapporto di lavoro quale dirigente, della inefficacia del recesso e della persistenza del rapporto stesso, la convenuta fosse condannata alla regolarizzazione contributiva, alla corresponsione dei ratei di 13^ e 14^ mensilità maturati e al pagamento delle retribuzioni spettanti dal licenziamento al momento della sentenza; in subordine, che fosse condannata al pagamento del preavviso nella misura di sei mensilità globali di fatto e delle penali previste dal ccnl dirigenti spedizioni, nella misura di 12 mensilità "o nella diversa meglio vista", nonchè del TFR maturato alla data del licenziamento.

Si costituiva in giudizio la Log Service International s.r.l. (già M. s.r.l. e poi M. Spedizioni Internazionali s.r.l.) eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e, in subordine, il difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria italiana; nel merito chiedeva il rigetto della domanda attorea.

Il Giudice adito, con sentenza n. 945/2002 rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese.

Avverso la detta sentenza il S. proponeva appello, deducendo che erroneamente il primo giudice, anche in violazione dell'art. 1417 c.c., non aveva ammesso le prove dirette a dimostrare la simulazione (relativa) del contratto di "consulenza" con la M. (***) e al contempo di quello di assunzione quale dirigente con la M. (***), atteso che, nella prospettazione attorea, il contratto (***) - e cioè "la prestazione come dirigente in distacco e nell'interesse della casa madre (***) presso la controllata (***)" - costituiva in realtà l'oggetto di quanto in termini assolutamente generici pattuito con il contratto (***); nel merito - e previo riconoscimento della sussistenza di una prestazione dirigenziale subordinata - rilevava che vi era stata violazione della L. n. 230 del 1962, relativa ai contratti a termine, mancando i requisiti per la validità di tale tipo di contratto, e, comunque, che il rapporto doveva ritenersi a tempo indeterminato per effetto dei due rinnovi intervenuti; come ulteriore conseguenza, atteso che il recesso non era stato manifestato per iscritto, doveva ritenersi la persistenza in vita del rapporto, con ogni conseguenza economica e contributiva; in alternativa, ove fosse stata ritenuta la legittimità del recesso, ne sarebbero comunque discesi i diritti al TFR, al preavviso e alle penali previste dal ccnl di settore.

La appellata Log Service International s.r.l. si costituiva in giudizio eccependo la inesistenza o nullità insanabile della notifica del ricorso di appello e, nel merito, resistendo al gravame, chiedendone il rigetto; in via subordinata spiegava appello incidentale condizionato, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e il difetto di giurisdizione della autorità giudiziaria italiana.

La Corte di Appello di Ancona, con sentenza depositata il 13/4/2005, respingeva l'appello e condannava l'appellante al pagamento delle spese in favore della appellata.

In sintesi la Corte territoriale, considerato che non vi era incompatibilità alcuna tra la conclusione del contratto di "consulenza commerciale" concluso con la M. s.r.l. e il contratto di lavoro subordinato concluso successivamente con la M. (***), rilevava che la dedotta "preordinazione" del primo contratto rispetto al secondo, non ne dimostrava di per sè la simulazione relativa nel senso prospettato dal S., simulazione che del resto neppure poteva essere dimostrata in base alle prove offerte dall'appellante, essendo peraltro comunque necessaria la dimostrazione di un rapporto di lavoro subordinato con la M. di (***), presupposto a sua volta necessario anche per un "distacco" presso la M. (***).

Per la cassazione di tale sentenza il S. ha proposto ricorso con due motivi.

La Log Service s.r.l. ha resistito con controricorso.

Il S. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 2082, 2086 e 2094 c.c., in relazione agli artt. 1414 e 1417 c.c., nonchè vizio di motivazione, il ricorrente, in sintesi, lamenta che "hanno errato i giudici del merito allorchè si sono arrestati davanti all'ostacolo costituito dalla duplicità di personalità giuridica delle contraenti e dalla formale duplicità di contratti, laddove era evidente l'unicità dell'impresa e l'unicità del rapporto".

Secondo il ricorrente, infatti, "in primo luogo, le due società costituiscono un gruppo e il loro collegamento è tale che il direttore generale della società-figlia viene designato dalla società madre, che altresì gli fissa le mansioni, gli corrisponde la retribuzione ed, infine, lo licenzia; il che impone di ritenere esistente quel legame che fa delle due società un'unica impresa ed un unico centro di imputazione del rapporto oggetto della presente causa; con la conseguenza che l'unico imprenditore è chi gestisce la società madre" e "in secondo luogo, l'unico rapporto realmente vertito fra le parti è quello che ha avuto ad oggetto le mansioni di direttore generale della società figlia, chiaramente rapporto di lavoro subordinato".

Il motivo non può essere accolto.

Come questa Corte ha più volte affermato, "il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sè solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all'altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l'esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da quei soggetti, che deve rivelare l'esistenza dei seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori. Trattasi di valutazione di fatto rimessa al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione" (v. fra le altre Cass. 15-5-2006 n. 11107, Cass. 7-9-2007 n. 18843, Cass. 14-11-2005 n. 22927, Cass. 10-4- 2009 n. 8809, vedi anche Cass. 5/9/2006 n. 19036, che ha altresì precisato che "l'art. 2094 cod. civ., nel prevedere il rapporto di lavoro subordinato, non definisce altresì l'impresa quale datrice di lavoro ma ne presuppone la nozione, caratterizzata dalla soggettività giuridica, con la conseguenza che, salve le ipotesi simulatorie, ad una pluralità di soggetti societari esercitanti i poteri del datore corrisponde una pluralità di rapporti").

Nella fattispecie la Corte di Appello di Ancona, pur riconoscendo la esistenza di un collegamento fra le due distinte società (tra l'altro essendo indicata in rete la M. (***) Inc. fra le "sedi periferiche estere" della M. s.r.l.), ha ritenuto che l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra la società (***) - "che non può essere qualificata come mera filiale" della società (***) - e il S. "non può di per sè condurre a ritenere che analogo rapporto fosse intercorso con la M. s.r.l.".

Al riguardo la Corte territoriale, premesso che dalla individuazione del S. - quale dirigente della società (***) - da parte della società capogruppo non può "trarsi la conseguenza, contraria alle risultanze documentali, che fosse stato concluso un contratto di lavoro subordinato direttamente con la M. s.r.l." e considerato, altresì, che "non vi è incompatibilità alcuna" tra la conclusione del contratto di "consulenza commerciale" concluso con la capogruppo e il contratto di lavoro subordinato concluso con la società (***), ha osservato che la "dedotta "preordinazione" del primo contratto rispetto al secondo non ne dimostra di per sè la simulazione relativa nel senso prospettato, ossia che in realtà, e a dispetto della veste formale dei contratti intervenuti, le parti avrebbero voluto che venisse ad instaurarsi un rapporto di lavoro subordinato direttamente tra la M. s.r.l. e il S.".

Del pari la Corte di merito ha, poi, rilevato che neppure "dimostrerebbe la natura simulata dei due contratti la dedotta circostanza secondo la quale "il contratto (***)" non avrebbe mai ricevuto concreta attuazione nella sua parte economica, nel mentre il contratto di "collaborazione commerciale" non prevedeva la descrizione delle mansioni del collaboratore", trattandosi, infatti, di "elementi cui può essere riconosciuta soltanto una valenza meramente indiziaria, ma che sono privi di univoco significato della sussistenza di una simulazione relativa" nel senso prospettato dal S., "vale a dire che le parti avessero voluto che si instaurasse un rapporto di lavoro subordinato direttamente con la M. s.r.l.".

Tanto premesso e rilevato altresì che anche un eventuale "distacco proprio" presupporrebbe comunque l'effettiva sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il S. e la società distaccante, la Corte territoriale ha osservato che al riguardo le prove offerte dall'appellante "non potrebbero comunque fornire la dimostrazione di tale vincolo" del lavoro subordinato, non essendo all'uopo sufficienti le circostanze di fatto allegate.

In particolare, al riguardo, la Corte di merito ha rilevato che il dedotto rapporto di collegamento societario, implicante necessariamente anche che il S., "quale direttore generale della controllata, dovesse dare esecuzioni alle disposizioni impartite dalla controllante", "non dimostra che il potere gerarchico e disciplinare nei suoi confronti appartenesse e fosse esercitato dagli organi direttivi della controllante" e non invece dagli organi direttivi della controllata, mentre "il fatto che il S., nei rapporti con i terzi, risultasse quale "general manager" e "managing director" della M. (***) Inc. dimostra soltanto il suo inserimento nell'organizzazione aziendale di quest'ultima e non certo in quella della M. s.r.l.".

Tali essendo le circostanze di fatto dedotte, la Corte, in mancanza di altre allegazioni rilevanti e considerato che il collegamento fra le due società non comporta di per sè l'insorgere di un unico centro di imputazione di rapporti, ha ritenuto quindi superflua la prova offerta dal S..

Trattasi, in conclusione, di valutazione di fatto, in ordine alla rilevanza della prova, congruamente motivata e rispettosa del principio di diritto sopra richiamato, la quale resiste alle censure del ricorrente.

Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 244 e 421 c.p.c. e artt. 1414; 1417, 2094, 2095 e 2099 c.c., il ricorrente, in sostanza, ribadisce la tesi della rilevanza delle circostanze di fatto dedotte e deduce la erroneità della valutazione operata dalla Corte di merito in relazione alla irrilevanza della prova offerta, lamentando, oltre alla mancata ammissione della stessa, in particolare anche il mancato esercizio dei poteri istruttori d'ufficio.

In specie il ricorrente deduce che la Corte d'Appello "non ha correttamente valutato il fatto dedotto e non si è posta neppure il problema di chiedere chiarimenti ovvero di procedere d'ufficio ad emendare la deduzione di quanto fosse ritenuto (inutilmente) valutativo in presenza di elementi di fatto inequivoci e - al limite - di una "pista probatoria" di evidente linearità".

Il primo profilo non può essere accolto per i motivi già esposti in relazione al primo motivo.

Per il resto la censura risulta inammissibile innanzitutto perchè priva di autosufficienza, non avendo il ricorrente indicato se e quali specifiche richieste abbia avanzato al riguardo dinanzi ai giudici di merito.

Come questa Corte ha più volte affermato, infatti, "nel rito di lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., l'uso dei poteri istruttori da parte del giudice non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere dovere del cui esercizio o mancato esercizio il giudice è tenuto a dar conto;

tuttavia, per idoneamente censurare in sede di ricorso per cassazione l'inesistenza o la lacunosità della motivazione sul punto della mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l'esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito" (v. Cass. 26-6-2006 n. 14731, Cass. 3-5-2007 n. 10182, Cass. 17-3-2008 n. 7153, Cass. 27-1-2009 n. 1894).

Peraltro è stato anche precisato che "nel rito di lavoro, i poteri istruttori officiosi di cui all'art. 421 cod. proc. civ., non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d'indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale" (v. Cass. 21-5-2009 n. 11847, Cass. 8-8-2002 n. 12002).

Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente va condannato, in ragione della soccombenza, al pagamento delle spese in favore della società controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese liquidate in Euro 22,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2009


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