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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19777 - pubb. 11/01/2018.

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Cassazione civile, sez. III, 03 Giugno 1996. Est. Di Nanni.

Esecuzione individuale promossa dall'istituto di credito fondiario nei confronti del proprio debitore dichiarato fallito - Obbligo di notificare gli atti al debitore stesso - Sussistenza - Termine per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi - Decorrenza - Dalla notifica del precetto al curatore del fallimento - Esclusione


Nell'esecuzione individuale promossa da un istituto esercente il credito fondiario, nei confronti del proprio debitore già dichiarato fallito, quest'ultimo ha diritto a ricevere la notificazione degli atti preliminari a detta esecuzione, del pignoramento e degli atti precedenti la fissazione degli incanti di vendita e, pertanto, il termine per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi non decorre dalla data di notifica del precetto al curatore del fallimento. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Enzo MERIGGIOLA Presidente
" Costantino COCCO Consigliere
" Paolo VITTORIA "
" Antonio LIMONGELLI "
" Luigi Francesco DI NANNI Rel. "
ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
EUROPA PARK HOTEL SOC (già S.C.E.A. soc), elettivamente domiciliata in ROMA VIA ANAPO 29, presso lo studio dell'Avvocato DARIO DI GRAVIO, che la rappresenta e difende anche disgiuntamente all'Avvocato CESIDIO DI GRAVIO, giusta delega in atti;

Ricorrente

contro

BNL Credito Fondiario S.p.A. Finanziamenti e Servizi per l'Edilizia e le opere pubbliche (già SACAT), in persona del pres. Giampiero Cantoni, elettivamente domiciliata in ROMA VIA MONTEZEBIO 37, presso lo studio dell'Avvocato ELIO FAZZALARI, che lo rappresenta e difende anche disgiuntamente all'Avvocato GIORGIO HOYEK, giusta delega in atti;

Controricorrente

avverso la sentenza n. 337-93 della Corte d'Appello di L'AQUILA, emessa il 23-03-93, depositata il 30-06-93 (R.G. 601-90;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12-01-96 dal Consigliere Relatore Dott. Luigi Francesco DI NANNI;
udito l'Avvocato Dario DI GRAVIO;
udito gli Avvocati Dott. Elio FAZZALARI e Dott. Giorgio HOYEK;
udito il P.M. in persona del Sostituito Procuratore Generale Dott. Giovanni LO CASCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO

1. La sezione Autonoma per l'Esercizio del Credito Alberghiero e Turistico (S.A.C.A.T.) della Banca Nazionale del Lavoro ha intimato, mediante atto di precetto del 15 settembre 1981, al curatore del fallimento della s.r.l. SCEA il pagamento della somma di lire 1.291.907.081, dovuta per residuo di capitale di mutuo fondiario, interessi di mora ed altri accessori.
Successivamente, con atto del 23 novembre 1981, la Banca Nazionale del Lavoro ha proceduto a pignoramento del complesso alberghiero di proprietà della Società SCEA e sono stati fissati un primo incanto del 27 giugno 1985 ed un secondo incanto del 12 giugno 1986 per la vendita dei beni pignorati.
La s.p.a. Europa Park Hotel, risultante dalla trasformazione della Società SCEA, con ricorso al tribunale di Sulmona, depositato il 23 aprile 1986, ha chiesto, tra l'altro, che fosse dichiarata la nullità di tutti gli atti dell'espropriazione, dal precetto fino alle ordinanze di vendita per la mancata instaurazione di un rapporto processuale regolare e per la mancata notifica del precetto e dei titoli esecutivi ed inoltre per la mancata osservanza dei divieti di cui agli artt. 55, 168 e 188 della legge fallimentare. 2. L'opposizione è stata accolta dal tribunale, che ha dichiarato l'improcedibilità dell'azione esecutiva.
La decisione del tribunale, impugnata dalla Sezione Autonoma della Banca Nazionale del Lavoro, è stata riformata dalla Corte di appello di L'Aquila con sentenza del 30 giugno 1993. La Corte di appello ha ritenuto:
- che l'atto di appello, sottoscritto soltanto dall'avvocato Elio Fazzalari, iscritto nell'albo professionale della Corte di appello di Roma, era valido perché la procura per l'impugnazione era stata conferita anche all'avvocato Ennio Giansante, iscritto nell'albo professionale di quella Corte di appello, il quale aveva esercitato il patrocinio attraverso la costituzione in giudizio;
- che l'opposizione, con la quale era stato contestato il diritto del creditore all'esecuzione forzata si configurava come opposizione all'esecuzione regolata dall'art. 615 cod. proc. civ., perché è tale anche quella con la quale la società assoggettata ad amministrazione controllata nega il diritto del creditore di promuovere o proseguire azione esecutiva individuale in pendenza della procedura concorsuale;
- che la sentenza del tribunale di Sulmona era stata legittimamente gravata di appello;
- che l'eccezione di nullità o inesistenza del precetto e degli atti esecutivi, fondata sul fatto che il precetto non era stato notificato al debitore ma al curatore del fallimento della Società SCEA nei confronti del quale erano stati compiuti tutti gli altri atti espropriativi, era inammissibile, perché proposta fuori del termine indicato dall'art. 617 cod. proc. civ.;
- che l'eccezione di nullità o inesistenza era anche infondata per il dettato dell'art. 43 della legge fallimentare del quale si ricava che il curatore è il sostituto processuale del fallito ed a lui deve essere riconosciuta la posizione di parte nel processo;
- che l'opposizione all'esecuzione era anch'essa infondata: sia perché l'esecuzione era stata iniziata e condotta fino al primo incanto in pendenza del fallimento della Società SCEA, in quanto l'amministrazione controllata, seguita alla dichiarazione di nullità del fallimento, era cassata (il 7 giugno 1984) dopo la fissazione del primo incanto andato deserto; sia perché la disposizione dell'art. 42 della legge sul credito fondiario del 1905 consente, attraverso l'interpretazione evolutiva della norma, di svolgere l'azione esecutiva individuale anche in presenza di amministrazione controllata.
3. Per la cassazione di questa sentenza la s.p.a. Europa Park Hotel ha proposto ricorso, articolato in due motivi. Resiste con controricorso la Sezione Autonoma della Banca Nazionale del Lavoro.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Le parti costituite hanno depositato anche memorie.

DIRITTO

1. 1. Con il primo motivo del ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e seguenti e dell'art. 125 cod. proc. civ. ed omessa e contraddittoria motivazione.
La ricorrente si riferisce al motivo dell'impugnazione con il quale aveva dedotto che l'atto di appello era nullo perché sottoscritto soltanto dall'avvocato Elio Fazzalari non iscritto nell'albo degli avvocati e procuratori della Corte di appello di L'Aquila.
La società Europa Park Hotel sostiene: che l'atto di appello, sottoscritto nel modo indicato, è inesistente; che la possibile sanatoria del vizio lasciava impregiudicati i suoi diritti quesiti, tra i quali quello dell'avvenuto spirare del termine breve dell'appello contro la sentenza del tribunale; che l'atto di appello era comunque nullo, perché nella redazione, nella notifica e nel deposito non si prestava ad essere attribuito al procuratore legalmente esercente: infatti l'atto non era stato sottoscritto dall'avvocato Giansante nemmeno al momento dell'iscrizione a ruolo della causa, ma solo dopo la costituzione in giudizio dell'appellato. Il motivo non è fondato.
1. 2. Nella giurisprudenza di questa Corte è ritenuto in termini generali che l'atto sottoscritto da procuratore esercente extra districtum è nullo: sent. 25 novembre 1993, n. 11657. Nondimeno, è stato anche ritenuto che <la sottoscrizione della citazione di primo grado o di appello, da parte di un procuratore iscritto nell'albo di un distretto diverso da quello del giudice adito, non è causa di nullità dell'atto, quando la procura, apposta in calce o a margine dello stesso, sia stata conferita anche ad un procuratore territoriale competente, il quale si sia poi costituito in giudizio, atteso che, se la procura reca la firma per autentica del procuratore abilitato, la citazione è imputabile anche a lui in base a tale sottoscrizione e, se la procura è autenticata dall'esercente extra districtum, sul dato formale della mancanza della firma del procuratore abilitato deve prevalere il criterio di imputazione sostanziale della provenienza dell'atto anche da detto procuratore, risultante dal conferimento di poteri di rappresentanza e difesa della parte e dall'effettivo esercizio del patrocinio attraverso la costituzione in giudizio>: sent. 24 giugno 1995, n. 7203; conf. Sez. U. 15 luglio 1988, n. 4641. A ciò si aggiunga che la dichiarazione di non fondatezza delle norme (art. 5 r.d.l. 27.11.1933, n. 1578) che sanzionano la nullità degli atti compiuti da un procuratore italiano esercente extra districtum, recentemente adottata dalla Corte costituzionale con sentenza del 28 febbraio 1996 n. 61, conferma il carattere strumentale e non assoluto della limitazione territoriale della competenza del procuratore legale, siccome volta ad agevolare l'esercizio del diritto ponendo a disposizione della parte un professionista idoneo a svolgere con la necessaria tempestività l'attività processuale di competenza spesso collegata al rispetto di termini perentori e a rappresentare al giudice con la necessaria immediatezza ogni esigenza di difesa.
1. 3. Dall'esame degli atti risulta che la Banca Nazionale del Lavoro ha conferito all'avvocato Elio Fazzalari, del foro di Roma, ed all'avvocato Giansante, del foro di L'Aquila procura speciale del 17 ottobre 1990 per essere difesa nella causa di appello avverso la sentenza del tribunale di Sulmona del 7 giugno 1990. Da questa circostanza non contestata e dal principio di conservazione in fattispecie particolari dell'atto di procura conferito al procuratore esercente extra districtum, sopra richiamato, si deve ricavare che l'atto di appello sottoscritto solo dall'avvocato Elio Fazzalari è irregolare, ma non inesistente o nullo, perché la difesa della parte nel giudizio di appello svolta dall'avvocato Giansante, esercente regolarmente come è pure pacifico, consente di imputare anche a questo secondo professionista l'atto di appello.
Sotto questo profilo, quindi, l'appello della S.A.C.A.T. è stato validamente proposto.
2. 1. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 615 e 618 cod. proc. civ., degli artt. 51 e 43 della legge fallimentare, dell'art. 42 t.u. n. 646 del 1905, dell'art. 15 d.p.r. 21 gennaio 1976, n. 7 e dell'art. 17, secondo comma, della legge 6 giugno 1991, n. 175, nonché motivazione contraddittoria e perplessa.
La ricorrente si riferisce a quella parte della sentenza impugnata con la quale è stato ritenuto che il processo esecutivo era stato validamente instaurato contro il fallimento.
Per intendere la censura è necessario richiamare i seguenti aspetti della fattispecie, per come è ricostruita nella sentenza impugnata, riguardanti la Società SCEA: con decreto del 25 luglio 1979 la Società fu ammessa alla procedura di amministrazione controllata; con sentenza del 28 maggio 1980 essa fu dichiarata fallita; con altra sentenza dell' 11 maggio 1982 fu dichiarata la nullità della dichiarazione di fallimento; con decreto del 7 giugno 1984 fu dichiarata cessata l'amministrazione controllata entrata nuovamente in vigore dopo la dichiarazione di nullità del fallimento.
Con il motivo la Società Europa da un lato propone la tesi dell'inammissibilità dell'appello e dall'altro ripete: che la notificazione del precetto, avvenuta il 15 maggio 1981, doveva essere fatta al debitore personalmente e non al curatore del fallimento; che la prosecuzione degli atti della procedura esecutiva (pignoramento del 23 novembre 1981 ed atti a questo successivi) in pendenza del fallimento e al di fuori del procedimento di amministrazione controllata comportava l'inesistenza giuridica del processo esecutivo.
Le ultime due deduzioni si fondano sull'argomento alternativo: a) che la disposizione dell'art. 42 del r.d. 16 luglio 1905 n. 646 (t.u. delle leggi sul credito fondiario), anche se consente l'esecuzione individuale nei confronti del mutuatario dichiarato fallito, tiene distinta la procedura individuale da quella collettiva ed impone, quindi, al creditore mutuante di notificare gli atti della procedura direttamente al debitore e non al creditore; b) che non è consentito estendere alle procedure cosiddette minori la disposizione ora indicata, nella parte in cui questa stabilisce che le disposizioni sul credito fondiario sono applicabili come in caso di fallimento del debitore per i beni ipotecati agli istituti di credito, stante il divieto di procedere ad esecuzione individuale nei confronti del debitore sottoposto ad amministrazione controllata, perché questa è soggetta agli stessi limiti fissati dall'art. 168 delle legge fallimentare per il concordato preventivo.
Da queste premesse la ricorrente ricava esplicitamente la conclusione che non era rilevante la circostanza che il processo esecutivo fosse iniziato e proseguito fino al secondo incanto nei confronti del curatore del fallimento.
Da queste stesse la ricorrente, implicitamente, trae anche la conseguenza che non sono corrette ne' la qualificazione dell'opposizione come agli atti esecutivi, ne' le dichiarazioni di inammissibilità e di infondatezza della stessa opposizione, con la censura dell'inammissibilità dell'appello.
2. 2. Ammissibilità dell'appello. L'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionaleu deve essere fatta in base al principio detto dell'apparenza, cioè con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione proposta per come è stata compiuta dal giudice del provvedimento stesso, indipendentemente dalla sua esattezza (che è sindacabile soltanto dal giudice cui spetta la cognizione dell'impugnazione prescelta secondo il predetto criterio) e dalla qualificazione dell'azione data dall'opponente, o dalla parte che propone l'impugnazione: in questo senso esiste oramai una giurisprudenza consolidata di questa Corte, esemplificativamente rappresentata dalle sentenze 19 aprile 1966, n. 1002; Sez. U. 9 aprile 1986, n. 2466; 10 settembre 1986, n. 5531;
Sez. U. 17 febbraio 1992, n. 1914; Sez: U. 13 aprile 1994, n. 3467. pertanto, la sentenza emessa nel giudizio di opposizione esecutiva è impugnabile con l'appello, se l'azione è stata qualificata come opposizione all'esecuzione; mentre è esperibile il ricorso per cassazione, ai sensi del secondo comma dell'art. 111 della Costituzione, qualora l'azione sia stata definita come opposizione agli atti esecutivi: sent. 18 gennaio 1988, n. 334 e n. 4633 del 1992. Il tribunale di Sulmona ha dichiarato che l'opposizione proposta dall'attuale ricorrente con l'atto del 5 maggio 1986 è un'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 cod. proc. civ. In base a questo principio la Corte di appello di L'Aquila, pertanto, non poteva dichiarare inammissibile l'impugnazione e, correttamente, ha proceduto all'esame di essa.

DIRITTO

Pertanto, la censura di inammissibilità dell'appello proposta dalla S.A.C.A.T. è infondata sotto il profilo prospetto con il motivo che si sta esaminando.
2. 3. Effetto dell'opposizione proposta dal debitore. Il secondo comma dell'art. L'art. 42 del r.d. 16 luglio 1905 n. 646 citato recita: le disposizioni delle leggi e dei regolamenti sul credito fondiario sono sempre applicabili anche in caso di fallimento del debitore per i beni ipotecati agli istituti di credito fondiario. La norma è applicabile al rapporto processuale che si sta esaminando, perché l'art. 161 del d. lgs 1 settembre 1993, n. 385 da un lato (primo comma) ha abrogato il regio decreto 16 luglio 1905, n. 647 e dell'altro (sesto comma) ha disposto che i procedimenti esecutivi in corso alla data di entrata in vigore del decreto (1 gennaio 1994) sono regolati dalle norme anteriori.
Alla data di entrata in vigore della legge delegata del 1993 la procedura esecutiva contro la ricorrente era in corso e, pertanto, i richiami al testo unico sul credito fondiario del 1905 sono corretti. I rapporti tra esecuzione individuale ed esecuzione concorsuale sono regolati dall'art. 51 della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267), secondo il quale salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.
La deroga del divieto delle azioni esecutive individuali, contenuta nell'espressione salvo diversa disposizione della legge, si riferisce all'esecuzione individuale consentita agli istituti esercenti il credito fondiario in base al richiamato articolo 42 del r.d. 16 luglio 1905, n. 646 ed all'esecuzione esattoriale già regolata dall'art. 206 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 ed ora dall'art.51, secondo comma, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602.
Con riferimento alla prima forma di esecuzione, pertanto, gli istituti esercenti il credito fondiario hanno il potere di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sui beni compresi nel fallimento come questa Corte ha avuto già modo di precisare: sent. 30 gennaio 1985, n. 582, tra le tante. Si tratta di un potere che opera sul piano processuale e non su quello sostanziale.
Esso, infatti, consente all'istituto mutuante di agire esclusivamente sugli immobili oggetto di ipoteca anche in pendenza dal fallimento del debitore, senza essere tenuto ad insinuare prima il proprio credito nella procedura concorsuale, e di conseguire l'immediato versamento del prezzo fino a concorrenza del credito vantato. Ove la liquidazione dell'attivo fallimentare non sia sufficiente a soddisfare tutti i crediti concorrenti, l'istituto mutuante deve sottostare alle regole del, concorso e restituire, eventualmente, alla massa quanto eccede le proprie ragioni: in questo senso vi è sostanziale concordanza tra la dottrina prevalente e la giurisprudenza di questa Corte (per tutte le sente. 11 marzo 1987, n. 2532).
Se questi sono rapporti tra esecuzione individuale consentita agli istituti esercenti il credito fondiario ed esecuzione concorsuale in danno del debitore già dichiarato fallito, una prima conclusione ricavabile dalla premessa è che il debitore mutuario di credito fondiario subisce gli effetti dell'espropriazione secundum legem. Questa conclusione comporta l'esame dell'ulteriore problema, che interessa proprio in questa sede e che è quello di stabilire se il debitore fallito debba essere destinatario autonimo degli atti preliminari (precetto) e di quelli propri del processo esecutivo individuale (pignoramento ed atti a questo successivi), ovvero se entrambi gli atti possono essere validamente notificati al curatore del fallimento.
Dalla soluzione di questo problema, evidentemente, si ricava la (in) tempestività dell'opposizione agli atti esecutivi quando questa sia proposta al di là del termine di cinque giorni fatto decorrere dalla notifica del precetto al curatore del fallimento e non al debitore mutuatario.
A sostegno della soluzione che il precetto deve essere notificato al debitore e non al curatore si possono richiamare i principi ricavabili dalla citata decisione di questa Corte 11 marzo 1987 n. 2532, richiamata anche dalla difesa della ricorrente, la quale (nella motivazione), in nome dell'autonomia dell'azione esecutiva individuale da quella collettiva, ha escluso una capacità processuale del curatore giustificata dal principio dell'universabilità della procedura concorsuale, perché questa ha ragione di esistere solo se l'istituto di credito ha la necessità di acquisire definitivamente il ricavato dell'esecuzione individuale. La soluzione deve essere condivisa se si considera ulteriormente che il debitore mutuatario, in quanto subisce gli effetti dell'espropriazione, è soggetto che deve essere informato dell'esecuzione.
Questo comporta che già il precetto deve contenere l'individuazione del soggetto contro il quale si svolgerà l'esecuzione, per consentirgli di assumere tutte le iniziative consentite a chi è il soggetto passivo dell'esecuzione; iniziative che il quinto comma dell'art. 20 del citato t.u. delle leggi sul credito fondiario riconosce anche ai successori ed agli aventi causa del debitore per consentire il loro intervento nel giudizio di esecuzione al fine di integrarlo.
Per quanto qui interessa si deve quindi ritenere conclusivamente che, in caso di precetto intimato a soggetto diverso, l'errore non fa decorrere per detto soggetto il termine per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi.
Nella fattispecie concreta, i cui atti possono essere esaminati direttamente in ragione della censura, si ricava che la Sezione Autonoma della Banca Nazionale del Lavoro ha intimato precetto <<al dottore ... quale curatore del fallimento della Soc. SCEA>> dopo che aveva avuto inizio la procedura di amministrazione controllata e l'ha proseguita anche dopo la dichiarazione di fallimento della stessa Società.
In questa situazione la notifica prima del precetto, poi del pignoramento, quindi degli avvisi per procedere agli incanti dovevano essere compiuti direttamente alla s.r.l. SCEA o agli aventi causa di questa, per consentire alla prima o ai secondi di proporre opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi (artt. 615 e 617 cod. proc. civ.) e non ha senso fare riferimento, come dichiara la
sentenza impugnata, alla legittimazione del curatore o alla tardività dell'opposizione agli atti esecutivi, in quanto l'esecuzione promossa dalla Sezione Autonoma della Banca Nazionale del Lavoro non si è svolta ne' in confronto della Società SCEA, ne' dall'attuale ricorrente.
Nè vale obiettare: che l'opposizione proposta dalla Società SCEA fa riferimento a carenze di rito; che questa opposizione si qualifica come opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 cod proc civ.; che l'opposizione agli atti esecutivi era tardiva; che la ricorrente non ha contestato in questa sede la qualificazione dell'opposizione come agli atti esecutivi.
Nel motivo che si sta esaminando la Società Europa sostiene, è vero, che l'opposizione proposta dalla sua dante causa si qualificava come opposizione all'esecuzione, ma deduce pure l'inesistenza del precetto e del processo esecutivo in suo confronto, volendo dire (e quindi censurare) che erroneamente la Corte di appello di L'Aquila ha fatto decorrere dalla notifica del precetto al curatore del fallimento il termine per proporre l'opposizione agli atti esecutivi, pure concretamente proposta.
Non è esatto, quindi, invocare la preclusione a rimettere in discussione la conclusione della Corte di L'Aquila sulla tardività dell'opposizione, perché la ricorrente ha eccepito anche in questa sede che il precetto del 15 maggio 1981 non era in grado di far decorrere il termine per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi successivamente proposta e qui esaminata. L'errore nel quale è incorsa la sentenza impugnata, pertanto, è stato quello di avere ritenuto validamente instaurato il procedimento esecutivo contro il fallimento della s.r.l. SCEA e di non avere considerato che, invece, il processo esecutivo doveva essere instaurato direttamente contro la medesima Società. Sotto questo profilo la censura esaminata è fondata con le conseguenze di cui si dirà.
2. 4. Il secondo motivo ed alternativo motivo di censura della sentenza della Corte di L'Aquila è individuato dalla ricorrente nella circostanza che non è consentito estendere le disposizioni riguardanti il credito fondiario (art. 42 del t.u. n. 646 del 1905) alle procedura cosiddette minori, tra le quali l'amministrazione controllata alla quale era sottoposta la Società SCEA. La censura non è fondata.
Per le procedure fallimentari cosiddette minori l'art. 168 della legge fallimentare dichiara, riferendosi al concordato preventivo, che le azioni esecutive iniziate o proseguite sul patrimonio del debitore sono nulle.
La portata e le ragioni di questa nullità sono state spiegate con il fatto che il divieto è assoluto e non è derogato dall'art.
42 l.f.: Cass. 7 novembre 1991, n. 11879. La portata assoluta di questo divieto, tuttavia, non si applica all'amministrazione controllata sia perché l'art. 168 citato non è richiamato dal successivo art. 188, che indica le altre norme applicabili all'amministrazione controllata, sia per la diversità che esiste tra i due istituti.
Le disposizioni della legge sul credito fondiario del 1905, quindi, sono applicabili al fallimento ed anche alla procedura di amministrazione controllata, ma gli effetti di questa estensione non possono andare al di là di quelli che sono stati indicati per il fallimento propriamente detto.
Sotto questo profilo, quindi, la censura indicata è infondata.
2. 5. Infine, il fatto che il processo esecutivo fosse iniziato e proseguito fino al secondo incanto nei confronti del curatore del fallimento è irrilevante in questa sede, considerato quanto già detto, che cioè il processo esecutivo doveva essere instaurato direttamente contro la Società SCEA e non contro il fallimento di questa.
Pertanto l'esame della seconda censura risulta assorbito.
2. 6. Dall'accoglimento del secondo motivo del ricorso nei limiti ora indicati deriva che la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale si atterrà al seguente principio di diritto: <Nell'esecuzione individuale promossa da istituto esercente il credito fondiario nei confronti del proprio debitore già dichiarato fallito quest'ultimo ha diritto di ricevere la notificazione degli atti preliminari a detta esecuzione, del pignoramento e degli atti precedenti la fissazione degli incanti di vendita e, pertanto, il termine per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi non decorre dalla data di notifica del precetto al curatore del fallimento>.
2. 7. Fondatezza dell'opposizione. Il secondo motivo del ricorso non sembra introdurre questo tema.
In ogni caso nella giurisprudenza di questa Corte è stato già affermato il principio secondo il quale <costituisce opposizione all'esecuzione quella con la quale, da parte di una società assoggettata ad amministrazione controllata, viene negato il diritto, per i creditori, di promuovere o di proseguire azioni individuali in pendenza di detta procedura concorsuale, comportante la negazione, ancorché per un tempo limitato, del diritto della parte creditrice di ad agire in via esecutiva>: sent. 25.6.1990, n. 6424. Sotto questo aspetto, quindi, l'esame della censura rimane assorbito.
3. Conclusivamente deve essere accolto il secondo motivo del ricorso e rigetto il primo. In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che si designa nella Corte di appello di Roma. Il giudice del rinvio si atterrà al principio di diritto già indicato e provvederà anche alla determinazione delle spese di questo giudizio.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per la determinazione delle spese di questo giudizio, alla Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 1996, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione. (Ud. 12-1-96)
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 3 GIUGNO 1996