Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1993 - pubb. 29/01/2010

Estensione del fallimento all’unico azionista di S.p.A.

Cassazione civile, sez. I, 04 Febbraio 2009, n. 2711. Est. Bernabai.


Fallimento – Società per azioni – Unico azionista – Art. 147 legge fall. – Applicabilità – Esclusione – Fondamento.



L'art 147 della legge fall. (nel testo anteriore al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), nella parte in cui commina l'estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, si riferisce a quelle società che, in base al tipo legale, sono strutturalmente conformate in modo tale da comportare, nonostante l'autonomia patrimoniale - o, addirittura, la personalità giuridica, come nella società in accomandita per azioni - la responsabilità illimitata e solidale dei soci, o di una categoria di essi, per tutte le obbligazioni sociali, secondo una "ratio" che imputa l'insolvenza a titolo di responsabilità oggettiva sulla base dell'accettazione del rischio di impresa: la norma non è quindi estensibile ai soci occasionalmente responsabili delle obbligazioni contratte per accadimenti specifici e storicamente delimitabili, come nel caso di socio unico di società per azioni, ai sensi dell'art. 2362 cod. civ. (nel testo anteriore al d.lgs. n. 6 del 2003), disposizione di natura eccezionale ed impositiva, in capo all'unico azionista, di una responsabilità "lato sensu" fideiussoria "ex lege", ma solo in via temporanea. (fonte CED – Corte di Cassazione)



omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza emessa il 22 Giugno 2001 il Tribunale di Napoli dichiarava il fallimento, L. Fall., ex art. 147, di D. P. N. in estensione al fallimento già dichiarato nel 1993 della D. s.p.a. di cui egli era socio unico.

Avverso la sentenza proponeva opposizione il D. P. N. con atto di citazione notificato il 13 luglio 2001, deducendo l'inapplicabilità alla fattispecie del socio unico di società per azioni (art. 2362 cod. civ.) della disciplina di cui alla L. Fall., art. 147, riservata ai soci la cui responsabilità illimitata fosse strutturalmente connaturale al tipo di società.

In subordine, eccepiva l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevedeva il termine di un anno dal fallimento della società per la dichiarazione del fallimento in estensione del socio.

Resistevano alla domanda la curatela, il creditore istante e la Banca.

Con sentenza 18 Novembre 2002 il Tribunale di Napoli rigettava l'opposizione, compensando tra le parti le spese di giudizio. In accoglimento del successivo gravame, la Corte d'appello di Napoli con sentenza 18-25 Maggio 2004 revocava la dichiarazione di fallimento personale, con compensazione integrale delle spese di giudizio.

Motivava.

che l'interpretazione letterale e logica della L. Fall., art. 147, induceva a restringere ai tipi societari istituzionalmente caratterizzati da responsabilità illimitata e solidale dei soci, o di alcuni fra essi, la fallibilità consequenziale: come confermato dalla contestuale esclusione del medesimo effetto ai soci delle società cooperative;

che, per contro, l'unico azionista di una s.p.a. doveva essere considerato un fideiussore ex lege, la cui corresponsabilità solidale aveva solo natura sussidiaria, eventuale e temporalmente limitata alle obbligazioni sorte in regime di unipersonalità. Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione notificato il 16 luglio 2004 la curatela del fallimento D. P. N..

Deduceva.

1) la violazione degli artt. 2362 cod. civile, vecchio testo, e L. Fall., art. 147, per aver escluso il fallimento in estensione del socio unico illimitatamente responsabile, restringendo arbitrariamente l'ambito di applicazione della norma ai soci di società di persone, in quanto istituzionalmente, e non solo occasionalmente, responsabili in via solidale ed illimitata per le obbligazioni sociali;

2) la violazione di legge e la carenza di motivazione nell'aver escluso la fallibilità del socio illimitatamente responsabile sulla base dell'esclusione del fallimento per il socio di società cooperativa, la cui natura eccezionale doveva invece, a contrario, confermare la fallibilità del socio unico in tutte le altre società, anche di capitali;

3) la violazione del combinato disposto dell'art. 2362 cod. civ. e L. Fall., art. 147, per nel l'attribuire valore esimente dal fallimento alla limitazione della responsabilità solidale dell'unico socio alle sole obbligazioni sorte nel periodo di appartenenza dell'intero capitale: trattandosi di restrizione temporale non diversa da quella riconoscibile in ipotesi di morte o recesso del socio, unanimemente ritenute non ostative al fallimento personale.

Resisteva con controricorso il D. P. N..

All'udienza del 6 Novembre 2008 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I tre motivi in cui è articolato il ricorso si possono esaminare congiuntamente, vertendo, in sostanza, sulla medesima questione di diritto, impropriamente prospettata anche sotto il profilo della carenza di motivazione, riguardante la vexata quaestio dell'interpretazione del combinato disposto di cui all'art. 2362 cod. civ. (nel testo previgente, applicabile ratione temporis al caso in esame) e L. Fall., art. 147, comma 1.

Le doglianze sono infondate.

La L. Fall., art. 147, nella parte in cui commina l'estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, si riferisce a quelle società che, in base al tipo legale, sono strutturalmente conformate in modo tale da comportare, nonostante l'autonomia patrimoniale - o addirittura, la personalità giuridica, come nella società in accomandita per azioni - la responsabilità solidale illimitata dei soci o di una categoria di essi per tutte le obbligazioni sociali. Tale norma non è invece estensibile ai soci occasionalmente responsabili delle obbligazioni contratte per accadimenti specifici e storicamente delimitabili (Cass., sez. 1^, 24 Marzo 1976 n. 1044): come nel caso del socio unico di s.p.a. (art. 2362 cod. civ.) e di s.r.l (art. 2497 cod civ.), secondo la normativa previgente alla tipizzazione legale delle predette società in forma istituzionalmente unipersonale.

L'art. 2362 cod. civ., che sanciva per l'unico azionista, prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, la perdita del beneficio della limitazione della responsabilità, va infatti configurato come norma eccezionale, impositiva di una responsabilità lato sensu fideiussoria ex lege, per il periodo in cui è venuta meno la pluralità dei soci. L'inapplicabilità della L. Fall., art. 147, discende dal fatto che la perdita del beneficio è solo temporanea, e cioè ristretta al periodo di concentrazione del capitale nelle mani di un solo socio: con la conseguente dissonanza tra la responsabilità della società per tutte le obbligazioni e quella del socio unico, limitata alle sole obbligazioni ratione temporis solidali. Tale distinzione potrebbe, in ipotesi, comportare un'insolvenza maturata in epoca antecedente alla sopravvenuta unipersonalità; e perfino l'inesistenza assoluta di obbligazioni la cui genesi sia ascrivibile al periodo di esposizione a responsabilità del socio (che si configura, nello schema della norma, come una parentesi nella vita e nell'attività imprenditoriale della società): con la conseguenza invero paradossale, secondo la tesi propugnata dal ricorrente, di una fallibilità in estensione del socio unico, nonostante la carenza, in concreto, dei presupposti di fatto per l'operatività dell'art. 2362 cod. civ.. La dichiarazione di fallimento, in quest'ottica, finirebbe con l'acquisire un'esclusiva valenza sanzionatoria, di cui non v'è traccia nella lettera e nella ratio della norma.

Al riguardo, non appaiono decisivi i contrapposti argomenti addotti da una parte della dottrina, per sminuire la portata dirimente della limitazione temporale della responsabilità solidale e illimitata. Si assume che analoga limitazione sussiste nell'ipotesi di recesso del socio - che fallirebbe anche se solidalmente obbligato per debiti maturati prima della cessazione del rapporto sociale (Cass., sez. 1^, 22 Maggio 1990 n. 4626) - o nella fattispecie di trasformazione in società di capitali di una società di persone già insolvente, il cui fallimento si estenderebbe anche ai soci in origine illimitatamente responsabili, sebbene questi rispondano delle solo obbligazioni sorte prima della trasformazione (Cass., sez. 1^, 19 Luglio 2000, n. 9481; Cass., sez. 1^, 24 Luglio 1997, n. 6925; Cass., sez. 1^, 24 Luglio 1992 n. 8924). O ancora, nell'ipotesi di fusione di società di persone (insolvente) con una società di capitali che l'incorpori, dato che il beneficio della responsabilità limitata non retroagirebbe, liberando i soci illimitatamente responsabili all'epoca del manifestarsi dell'insolvenza.

Sennonché, il parallelismo con la fattispecie di cui all'art. 2362 cod. civ. è solo apparente.

In tutti i casi sopra menzionati, infatti, il limite temporale di responsabilità illimitata e solidale del socio è solo quello finale: il dies ad quem che segna la cessazione del rapporto sociale e della responsabilità solidale del singolo, per recesso (o morte), o per il passaggio dall'autonomia patrimoniale imperfetta alla personalità giuridica della società (nella trasformazione o nella fusione in una società di capitali). Tale limite unidirezionale, valido per i soli debiti sociali sorti dopo gli eventi suddetti, lascia invece universale e illimitata la responsabilità solidale del socio per le obbligazioni pregresse della società: e cioè proprio per quelle che l'hanno condotta all'insolvenza.

Per contro, la fattispecie di cui all'art. 2362 cod. civ., pone un doppio limite temporale: non solo un dies ad quem finale, coincidente con il ritorno alla pluripersonalità - considerata, nel sottosistema delle società di capitali, condizione normale prima della riforma, (anche se l'unipersonalità non era necessariamente transeunte, a differenza che per le società di persone: art. 2272 cod. civ., n. 4) - ma anche un dies a quo iniziale dell'esposizione a responsabilità. Questa non abbraccia, quindi, automaticamente l'intera massa di debiti maturati prima che venisse meno la pluralità dei soci: in contrasto con l'assunzione di responsabilità per la totalità delle obbligazioni pregresse, prevista, per contro, quale effetto legale dell'ingresso in una società di persone del socio strutturalmente coobbligato in via solidale (art. 2269 cod. civ.).

Se poi si sottopone a scrutinio penetrante la norma, si può fondatamente escludere che sussista nella s.p.a. la stessa ratio dell'imputazione dell'insolvenza a titolo di responsabilità oggettiva sulla base dell'accettazione del rischio di impresa. Mentre infatti nei tipi caratterizzati da responsabilità istituzionale dei soci, si può ravvisare, in effetti, una relazione tra il dominio sull'impresa e la responsabilità illimitata che ne deriva; o quanto meno, la volontaria accettazione di un rischio oggettivo ed immanente - anche se il singolo socio resti, di fatto, estraneo alla gestione da società: come, ad esempio, nel caso di un socio di società in nome collettivo dimostratosi assenteista e passivo, che resta, nondimeno, assoggettato al fallimento - non sembra che analoga ratio possa giustificare il fallimento del socio unico di una società di capitali, la cui posizione può derivare da eventi del tutto indipendenti dalla sua volontà (come ad esempio, il recesso degli altri soci per una delle evenienze giustificative di cui all'art. 2437 cod. civ.).

Ancor meno convincente è la tesi, pur affacciata in dottrina, che l'art. 2362 cod. civ., nel testo originario disegnasse una responsabilità non diversa da quella dei soci illimitatamente responsabili della società di persone, in ragione di un'opzione legislativa penalizzante l'imprenditore individuale rispetto a quello collettivo: tesi, che parte da una sorta di manifesto ideologico sull'indefettibilità della plurisoggettività, quale fondamento del beneficio della personalità giuridica e dell'autonomia patrimoniale perfetta, smentita dall'evoluzione legislativa che ha portato all'istituzione di società di capitali unipersonali: dapprima con il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 88, in attuazione della direttiva CEE 21 Dicembre 1989, n. 667, introduttiva della s.r.l unipersonale, e poi con il D.Lgs. n. 6 del 2003.

In chiusura di analisi, si può aggiungere che la tesi qui criticata sarebbe gravida di sviluppi indefiniti, qualora il socio unico di una s.p.a. insolvente sia, a sua volta, una società di capitali unipersonale; dando adito a fallimenti a catena.

Il ricorso è pertanto infondato e va respinto, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità dalle questioni trattate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2009


Testo Integrale