Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19846 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. II, 22 Novembre 1990, n. 11269. Est. Patierno.


Prescrizione civile - Sospensione - Dichiarazione di fallimento - Irrilevanza



La dichiarazione di fallimento rende inammissibili o comunque improcedibili le azioni esecutive individuali essendo il soddisfacimento integrale dei creditori in contrasto con la legge del concorso ma non preclude l'esercizio del diritto nell'ambito della procedura concorsuale. Ne consegue che la dichiarazione di fallimento non sospende ne' interrompe il termine della prescrizione per l'esercizio delle azioni creditorie e che soltanto la presentazione delle istanze per la insinuazione del credito nel passivo fallimentare equiparabile all'atto con cui si inizia un giudizio, determina la interruzione della prescrizione con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale in applicazione del principio generale fissato dall'art. 2945 comma secondo cod. civ.. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. G. Battista D'AVINO Presidente
" Antonio BRONZINI Consigliere
" Antonio PATIERNO Rel. "
" Vittorio VOLPE "
" Franco PAOLELLA "
ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

LELLI GELSOMINA ved. RIZZOLI, RIZZOLI ALESSANDRO, RIZZOLI LUISA res. a Rimini; elett. dom. in Roma presso la Canc. della Corte di Cassaz.;
rapp. e dif. dall'avv. Franco Beltrami per delega a margine del ricorso.

Ricorrenti

contro

GOLINUCCI PIER PAOLO e GOLINUCCI LAURA; elett. dom. in Roma V. Cirenaica, 15 presso l'avv. Paolo Fabbri che li rapp. e dif. insieme agli avv. ti Angelo Bonsignori e Nicola Picardi per delega a margine del controricorso.

Controricorrenti

Per l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello di Bologna del 25.1-26.2.1985. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26.4.1989 dal Cons. Antonio Patierno.
Pe ril ricorrente è comparso l'avv. F. Beltrami che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Per il controricorrente è comparso l'avv. N. Picardi che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Ezio Romagnoli che ha concluso per il rigetto del 1 e 2 motivo e l'accoglimento del 3 .

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Alfredo Golinucci, effettivo promittente venditore dell'appartamento sito in Rimini, Via Pegaso, in virtù di contratto stipulato il 1 dicembre 1963 dal medesimo Golinucci, quale procuratore di Marino Zamagna (fittizio promittente venditore) e da Oreste Rizzoli, promittente acquirente, deducendo di essere stato dichiarato fallito in data 20 marzo 1964 e di essere ormai rientrato "in bonis" e perciò nella titolarità - anche dell'unità immobiliare in precedenza fittiziamente intestata allo Zamagna e recuperata alla massa della curatela del fallimento, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Rimini, Gelsomina Lelli, vedova di Oreste Rizzoli, chiedendo il rilascio dell'appartamento di Via Pegaso, dalla medesima occupato e detenuto senza titolo. Il Tribunale di Rimini, decidendo con sentenza 5 luglio 1982 anche sulla riconvenzionale della convenuta e dei figli Alessandro e Luisa Rizzoli intervenuti volontariamente quali eredi di Oreste Rizzoli, volta al riconoscimento degli effetti traspositivi del contratto o in subordine alla pronuncia di sentenza costitutiva, qualificato il contratto come preliminare, accoglieva la domanda del Golinucci, dichiarando l'avvenuto implicito scioglimento del contratto in base al comportamento concludente del curatore del fallimento che non aveva intimato l'esecuzione al promissario e conseguentemente condannava la Lelli ed i Rizzoli al rilascio dell'immobile. Su impugnazione di questi ultimi la Corte d'Appello di Bologna con sentenza 26 febbraio 1985 rigettava l'appello confermando la decisione del Tribunale, sia pure con diversa motivazione. Osservava la corte che pur trattandosi di contratto preliminare e pur essendo questo opponibile al Golinucci tornato in "bonis" - non potendo ritenersi avvenuto lo scioglimento del contratto in forza del comportamento del curatore del fallimento che non aveva avuto conoscenza dell'esistenza del contratto, mentre il promissario ed i suoi eredi non ne avevano sollecitato in alcun modo l'adempimento - tuttavia la domanda riconvenzionale proposta dagli eredi del promissario acquirente non poteva essere accolta per essere intervenuta la prescrizione del diritto di questi ultimi a pretendere l'adempimento del preliminare ampiamente decorso dalla data del contratto.
Secondo la corte erano irrilevanti, agli effetti sospensivi o interruttivi sia il sequestro giudiziario operato dalla curatela, sia il fallimento di colui che successivamente risultò il vero proprietario.
Contro questa sentenza gli eredi Rizzoli hanno proposto ricorso sulla base di tre motivi di cassazione.
Resistono con controricorso gli eredi di Alfredo Golinucci.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 184, 345, 346, 325, 326, 343 c.p.c. i ricorrenti censurano la sentenza impugnata: a) per avere la corte del merito preso in esame la eccezione di prescrizione nonostante che essa fosse stata abbandonata dal Golinucci, il quale non l'aveva riproposta in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado e, benché l'eccezione non fosse più proponibile in appello; b) per avere la corte preso in esame l'eccezione di prescrizione - anche a volerla ritenere non rinunciata - nonostante che essa non fosse stata espressamente riproposta in appello; c) per avere la corte erroneamente preso in esame l'eccezione di prescrizione, nonostante che il Golinucci non avesse proposto appello incidentale alla sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia lamentano i ricorrenti che la corte ha motivato in modo insufficiente in ordine alla questione della prescrizione: a) non rilevando d'ufficio la rinunzia all'eccezione di prescrizione non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado; b) ritenendo espressamente riproposta l'eccezione in appello sulla base di un generico inciso, contenuto nella comparsa di risposta, nonostante la richiesta di conferma nel merito della sentenza di primo grado e in mancanza di una volontà espressa di riproposizione della eccezione alla quale si faceva cenno solo come di un fatto storico. Entrambi i motivi, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Questa Corte ha avuto modo più volte di avvertire che qualora la parte abbia precisato le proprie conclusioni in modo specifico, le domande e le eccezioni non riproposte devono presumersi abbandonate e, il giudice ove non abbia elementi per ravvisare ua diversa volontà della parte, deve limitare il proprio potere decisorio alle domande ed eccezioni espressamente riproposte. Quando invece nel precisare le conclusioni vengono richiamate in forma generica le precedenti istanze e difese, il giudice ha il dovere nel decidere la lite di tenere presenti tutte le richieste fatte dalle parti, comprese quelle formulate nelle udienze di trattazione, dovendosi in tal caso presumere che la parte abbia inteso mantenerle ferme. Con riferimento al caso di specie l'esame degli atti non consente di ritenere abbandonata alcuna delle domande ed eccezioni precedentemente formulate dal Golinucci perché le conclusioni rassegnate all'udienza di precisazione delle conclusioni sono state estremamente generiche e non lasciano presumere quindi in alcun modo che il Golinucci abbia inteso rinunciare alla eccezione di prescrizione, che anzi con la istanza di reiezione della domanda riconvenzionale deve intendersi implicitamente mantenuta ferma. Quanto agli altri profili di censura che riguardano la necessità dell'appello incidentale contro la sentenza del tribunale che aveva deciso nel merito e, in ogni caso il mancato assolvimento dell'onere di riproporre in appello l'eccezione di prescrizione non accolta dalla sentenza di primo grado, devesi osservare anzitutto che non sussiste la dedotta necessità dell'appello incidentale in quanto la parte vittoriosa in primo grado, quale appunto il Golinucci, non è tenuta a proporre appello, neppure in via incidentale o condizionata, per ottenere che il giudice di secondo grado pronunci su una domanda dichiarata assorbita per l'accoglimento della domanda principale. Nè d'altra parte l'avere accettato la discussione sul merito, senza eccepire preliminarmente la prescrizione, come sostengono i ricorrenti, importa rinuncia implicita alla relativa eccezione, che presuppone un comportamento processuale in cui sia necessariamente insita la univoca volontà di non sollevare la relativa eccezione, che può essere utilmente dedotta anche per la prima volta in appello (sent. 21 dicembre 1971 n. 3733; 13 giugno 1975 n. 2372). Non resta quindi che la questione della riproposizione della eccezione di prescrizione non accolta in primo grado e che ai sensi dell'art. 346 c.p.c. deve reputarsi abbandonata qualora non sia stata espressamente riproposta nel giudizio di appello.
Tuttavia ai fini della riproposizione da parte dell'appellato delle domande ed eccezioni non accolte in primo grado non occorre ai sensi dell'art. 346 c.p.c. una formula solenne e tecnicamente precisa essendo sufficiente che dal complesso delle difese e dei motivi esposti dalla parte risulti chiaramente espresso, senza possibilità di equivoco, il richiamo delle domande ed eccezioni da essa prospettate, respinte o assorbite dalla decisione del primo giudice. Nella specie è sufficiente rilevare in primo luogo che la richiesta di conferma della sentenza di primo grado non si pone in contrasto con l'eccezione di prescrizione in quanto non avendo detta pronuncia riconosciuto gli effetti traslativi del contratto 1 dicembre 1963 o pronunciato sentenza costitutiva, gli eredi Golinucci non potevano che chiedere anzitutto davanti alla Corte di Bologna la conferma della sentenza di primo grado senza che questo di per sè stesso significasse rinuncia all'eccezione di prescrizione. Dovendo perciò verificare la regolarità formale dell'applicazione dell'art. 346 c.p.c. in base agli atti devesi osservare che la decisione non viola il divieto di esaminare le eccezioni non espressamente riproposte in appello, in quanto come rettamente ha osservato la corte territoriale, la eccezione, sia pure con breve inciso, è stata riproposta nel giudizio di secondo grado. La eccezione infatti è stata dedotta, non come fatto storico secondo la tesi dei ricorrenti, ma nella esposizione delle ragioni giuridiche (contenute nella comparsa di costituzione in appello) che imponevano il rigetto della domanda riconvenzionale per essere prescritto il diritto della controparte ad ottenere una sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c.. Con il terzo motivo denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2943, 2944 e 2937 c.c. i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere la corte erroneamente ritenuto non interrotta la prescrizione dal sequestro giudiziario e dal fallimento. Anche tali censure sono infondate.
La dichiarazione di fallimento del debitore non sospende, ne' interrompe il termine della prescrizione per l'esercizio delle azioni creditorie.
Soltanto la presentazione dell'istanza di insinuazione del credito nel passivo fallimentare, equiparabile all'atto con cui si inizia un giudizio (art. 94 R.D. 16 marzo 1942 n. 267) determina l'interruzione della prescrizione del credito medesimo, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, in applicazione del principio generale fissato dall'art. 2945 comma secondo c.c.. Infatti la dichiarazione di fallimento rende inammissibili e improcedibili le azioni esecutive individuali, essendo il soddisfacimento integrale in contrasto con la legge del concorso, ma non preclude l'esercizio del diritto nell'ambito della procedura concorsuale.
Anche nella ipotesi di rapporti giuridici preesistenti, come nel caso del contratto preliminare, qualora la cosa venduta non sia stata trasferita in proprietà del compratore, la domanda prevista dall'art. 2932 c.c. non è inammissibile, ne' diviene improcedibile a seguito della dichiarazione di fallimento del promittente obbligato, in quanto a norma dell'art. 72 della legge fallimentare, il curatore ha la scelta tra l'esecuzione del contratto, che il compratore in bonis può provocare intimando diffida al curatore, sicché essa diviene infondata, ma quindi ammissibile, soltanto a seguito dell'esercizio da parte del curatore del diritto potestativo di scioglimento del contratto.
Infine la qualificazione di preliminare di compravendita del contratto 1 dicembre 1963, criticata dai ricorrenti, è stata incontestabilmente sancita dalla corte del merito, che ha addotto a sostegno del proprio convincimento ragioni obiettivamente adeguate sul piano logico e giuridico, che si sottraggono alle generiche censure formulate dai ricorrenti, rivolte esclusivamente ad avversare il risultato interpretativo raggiunto dalla sentenza impugnata. Il ricorso pertanto deve essere respinto con la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese in favore dei resistenti che si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese in Lire 79.900 e degli onorari in Lire 1.600.000.
Così deciso in Roma, addì 26 aprile 1989.