Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19655 - pubb. 12/05/2018

Separazione da addebitare al marito violento nonostante i comportamenti esasperanti della moglie

Cassazione civile, sez. VI, 21 Marzo 2018, n. 6997. Pres., est. Magda Cristiano.


Separazione – Divorzio – Separazione con addebito – Condotta violenta



Nonostante la conflittualità risalente nel tempo e i comportamenti esasperanti e istigatori della moglie, la separazione va addebitata al marito che tiene una condotta violenta e lesiva dell’incolumità della suddetta. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda - rel. Presidente -

Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere -

Dott. VALITUTTI Antonio - Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

 

Rilevato che:

La Corte d'appello di Roma, in parziale accoglimento dell'appello proposto da C.A. contro la sentenza di primo grado, ha ritenuto che la sua separazione dal marito F.V.M. andasse addebitata a quest'ultimo, risultando provato che il venir meno dell'unione matrimoniale e l'elevata conflittualità esistente fra i coniugi era stata determinata dalla condotta aggressiva e violenta tenuta dal marito verso la moglie.

La sentenza, pubblicata il 25.7.016, è stata impugnata da F. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui C. resiste con controricorso.

Le parti hanno ricevuto tempestiva notificazione della proposta di definizione e del decreto di fissazione d'udienza di cui all'art. 380 bis c.p.c. Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

 

Ritenuto che:

Con il primo motivo, che denuncia violazione dell'art. 151 c.c., il ricorrente deduce che la corte d'appello non ha operato la dovuta comparazione fra il suo comportamento e quello della moglie, nè ha verificato se la situazione di intollerabilità della convivenza fosse preesistente alle condotte addebitategli, ritenute causa della separazione.

Col secondo motivo, che denuncia vizio di motivazione ed error in procedendo, F. lamenta l'errata ricognizione delle risultanze istruttorie ed, in particolare, delle dichiarazioni rese dalla cognata, in parte inutilizzabili ed in parte del tutto generiche.

Col terzo motivo, che denuncia error in procedendo per l'omesso esame di documenti ed ulteriore violazione dell'art. 151 c.c., il ricorrente torna a sostenere che la corte del merito avrebbe, da un lato, sottovalutato le cause scatenanti dei suoi comportamenti, determinati da una situazione che si protraeva da tempo (le cattive condizioni igieniche dell'appartamento coniugale per la presenza, imposta dalla moglie, di numerosi animali maltenuti), che era stata riscontrata anche dai CC., nell'occasione in cui erano intervenuti a sedare una lite, e, dall'altro, omesso di considerare ulteriori comportamenti della consorte (le false accuse rivoltegli di far uso di stupefacenti, di averla minacciata con una pistola, di essersi indebitamente appropriato di oggetti) che miravano unicamente a danneggiarlo.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

L'assunto del ricorrente è infatti smentito dalla piana lettura della sentenza impugnata, nella quale la corte del merito ha dato atto sia che la conflittualità fra i coniugi era risalente nel tempo, sia che la condotta della moglie contribuiva ad esasperare la loro relazione, ma, nell'operare proprio quel giudizio di comparazione che si assume omesso, ha ciò nonostante ritenuto che la causa determinante dell'intollerabilità della convivenza fosse costituita dai comportamenti reattivi del marito, che sfociavano in azioni violente e lesive dell'incolumità fisica della signora.

Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.

Premesso che l'omessa (o l'errata) valutazione da parte del giudice di risultanze istruttorie non integra un errore procedurale e può essere denunciata solo sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nei limiti in cui l'attuale testo della norma lo consente), va infatti rilevato che la prima delle due censure in esame si risolve nella richiesta di una diversa lettura di dichiarazioni testimoniali che, peraltro, costituiscono solo uno degli elementi di prova sui quali la corte d'appello ha fondato la propria decisione.

La seconda lamenta invece l'omesso esame di taluni fatti storici, ma non chiarisce se essi abbiano formato oggetto di contraddittorio fra le parti, nè ne illustra la decisività, e di altri fatti che il giudice del merito ha invece considerato, traendone però una valutazione difforme da quella auspicata, che non può essere sindacata nella presente sede di legittimità.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi i nominativi delle parti e degli altri soggetti in esso menzionati.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2018.