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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20005 - pubb. 22/06/2018.

Il trasferimento all'estero della sede non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita


Cassazione civile, sez. I, 04 Maggio 2018. Est. Paola Vella.

Istanza di fallimento - Società costituita in Italia - Trasferimento all'estero della sede legale - Conseguente cancellazione dal registro delle imprese - Art. 10 l.fall. - Applicabilità - Esclusione - Ragioni


La previsione dell'art. 10 l.fall., in forza della quale gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, non trova applicazione laddove la cancellazione di una società venga effettuata, non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente o a seguito del verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'attività, ma in conseguenza del trasferimento all'estero della sede, e quindi sull'assunto che detta società continui l'esercizio dell'impresa, sia pure in un altro Stato, atteso che un siffatto trasferimento (almeno nelle ipotesi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi, sul punto, con i principi desumibili dalla legge italiana) non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita, come è agevolmente desumibile dal disposto degli articoli 2437, comma 1, lett. c) e 2473, comma 1, c.c.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente -

Dott. PAZZI Alberto - Consigliere -

Dott. VELLA Paola - rel. Consigliere -

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo - Consigliere -

Dott. CENICCOLA Aldo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

1. Con la pronuncia impugnata, depositata il 5/2/2013, la Corte d'appello di Milano ha revocato la sentenza del 19/10/2012 con cui il Tribunale di Milano aveva dichiarato il fallimento della società (*) s.r.l., accogliendo il reclamo proposto L. Fall., ex art. 18, da L.E., Gi.Fr., Fondo Cagliostro DW Ltd e (*) s.r.l. con sede in (*), il primo amministratore unico della società fallita sino al 31/12/2008 e socio della stessa sino alla sua cancellazione dal Registro delle imprese in data 9/3/2009, il secondo amministratore unico del Fondo Cagliostro Ltd, cessionario delle quote di partecipazione del L. ed amministratore unico della medesima società successivamente al 31/12/2008.

2. Il giudice d'appello afferma che "anche ove in ipotesi si dovessero ritenere fondati i primi due motivi di gravame (che investono la invalidità della notifica del ricorso introduttivo del precedente grado e la formazione del "giudicato/preclusione" afferente alla carenza di giurisdizione del giudice italiano), il reclamo va in ogni caso accolto", poichè "o il trasferimento all'estero della società (*) è effettivo (contrariamente a quanto ha ritenuto la decisione qui impugnata) e allora c'è il difetto di giurisdizione" come stabilito dallo stesso Tribunale di Milano con due precedenti decreti del 4/3/2010 e 21/4/2011, a fronte del trasferimento all'estero della (*) s.r.l. ritenuto "effettivo e non fittizio" - "o il trasferimento non è effettivo ed allora occorre necessariamente applicare la L. Fall., art. 10", con conseguente preclusione della dichiarazione di fallimento sulle istanze depositate da tre banche (le odierne ricorrenti) nel febbraio 2012, "essendo decorso oltre un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese (9 marzo 2009) e non essendo neppure allegato (prima ancora che dimostrato) che la società abbia continuato a svolgere alcuna attività in Italia".

3. Le banche odierne ricorrenti hanno impugnato la decisione d'appello con due motivi di ricorso, notificato il 6-11/3/2013.

4. L'intimato L. ha resistito con controricorso e proposto altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a tre motivi.

5. Il Pubblico Ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte per l'accoglimento del secondo motivo di ricorso (con rigetto del primo) e l'inammissibilità del ricorso incidentale condizionato.

 

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso - rubricato "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5" - le ricorrenti censurano la laconicità della motivazione sull'eccepito difetto di giurisdizione, non comprendendosi "neppure se il Collegio milanese abbia ritenuto effettivo o fittizio il trasferimento della sede legale della (*) s.r.l. negli U.S.A.", poichè il riferimento alla L. Fall., art. 10, sembrerebbe presupporre la giurisdizione italiana, in relazione alla quale però la Corte territoriale sembrerebbe pretendere l'allegazione e dimostrazione, da parte delle banche, che la (*) aveva continuato a svolgere attività in Italia.

1.1. Il motivo presenta vari profili di inammissibilità: innanzitutto, nonostante si tratti di sentenza pubblicata dopo l'11 settembre 2012, esso segue la previgente formulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che ora richiede invece l'indicazione di specifici fatti decisivi sui quali la motivazione sia in ipotesi omessa (ex plurimis, Cass. n. 19761 e n. 19040 del 2016); in secondo luogo, la censura motivazionale prospetta carenze incompatibili tra loro, quali l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, non potendosi predicare l'assenza di ciò che si critica quanto ad estensione e contenuto (ex plurimis Cass. n. 13336 e n. 6690 del 2016); infine, esso non coglie l'effettiva ratio decidendi della pronuncia, fondata sulla ragione della preclusione L. Fall., ex art. 10, evidentemente ritenuta "più liquida" rispetto alle ulteriori questioni controverse (giurisdizione italiana e regolarità del contraddittorio in sede prefallimentare), come è stato ritenuto possibile, in forza delle esigenze di economia processuale e celerità del giudizio, ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost., anche in deroga all'ordine logico delle questioni da trattare di cui all'art. 276 c.p.c. (Cass. Sez. U. n. 26242 del 2014; conf. Cass. n. 12002 del 2014, n. 23531 del 2016, nn. 987 e 1252 del 2018).

2. Con il secondo mezzo - rubricato "violazione e/o falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 10 e successive modifiche, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3" - i ricorrenti allegano che la L. Fall., art. 10, si riferisce esclusivamente alla cancellazione dal registro delle imprese che determini l'estinzione della società, mentre nel caso di specie la cancellazione è dipesa solo dal trasferimento della sede legale della debitrice all'estero, ed in quanto tale era inidonea a far decorrere il termine preclusivo annuale contemplato dalla norma, in assenza di cessazione dell'attività.

2.1. Il motivo è fondato, in quanto, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, l'operatività della L. Fall., art. 10, è circoscritta al caso di cancellazione per cessazione dell'attività e non può trovare applicazione analogica al caso di cancellazione per trasferimento all'estero della sede sociale, sia esso effettivo o fittizio (per il primo caso, v. Cass. Sez. U. sentenza n. 5945 del 2013: "Laddove la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa e da cui la legge faccia discendere l'effetto necessario della cancellazione, bensì come conseguenza del trasferimento all'estero (nella specie, in Francia) della sede della società, e quindi sull'assunto che questa continui, invece, a svolgere attività imprenditoriale, benchè in altro Stato, non trova applicazione la L. Fall., art. 10, atteso che un siffatto trasferimento, almeno nelle ipotesi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi sul punto con i principi desumibili dalla legge italiana, non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell'attività, come peraltro agevolmente desumibile dal disposto dell'art. 2437 c.c., comma 1, lett. c) e art. 2473 c.c., comma 1"; per il secondo caso v. Cass. Sez. 1, sentenza n. 43 del 03/01/2017: "Laddove la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano avvenga non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa e da cui la legge faccia discendere l'effetto necessario della cancellazione, bensì come conseguenza del trasferimento fittizio all'estero della sede della società, non trova applicazione la L. Fall., art. 10, atteso che un siffatto trasferimento non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell'attività imprenditoriale, che continua ad essere svolta nel territorio dello Stato. Inoltre, in applicazione del principio di effettività ed in ragione della fittizietà del trasferimento della sede sociale e della permanenza dell'attività in Italia, il giudice italiano neppure perde la propria giurisdizione L. Fall., art. 10").

3. Il ricorso incidentale condizionato è articolato su tre motivi: 1) "omessa od insufficiente motivazione circa un punto decisivo per il giudizio relativo alla eccepita inesistenza/invalidità della notificazione del ricorso per la declaratoria di fallimento e alla conseguente nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5"; 2) "violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 2945 c.c.) in relazione all'eccezione di inesistenza/invalidità della notificazione del ricorso per la declaratoria di fallimento e conseguente nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3"; 3) "omessa od insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo per il giudizio in relazione all'eccezione di ne bis in idem per l'avvenuta formazione di giudicato esterno sul difetto di giurisdizione del Giudice italiano e sull'effettività del trasferimento all'estero della società o comunque della preclusione a decidere in modo difforme rispetto ai due precedenti decreti di rigetto del tribunale di Milano, ex art. 360 c.p.c., n. 5".

3.1. Tutti i motivi del ricorso incidentale così articolato sono inammissibili per carenza di interesse, in quanto le censure non colpiscono specifiche statuizioni sfavorevoli della sentenza impugnata, bensì questioni sulle quali il giudice d'appello non si è pronunciato (ritenendole implicitamente assorbite per le ragioni indicate sub 2.1) e non sì è perciò formato il presupposto della soccombenza del controricorrente, che potrà dunque riproporle in sede di rinvio (Cass. Sez. 5, sentenza n. 22095 del 22/09/2017; conf. Cass. n. 4130 del 2014), ivi compresa la questione sulla quale il controricorrente invoca la declaratoria d'ufficio di carenza di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello statunitense, in caso di mancato accoglimento dei motivi di ricorso incidentale condizionato.

4. In conclusione, accolto il secondo motivo del ricorso principale e dichiarato inammissibile il primo, così come tutti i motivi del ricorso incidentale condizionato, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per l'esame delle questioni rimaste assorbite.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale e tutti i motivi del ricorso incidentale condizionato; accoglie il secondo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2018.