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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20000 - pubb. 21/06/2018.

Revocatoria fallimentare: non è indeterminata la domanda che riporti l'indicazione delle singole rimesse in conto corrente


Cassazione civile, sez. VI, 18 Aprile 2018, n. 9610. Est. Ferro.

Revocatoria fallimentare - Rimesse in conto corrente bancario - Azione revocatoria - Indicazione dei singoli versamenti - Necessità - Esclusione - Indeterminatezza dell'oggetto e della "causa petendi" - Domanda - Nullità - Esclusione


Non è affetta da nullità per indeterminatezza dell'oggetto o della "causa petendi", ai sensi del combinato disposto degli artt. 163, comma 3, nn. 3 e 4, e 164, comma 4, c.p.c. la citazione contenente la domanda di revocatoria fallimentare di pagamenti costituiti da rimesse in conto corrente bancario, benché priva dell'indicazione dei singoli versamenti solutori, qualora (come nella specie) siano specificamente indicati i conti correnti e la domanda si riferisca a tutte le rimesse operate su quei conti in un determinato periodo di tempo (con indicazione anche dell'importo globale delle stesse), essendo sufficientemente specificati gli elementi idonei a consentire alla banca l'individuazione delle domande contro di essa proposte. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea - Presidente -

Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -

Dott. FERRO Massimo - rel. Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

Svolgimento del processo

Rilevato che:

1. BANCA DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a. ((*)), impugna la sentenza App. Messina 14.6.2016, n. 366/2016, in RG 935/2010, con la quale è stato respinto il proprio appello avverso la sentenza Trib. Messina 1.7.2010, n. 1343/2010, di declaratoria di inefficacia verso la massa dei creditori del fallimento (*) s.p.a. delle rimesse bancarie effettuate tra il 24.12.1992 e il 24.12.1993 su conto corrente della fallita, in essere presso la banca convenuta, per 1.616.694,48 Euro, con condanna alla relativa restituzione;

2. ha precisato la corte che: a) l'azione proposta dalla curatela riguardava in modo specifico le rimesse effettuate, in un periodo dato e su un precisato conto corrente, così assolvendo al requisito della necessaria determinatezza dell'oggetto e del titolo, non essendo indispensabile anche l'indicazione dei singoli versamenti; b) nella decisione di primo grado non vi era vizio di ultrapetizione, pur avendo l'attrice quantificato un importo iniziale in somma inferiore (equivalente ad Euro 1.542.635,27), stante la formula più lata fatta oggetto di richiesta all'esito delle risultanze istruttorie; c) la possibilità di inferire la prova della scientia decoctionis anche da elementi indiziari, tenuto conto della natura professionale dell'accipiens, prova ogni correlata ai protesti bancari, allo sconfinamento costante oltre i 300 milioni Lire sin dal 1992 e alla cattiva situazione di bilancio del medesimo anno, in cui versava la debitrice, oltre che dal riconoscimento dello stato d'insolvenza da parte dei direttori di Banco di Sicilia di Messina e Banca sicula in sede d'istruttoria prefallimentare.

4. con il ricorso, in tre motivi, si contesta la decisione lamentando l'indeterminatezza iniziale della domanda, la prova della conoscenza in capo alla banca dello stato d'insolvenza, la mancata considerazione dei rilievi di consulenza in ordine alle operazioni bilanciate nelle quali almeno in parte si erano risolti gli apparenti versamenti sul conto; al ricorso si oppone la curatela con controricorso.

 

Motivi della decisione

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile ex art. 360 c.p.c., n. 1, alla luce del consolidato indirizzo, qui ribadito, per cui "non è affetta da nullità per indeterminatezza dell'oggetto o della "causa petendi", ai sensi del combinato disposto dell'art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4, e art. 164 c.p.c., comma 4, (nel testo novellato dalla L. n. 353 del 1990), la citazione contenente la domanda di revocatoria fallimentare di pagamenti costituiti da rimesse di conto corrente bancario, seppure manchi l'indicazione dei singoli versamenti solutori, qualora (come nella specie) siano specificamente indicati i conti correnti e la domanda si riferisca a tutte le rimesse operate su quei conti in un determinato periodo di tempo (ed indichi anche l'importo globale delle stesse), essendo sufficientemente specificati gli elementi (di cui al citato art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4) idonei a consentire alla banca l'individuazione delle domande contro di essa proposte." (Cass. 14552/2008, 6789/2012);

2. sul secondo motivo, osservato che la ricorrente non allega in quale sede e con quale tempestività di censura abbia introdotto avanti al giudice di merito la specifica doglianza attinente ad una rituale contestazione degli elementi di prova documentale valorizzati nelle decisioni, va comunque ravvisata l'inaccessibilità, per questa via ed ai sensi dell'indirizzo precisato da Cass. s.u. 8053/2014, del vizio di motivazione, nel quale in sostanza si risolve la complessa censura; occorre infatti ribadire che "la riformulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione."; appare altresì corretto il ricorso al criterio della speciale avvedutezza del soggetto economico accipiens, per il quale si può ripetere che "la qualità di operatore economico qualificato della banca convenuta, pur non integrando, da sola, la prova dell'effettiva conoscenza dei sintomi dell'insolvenza, impone di considerare la professionalità ed avvedutezza con cui normalmente gli istituti di credito esercitano la loro attività." (Cass. 26061/2017);

3. il terzo motivo è inammissibile, in ragione di plurimi profili; in primo luogo si oppone che "l'omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell'art. 112 c.p.c. e non già l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell'appello, sicchè, ove il vizio sia dedotto come violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile. "(Cass. 6835/2017, 22759/2014);

4. in ogni caso, e per altro profilo, la censura è inammissibile perchè, per un verso, la ricorrente non allega nè prova la tempestività dell'eccezione non solutoria delle rimesse ove causalmente tradottesi in operazioni bilanciate, cioè con costituzione di provvista ad hoc permessa dalla banca e contestuale operazione a debito e non a rientro del debito esigibile, anzi emergendo che si tratta di eccezione sollevata in primo grado solo dopo la CTU; per altro verso, anche tale questione risulta essere stata trattata dal primo giudice e nel merito ritenuta non fondata; può allora dirsi che la qualificazione siccome solutorie di tutte le rimesse, per come recepita dalla corte d'appello alla stregua di atti di pagamento rispetto allo scoperto di conto, assorbe anche il tema delle operazioni bilanciate, senza refluire in alcuna omessa pronuncia e, nella sua contestazione anche come vizio di motivazione, è assoggettata ai limiti della citata Cass. s.u. 8053/2014;

3. il ricorso è, pertanto, inammissibile, conseguendone la condanna alle spese secondo soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte costituita, di Euro 9.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sul compenso e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2018.