Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20145 - pubb. 11/07/2018

Nella liquidazione delle spese processuali il giudice non è obbligato ad adottare i valori medi tariffari

Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 17 Maggio 2018, n. 12093. Est. Irene Tricomi.


Processo civile – Liquidazione delle spese processuali – Vincolo ai valori medi tariffari – Non sussiste – Discrezionalità del giudice – Affermazione



Per le liquidazioni effettuate ai sensi del D.M. n.140/2012 e del successivo D.M. n.55/2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo e il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione.

In tema di liquidazione delle spese processuali, la determinazione del dovuto costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo e il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Presidente -

Dott. TORRICE Amelia - Consigliere -

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Consigliere -

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere -

Dott. TRICOMI Irene - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

Svolgimento del processo

1. che la Corte d'Appello di Trieste ha rigettato l'impugnazione proposta dai ricorrenti in epigrafe nei confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dell'(*). avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Trieste.

2. Il Tribunale aveva rigettato la domanda proposta dai lavoratori volta alla disapplicazione dell'art. 65, comma 2, primo capoverso, del CCRL (-Per la medesima finalità di cui al comma 1, alla L.R. 27 novembre 2006, n. 23, art. 5, comma 6, prevede che per raggiungere il valore dello stipendio tabellare di convergenza di cui all'art. 64 venga utilizzata una quota del maturato economico individuale in godimento al 01/01/2007 pari alla differenza fra lo stipendio tabellare così come definito al primo comma e quello di convergenza di cui all'art. 64-), relativo al quadriennio 2002-2005 ed al biennio economico 2004-2005, del personale del comparto unico, area non dirigenziale - Regione e Autonomie locali, previa declaratoria della nullità, invalidità, illegittimità, e conseguentemente all'accertamento del diritto degli stessi alla conservazione del maturato economico individuale in godimento al 1 gennaio 2007 ed alla restituito in integrum, ordinando alla Regione di scorporare, dalla predetta data, dalla retribuzione mensile di base di ogni ricorrente, l'importo di maturato economico in godimento dal 1 gennaio 2017, e riattribuirlo ai medesimi ricorrenti nella distinta voce "maturato economico", con le mensilità stipendiali sempre a partire dalla suddetta data.

3. La Corte d'Appello rigettava l'impugnazione.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono i lavoratori prospettando quattro motivi di ricorso.

5. Resiste con controricorso la Regione Friuli-Venezia Giulia.

6. L'(*) è rimasta intimata.

 

Motivi della decisione

1. che prima di passare all'esame dei motivi di ricorso è opportuno procedere a illustrare il quadro normativo in cui si colloca la disposizione collettiva in esame.

1.1. La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha potestà legislativa primaria, da esercitare -In armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonchè nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni", tra l'altro nella materia "ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto".

1.2. Con la L. 27 marzo 1996, n. 18, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha definito nuovi criteri di organizzazione degli uffici ed ha provveduto alla revisione della disciplina del rapporto di lavoro dei propri dipendenti in conformità ai principi desumibili dalle disposizioni della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 2 che, ai sensi del comma 2, oltre ad essere principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 Cost. (nel testo anteriore alla riforma del Titolo 5 Cost.), costituiscono per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.

1.3. La disciplina regionale in materia di organizzazione degli uffici e di rapporto di lavoro, nonchè la contrattazione collettiva si è ispirata a vari principi, come stabilito dal citato art. 2 fra i quali quello (comma 1, lett. b ed e): "miglioramento dell'efficacia dell'azione amministrativa regionale nel quadro dei principi di imparzialità, trasparenza ed economicità, al fine di garantire la migliore tutela degli interessi pubblici e dei diritti dei cittadini", "razionalizzazione e controllo della spesa in relazione al funzionamento degli uffici ed in materia di personale".

1.4. Nell'adeguare la propria normativa ai principi della L. n. 421 del 1992, la Regione ha adottato un sistema di contrattazione di cui alla L. n. 18 del 1996, artt. 61-65 come succ. modificata, disposizioni poi abrogate dalla L.R. n. 18 del 2016, art. 54 a decorrere dal 14 dicembre 2016 e con effetto dal 1 giugno 2017, legge che ha ridisciplinato le relazioni sindacali e contrattazione di comparto.

1.5. La L.R. n. 18 del 1996, art. 62 tra l'altro, prevede che i contratti collettivi del personale regionale sia appartenente alla qualifica di dirigente, sia appartenente alle altre qualifiche, sono stipulati per la parte pubblica, da una delegazione di tre membri, nominati dalla Giunta regionale, esperti in materia di organizzazione del lavoro o in materia di contratti di lavoro o in materia finanziaria e, per la parte sindacale, da una rappresentanza delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Il contratto collettivo ha durata quadriennale relativamente allo stato giuridico e biennale con riguardo al trattamento economico; è soggetto a rinnovo decorsi i previsti termini-.

L6. La L.R. n. 13 del 1998, art. 127 disciplina il comparto unico del pubblico impiego della Regione e degli enti locali prevedendo:

In attuazione della L. Cost. 23 settembre 1993, n. 2 e della L.R. n. 3 del 1998, art. 1 e nell'ottica di una razionalizzazione degli apparati amministrativi e di un accrescimento dell'efficacia e dell'efficienza degli apparati medesimi, è istituito il comparto unico del pubblico impiego regionale e locale del Friuli-Venezia Giulia, di cui fanno parte i dipendenti del Consiglio regionale, dell'Amministrazione regionale, degli Enti regionali, delle Province, dei Comuni, delle Comunità montane e degli altri Enti locali.

2. I contratti collettivi regionali del personale facente parte del comparto unico di cui al comma 1 vengono stipulati con le procedure previste dalla legge.

3. Al personale del comparto unico di cui al comma 1, suddiviso in area dirigenziale e non dirigenziale, si applicano discipline omogenee in ordine allo stato giuridico.

4. L'ordinamento del personale degli Enti locali è disciplinato, analogamente a quello del personale della Regione, dalla legge regionale e dai contratti collettivi regionali nel rispetto dei principi generali del rapporto di pubblico impiego".

1.7. La L.R. 2 febbraio 2001, n. 2, all'art. 1 ha ulteriormente promosso il necessario processo di omogeneizzazione tra i contratti relativi al personale regionale e al personale degli Enti locali.

1.8. La L. n. 23 del 2006 ha riaffermato che l'attuazione del comparto unico del pubblico impiego regionale e locale, con particolare riferimento all'equiparazione dei trattamenti tabellari e all'omogeneizzazione degli istituti, rappresenta, nell'ottica della razionalizzazione degli apparati amministrativi e dell'accrescimento dell'efficacia ed efficienza dei medesimi, uno strumento fondamentale per il conferimento di funzioni e compiti amministrativi agli enti locali in quanto presupposto necessario per l'attivazione dei correlati processi di mobilità del personale e di governo delle dinamiche retributive delle amministrazioni del comparto medesimo.

1.9. Quindi alla medesima L. n. 23 del 2006, art. 5, ha dettato una complessa disciplina, oltre alla previsione del comma 6 di cui, come trasposta nel contratto collettivo regionale. e in sè, si dolgono i ricorrenti.

2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L.R. n. 23 del 2006, art. 5, comma 6. Violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, della L. n. 421 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). Questione di legittimità costituzionale della L.R. n. 23 del 2006, art. 5, comma 6, in relazione agli artt. 3, 36, 97 e 117 Cost. Impugnazione della sentenza ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

2.1. Assumono i ricorrenti che, diversamente da come affermato dal giudice di appello, la questione di legittimità costituzionale della L.R. n. 23 del 2006, art. 5, comma 6, è centrale, dal momento che la previsione legislativa è stata presa alla lettera dalla contrattazione collettiva e il giudice di merito ha ritenuto che trovando fondamento nella legge la disposizione contrattuale impugnata non fosse sindacabile nel merito.

La doglianza di incostituzionalità viene specificata dai lavoratori rispetto alla previsione del conglobamento ex lege, per i soli dipendenti regionali, del maturato economico nella retribuzione tabellare di convergenza (trattamento economico tabellare unitario), mentre per i dipendenti degli enti locali il raggiungimento della retribuzione di convergenza è stata prevista mediante aumenti economici.

Poichè la norma del CCRL ha riprodotto la legge, ciò determinerebbe la sussistenza della rilevanza, nè un eventuale accoglimento della questione caducherebbe l'intera norma.

Le censure di costituzionalità prospettate attengono, in particolare, all'intervento della legge in un ambito, quello del trattamento economico, che spetta alla contrattazione collettiva, così forzando quest'ultima, nonchè alla violazione dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento dell'Amministrazione.

2.2. Il motivo non è fondato.

2.3. Della L.R. 27 novembre 2006, n. 23, art. 5, commi 5 e 6 prevedono:

(5) A tutto il personale del Comparto unico del pubblico impiego della Regione e degli enti locali, dal 1 gennaio 2007, si applica il tabellare di convergenza così come risultante dal valore del tabellare in essere negli enti locali alla stessa data sommato al valore degli aumenti previsti dal Contratto collettivo nazionale del personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali per il biennio economico 2004-2005 del 9 maggio 2006, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 18 maggio 2006, n. 114 e con gli aumenti previsti dai commi 2 e 3.

(6) Al fine di raggiungere il valore dello stipendio tabellare di convergenza di cui al comma 5, per il personale regionale verrà utilizzata una quota del maturato economico individuale in godimento al 1 gennaio 2007 per un importo pari alla differenza tra lo stipendio tabellare in essere e quello di convergenza. Qualora il maturato economico risulti insufficiente per raggiungere il valore dello stipendio tabellare di convergenza, al dipendente viene comunque riconosciuta la differenza tra i due valori quale incremento tabellare. Qualora lo stipendio tabellare in godimento alla data del 1 gennaio 2007 risulti superiore allo stipendio tabellare di convergenza, la differenza viene riconosciuta nel maturato economico individuale-.

3.4. L'art. 65 (Definizione del trattamento tabellare unico per il personale regionale) del CCRL del comparto unico non dirigenti, 2002-2005 prevede: Ai fini del raggiungimento del processo di equiparazione del trattamento economico del personale regionale e del personale degli enti locali di cui alla L.R. n. 1 del 2002, art. 1, comma 3, la L.R. 27 novembre 2006, n. 23, art. 5, comma 4, prevede che a decorrere dal 01/01/2007 l'indennità integrativa speciale in godimento al personale regionale venga conglobata nello stipendio tabellare.

2. Per la medesima finalità di cui al comma 1 alla L.R. 27 novembre 2006, n. 23, art. 5, comma 6, prevede che per raggiungere il valore dello stipendio tabellare di convergenza di cui all'art. 64 venga utilizzata una quota del maturato economico individuale in godimento al 01/01/2007 pari alla differenza fra lo stipendio tabellare così come definito al primo comma e quello di convergenza di cui all'art. 64. Nei casi in cui il maturato economico risultasse insufficiente per raggiungere il valore dello stipendio tabellare di convergenza, la differenza tra i due valori viene attribuita a titolo di aumento contrattuale; nei casi in cui lo stipendio tabellare in godimento, alla data del 01/01/2007, risulti superiore al trattamento economico tabellare, di cui all'art. 64, comma 1, la differenza viene riconosciuta nel maturato economico individuale.

3. Gli importi complessivi derivanti dall'applicazione del presente articolo sono indicati nell'allegata tabella E".

2.5. Così richiamato il quadro normativo di riferimento, occorre rilevare che la circostanza che previsione analoga a quella contrattuale sia stata adottata dal legislatore regionale, non dà luogo, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, alla violazione del riparto competenziale della potestà legislativa tra lo Stato e la Regione ad autonomia differenziata Friuli-Venezia Giulia, secondo le previsioni dell'art. 117 Cost. e dello statuto di autonomia, anche in relazione alla L. Cost. n. 3 del 2001, art. 10.

Il contratto collettivo regionale in questione è stato adottato in ragione della disciplina regionale che regola la contrattazione collettiva, per cui non sussiste una automatica sovrapponibilità legge/CCRL, e non è possibile ravvisare una prevalenza legislativa rispetto all'autonomia collettiva, alla quale è demandato la regolazione degli aspetti economici e alla quale la stessa normativa sul comparto unico rimanda.

Peraltro, va osservato, come si evince dalla ricostruzione sopra delineata, che la norma regionale (L.R. n. 23 del 2006, art. 5, comma 6 anche in relazione al comma 5) in questione, nel complesso delle disposizioni che contiene. si inserisce e completa un quadro normativo ben più articolato rispetto al singolo istituto economico del maturato che viene in rilievo nella norma collettiva impugnata. volto alla istituzione del comparto unico, nell'esercizio della potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione.

La previsione di cui alla L. n. 23 del 2006, art. 5, comma 6 così come la distinta (per autonoma modalità procedimentale di adozione rispetto al procedimento legislativo), ma di contenuto analogo, disposizione di cui all'art. 65, comma 2, primo periodo. del CCRL, nel prevedere l'utilizzazione di una quota del maturato economico, risentono (atteso che la disposizione è finalizzata al raggiungimento del tabellare di convergenza fulcro dell'istituito comparto unico) e non potrebbe essere diversamente, del più complesso quadro normativo per l'attuazione del comparto unico adottato dalla Regione nell'esercizio delle proprie potestà competenziali.

Ciò, tuttavia, non si traduce in un assorbimento da parte del legislatore regionale dell'ambito rimesso alla contrattazione collettiva, pur tuttavia chiamata a riparametrare nell'esercizio della propria autonomia, il trattamento economico in relazione al nuovo assetto connotato da una disciplina omogenea dello stato giuridico ed economico di tutto il personale Regione/Enti locali, alla luce del comparto unico.

Ciò considerato, altresì, che il tabellare di convergenza, come previsto dalla L.R. n. 23 del 2006, medesimo art. 5 conclude il processo di equiparazione previsto alla L.R. n. 2 del 2001, articolo 1 determinando i livelli retributivi su cui andavano ad operare i futuri aumenti nell'ambito della contrattazione collettiva.

2.6. Quanto alla dedotta irragionevolezza implicante disparità di trattamento, con ricadute sul buon funzionamento dell'Amministrazione, si osserva che le differenze tra lo statuto del dipendente regionale e lo statuto del dipendente degli enti locali, e la necessità di applicare a tutto il personale del comparto (regione e enti locali), il tabellare di convergenza così come risultante (L.R. n. 23 del 2006, art. 5, comma 5) dal valore del tabellare in essere negli enti locali alla stessa data, sommato al valore degli aumenti previsti dal C.C.N.L. nazionale Regioni e Autonomie locali, biennio economico 2004-2005 del 9 maggio 2006, ha determinato l'adozione e in sede legislativa e in sede contrattuale, di misure per omogeneizzare e portate ad unità le peculiarità di ciascun settore.

3. Con il secondo motivo i ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. Friuli Venezia Giulia n. 23 del 2006, art. 5. Violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. I ricorrenti censurano l'indebita valutazione da parte della Corte d'Appello degli effetti temporali del conglobamento del maturato economico nella retribuzione di convergenza. Ciò sia per l'erronea decorrenza sia per l'erroneo computo.

Erroneamente, la quale la Corte d'Appello ha ritenuto che i lavoratori avessero eccepito la nullità dell'art. 65 del CCN regionale solo per quanto riguardava la decorrenza delle previsioni ivi contenute per il periodo successivo rispetto a quello di vigenza contrattuale.

3.1 Il motivo è inammissibile.

Va osservato che compete al giudice del merito procedere alla qualificazione ed interpretazione della domanda fatta valere in giudizio.

Il giudice del merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla propria cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale (Cass., n. 118 del 2016).

Ancora. va rilevato che il principio secondo cui l'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) od a quello del "tantum devolutum quantum appellatum" (art. 345 cod. proc. civ.), trattandosi in tal caso della denuncia di un "error in procedendo" che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all'esame ed alì interpretazione degli atti processuali e, in particolare. delle istanze e deduzioni delle parti (Cass., n. 21421 del 2014).

Peraltro, come affermato da questa Corte, in caso di denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, del vizio di pretesa violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. da parte del giudice di merito, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente il ricorso introduttivo del giudizio. purchè ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, al fine di verificare contenuto e limiti della domanda azionata (Cass., n. 80908 del 2014), circostanza non verificatisi nella caso in esame.

Va altresì osservato che è applicabile alla fattispecie l'art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell'11.8.2012). di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881 e Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5 ha la finalità di evitare l'abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione. non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l'anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, "in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico" nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione", sicchè quest'ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perchè non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

4. Con il terzo motivo di ricorso formulata ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in ragione dell'auspicato accoglimento dei primi due motivi, si assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 124 e 421 cod. proc. civ.; mancata valutazione delle prove offerte.

I ricorrenti deducono che la Corte d'Appello ha assorbito il motivo di appello relativo alla mancata accoglimento delle istanze istruttorie da parte del primo giudice Sostengono, altresì, che ha errato il Tribunale nel ritenere che la domanda non risultava provata ed era del tutto generica sotto il profilo del quantum perchè i ricorrenti avevano sollecitato l'esercizio dei poteri istruttori officiosi e chiesto l'acquisizione dei tabulati relativi all'importo goduto a titolo di maturato.

4.1. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di rilevanza, in quanto il rigetto della domanda sull'an esclude la rilevanza dell'accertamento del quantum.

5. Con la quarta censura i ricorrenti denunciano la "violazione e falsa applicazione del D.M. n. 140 del 2012 e. in subordine, del D.M. n. 127 del 2004; violazione dell'art. 24 Cost." e rilevano che la Corte d'Appello, nel liquidare le spese di lite in Euro 10.000,00, oltre accessori di legge, ha violato i parametri di cui alla Tabella A allegata al D.M. n. 140 del 2012 perchè per le controversie di valore indeterminabile la richiamata tabella prevede, inclusa la fase istruttoria che in appello non è stata compiuta, circa la somma di Euro 5400,00.

5.1. Aggiungono che applicando i criteri di liquidazione previsti dal D.M. n. 127 del 2004 potevano essere riconosciuti Euro 1143,00 per diritti ed Euro 2662,50 per onorari.

5.2. Il motivo non è fondato.

Va richiamato l'orientamento consolidato di questa Corte secondo cui "in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41 il quale ha dato attuazione al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l'accezione omnicomprensiva di "compenso" la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata" (Cass. S.U. 12.10.2012 n. 17405 e negli stessi termini Cass. 2.7.2015 n. 13628, Cass. 11.2.2016 n. 2748).

Il richiamato D.M. n. 140 del 2012, applicabile alla fattispecie perchè la sentenza impugnata è stata pronunciata nel 2013, prevede all'art. 4, comma 4, che "Qualora l'avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale il compenso unico può essere aumentato fino al doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si applica quando l'avvocato difende una parte contro più parti" ed all'art. 5, comma 3, che "Per le controversie di valore indeterminato o indeterminabile si tiene particolare conto dell'oggetto e della complessità della stessa".

I ricorrenti, pur contestando la liquidazione delle spese effettuata dalla Corte territoriale, perchè a loro dire non conforme alle tabelle allegate al d.m., non hanno considerato le disposizioni regolamentari sopra richiamate ed inoltre hanno assunto a parametro i valori medi, anzichè quelli massimi, elevabili nei limiti consentiti dalle norme citate.

Questa Corte ha già affermato che per le liquidazioni effettuate ai sensi del D.M. n. 140 del 2012 e del successivo D.M. n. 55 del 2014 non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Cass. n. 13809/2017).

Va, pertanto, ribadito, anche nel mutato contesto normativo, l'orientamento secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione del dovuto costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (Cass. n. 21205/ 2016).

6. Il ricorso deve essere rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 16.000 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 23 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2018.